Love will tear us apart
Capitolo 2 – Suburbia girls
La
ragazza si svegliò con la bocca impastata e la chiara sensazione di unto sul viso ancora sporco di trucco. Dopo aver sbadigliato e stropicciato gli occhi per almeno
cinque minuti, iniziò a perlustrare con lo sguardo l’ambiente: si trovava in
camera sua, uno spazio ridotto illuminato da un’unica finestra, una scrivania
con un antiquato sistema per ascoltare audiocassette che aveva riparato di recente, un giradischi, vinili e nastri ammassati in un angolo, una chitarra acustica
appoggiata al muro, dozzine di poster attaccati sul soffitto basso e spiovente,
un armadio che sembrava non centrare nulla con tutto il resto e cianfrusaglie
sparse un po' ovunque. Un vecchio manifesto del tour americano del '71 dei Rolling Stones, a cui ovviamente non era mai andata, la fissava in quel momento. Il "letto" era praticamente rasoterra: essendo cedente da un lato
gli erano state amputate le gambe e adesso era costituito soltanto da una
tavola di legno scricchiolante e da un largo materasso appoggiato sopra, sul
quale giaceva Naz. Gli scarponi erano stati lasciati vicino a una libreria fatta di cassette di legno inchiodate insieme,
colma di altri vinili, dischi e libri, per lo più di scuola.
Solo inquadrando quei volumi didattici le passò per la mente il pensiero che doveva andare a scuola. Priva per un momento della
cognizione del tempo, si sforzò di ricordare che giorno fosse ma un foglio che
aveva tutta l’aria di essere stato strappato da uno dei suoi quaderni attirò la sua attenzione.
“
Ehi Naz, tesoro, io sto andando a scuola.
Mi sembri parecchio distrutta così ti lascio dormire. Dico che hai un virus
intestinale, ok? Oh, ma cosa te lo chiedo a fare, tu
stai dormendo! Solo, se ti svegli in tempo, vieni a prendermi per l’ora di
pranzo, ho lasciato la macchina da te. Baci, Chris”
La
ragazza non riuscì a trattenere un sorriso nel leggere quel biglietto: tipico
di Christie, passare la notte, o meglio, ciò che ne rimaneva a casa sua per poi
poter tornare dai suoi genitori e dire “Ho dormito da Naz perché abbiamo
studiato fino a tardi”. I signori Wu forse sospettavano che la loro
figliola passasse intere nottate fra individui di dubbia moralità, musica deprecabile e alcool procurato grazie ad amici maggiorenni ma non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. Certo era un autentico miracolo che le permettessero di frequentare quella Naz Kurt, come non continuavano a ripeterle.
Naz era perfettamente consapevole di non essere l’amica che ogni genitore avrebbe desiderato per i propri figli: non perché
la sua condotta a scuola fosse eccessivamente cattiva o perché i suoi voti
fossero molto bassi, anzi. Aveva la media della B in quasi tutte le materie e
non tendeva a creare molto casino nelle classi. Si faceva i fatti propri, ascoltava le critiche dei professori verso il suo modo di vestire e
sulla sua musica, che però le entravano da un orecchio e le uscivano dall’altro
e che comunque non erano rivolte soltanto a lei, ogni tanto le scappava qualche battuta poco simpatica ma nulla più. No, era chiaro a tutti che era
per il suo sconquassato retroscena familiare che non si ritrovava in cima alla lista delle preferenze degli Wu..
Mentre
una smorfia le distorceva i lineamenti delicati, Naz scacciò quegli infausti pensieri
alzandosi dal suo giaciglio, senza pericolo di sbattere contro il basso soffitto inclinato vista la sua altezza esigua. Non le piaceva l’idea di abitare in
una soffitta ma quella stanza le si addiceva parecchio: piccola, strana,
malmessa. Si tolse lo stretto e corto vestito blu scuro dell’altra sera, con il quale aveva dormito, rimanendo nuda di fronte allo
specchio scheggiato appeso alla parete. Osservò per un istante il proprio corpo
minuto, prima di chinarsi alla ricerca di un paio di mutande pulite e un
reggiseno: non sapeva ancora che ore fossero, non aveva l’orologio in camera. Forse avrebbe dovuto farsi una doccia ma non sapeva se ne avesse il tempo.
