Rivelazioni.
Dopo alcune ore il vento si placò completamente e le vele e la bandiera non
si mossero più.
I secondi si trasformarono in minuti, poi in ore interminabili.
La situazione non cambiava e la nave era immobile, scossa ogni tanto da
delle onde più forti delle altre.
“maledetta Bonaccia!” urlò il nostromo guardando in parte il cielo e in
parte le vele. “ammainate la bandiera e buttate l’ancora, prima che quelli della
Gibraltar si preparino all’attacco!”
Anne era vicina all’uomo, così raccolto il coraggio, gli chiese: “ma prima
vi siete preparati all’arrembaggio, perché ora fate questo?”
L’uomo la squadrò da capo a piedi, poi le rispose: “la bonaccia può durare
giorni, in questa zona e, visto che la Gibraltar non si muove, è meglio
aspettare il vento, prima di attaccare. Visto che fa sempre comodo una bava di
vento, quando ci si trova a combattere, e probabilmente a scappare.”
Anne accettò la risposta ma solo perché non aveva ben capito quello che
intendeva. Dopo un po’, dove finse di orientarsi, fece un'altra domanda: “avete
una mappa? Dove siamo? La costa non dovrebbe essere molto lontana.”
L’uomo le chiese se avesse paura e volesse tornare a casa, ma la risposta
negativa di Anne lo portò a dirle: “vieni, ti faccio vedere la carta … ma in
qualunque caso hai ragione, Terra è ancora vicina, ma se non fosse per la
bonaccia, saremmo vicini al porto più a nord del tuo Port-au-Prince … vieni da
lì giusto?” Anne annuì e lo seguì sottocoperta mentre lui le regalava un
sorriso bonario. Anne certo non si aspettava un secondo capitano così gentile e
simpatico. La faceva sentire a suo agio. Cominciò a pensare di aver esagerato
con Amy. La stiva era buia e puzzava, ma Anne era troppo curiosa, forse Amy
aveva ragione, e i pirati non erano poi tanto crudeli come pensava o le era
sembrato. … le apparenze potevano averla ingannata …
Entrarono in una porticina piccola e cigolante, Anne dovette abbassare la
testa per non prendersi lo stipite sulla fronte. La cabina era piccola e buia,
rischiarate da un paio di candele e una finestrella quadrata. L’aria era
viziata, all’inizio Anne pensò che non sarebbe riuscita a respirare. Su un
cassa alta, davanti a un piccolo timone, era stesa una grande mappa ma, mentre
Anne era intenta a guardarsi intorno, il nostromo le aveva procurato una carta
più piccola e maneggevole. Erano segnati tutti i porti, disegnate le ville dei
governanti e indicato se il porto era una città con Viceré, con Governatore, o
se era semplicemente una colonia.
Cercò e trovò Port-au-Prince, a sud nell’isola di Haiti, a nord del mare
dei Caraibi.
Ringraziò il nostromo veramente riconoscente.
“non c’è problema.” Rispose lui alzando le spalle. “è bello sapere che c’è
gente curiosa a bordo. Ormai tutti si accontenta di andare avanti, senza sapere
dove e perché. Mi stai simpatica, sembri una brava persona.”
Anne pensò che fosse una specie di complimento e la sua valutazione nei
confronti di Storm guadagnò molti punti a favore. Abbassò il capo e si
concentrò sulla mappa.
Dopo qualche minuto Anne piegò la cartina e ringraziò ancora il nostromo,
poi uscì immersa nei suoi pensieri.
Appena tornata sul ponte si ricordò che voleva sapere anche dove stavano
andando, ma pensò che disturbarlo ancora non era carino, visto che Storm era
già stato molto gentile a risponderle.
Trovò Amy intenta a guardare l’orizzonte in modo sognante, come faceva
spesso.
Le fece vedere la cartina. “guarda” disse soddisfatta. “me l’ha regalata il
nostromo, così possiamo seguire la rotta!”
Amy sorrise. “e tu avevi paura!” disse in tono canzonatorio.
“non puoi biasimarmi.” Obbiettò Anne. “ero terrorizzata.”
Amy sorrise di nuovo. “l’importante è che non lo sei più.” Le prese una
mano, e la strinse.
Rimase un momento di silenzio. “Amy …” mormorò Anne. “io ti devo chiedere
una cosa.”
Amy si voltò a guardarla con un sorriso.
