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Autore: Ekathle    07/07/2010    0 recensioni
Mescola un pò di avventura e amore. E se Aragorn e Arwen si fossero incontrati in una situazione molto diversa? La mia prma fanfic, il primo capitolo è un pò di introduzione per cui la prima parte è ripresa dal libro. Recensite!!!
Genere: Generale, Romantico, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aragorn, Arwen, Gandalf, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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La luce nell’Ombra

 

Capitolo 1

 

Il rumore del teschio che cadeva giù nello stretto pozzo di pietra risuonò per tutte le cavità buie di Moria e dentro le orecchie il cuore stesso di Pipino così forte che egli credette che fosse arrivata la fine del mondo. Non fece neppure in tempo ad accasciarsi a terra, stordito dalla paura, che fu nuovamente sollevato in piedi da Gandalf;  anche se il buio celava l’espressione del mago, il giovane Hobbit sapeva per certo che non era benevola.
“Idiota di un Tuc! – sibilò Gandalf, attento, pur nella rabbia, a non far rumore- La prossima volta gettati tu in quel pozzo; almeno ci libererai della tua stupidità!”
L’Hobbit non rispose, ma si limitò ad abbassare il capo, contento che la semioscurità nascondesse le lacrime di vergogna che gli cadevano sulle gote. Ancor più degli stupidi, Gandalf detestava i piagnoni, sempre pronti a lacrimare sul latte versato e mai a rimediare al danno.
Per tutto il resto della giornata Pipino se ne stette zitto, in fondo alla fila, ignorando i tentativi di conforto di suo cugino Merry; non c’era nessuna scusante per ciò che aveva commesso, e doveva ringraziare la fortuna se non erano ancora stati scoperti. Tenne le orecchie tese, a cogliere qualsiasi segno di movimenti di armi, ma tutto rimase mortalmente silenzioso.
La compagnia avanzava lentamente lungo i cunicoli bui delle miniere, un tempo così gloriose e splendenti. Della ricchezza dei Nani erano rimaste solo rovine, cumuli di macerie, asce arrugginite e scudi sfasciati. Ogni tanto, il silenzio era rotto da un suono strano, che tutti facevano finta di non sentire, ben sapendo invece chi ne fosse l’autore. Man mano che proseguivano, i ricordi di Gimli il nano divenivano più nitidi, ed egli si sentiva straziare il cuore al ricordo dell’antico potere del suo popolo.
Ad un certo punto, un’esclamazione di gioia fece arrestare la compagnia. Gimli era scattato avanti, verso un raggio di luce che inaspettatamente filtrava da un portone socchiuso poco distante. Con un cigolio, la porta venne aperta e per la prima volta dopo tanti giorni al buio come talpe, i Nove poterono mirare una seppur debole luce del sole, che li fece socchiudere gli occhi da quanto erano ormai disabituati.
La luce veniva da uno spiraglio posto subito sotto il soffitto della grande sala in cui erano entrati, che superava per magnificenza tutte le altre che avevano fino a quel momento attraversato. Sul pavimento vi erano ancora, dentro grossi sacchi di tela grezza, dei mucchi di oro: monete pesanti, impolverate, antiche, risalenti a molto tempo prima. Sulle pareti, alcuni arazzi resistevano ancora, scoloriti e sbiaditi dal tempo, ma intatti. Al centro della sala c’era una monumentale costruzione in pietra, alta quasi come l’intera stanza, che pipino riconobbe come una tomba, e su di essa era posato un libro.