Una volta indossati comuni capi di biancheria, si avviò verso l’interno della
casa.
Da
quando il fisco aveva dato lo sfratto alla sua famiglia e avevano dovuto
abbandonare la loro vecchia casa in periferia, abitavano lì. Alcuni agganci di
suo fratello avevano procurato loro un appartamento in un grosso edificio nella
zona di South Central, una delle peggiori dove bazzicare. Nessuno aveva detto loro che si trattava in
realtà di una soffitta. Non pericolante e in condizioni discrete, ma pur sempre una soffitta.
Così
si erano dovuti arrangiare in qualche modo, accontentarsi. Lei, uno dei suoi fratelli maggiori Mason e ovviamente la
mamma. Calvin, il più grande dei tre figli, doveva scontare ancora qualche anno
di prigione per tentata rapina a mano armata e possesso illegale di armi,
perciò non potevano contare su di lui. Mason, mollato il liceo senza diploma, portava a casa la maggior parte del pane, aiutato
da Naz che lavorava come cameriera dopo la scuola. Avevano pagato così la
maggior parte dei mobili, che non avevano potuto portare via dalla casa
vecchia. Le sole cose che erano rimaste della vecchia vita erano i dischi, la chitarra acustica di Naz e, ovviamente, la mamma. Il resto era stato venduto per poter far fronte ai debiti e alle spese.
La
soffitta era dotata di un piccolo fornello, l’unico rimanente di un piccolo
laboratorio, e di un bagno: probabilmente non avrebbero mai saputo come fosse stata
utilizzato quel buco prima del loro arrivo. Non c'era da lamentarsi finché funzionava e non aveva senso farsi troppo i fatti degli altri in quella zona di Los Angeles. Avevano allestito un angolo cottura e lo spazio di Mason, costretto ad occupare il divano ma ben felice di lasciare un po' di privacy alla sorellina adolescente. Oltre a un bagno minuscolo in cui il water era esattamente sotto la doccia,
c’erano altre due stanze, la camera di Naz e la camera di Joanie, la madre. Un
ambiente angusto che però per sopravvivere andava più che bene.
Mason
era molto probabilmente già a lavoro al cantiere e di sua madre non vi era
traccia, segno del fatto che stava ancora dormendo. Naz sospirò: avrebbe dovuto controllare che stesse bene e prepararle il pranzo prima di filare a ripigliare Christie.
L’orologio segnava le 10.50: il tempo per
prepararsi con la giusta calma e guidare fino alla Jefferson High School di South Park per
passare a prendere quella sconsiderata, magari recuperando i compiti e gli appunti persi: Naz sfiĺò una sigaretta da un pacchetto
abbandonato sul tavolino da Mason probabilmente, incominciando a fumare e a preparare il bollitore per il caffè. Solo dopo aver messo in moto il cervello attraverso quei movimenti meccanici, venne colta da un brivido di panico pure nel ripercorrere gli avvenimenti della nottata trascorsa. La sigaretta le scivolò dalle labbra, fatto che venne accompagnato dalle più colorite imprecazioni mentre si chinava a recuperarla. Non cercò nemmeno di giustificarsi: aveva fatto una mostruosa stronzata e doveva solo sperare di non pagarne le conseguenze. I ricordi del suo incontro con il fortunato sconosciuto che l'aveva trascinata nel vicolo erano pressoché assenti. Inspirò a fondo prima di sbuffare una nuvola di fumo. Sangue freddo: l'unica opzione era aspettare.
Preoccupata,
spense la sigaretta su uno dei posacenere che aveva rubato al bar dove lavorava
e si versò il caffè in polvere in una tazza sbeccata che prese da una delle
credenze, prima di annaffiarlo con l'acqua bollente. Probabilmente era troppo presto per affidarsi ai test di gravidanza, inoltre non aveva dieci dollari da spendere.