“seriamente.” Aggiunse Anne, e il sorriso di Amy si spense. “spara.” Disse
con un filo di voce.
Anne prese un profondo respiro. “hai detto a Mary che Stephanie s qualcosa
del tesoro, ma quando scopriranno che non è così …”
Un’ombra passò sul viso di Amy. “lo so …” disse. “ma non potevo fare altro.
Lo hanno bisogno dei pezzi della chiave, noi di stare qui. Ci aiuteranno
malgrado tutto, vedrai.”
Anne cercò di sorridere. “sperò che tu abbia ragione.”
Rimase ancora un momento in silenzio. “stavo pensando ai regali che il
Signor Morgan ha fatto negli anni a Steph.” Disse Amy, pensierosa. “sono sicura
che tra quelli è nascosta l’altra parte della chiave.”
Anne annuì. Ci stavo pensando anche io, ma tutti i regali che la ha fatto
sono troppi …”
“per la maggior parte vestiti, libri, gioielli … ma no formano la chiave
per trovare il tesoro … piuttosto
fanno parte del tesoro …” rifletté Amy.
“aspetta, aspetta!” Anne ebbe un’illuminazione. “ti ricordi lo spillone per
i capelli di Steph, quello inciso sul manico e con la punta squadrata?”
Amy guardò l’acqua del mare pensierosa. “sì, certo che me lo ricordo.”
Anne sorrise. “cosa meglio di quel misterioso spillone può essere una chiave?”
La ragazza la guardò con gli occhi che le brillavano. “ma certo!” esultò.
“cosa vuoi fare?” chiese Anne, tornando
seria. “dobbiamo tornare a Port-au-Prince.”
“non lo so.” Ammise la ragazza. “andiamo da Mary. Lei lo saprà di certo.”
La nave su sui si trovava Stephanie si chiamava Gibraltar. Era una vecchia
caracca olandese, ottenuta dal capitano in occasione di una battaglia
vantaggiosa. La caracche erano navi molto veloci, adatte alle acque poco
favorevoli dell’oceano, ma anche quelle del Mar dei Caraibi.
Stephanie era ancora prigioniera e aveva passato tutta la mattina a
guardare il mare dalla fessura nello scafo. Mentre le ore passavano, sentiva
che la nave cominciava a diminuire la velocità e il caldo si faceva
insopportabile come succedeva al porto nei periodi di bonaccia, quando non
soffiava vento.
Stephanie, mentre mangiava la crosta di pane che le avevano lanciato dalle
sbarre, cominciò a pensare un modo per scappare, prima dalla cella e poi dal
veliero. Non poteva stare lì in eterno e aspettare che la andassero a prendere.
Doveva agire.
Da sopra provenivano delle urla, forse di gioia. Sembrava che la nave
davanti a loro gli avesse dato battaglia, ma le urla si estinsero quando il
vento cessò. Sentì delle urla come: “maledetta bonaccia!” e insulti simili,
così pensò che non potevano raggiungere la nave e combatterla. E infatti era
così.
Si spinse contro la parete per poter vedere la poppa di qualche nave e
finalmente vide una macchia scura all’orizzonte.
Capì che era la nave con a bordo le sue amiche e progettò di aspettare il vento
e la battaglia, scappare e salire sulla nave. Poi sarebbe stata con le sue
amiche, e quindi al sicuro.
Il cuore le batteva forte dalla felicità. Cercò di alzarsi a fatica e si
avvicinò alla porta della cella. Osservò attentamente il chiavistello e
constatò che sarebbe stato difficile romperlo. Allora pensò alla catena. Era la
stessa cosa. Se voleva liberarsene qualcuno avrebbe dovuto aprirli.
Col passare delle ore la cella diventava sempre più rovente. Stephanie voleva
buttarsi in acqua e rinfrescarsi. Si faceva aria con un lembo della gonna,
perché il damasco si era asciugato, anche se adesso un vestito umido non le
sarebbe andato male.
Fuori non era cambiato niente. La nave era sempre a prua, ma nulla era
diverso.
Si stava appisolando quando sentì il vecchio chiavistello scattare. La
porta fu aperta ed entrò un uomo.
Era il capitano, aveva un grande cappello scuro e una giacca pesante.
Si fece chiudere la porta alle spalle dalla guardia, che poi se ne andò, e all’inizio non disse parola.
