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Autore: nous    07/07/2010    1 recensioni
Arancio è il colore dell'ipocrisa. Gli eroi sono caduti: il presente è diverso dal futuro che si erano immaginati. La prepotente verità di Konoha nasconde la verità di Naruto. Sasuke non sa più qual'è la verità. Basta sapere che Madara è morto e che si festeggia un eroe fasullo. C'è chi ha aperto gli occhi. Chi vive di sogni. Konoha ignora tutto e continua a vivere.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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ARANCIO III

 

 

III.

 

 

Anche l’acqua era sua nemica. Lo leggeva in quelle lievi increspature. Quel rigagnolo si stava prendendo gioco di lui. Lo stava deridendo. Lo stava uccidendo con l’illusione della pace. Tutta l’acqua nel suo corpo era complice del fiume. Si sentiva affogare. D’istinto, i palmi e le ginocchia indietreggiarono di poco, il necessario per non far leggere al suo nemico informe il terrore sul suo volto.

Tachicardia. La stessa che sentiva dopo anni d’allenamenti. La stessa che sentiva dopo ogni scontro. La stessa che sentiva emergere quando pensava alla sua morte. L’Uchiha  presagiva che il suo cuore sarebbe arrivato al limite, presto. Sarebbe scoppiato. Avvertiva la pressione che il muscolo stava esercitando sul suo sterno. Gli sarebbe esploso nel torace fracassandogli tutto. Le costole si sarebbero sbriciolate e i polmoni sarebbero diventati una poltiglia grigiastra. Oppure, una volta che la pressione dell’esplosione li avrebbe svuotati di tutta l’aria che contenevano, avrebbero risucchiato tutto il sangue, che da lì a poco gli avrebbe riempito il corpo. Si sarebbe gonfiato di sangue. Sarebbe morto affogato nel suo stesso sangue. Forse, negli spasmi della morte, avrebbe vomitato tutta quella inconsistente gelatina rossiccia che una volta era stata parte del suo corpo. Forse si sarebbe liberato di tutta quella fastidiosa roba rossa. Sarebbe morto leggero.

Aspettava il sapore di ferro salire dalle viscere lungo la gola. La bocca era secca. Il naso aveva smesso di funzionare. L’aria non arrivava ai polmoni. Il suo battito era talmente accelerato da impedire ai suoi organi di dilatarsi. Respirava. Ma non riusciva ad assaporare l’aria. La sentiva entrare, ristagnare per una frazione di secondo in bocca ed essere espulsa.

 La sensazione di debolezza dovuta all’asfissia, lo fece cadere sui gomiti. Sasuke si trovò con il naso a tre dita dal suolo polveroso. Si sarebbe aspettato di sentire le carezza dei radi ciuffi d’erba sul suo volto. Sulla pelle veniva sfiorato solo dal ruvido turbinio di terra secca sollevato dal suo tentativo di respirare. Precipitò di lato per aver più spazio per continuare a vivere. Vedeva il suo torace alzarsi ed abbassarsi convulsamente. Su e giù. Stava morendo. Nei suoi vent’anni era morto troppo spesso. Se si fosse risvegliato sarebbe morto ancora. Ancora. La morte alla fine l’avrebbe ucciso per noia.

 La sua era una signora machiavellica. Una dama gentile e meschina. Amorevole e fatale. Dal basso ventre alla gola un brivido caldo si fece largo tra le sue carni. La dopamina manteneva il battito accelerato. Inarcò la schiena per gustare al meglio il tocco dei crini scuri che ricadevano su di lui. Lei era pallina, non di un biancore malato come il suo, ma lunare. La pelle avorio delle sue mani danzava sul suo torace, pronto a non accoglier più aria. Lei era bella. Una bellezza che non si limitava alla forma, ma a tutta la sua essenza. Una bellezza ipnotica che più volte aveva catturato il guerriero.

Sasuke era troppo pieno di lei. Vedeva le sue iridi verdi nella volta di vegetazione che lo sovrastava. La sua bocca sottile e dorata in quello squarcio di sole che si faceva largo tra le fronde e le nubi di un cielo spento. Il corpo faceva da cassa di risonanza al ricordo delle parole sagaci e argute della dama. Strinse il pugno afferrando frammenti di vegetazione spontanea e terra come se fossero le leggere vesti della delicata signora alla sua presenza. L’incosciente piacere di essere accompagnato da una creatura di tale magnificenza si aggiunse alla paura e al tedio della continua sensazione di morire. Appagante era l’illusione di trattenere la musa a sé. Disarmante la certezza di essere stato catturato dalla diva. Il dolore proveniente dalla cicatrice sul petto gli iniziò a sembrare gradevolmente lacerante. La mancanza d’ossigeno, in quel momento,  avrebbe significato affogare in lei. Forse sarebbe morto.

 

 

Passava la lama sull’incavo tra incide e pollice per valutare quanto fosse affilata. In penombra, seduto sul pavimento freddo della sua abitazione controllava attentamente la qualità del suo armamento. La luce delle ultime ore del giorno veniva filtrata dalla fessure lungo la persiana. Il sinistro bagliore dei ferri si rifletteva sul suo volto di giovane uomo.

Con il tempo aveva imparato a prestare una cura maniacale per il suo equipaggiamento. L’esperienza di molte battaglie gli aveva insegnato a scegliere quali dovessero essere le sue armi. C’era chi portava con se katane, spade o spadini di vario genere. Lui prediligeva armi corte e da lancio, ma pratiche anche nei corpo a corpo. Kunai. Shuriken. Spiedi, all’occorrenza.

Portò il kunai vicino a viso per analizzarlo meglio. Pasò un dito lungo il suo profilo. Troppo poco affilato per essere utile.