Non le restava che attendere l’arrivo del ciclo: non si trattava di molto tempo, secondo i suoi calcoli le restava soltanto una settimana e lei era
sempre stata piuttosto precisa, considerando che i problemi di peso e lo stile di vita non giocavano a favore della regolarità mestruale.
Quasi si era dimenticata del bizzarro seguito, quell'incursione nel camerino degli artisti: solo a caffè consumato i suoi pensieri si soffermarono su quelle scene. Non riuscì a trattenere un sospiro
amareggiato: in fondo era dispiaciuta per come erano andate le cose con Frizzy e Puff, o come cavolo si chiamavano. Erano entrambi carini ed erano
stati gentili ad aiutarla quando si era sentita male, nonostante fosse per loro
una sconosciuta. Ma quell'Axl Rose, o Rose Axl, quello che era... beh, forse bastava la presenza di un tipo del genere nel loro circuito di amichetti per renderli tutti detestabili. Naz digrignò i denti, in realtà molto più adirata con sé stessa: sapeva di non aver adoperato la tattica migliore, rispondendogli a tono invece di trattarlo con indifferenza. Odiava stare male di fronte a qualcuno, specie a dei perfetti sconosciuti.
Dopo
aver bevuto anche l’ultima goccia di caffè, tornò nella propria camera,
abbassandosi per aprire la finestra. Non era una
bellissima giornata per essere Los Angeles a maggio, anzi, nuvole grigie
coprivano il sole che faceva capolino ogni tanto per scomparire subito. Ciò
però non bastava a fermare l’ondata di caldo che avvolgeva la metropoli come
una cupola. Rinunciò agli anfibi rubati a suo
fratello, infilò piuttosto le scarpe di tela bucate a lato insieme ad un paio di blue jeans a vita altissima che erano stati di sua madre e ad una maglia da uomo
bianca, sulla quale era stato scritto a mano “This
T-shirt is black”. Uscendo dalla soffitta si ritrovò su delle scale di pietra
piuttosto ripide, che la portarono al corridoio del quarto piano della
palazzina. Se anche qualcuno la vide scendere, nessuno si stupì di una
ragazzina che sbucava dalla soffitta: tutti sapevano che i
Kurt vivevano “sopra”.
Arrivò
al garage comune trovando ben poche macchine, riconoscendo subito quella di
Christie, la sua Cadillac scassata: la sua
amica ne andava orgogliosissima perché, sebbene fosse un po’ antica, aveva
strappato ai suoi genitori il permesso di farsi la patente e scorrazzare per la città rischiando di provocare un incidente ogni tre metri. Forse su quel punto Naz avrebbe apprezzato un po' più della severità che contraddistingueva quella famiglia. Estrasse le chiavi lasciate dall'amica, balzando in auto.
Una
volta in strada, si mantenne ad una velocità discreta per non attirare
l’attenzione di poliziotti o simili: era stato suo fratello a insegnarle a guidare, non avrebbero mai avuto i soldi per dei corsi e per la
patente stessa. A suo avviso era anche
inutile. Dopo dieci minuti, fermò la macchina davanti al cancello della Jefferson
High School , un largo edificio dalle aiuole verdi con la bandiera degli Stati Uniti che sventolava a rifornire di carica i piccoli patrioti. Ancora una volta, si
trovò ad aspettare senza aver la minima idea dell’ora, ignorando il tempo passando da una stazione radio all'altra e cercando per la macchina dei residui di tabacco o sigarette. Alla radio passavano una delle ultime di Springsteen, Glory Days. Non essendo però una persona paziente, persino con la compagnia di The Boss ben
presto si fece prendere da un leggero nervosismo.
Quando
il rumore della campanella giunse alle sue orecchie, fu una specie di
liberazione: Naz si sporse dalla macchina, gli occhi puntati sull’entrata della
scuola nella speranza di trovare Christie, o qualche altra persona familiare. Non che fosse piena di amici o le interessasse coltivare i rapporti sociali, era solo un tipo perennemente nervosetto.