Osservava la ragazza dall’alto in basso, con le mani dietro la schiena.
Stephanie lo guardava curiosa. Non capiva perché il capitano era entrato in
cella e si guardava solo intorno, finché non parlò con la sua voce potente e
cupa. “hai detto di chiamarti Morgan.” tuonò.
Lei annuì leggermente, intimidita.
“bene.” Disse il capitano grattandosi il mento.
Stephanie era curiosa e non riuscì a trattenersi dal chiedere: “voi sapete
chi sono, ma io no … con chi sto parlando?” Si pentì subito e si morse il
labbro, impaurita dalla fulminea occhiata del capitano.
Lei piegò la testa e si scusò: “perdonatemi signore. Non volevo …”. Non
finì la frase che lui aveva ripreso a parlare: “per prima cosa signorina Morgan, sei fortunata che non
ti abbiamo lasciata dove ti trovavi. Ti posso anche dire che io sono il
capitano di questa nave, la Gibraltar, e mi chiamo Capitan Crowley. E’ meglio
che ti rivolgerai a me solo chiamandomi così.”
Lei si scusò di nuovo ripetendo l’appellativo e lui riprese: “hai detto di
essere una Morgan … parlami di tuo padre.”
Stephanie si incuriosì subito. Dopo un attimo di pausa decise di dire la
verità e riferì che non lo vedeva quasi mai, che aveva saputo da poco della
morte e tutto il resto. Aveva paura di quell’uomo e parlò molto veloce.
Lui ascoltò immobile e poi chiese: “il tesoro? Non sia niente del tesoro? Tu
non ne hai mai sentito parlare? Tuo padre non ti ha dato un chiave o cose
simili?”
Lei ci pensò su, ma credeva a malapena che suo padre fosse un pirata; e ora
c’era anche un tesoro misterioso di cui le aveva la chiave?
Riferì che non sapeva niente, ma suo padre le aveva fatto molti regali.
“niente chiavi o qualcosa che potrebbe esserlo? Dicono che ci siano più
pezzi.”
Stephanie pensò subito allo spillone per i capelli. Poteva essere. Non era
sicuramente un ornamento per signore, anche se lei lo usava in quel modo. Poi
pensò anche al ciondolo di Amy. Suo padre, ogni volta che la vedeva cercava
sempre di sapere da dove veniva, chi glielo aveva dato. Decise di dire tutto:
“io possiedo uno spillone per i capelli che potrebbe essere il manico di una
chiave, e una mia amica aveva un ciondolo che …” Stava per continuare che era
stata di nuovo interrotta.
“un ciondolo? Di madreperla?” chiese lui accigliato.
Stephanie annuì: “si, un tondino intagliato di madreperla cangiante.”
L’uomo alzò gli occhi e Stephanie vide una piccola sfumatura di collera: “r
… re … Reckhernam …” disse in un sibilo come un serpente.
La ragazza non capì.
L’uomo stava per andare, ma Stephanie, che voleva a tutti i costi salire
sulla nave che li fronteggiava, lo bloccò: “aspettate … signor Capitano. La mia
amica, ne sono certa, è sulla nave che abbiamo prua, se voi mi faceste la
grazia di salirci a bordo potrei portarvi il ciondolo …”
Lui si voltò. “così da lasciar scappare una prigioniera?!” urlò.
Lei si sforzò di non urlare, e sfruttò la persuasione dei suoi occhi:
“certo che no, ma le porterei il ciondolo.” Mentì.
“e lo spillone?” chiese lui.
Stephanie abbassò lo sguardo. “temo di non averlo con me.” Mormorò, ma si
affrettò a ripetere che il ciondolo lo aveva Amy.
Il capitano scosse la testa e sibilò: “vedrete presto la vostra amica, cara signorina Morgan. Ma sperate
soltanto che abbia lei il ciondolo e gli altri due pezzi.”
Stephanie era sconsolata. Amy ed Anne non potevano avere tutti i pezzi. Lo
spillone doveva averlo perso sulla spiaggia di Port-au-Prince, e non potevano
tornare indietro.
“aspettate!” gridò proprio mentre la guardia stava per aprire la porta: “potete
slegare questa catena?” indicò la caviglia malridotta.
Il capitano si voltò ancora a guardarla. Scoppiò in una fragorosa risata
insieme alla guardia, poi salirono entrambi e lei li perse di vista.
