Capitolo 6, Incontri.
In fondo tutte le cose e tutti gli uomini sono sempre, gli uni rispetto agli altri, chiunque essi siano, degli sconosciuti, inesorabilmente, e tutte le nostre strade si incrociano sempre per pochi passi e istanti, conquistando la fugace parvenza della comunione, della vicinanza e dell’amicizia.
Ma a volte in quei pochi istanti, qualcuno ha avuto il tempo di deriderti, e, come a prendersi gioco di te, ha intrecciato un filo, tra te e una persona incontrata per caso. E scopri che questo filo c’era già. Ma non sei mai riuscito a vederlo. Perché era appena sotto la superficie.
Ti va di scavare insieme?
Non ricordava quasi, quanto potesse essere piccolo e freddo il plettro, e quanto rigide ma flessibili le corde sotto le dita. Era una chitarra elettrica molto bella, la sua, l’aveva acquistata dopo l’incidente e gliela avevano fatta fare identica a quella precedente, e forse era proprio quello a bloccarlo. C’era una stupenda volpe rosso fuoco con nove code disegnata sopra. Kyuubi, il suo demone protettore. Era da lì che veniva il suo pseudonimo. La leggenda del demone volpe lo aveva sempre affascinato.
Prese coraggio e carezzò il profilo della volpe poi prese bene la chitarra, stando seduto sul letto, e poggiò il plettro sulle corde.
Provò tibutante qualche nota, scoprendola perfettamente accordata. Ringraziando mentalmente Suigetsu provò a suonare un pezzo che ricordava a memoria.
Chiuse gli occhi assaporando la sensazione che, una volta, tanto amava.
Suonò un pezzo semplice, uno di quelli con cui si impara, poi senza accorgersene la canzone divenne un loro pezzo, di cui Sai aveva composto la musica, e lui stesso le parole.
Mentre suonava però gli vennero in mente dei suoni in più, la parte ritmica, per l’esattezza.
Due colpi sul piatto, e le bacchette di Juugo tornarono alla sua memoria…
Improvvisamente, come scottato allontanò la chitarra da se, facendola finire pericolosamente al bordo del letto.
Si mise le mani tra i capelli, in preda a un attacco d’ansia, quasi come a volerseli strappare.
- Non ci riesco, maledizione! – non aveva mai più avuto il coraggio di provarci, ma sperava che dopo due anni, ora che finalmente aveva un motivo importante per farlo, ed era riuscito a sfiorarla, non ci fosse più il blocco psicologico che c’era prima. E invece si era sbagliato… il fantasma di Juugo e il senso di colpa per Sai lo tormentavano. Calde lacrime iniziarono a bagnargli il volto, scendendo velocemente sulle guance, oltrepassare il mento e cadere nel vuoto. Si accucciò sul letto e iniziò a singhiozzare.
Mezzora più tardi Suigetsu rientrò nella camera e capì con uno sguardo ciò che era accaduto in quella stanza. E Naruto era ancora accucciato sul letto, abbracciando le ginocchia e dondolando leggermente avanti e indietro.
- Naruto… hai… hai provato a suonare?
Il silenzio che seguì, lo interpretò come una risposta affermativa.
- E… ci sei riuscito?
Naruto alzò il volto rigato di lacrime su di lui. – Suigetsu… tu puoi… Sui… - deglutì - Torna a suonare Suigetsu.
L’altro sgranò gli occhi rimanendo visibilmente sorpreso dalle parole dell’altro. Si avvicinò, sedendosi anche lui sul letto. – Vuol dire che… ce l’hai fatta?
Il biondo scosse la testa, in segno di diniego, iniziando a singhiozzare più forte. – NO, ma… ma non è giusto… tu… tu potresti unirti a qualche band, oppure anche… solo… suonare qualche album tributo a qualche band scoppiata come noi… non saresti costretto ad andartene e…
- Sta… zitto… - sibilò l’Hozuki scotendo la testa arrabbiato, facendo tacere immediatamente i lamenti dell’Uzumaki. – Se sono rimasto è perché io credevo veramente nei Red Seduction! – alzò la voce - Credevo in Juugo, ma lui è morto! Credevo in Sai ed è in coma! E credevo in te, dannazione!… Capisci che lotterò per avere ancora i Red Seduction con me? – si alzò sovrastando il biondo che lo guardava stranito. Si morse il labbro come per calmarsi. - E i Red Seduction, ora, siamo solo io e te. Non importa se cambieremo nome, se saremo un duo, un trio, una band famosa o suoneremo sotto i ponti. Non importa nemmeno se non suoneremo mai più. Ma se crolli anche tu, allora sul serio, tra queste mie mani, cosa resta?