Gimli si avvicinò correndo alla tomba, si mise in ginocchio e cominciò a togliere con la mano le ragnatele e la polvere che coprivano le iscrizioni: non appena la superficie di marmo fu pulita e fu visibile la scritta BALIN FIGLIO DI FUNDIN, l’espressione di Gimli si tramutò in pianto, e il nano si lasciò andare a forti singhiozzi, che risuonarono nella stanza come in una cassa armonica. Gandalf fece per dire qualcosa, ma lo sguardo di Aragorn lo bloccò: del resto, avevano già fatto rumore, e molto più forte di quello. Il mago prese allora in mano il vecchio libro e lesse ciò che vi era scritto
“Racconta l’ultima difesa del popolo di Moria” sospirò volgendosi alla compagnia. “L’ultima battaglia, che si svolse proprio qui, sulla tomba del loro signore Balin. Non dev’essere stata una bella fine. Ascoltate: Abbiamo sbarrato i cancelli e poi Possiamo resistere a lungo, poi le parole sono cancellate e non si riesce a leggere, qui forse è scritto Orribile e Soffrire. Le ultime parole che riesco a discernere sono Non possiamo uscire. Hanno preso il Ponte e il secondo salone. Non possiamo uscire. Tamburi, tamburi negli abissi. Chissà cosa significa. Le ultime parole scarabocchiate sono Stanno arrivando”.
Gandalf posò il libro e spaziò con lo sguardo la vasta sala. In effetti, oltre al massiccio portone d’entrata, non si vedevano altre uscite. Aragorn tastò un muro per tutta la sua lunghezza alla ricerca di un possibile passaggio che fosse loro sfuggito, ma subito si interruppe e fece cenno ai suoi compagni di non muoversi.
Il silenzio era totale. Per un attimo Aragorn pensò, o meglio si augurò, di essersi sbagliato, ma non era così. Un rullo di tamburi, prima quasi impercettibile, poi via via sempre più forte e marcato, salì dalle nere fondamenta della miniera fino alla stanza dove si trovava la Compagnia. Un attimo dopo, ad esso si aggiunse uno scalpiccio di piedi e il suono di voci, non umane, ma simili a acuti stridii di rapaci, che si avvicinavano rapidamente.
“Stanno arrivando!” gridò Gandalf e chiuse di scatto il portone, aiutato da Aragorn e Boromir. Legolas aveva già imbracciato l’arco e aspettava, vigile, con una freccia pronta. I quattro Hobbit si erano radunati attorno alla tomba di Balin, accanto a Gimli che giaceva ancora inginocchiato.
Attesero così per un tempo che parve lunghissimo, immobili eppur pronti a reagire al minimo movimento. Un suono di corni echeggiò per tutta Moria, e il rumore di piedi si fece più vicino e frettoloso.
“Siamo intrappolati! Non possiamo più uscire, proprio come loro molto tempo fa!” gridò Gandalf.
“Aiutateci a tenere chiusa la porta!” urlò Aragorn a Gimli e agli Hobbit, ma mentre diceva ciò essa cedette di colpo, uscendo dai cardini e cadendo a terra. Con urla stridule, gli orchetti entrarono nella sala.
La difesa non si fece trovare impreparata: le frecce degli orchetti si frantumarono inoffensive contro il muro, e i tiratori furono falcidiati con violenza. Poco dopo, il pavimento della sala era ingombro di piccoli cadaveri ripugnanti, mentre la Compagnia, spaventata più che sollevata dalla facilità della prima vittoria, e consapevole che quegli orchetti non costituivano altro che un piccolo drappello di esploratori, si era raggruppata al centro della sala, con le armi in pugno.
“State tutti bene?” domandò Gandalf. Un cenno d’assenso percorse il piccolo gruppo; e difatti, le ferite riportate erano costituite esclusivamente da un taglio su una guancia di Pipino, il quale peraltro sentiva di meritarsi molto di più. I Nove si erano appena ripresi un po’, quando la soglia fu oscurata da una creatura gigantesca, alta più di 3 metri, con la pelle orribilmente butterata, che emanava un olezzo nauseabondo. Il mostro emise un ruggito e fuori tutto tacque. Per un momento esso restò fermo, come indeciso sul da farsi, e poi vibrò un colpo terribile con la rozza lancia che teneva in mano.