Mentre il tempo passava, la giovane si schiariva le idee. Dopo alcune ore
aveva un solo piano: aspettare la battaglia, liberarsi, salire a bordo
dell’altra nave (che se non si sbagliava era il Deathbearer), ritrovare le
amiche e dire addio a quei pirati senza dargli ciondolo, spillone e
informazioni (che loro pensavano avesse, ma che in realtà erano molto vaghe,
anzi, minime).
Appoggiò la testa sulla spalla con un sorriso soddisfatto e si mise a
seguire il movimento delle onde.
L’aria sul ponte della Deathbearer si stava facendo sempre più
irrespirabile e terribilmente afosa.
Il sole del primo pomeriggio infuocava la nave e il vento inesistente non
migliorava la situazione. Mary non aveva detto niente a proposito del cambio di
rotta, solo che avrebbe riferito a Capitan Reckhernam, e aveva indirizzato le
ragazze ad una cabina a poppa. C’erano quattro amache.
Amy si sedette su una amaca mentre Anne chiudeva la porta. La ragazza dai
capelli rossi si tolse velocemente corsetto e lo buttò per terra inspirando
profondamente.
La stanza aveva un finestrella senza vetri, con un imposta di legno, che in
quel momento era aperta, ma il caldo era uguale all’esterno.
Amy si addormentò, mentre Anne guardava fuori. La Gibraltar li seguiva
ancora da lontano.
Si sedette a sua volta sull’amaca, ma non riusciva a dormire. Il caldo era
insopportabile.
Portò i capelli indietro e si asciugò la fronte.
Ascoltò le urla che provenivano da fuori, e comprese che anche la Gibraltar
aveva innalzato il Jolly Roger e che erano pronti alla battaglia.
Avrebbe rivisto presto Stephanie, ma aveva paura della battaglia imminente
perché non le era mai piaciuta la guerra, e poi non sapeva usare armi. A Sara
non sarebbe piaciuto saperlo, ma doveva dirglielo.
Si rilassò e cercò di non pensare, e allora fu presa dal sonno.
Sara girovagava sul ponte sempre più lentamente. Il caldo e il sole la
rendevano lenta di riflessi e soprattutto non aiutava il veliero a fuggire
dalla Gibraltar.
Mary le stava venendo incontro a passo lento e lei si fermò ad aspettarla,
seduta con le spalle contro la murata, a passarsi una manica sulla fronte. La
madre le si sedette accanto.
“ancora una volta la Magia non è servita molto.” Disse, cercando di non
usare un tono molto duro.
Sara alzò le spalle. Era sicura che Ed l’avesse distratta, ed ecco il
risultato: la bonaccia.
“non puoi fare niente per migliorare?” chiese Mary dopo un po’.
“non vorrei peggiorare.” Disse Sara, per una volta sincera.
“abbiamo anche il terzo e ultimo pezzo della chiave” la informò Mary.
Sara la guardò fissa con i suoi occhi blu: “come, anche l’ultimo pezzo?” le
chiese euforica. “e me lo dici così?! Vuol dire che possiamo trovare il tesoro!”
Mary ricambiò lo sguardo, e le spiegò: “non proprio … le ragazze sanno dove
si trova. Solo dobbiamo tornare a terra.”
Sara riappoggiò le spalle al parapetto e chiese riluttante: “ancora?
Scommetto che vorranno portare a bordo un'altra persona, ci scommetto gli
stivali!”
Mary le mise una mano sulla spalla e riprese: “dicono che è sulla spiaggia,
Stephanie lo ha perso quando sono salite a bordo.”
A Sara l’idea di ritoccare terra non piaceva affatto. Preferiva di gran
lunga il mare, ma se era per trovare il tesoro più grande dei Caraibi, poteva
anche fare un piccolo sforzo, ma non era sicura, voleva altre informazioni.
“molto probabilmente scenderò io, non è così?” Era un pirata, ma non una
stupida.
Mary annuì.
Sara non era per niente sorpresa. Disse senza voglia: “E quando
intraprenderemo questa nuova, appassionante avventura, miss Jones?” Quando era
arrabbiata le piaceva chiamare la madre così, tanto per scherzare.