Gli occhi azzurri di Naruto rimasero sbarrati a fissare la figura di Suigetsu che si rialzava e si allontanava, andando in bagno. Rimase a fissare il punto in cui prima c’era l’amico, incapace di reagire. Non si accorse che l’altro era rientrato in camera e lo osservava, standosene in piedi, appoggiato al muro, finché Suigetsu non parlò di nuovo. – Non lo faccio solo per te, sono egoista. E non ho il talento che tutti credono. Non so comporre, e non so cantare. So suonare solo passaggi relativamente semplici. Per questo la musica di Sai mi andava bene. La batteria di Juugo copriva i miei difetti. E la tua voce catalizzava l’attenzione. Con un altro gruppo farei schifo. E so fare il coro sotto la tua voce perché la mia è roca e valorizza la tua profondità. E la tua chitarra era semplicemente sublime. Il mio basso moriva d’invidia ogni volta che solo sfioravi quelle corde. So che l’incidente è stato un brutto colpo per te, che avevi già perso i genitori in circostanze simili ma… - fece una pausa avvicinandosi fino a trovarsi davanti al letto, dove Naruto ancora con lo sguardo assente lo stava, almeno sperava, ascoltando. – ma sono passati due anni. Devi lottare. Non ti ho mai messo fretta. Francamente non mi interessa se Orochimaru ci butta in mezzo a una strada. Ma hai preso la chitarra, l’hai sfiorata! Stai vincendo, Naruto. Lentamente, certo, ma stai vincendo. Non arrenderti ora… - ansimò, come se quelle parole, uscite tutte insieme, gli avessero portato via tutto il fiato che aveva in corpo. – ora vado a farmi una doccia…
Naruto annuì distrattamente e Suigetsu lo lasciò solo, chiudendosi in bagno.
Si voltò, osservando la sua chitarra. La volpe, ghignante, sembrava volersi prendere gioco di lui.
- Vincendo? – sussurrò guardandosi una mano tremante. – Suigetsu qual è il tuo concetto di vincere? Perché io… mi sento sempre più male…
Guardò per l’ennesima volta il cellulare. Nessuna chiamata, nessun messaggio.
- Sei sicuro di aver scritto bene il numero, Sas’ke?
Erano a casa di Kiba, nel garage, per la precisione, dove la macchina di Tsume, la madre di Kiba, era stata sfrattata per lasciar posto ai loro strumenti.
- Non sono un idiota, Kiba, so scrivere il mio numero. – rispose Sasuke, togliendosi la sigaretta, ormai finita, di bocca.
Kiba mise il broncio, e si rialzò da terra, dove erano seduti, e si diresse alla batteria. Ne sfiorò le varie parti prima di prendere in mano le bacchette e iniziare a suonare un piccolo passaggio per distrarsi.
Si fermò solo, quando il cellulare di Sasuke squillò.
- Pronto? Kakashi… hn… …mmh… ok… mh? Si… d’accordo… va bene.
“Accidenti a Sasuke e la sua mania di rispondere a monosillabi, a quest’ora avrei capito anche io se solo parlasse un po’ di più”
- Era Kakashi.
- Questo l’avevo capito. – ironizzò Kiba - E ho capito anche “mmh, nh, ok, ahah” e mugolii vari. Ora vorrei sapere cosa ti ha detto!
Sasuke si alzò – Un suo amico gli ha presentato un bassista, Kakashi non l’ha ancora ascoltato. Domani vedremo se è capace.
Kiba sorrise. – Bene! Allora ce le facciamo due birre? – chiese poi, sempre col sorriso stampato sulla faccia.
- Io vado a casa. – disse invece Sasuke, ignorandolo bellamente.
- Ma come? Nemmeno una birretta insieme al tuo caro amico Kiba? Daaaaai fammi contento!
Sasuke si voltò guardando male l’Inuzuka. – Noi non siamo amici. – ed uscì, lasciando l’altro a fissare il vuoto.
Si accese una sigaretta, tre minuti dopo essere uscito da casa di Kiba, ed aver fatto un pezzo di strada a piedi.
Fu davanti a un bar, che si fermò, guardando il volantino che lui stesso aveva attaccato due giorni prima, venire scarabocchiato da dei ragazzini idioti. Sbuffò. Tanto se, come diceva sempre Neji, se il destino vuole farti suonare, suonerai. Dentro di sé sperò di non finire a suonare i campanelli delle case per vendere biscotti porta a porta. Che poi, chissà perché gli era venuta questa immagine in mente? Lui odiava i biscotti. L’ultima volta che ne aveva mangiato uno li aveva fatti suo fratello ed erano venuti tutti bruciacchiati… suo fratello…
La vibrazione del cellulare lo scosse, era un messaggio dell’idiota che aveva osato definirsi un suo caro amico.