L’affilatura era un processo semplice. Sapeva bene come rendere un’arma inutilizzabile, fatale. Sistemò la lama sulla pietra abrasiva ai sui piedi. Impose una leggera angolazione all’arma e la guidò sulla superficie ruvida. Numerose volte, finchè non fu soddisfatto del risultato. Passò all’altra faccia del kunai. Al filo opposto. Con insistenza sfregava la lama sulla pietra per renderle estremamente tagliente. Doveva essere in grado di ferire il nemico al tocco. Immediatamente doveva lacerare e non concedere all’avversario la consapevolezza del taglio.

Prese un altro kunai ed incominciò ad analizzarlo.

Le armi per un ninja erano un semplice strumento. Non erano essenziali, ma facevano comodo. Naruto le usava perché non amava usare le sue tecniche per sporcarsi le mani con nemici che non lo meritassero. Aveva sperimentato sul campo il fascino di un combattimento essenzialmente basato sui fondamentali ninja, sulla semplicità. Se si conosceva dove colpire, tutto poteva diventare letale. Le sue armi dovevano essere letali. Uccidere silenziosamente. L’affilatura era diventata il suo rito prima di ogni missione. Una veglia alle sue lame, alle sue compagne. Ormai era solo con loro sempre più spesso. L’eroe era in grado di lavorare senza team. Lui si bastava.

Aveva odiato stare solo. Ora la solitudine era l’unica cosa che cercava negli scontri e forse nella vita. Non avere nessuno da proteggere e non avere nessuno a cui rendere conto delle proprie azioni. Una sorta di palliativo alla libertà privata dagli stereotipi comuni.

L’eroe era un assassino ben addestrato, tutto qui. Konoha era una fabbrica di assassini.

Passò la lama dell’ennesimo kunai sulla punta del medio. Sentì un leggero solletico e dopo poco vide l’impercettibile solco tingersi di rosso. Guardò il sangue riempire gli argini del taglio e straripare. Quella ferita era un’insignificante  prova delle capacità dell’arma.

Si mise il dito in bocca, per disinfettarlo con la saliva. Quella lesione autoinflitta non meritava una medicazione. Era un bel taglio, uno di quelli che non sporcano i ferri con cui sono stati prodotti. Naruto adorava quel genere di ferite. Riassumevano forse quel genere di pulizia che aveva cercato crescendo. Il caotico ragazzino snobbato da tutti era diventato uno shinobi dal maniacale ordine mentale. Per la gente rimaneva il solito ragazzino, meno caotico e più eroico. Un eroico ragazzino con una serie di affilati kunai, taglienti shuriken e appuntiti spiedi distesi in tre file dinnanzi a lui.

Il tempo del compiacimento per il suo bel lavoro si era andato affievolendo con il tempo. Meccanicamente prese il marsupio, appoggiato alle sue spalle. Aprì la tasca principale. Estrasse il kit di primo soccorso e lo ripose in una tasca secondaria. Era ancora nuovo, non lo aveva mai utilizzato ne aveva mai avuto la curiosità di aprirlo.

Passò in rassegna le armi che aveva di fronte. Prese i kunai, li raggruppò e li ripose verticalmente in uno scomparto interno. All’accademia gli avevano insegnato come disporre ogni tipo di arma nel modo più convenevole. Lui dopo anni aveva tirato fuori dalla sua memoria quelle noiose lezioni. Kunai: verticali, anello verso l’alto. Shuriken: disposizione parallela. Spiedi: verticali. Tutto perfetto. Richiuse l’allacciatura.

Ora doveva solo superare la notte. Si alzò e appoggiò il suo bagaglio sul tavolo. Si diresse in camera. Nel breve corridoio si sfilò la maglia. Oltrepasso la porta aperta. La sua stanza era misera. Letto. Sedia . Armadio. Aveva rinunciato a comodino, scoprendo l’utilità del pavimento come luogo per appoggiare la sveglia.

Piegò con cura la maglia e l’appoggiò sulla seduta di paglia della sedia presa dalla cucina. Slacciò i pantaloni e se li fece cadere lungo le gambe. Pigramente alzò i piedi per toglierseli del tutto e poterli appoggiare sullo schienale, sopra la maglia. Tutto rigorosamente nero. Da tempo i colori vivaci erano stati abbandonati nel suo vestiario.

Due passi per arrivare al letto e caderci sopra. Un secondo per accorgersi di avere ancora il coprifronte addosso. Sbuffare. Slegarselo dalla fronte e tirarlo in qualche parte della stanza. L’Uzumaki conosceva la procedura a memoria. Prima di ogni missione faceva sempre così. Non era l’abitudine, ma l’inspiegabile necessità di seguire gesti prefissati la sera prima per avere la certezza del successo il giorno seguente. Naruto aveva sviluppato una ritualità scaramantica. Tutto iniziava con il preparare le armi e terminava con il non riuscire a dormire. Avrebbe passato la notte aggiustando la mira sulla porta del bagno, con qualche vecchio shuriken sdentato.

Disteso sul letto, allungò la mano sinistra sotto la rete. Riconobbe l’oggetto al tatto. Lo tirò su. Il sacco logoro tintinnava di un rumore metallico. Il biondo lo aprì quel poco, che bastava a far uscire uno shuriken, distrutto al punto giusto.

 

scusate per il ritardo...ho avuto dei problemi con la connessione.

grazie a coloro che hanno letto e che mi seguono ...e poi...

p_chan:  Grazie di aver recensito. Mi fa piacere che apprezzi la mia scrittura. Non faccio spoiler, ma la storie non è lunga come pensi, anzi.

 ilarione: Grazie.

Sarhita: Grazie. Avevo paura che fosse incomprensibile, ma l'effetto confusione è arrivato. Ne sono felice.

             

a breve il IV capitolo nous


   
 
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