Mary guardò in alto, ma Sara non capì il perché. “quando riprenderà il
vento. Ma ancora devo dirlo a Jack. Credo non gli piacerà sapere che dobbiamo
tornare indietro.” Si alzò, ma Sara aggiunse: “e nemmeno sapere che dobbiamo
passare proprio a fianco della Gibraltar.” Mary la ignorò, la ragazza rimase
seduta, mentre la donna si perdeva nell’afa che regnava sul ponte.
Si diresse verso la cabina di prua, dove era sicura di trovare il capitano.
Avevano passato tante avventure insieme, ma avevano anche litigato spesso. L’ultimo
litigio aveva come protagonista la ragazza
con il ciondolo come Capitan Jack
Reckhernam chiamava Amy. Mary aveva avuto la meglio, ma sapeva che non era
ancora finita.
In fondo però, malgrado i litigi, lei voleva bene a Jack e sapeva che lui
teneva a bordo lei e sua figlia non solo per amicizia o compassione, e non si
sbagliava. Era vero, e Mary sapeva che Jack aveva fatto una promessa, e che
doveva mantenerla. Non sapeva nemmeno a chi avesse promesso cosa, ma le
interessava.
Si avvicinò alla porta e bussò piano all’anta chiusa. Dall’interno una voce
profonda e stanca disse: “entra.”
Lei entrò e socchiuse l’altra imposta.
“che vuoi?” tuonò il capitano, mentre nemmeno la guardava.
“ti piacerebbe fare il pirata malvagio come raccontano” disse lei, riferita
al tono della voce che aveva usato. “non è così, Jack?” cominciò a
giocherellare con il bordo di una bandana, mentre si avvicinava a passo
indolente verso il tavolo dove era seduto il capitano.
“io lo sono, e tu lo sai benissimo. Non è così, Mary?” rispose. Aveva
ripetuto le sue parole di proposito, perché sapeva che doveva digli qualcosa,
ma la conosceva abbastanza bene da sapere anche che le piaceva che fosse lui a
chiederglielo, invece di parlare per prima. Ma questa volta non si sarebbe
lasciato incantare, come succedeva quasi sempre.
“invece non sembra …” mormorò Mary. Si appoggiò al tavolo con un mano,
mentre l’altra la teneva sul fianco: “sai, perché hai lasciato che le due
ragazze restino qui … e … per altre cose …” Non si riferiva a qualcosa in
particolare, ma sapeva che a lui sarebbe bruciato comunque. Lo guardò fisso poi
continuò: “e poi … anche se io ho fatto una promessa
… non significa che debbano restare obbligatoriamente …” Voleva sapere qual
era la promessa che aveva fatto il capitano, per questo aveva evidenziato la
parola promessa.
Lui la guardò di sbieco: “vuoi dire che desideri che se ne vadano?” Sapeva
che non era così, ma era un giochetto tra di loro che continuava da anni.
Lei si affrettò a correggersi: “certo che no, solo volevo sapere il tuo
parere sulla promessa che ho fatto a Bonny … tutto qua.” Non era tutto lì, ma
voleva far sentire in colpa Jack.
“è stato più di quattordici anni or sono …” disse semplicemente lui,
capendo che prima o poi la donna sarebbe arrivata al punto.
“una promessa è una promessa … due settimane o più di dieci anni dopo … non
credi?”
“io non l’avrei fatto. Fine del discorso. Dimmi quello che sei venuta a
chiedermi.” Jack cominciava a perdere a pazienza.
“vuoi dire che non hai promesso alla donna che ami di proteggere vostra
figlia?” commentò Mary.
“l’ho fatto?” tagliò corto Jack. Mary non rispose.
“adesso basta.” Sibilò il capitano. “dimmi quello che sei venuta a dirmi e
facciamola finita. Sto perdendo la pazienza.” Si alzò in piedi e fronteggiò
Mary con sguardo adirato.
“dovresti ringraziarmi.” Disse Mary senza altri preamboli, gettando tutte
le sue idee sulla promessa alle ortiche. “perché ti ho trovato tutta la chiave
d’accesso al tesoro.”
Lo sguardo di Reckhernam brillò. “vuoi dire …” iniziò.
“voglio dire che la tua cara mocciosa
si sta rivelando molto utile.” Lo guardò fisso e si fece più vicina. “molto più
utile del previsto …” continuò.
Jack sostenne il suo sguardo fermamente. “dov’è?” chiese.
Mary ebbe un attimo di smarrimento. “… sulla spiaggia.” Rispose.
“ad Haiti.” Concluse Jack.