“Ehy! Bastardo che non sei altro! Domani pranzo a casa tua, viene anche Neji, e porta la gnocchetta della cugi! Dopo Hana fa storie se ci provo. Invece te vivi solo! Guarda che sei vuoi suonare col sottoscritto devi essere più educato chiaro principino? Bene Saskestardo, a domani!”
- Saske-cosa? – strinse convulsamente il telefono. – Non lo uccido solo perché a fatica trovo un chitarrista, figurati cercarmi anche un batterista! Casa mia? Uff… devo fare la spesa…
Non c’erano molte persone al supermercato, fortunatamente. Quindi Sasuke contava di fare in fretta. Adocchiò dei pomodori belli maturi, rossi e profumati, e li stava mettendo in una busta, quando una donna non lo urtò, facendoglieli cadere tutti.
- O mi scusi signo…re…
- Non si preoccupi. – disse mentre si chinava a raccoglierli. Quando si tirò su la donna era ancora lì che lo fissava stralunata.
Normalmente si sarebbe disinteressato a certe cose, ma quella li aveva uno sguardo preoccupante.
- Si sente bene?
La signora si riscosse. – Oh, si, mi scusi. Sai dove posso trovare i cavoli?
Sasuke la guardò, lo sguardo della donna era diventato dal quasi terrorizzato, all’interessato e adesso era normalissimo.
“Tsk, donne…”
- Shizune, hai fatto?
- Si Yamato, arrivo! – si fermò un attimo, prima di raggiungere l’altro. – Scusa, ragazzo?
Sasuke si stava allontanando dal reparto frutta e verdura. – Nh?
- Posso sapere il tuo nome?
- Perché?
- Oh niente niente, è che assomigli moltissimo a una persona e…
Sasuke sbarrò gli occhi. – Sasuke…
- Shizune andiamo! – Yamato la richiamò, con uno sguardo serio.
Shizune lo fulminò con lo sguardo. Yamato era il migliore amico di Genma, e, a differenza di lei, sapeva la storia di Shu, e la aiutava a mantenerlo, nonostante si trovasse spesso fuori città. Ma quando la accompagnava a fare la spesa, le faceva comprare sempre noci e frutta secca… e poi diceva a lei di sbrigarsi! Con che coraggio.
- Arrivo, arrivo. Arrivederci! – e venne letteralmente trascinata via dall’uomo.
Sasuke sospirò.
“Accidenti ogni volta che la gente mi ferma perché assomiglio a qualcuno che conosce spero sempre di trovarlo, che stupido…”
E dimenticando l’accaduto, mise nel carrello i pomodori, comprò qualche birra, e andò alla cassa.
- Karin… - non aveva ancora capito perché mai avesse chiamato proprio lei, ma quando era uscito dal bagno, ed era tornato in camera, asciugandosi i capelli, e aveva trovato Naruto addormentato, con le guance bagnate, era tornato nella sua stanza, che era comunicante a quella di Naruto, attraverso il bagno in comune. Rimasto solo, gli era venuta una voglia matta di prendere a testate il muro. E questa voglia gli aveva fatto prendere il telefono e digitare il suo numero.
- Ah, sei tu. scorfano dall’odore di pesce morto! Cosa vuoi?
Non lo sapeva nemmeno lui perché diavolo l’avesse chiamata. Sospirò frustrato, mentre era sdraiato sul letto a fissare il soffitto, con solo i pantaloni di una tuta addosso, e i capelli ancora umidi.
- Allora? Mi hai chiamata per rimanere in silenzio?
- Hai ragione, scusa… ora metto giù… non so nemmeno perché ti ho chiamato… - e stava davvero per attaccare ma sentì Karin urlare qualcosa dall’altra parte.
- SUIGETSU!
- Mh?
- C’è… qualcosa che non va?
Suigetsu, chiuse gli occhi. “Si. C’è da troppo tempo, qualcosa che non va. Datemi una gomma da cancellare, che voglio far sparire tutti i problemi una volta per tutte” pensò, ma non lo disse.
- No, dovrebbe?
- Sei strano, sei ubriaco?
- No… sono normalissimo.
- Non mi hai nemmeno insultata, e questo tu lo chiami normale? – la voce isterica di Karin rimbombava nei timpani, dolorosamente. Gli venne da sorridere.