-
Ehilà! – La salutò l’amica appena uscita dal cancello, la borsa a tracolla che
sembrava essere sul punto di esplodere per il contenuto. Aveva smesso i panni da regina della notte per adottare il suo travestimento diurno, gonna a balze al ginocchio fucsia e giacca blu da scolaretta. Niente trucco sul viso caratterizzato da una perenne resting bitch face. Era seguita da due
loro compagni di spagnolo, una bella ragazza di colore di nome Ebony, con i capelli orgogliosamente afro, ossessionata da Chaka Khan; e da un
ragazzo dall’aria stanca, Justin, i capelli scuri e il viso da sprovveduto a causa dell'assenza di barba. Naz salutò tutti con un cenno della mano sbrigativo,
spostandosi sul sedile anteriore del passeggero.
-
Beh, Chris ci ha raccontato che stanotte hai fatto la zozza, piccola Kurt. – Fu Ebony a parlare per prima, seduta sui sedili posteriori con
Justin, mentre Christie metteva in moto la macchina. Mentre ascoltava svogliata
le parole dell’amica, Naz pensò che doveva essere
mercoledì, l’unico giorno in cui gli studenti non si intrattenevano a scuola
per le lezioni pomeridiane. La sbronza di ieri sera era riuscita a farle perdere persino il senso dei giorni e delle stagioni.
-
Ah Christine ha raccontato questo? – Sbottò in risposta la ragazza, fulminando con la sguardo la migliore amica che sembrò non accorgersi di nulla, un sorriso beato sul faccino. – Beh, per il vostro intrattenimento, credo di essere nella merda fino al collo.
– Dopo aver detto ciò, scambiò un’occhiata eloquente con Christie, che guardava tutto
fuorché la strada, mentre si dirigevano verso il loro thailandese preferito immersi nel traffico spietato.
-
Che ti è successo, stavolta? – Chiese Justin con la sua solita voce apatica, intanto ad osservare la cortina di smog generata dalle macchine. Non era certo la prima
volta che Naz Kurt si ficcava nei guai, soprattutto dopo una bevuta. E
sicuramente Christie non aveva mancato di riferire gli incontri dell’amica e il
suo status una volta uscite dal camerino degli artisti, specie perché quella storia includeva anche il rimorchio della scimmia bionda con cui aveva pomiciato tutta la sera. Ciò che però non sapeva
ancora nessuno erano le sue preoccupazioni riguardo ciò che
non riusciva a ricordare e i sudori freddi di quella mattinata passata a rimuginarci sopra.
-
Pensi di essere incinta? Di uno sconosciuto? Pensi di essere incinta? – Ebony nemmeno s'accorse di ripetersi quando
si fermarono ad un incrocio sulla strada per Silver Lake,
dopo che la ragazza ebbe rivelato agli amici i suoi timori. Justin socchiuse gli occhi a causa del livello di decibel raggiunto dalla voce della compagna. Il fatto che in sottofondo, dall'autoradio, arrivasse Girls just want to have fun di Cyndi Lauper non fece altro che rendere grottesca la situazione.
-
Per favore, parla più forte che a Venice Beach non ti ha sentito nessuno. – Commentò sarcastica Naz, distogliendo lo sguardo da due uomini di mezza età che si voltarono divertiti. Fortunatamente non appena
il semaforo si fece verde, Christie partì i quarta. –
Non lo so, se solo mi ricordassi qualcosa… Invece non mi viene in mente un
fottuto accidente! – Solo quando la sua, di voce, arrivò ad alzarsi di un'ottava, decise di fermarsi a respirare a fondo. Doveva calmarsi. Scostò un paio di ciocche ribelli da davanti agli occhi: li aveva appena tagliati ma continuavano a darle fastidio.
-
Non puoi fare altro che aspettare il ciclo per vedere come stanno le cose. – Sentenziò Christie con un’aria da vecchio saggio che non le si addiceva per
nulla, mentre parcheggiava la macchina davanti al take away dei Bak, il loro favorito. Naz ebbe
l’impulso di dirle che, grazie tante, ci aveva già pensato lei e che comunque
non avrebbe avuto molte altre possibilità, ma preferì chiudere l’argomento, anche perché si rese conto che quell'aggressività derivava tutta dalla consapevolezza che Christie aveva ragione.