La punta colpì Frodo in pieno fianco, e l’Hobbit cadde a terra urlando. Subito Aragorn, Boromir e il piccolo Sam si posero tra lui e il troll, e cominciarono a colpirlo ripetutamente con la spada. Gandalf nel frattempo aveva estratto anch’egli la sua spada Glamdring e, illuminando con il bastone il resto della sala, si era lanciato all’attacco. Accerchiato su più fronti, potendo contare solo sulla sua superiorità fisica, circondato da uomini esperti di combattimenti e resi audaci dalla disperazione, il troll prese, probabilmente l’unica volta in vita sua, una saggia decisione: si trasse indietro e Boromir, scaraventatosi contro la porta, riuscì a chiuderla.
“Fuggiamo, presto,prima che ritorni il Troll!” gridò Gandalf  dirigendosi verso la porta, ormai pronto ad affrontare ogni genere di mostri piuttosto che fare la fine del topo.
Il mago aveva già messo la testa nel corridoio, per controllare che nessun orchetto fosse già arrivato (poiché, dal rumore di passi, molti di loro si stavano muovendo), quando all’improvviso uno degli arazzi della parete sud cadde a terra, e una porta nascosta dietro di esso si aprì.
“Presto, per di qua!” sussurrò una voce dal buio e una mano bianca fece capolino dalla soglia, facendo loro cenno di seguirla. Gli Hobbit si lanciarono di corsa verso quella inaspettata salvezza, ma Aragorn li bloccò di colpo e puntò la spada verso quella figura ignota, seguito da Legolas che tese il suo arco, ma non tirò. Boromir, per una volta, fu d’accordo con Aragorn. “ Uccidilo! E’ un orco, o chissà quale altra diavoleria!”. Gandalf lo fermò e gli fece segno di attendere. Dal corridoio si sentivano provenire voci stridule sempre più forti, e tra esse ne spiccava una decisamente umana, che dava ordini tra la calca generale.  Era chiaro che tra non molto avrebbero dovuto affrontare un nuovo attacco. Frattanto, la mano non si era mossa; nella poca luce della stanza, Aragorn vide che era una mano piccola e umana.
“Forza, usciamo da qui finchè siamo in tempo!” gridò all’improvviso Gandalf, e sospinse la Compagnia verso la misteriosa porticina. Boromir aprì la bocca per protestare, ma la richiuse subito non appena il ruggito del troll echeggiò nuovamente nel corridoio.”
“Era ora!” disse la voce, e cominciò a scendere lungo la scala di pietra. Gandalf passò per primo, e fece luce al resto dei suoi compagni. Tutti si sporsero in avanti per osservare il volto del loro misterioso quanto insperato salvatore, ma la scala, che si avvolgeva in una spirale molto stretta, lo nascose alla loro vista. Di lui si sentivano solo i passi, incredibilmente leggeri, e la voce, che impartiva loro le istruzioni. Nessuno si sentiva tranquillo, ma del resto, quella era la loro unica alternativa: altrimenti, ciò che li aspettava sarebbe stata indubbiamente la morte. La scala si rivelò interminabile. Ad un certo punto il bastone di Gandalf illuminò una stanza piccola e spoglia, sulla cui parete vi erano due aperture: dalla più stretta, poco più di un cunicolo, la voce si fece sentire “Di qua, svelti!”
Quel buco aveva un’aria decisamente poco invitante, per non menzionare il fatto che il rumore di tamburi e di piedi si era fatto molto più intenso: la sensazione comune era che si stessero dirigendo dritti nella bocca del drago, o degli orchetti in questo caso. Aragorn si fece interprete del desiderio di tutti: balzò in avanti, afferrò la mano bianca che sporgeva dalla porta e tirò a sé la figura, puntandole contro la spada con l’altra mano.
“Chi sei? Fatti vedere!” e le strappò via il cappuccio.


  
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