- Vuoi che ti insulti, Karin?
- Sempre meglio che farmi sprecare tempo al telefono senza dirmi niente, no? – era davvero davvero una…
- Sei un’arpia isterica, perché diamine devi sempre urlare?
- E tu allora, che telefoni senza motivo? Sei un tonno andato a male!
- Tonno a chi razza di strega pettinata col frullatore!
- Suigetsu se vengo li ti ammazzo!
- Uuuuu che paura, dai che ti aspetto!
- Ma io ti faccio a fette e poi ti metto nelle vaschette sotto sale!
- E che so io, un tonno?
- No, un’alice! Cretino! Guarda quanto tempo mi hai fatto perdere, e sto pure a darti retta! Tsk. – e gli attaccò in faccia.
Suigetsu fissò il cellulare. E si mise a ridere. Da solo. Ora sapeva perché l’aveva chiamata. Karin era il suo muro da prendere a testate. Il suo umore era di nuovo a livelli passabili per affrontare il resto della giornata… gettò un occhiata alla finestra dove il sole stava via via calando, e in mezzora sarebbe tramontato. Pardon. “Il resto della serata.”
Karin si avvicinò a Kankuro che l’aveva chiamata.
- Karin, senti, la sala prove numero cinque, è libera.
Il suo lavoro nella OtoSound, oltre che ex manager dei Red Seduction, e una dei talent scout della major, spesso prevedeva anche lavoretti da assistente, o segretaria, o similia, un po’ per arrotondare lo stipendio, un po’ perché Orochimaru si fidava di lei, e la metteva a sostituire i dipendenti in ferie o in malattia.
- Vado a controllare, ma perché non provate nella sala nove?
- Fuga da Gai. – disse Kankuro ridendo. – vuole convincerci SUL SERIO a metterci quelle tutine orrende. E provando sempre nello stesso posto finisce che assiste alle prove e ci fa il discorsetto…
Karin sorrise, mettendosi a posto gli occhiali, e nascondendo un ghigno quando alla sua mente si affacciarono le immagini di Gaara, Kankuro, Tayuya e Temari sul palco, con tutine verdi, a danzare guidati da Gai e il suo fido assistente Rock Lee.
- Ok allora vado a vedere. In caso spostiamo gli strumenti, ma la batteria dovrebbe esserci, a meno che Orochimaru-sama non l’abbia fatta spostare. – fece pensierosa.
Una volta sul corridoio, ripensò alla strana telefonata dell’Hozuki. “Sembra che mi abbia usata per sfogarsi quel beota, eh ma gliela farò pagare, poco ma sicuro!” pensò, sogghignante “Però… sembrava triste, sarà successo qualcosa?”
- Signorina Karin! Signorina Karin!
- Uh, Shiho? – Shiho, la segretaria, addetta alle telefonate e alle prenotazioni delle sale prove da affittare a gruppi esterni, e a tutte quelle rotture burocratiche che si risolvono stando al telefono e aggiornando i registri che Kabuto le assegnava, invece di lavorare le stava correndo incontro.
- Shiho, non le fa bene correre così. – disse notando che la segretaria, che soffriva di una leggere asma, stentava a regolarizzare il respiro. Dopo pochi attimi, Shiho si riprese.
- Allora, mi cercavi?
L’altra annuì. – Ha… ha telefonato l’ospedale. Cercavano Orochimaru-sama ma, ho preso la comunicazione.
- L’ospedale? – Karin si fece seria e ansiosa. Quella telefonata poteva cambiare il futuro di molte persone…
Gli esseri umani amano vantarsi di avere quei cosiddetti presentimenti. Ma quando questi servono, non ci sono mai. Incontrare anche soltanto una donna per la strada potrebbe cambiarti la vita, ma tu prosegui per la tua strada, incurante di aver perso la possibilità di dare una svolta decisiva alla tua vita.
Coincidenze, sono coincidenze. Eppure sembra che si divertano a prendermi in giro. Queste maledette.
A saper le cose, poi, vien voglia di ammazzarsi.
Hai mai avuto la netta sensazione che qualcosa ti stia fuggendo dalle mani?
“In fondo tutte le cose e tutti gli uomini sono sempre, gli uni rispetto agli altri, chiunque essi siano, degli sconosciuti, inesorabilmente, e tutte le nostre strade si incrociano sempre per pochi passi e istanti, conquistando la fugace parvenza della comunione, della vicinanza e dell’amicizia.” Altra citazione, questa volta di Herman Hesse. ^_^
And Now… RECENSIONI TIME!
vi
adoro!
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