Dopo aver ordinato svariate porzioni di spaghetti di soia piccanti, mangiarono in
macchina e passarono il pomeriggio a scorrazzare per Chinatown finché Naz non annunciò di dover recarsi a lavoro nel quartiere di Silver Lake, il cuore della California alternativa.
-
Non puoi prenderti un giorno di malattia? – La implorò come di consueto Ebony,
assumendo la migliore espressione da cucciolo del suo repertorio, ben sapendo di combattere una battaglia persa. Sapeva anche che le sarebbe toccato fare il lavoro di gruppo di geografia da sola, ma portava pazienza conscia del limitato tempo della povera Naz.
-
Me lo detrarrebbero dallo stipendio, Eb. – Rispose meccanicamente Naz, mentre
Christie guidava fino al pub dove lavorava, la Bullshouse: quella scena si ripeteva ogni volta che uscivano tutti insieme e che lei
doveva scappare per lavoro, abbandonandoli. Quei soldi servivano a lei e a Mason per l’affitto: nessuno avrebbe pensato a loro se avessero iniziato a saltare giornate di lavoro. Quella era e sarebbe sempre stata la grande differenza fra lei e i suoi amici.
Salutando con calore i compagni di scuola a cui era riuscita anche a strappare mezza ricerca di chimica - al povero Justin che pur di far terminare quello sfogo di feromoni avrebbe venduto un rene - smontò dalla macchina e si avviò verso l’entrata con le chiavi in mano. La Bullshouse era un'enorme birreria famosa per la presenza di una televisione d'ultima generazione adibita rigorosamente alla visione di football ed NBA, oltre alle birre piuttosto economiche. A lei toccava rassettarlo un'ora prima dell'apertura, sistemando tavoli e sedie, caricando le spine e pulendo il bancone. Un lavoraccio che doveva fare da sola per farsi pagare di
più delle altre bariste e che l’annoiava a morte. Dentro l’aspettava il
proprietario del locale, un enorme armadio vivente dalla testa pelata che tutti
erano soliti chiamare Big Bull. Aveva un caratteraccio, soprattutto con le sue
dipendenti: nei confronti delle poche ragazze che tollerava e a cui parlava in maniera civile, di solito sfoggiava pesanti apprezzamenti sessuali, il che era probabilmente peggio.
-
Beh, sei in ritardo. – Sbottò non appena vide Naz, sovrastandola di diverse spanne. Incrociò gli avambracci gonfi al petto, soffiando proprio come un toro. – Vedi di muoverti, apriamo alla solita ora. - Naz nemmeno gli rispose. Evitava di replicare in queste situazioni, non avrebbe ottenuto nulla di costruttivo. Era perfettamente conscia, inoltre, che Big Bull non poteva lamentarsi di lei, precisa e diligente: quel lavoro le serviva e se lo teneva stretto.
Dopo l'apertura il pub non faticò a riempirsi. Sorgeva in una zona tattica per quel genere di affari: se c'era un quartiere dove spinare birre e promuovere l'alcool a palate, quello era Silver Lake. La
clientela era molto eterogenea: fra le orde di giovanissimi perdigiorno c'erano aspiranti artistoidi, amanti della scena alternative e degni rappresentanti degli Anni '80 più anticonformisti. Si era assentata un attimo
per andare in bagno, mentre altre due ragazze con cui non aveva legato
particolarmente servivano al bancone ma il caos non l'abbandonò nemmeno nell’angusto
bagno del personale. Gente chiassosa era giunta per tracannare alla grande prima di farsi inghiottire dalla giungla di Los Angeles, mentre dalla radio tuonava Superstition di Stevie Wonder. Tornando al bancone, si trovò davanti un’alta
ragazza di nome Estelle che le si parò davanti con un vassoio carico di birre e drink.
-
Porta queste al tavolo tre, io devo servire al bancone. – Le ordinò secca prima
di filare a compiere il suo dovere. Nonostante l'aspetto emaciato, Naz trattenne agilmente il vassoio in equilibrio su una mano. Il resto del personale la trattava con diffidenza: era l'outsider, la scolaretta in mezzo agli adulti che lavoravano sul serio. Come se lei non sfacchinasse. Poco male: non era interessata a farsi nuovi amici.
Il
tavolo tre era uno dei più lontani e dei più nascosti e, con la gente che
vagava per il locale e i soliti buontemponi che si divertivano a formulare apprezzamenti spinti verso qualsiasi cosa si muovesse, la ragazza ebbe il suo bel da fare per raggiungerlo. E forse
sarebbe stato meglio che non ci fosse mai arrivata. Spalancò gli occhi quando vi arrivò davanti, rischiando di far scivolare una delle birre a terra.
-
Ma tu guarda! – Era incredibile la familiarità di quella voce alle sue orecchie, nonostante l'avesse udita solo una volta. Mentre se ne stava impalata con il
vassoio in mano, cinque paia di occhi la fissarono prima sorpresi, poi incredibilmente divertiti. Ecco, non si aspettava un nuovo incontro così presto. In realtà, non si aspettava un nuovo incontro e basta.
- Ehi! – Izzy indossava una camicia ancora più orrenda di quella in cui l'aveva visto la sera prima e non nascondeva la sorpresa, ma non sembrava contrariato. Il sorriso che le rivolse sembrava genuino, dietro la sigaretta accesa. Sedeva alla destra dell'illustrissimo Axl Rose, che con una bandana azzurra in testa sembrava un vecchio pirata. Loro, Steven, Slash e Duff non sembravano diversi da come li aveva lasciati ieri sera, solo più vestiti e meno sudati. “Ditemi che è uno scherzo”. Invece di rispondere al saluto, Naz strinse forte i denti, scrutandoli uno ad uno con gli occhi marrone scuro sospettosa, come se temesse di vederli attaccare. Solo dopo pochi istanti decise di avvicinarsi, con l'aria di chi è inciampata in una pozza di escrementi. o:p>
-
Una media scura.– La voce che le schiuse le labbra sembrava quella di un robot, fredda e meccanica. Attese un cenno, composta: si sarebbe limitata a servire, poi se ne sarebbe
andata e avrebbe chiesto il cambio al bancone, per poi rifugiarsi lì fino a
quando quei cinque se ne sarebbero andati. Era sicuramente egocentrico e folle da parte sua
pensare che si fossero presentati alla Bullshouse soltanto per darle fastidio, cosa molto probabilmente
falsa, tuttavia quelle occhiate inopportune e la serata che avevano appena - purtroppo - condiviso provocarono in lei solo il desiderio di sotterrarsi. Per sua fortuna, quella mattina aveva
deciso di indossare un paio di pantaloni.
-
Mia, angelo. – Sul volto dello spilungone Duff era ben stampato lo stesso sorriso furbo che gli
aveva visto la sera precedente, sul divanetto. Non aveva intenzione di renderle la vita facile e i nervi distesi. Naz gli appoggiò il bicchiere vicino, bene attenta
a non sporgersi un centimetro in più del necessario, anche se a coprire le sue forme androgine stavolta c'era una maglia da uomo.
-
Le due bionde? – Incalzò, soffocando cocciutamente ogni tremito nella voce per riservare solo un tono neutro e un'espressione sprezzante. Nemmeno a sé stessa avrebbe ammesso che si sentiva a disagio davanti a dei maschi, a dei musicisti, a dei tipi qualunque. Non era il caso di fare una scenata a dei clienti per una disavventura: doveva
assolutamente ignorare quelle occhiate. Alzò lo sguardo soltanto per osservare
Axl e l’altro biondo, l’amico di Christie del quale non si ricordava più il nome,
alzare le mani alla sua domanda come dei bravi scolaretti. Si sporse appena verso quest’ultimo per servirlo, per poi
allungarsi leggermente lungo il tavolo e porgere il bicchiere all’altro, sul
quale viso era spuntato un ghigno sardonico.
-
Non ti sei dimenticata le mutande a casa stavolta, eh? – Appoggiare il bicchiere al tavolo con un po' troppa foga non fu un gesto su cui poté esercitare un qualche tipo di controllo. La bevanda al suo
interno ondeggiò pericolosamente, alcune gocce caddero sulla superficie lignea. Poco male, visto che ciò che Naz avrebbe desiderato fare in realtà sarebbe stato rovesciare ogni singola gocciolina di birra sui capelli rossi di Axl Rose.
Invece la ragazza si limitò a mordicchiarsi l'interno del labbro inferiore per impedirsi di rispondere indietro: era proprio quello che tutti stavano
aspettando, un'altra discussione. Prese a setacciare le tasche del grembiule alla ricerca della pezzuola, ma
prima che potesse agire, Axl aveva già pulito il suo piccolo incidente con uno
dei tovaglioli di carta al tavolo. Smaniosa di andarsene, posò gli altri due
bicchieri sul tavolo senza nemmeno chiedere di chi fossero e girò sui tacchi, dirigendosi in fretta
verso il bancone. La mano destra aumentò la presa sul vassoio, scaricando tutta
la rabbia che aveva in corpo mentre sul palmo rimanevano impressi i segni
dell’oggetto. Si sentì arrossire vistosamente, presa
dal nervosismo. Le sue colleghe avrebbero dovuto reputarsi fortunate se non avesse spaccato in testa quell'oggetto a una di loro per sfogarsi.
Senza
dubbio la aspettava una lunga serata.
Di
nuovo ciao a tutte Grazie per i
commenti al primo capitolo, mi hanno fatto molto piacere! Questo sarà
l’angolino dedicato alle risposte ad ognuna di voi.
Tay_:
Amore, grazie per aver commentato J sai che le tue recensioni mi stanno a cuore, anche se me le
scrivi già per msn! Mi fa davvero piacere che la fic ti piaccia, soprattutto dopo i discorsi che abbiamo
fatto ieri! xD ti ho già
spiattellato tutto!
Killing_Loneliness: grazie anche a te per aver recensito J mi fa piacere leggere un commento così
dettagliato! Si, bisogna ammettere che Naz è stata
piuttosto fortunata, anche se è un’ingrata xD è un
personaggio che deriva dalla fusione di altri due, perciò è piuttosto
caratteristico, e sono contenta che ti piaccia! Il nome è straniero, per essere
precisi è turco, ma la storia della ragazza si scoprirà andando avanti con i
capitoli! Grazie per il consiglio, ho cercato di seguirlo il meglio possibile e
spero che adesso sia tutto a posto! ^^
LovelyLu: grazie per la recensione e per i complimenti J si Axl è molto stronzo, ma c’è un perché (e
poi credo che Naz lo sia un po’ di più, guarda come ha ringraziato i ragazzi
per il loro aiuto xD). Spero di aver descritto bene i
personaggi come dici tu, sono molto critica da quel punto di vista :P
Lau_82:
No, Naz non si impressiona tanto facilmente J ringrazio anche te per aver lasciato
un commento a questa povera ragazza, e ovviamente mi fa piacere che sia
positivo! Spero continuerai a seguirmi ^^
Questo
capitolo aveva lo scopo di far conoscere meglio la protagonista, il suo stile
di vita e di gettare le basi per parlare della sua famiglia, della quale però
si parlerà meglio nei prossimi capitoli… Ora mi cucio la bocca! xD Ho notato che le immagini nel
precedente capitolo non sono comparse, per cui scrivo i link qua di seguito. Ho
cercato le foto che rispecchino maggiormente il carattere delle ragazze!
Naz:
http://www.hollywood-celebrity-pictures.com/Celebrities/Alizee/Alizee-13.JPG
http://www.gii.in/hollywood/images/A/Alizee-Jacotey.jpg
Christie:
http://www.starfetch.com/keywords/Kristin_Kreuk/Kristin_Kreuk_14.jpg
http://medias.ados.fr/people/2/0/2044/Kristin-Kreuk/photos/12036-kristin-kreuk.jpg
See
you soon, folks! ;)