Come se avesse dato un ordine, Mary si voltò a uscì. “sarà fatto.” Quando
si chiuse la porta alle spalle si maledisse. Perché non era riuscita ad
arrivare dove voleva lei? Perché cedeva sempre a quegli occhi scuri?
Amy si svegliò stiracchiandosi dopo il sonnellino. Si sentiva meglio: non
aveva più tanto caldo e molti dei suoi pasticci sembravano essere andati a
posto.
Si avvicinò alla finestrella e guardò fuori. La Gibraltar era dietro di
loro, completamente ferma. Si sporse verso il basso a guardare l’acqua quasi
immobile.
Dopo qualche minuto si alzo ed uscì sul ponte.
Sara era seduta a terra, mentre Mary stava uscendo dalla cabina principale.
Pensò che avesse parlato con il capitano, così si tranquillizzò.
Tornò nella cabina con passo leggero. Spostò un baule vuoto sotto la
finestrella, così vi si sedette sopra e si mise a giocare con una lunga ciocca
dei capelli scuri mentre pensava.
La ragazza dai capelli rossi si svegliò con uno sbadiglio.
Anne si alzò e le si avvicinò. “sei sveglia da tanto?” le chiese con voce
assonnata e la vista opaca.
Amy si spostò un poco per farla sedere, scuotendo la testa. Stava per
aggiungere di aver visto Mary tornare dalla cabina, quando Anne disse: “finché
siamo qui da sole … volevo dirti …”
Amy la fissò, poi l’altra riprese. “insomma … ho sognato Katherine, sai?”
Il cuore di Amy perse un battito. Di colpo si sentì infinitamente egoista,
e stupida. Lei non ci aveva pensato da quando se ne erano andate. Pentita, abbassò
la testa.
Anne sospirò, e sul suo viso passò un’ombra. “piangeva, era disperata. Mi
sono spaventata, perché era come se fossi lì accanto a lei e stesse male per
colpa mia …”
Amy tornò triste. “non è colpa tua … è mia.” Mormorò.
Anne si riscosse. “Amy, non dire queste cose! Era un sogno …”
“si, ma che ne sappiamo noi di come sta adesso Katherine?” obbiettò
l’altra.
In quel momento entrò Sara con il suo passo militare, e le fece sobbalzare.
Per un attimo le guardò, poi cominciò a parlare. “e allora? Queste facce? Che
cosa è successo?”
Amy le fece cenno di stare zitta. “chiuditi la bocca.” Disse.
Sara strabuzzò gli occhi. “l’isterica sta diventando un pirata, per caso?
Mi aspettavo che ci volesse un po’ più di tempo … ma meglio così.”
“ma tu hai sempre la risposta pronta?” chiese Amy, scettica.
“mi alleno per questo.” Sara ammiccò.
Amy scosse la testa, e Sara tornò un po’ più seria. “di che stavate
parlando? Su … non sono stupida, capisco quando qualcuno è triste.”
“… di Katherine.” Rispose Anne dopo una pausa.
“Katherine …” mormorò Sara, come se capisse. “… ricordatemi un attimo chi
è?”
“ah, già. Scusa.” Disse Amy. “è la nostra madre adottiva, la governante
della villa dove vivevamo. Ci è sempre stata vicina e mi ha insegnato tutto
quello che so.”
Sara annuì, poi chiese di nuovo: “ma non ti manca?”
A quella domanda anche ad Amy vennero le lacrime agli occhi. Era l’unica
cosa che le mancava di Port-au-Prince e che sapeva sarebbe stato difficile
dimenticare. “certo che mi manca” disse, poi guardò Anne. “ma per ottenere
qualcosa di altrettanto bello bisogna pur dover rinunciare a qualche cosa.”
Si sentì matura per quello che aveva detto e forse per la prima volta sentì
dentro di sé la verità di quelle parole, e si convinse di aver fatto la cosa
giusta.
Amy cercò di cambiare argomento. “Mary non ha detto niente della rotta?”.
Sara annuì. “si, certo. Aspettiamo che torni il vento, però.”
Uscirono sul ponte insieme, e al loro si avvicinò Mary. “Amy” esordì la
donna. “sei sicura che lo spillone combacia con il ciondolo, giusto?”
Amy annuì, poi disse, felice: “perché? Stiamo andando al porto, o sbaglio?
Avete convinto il capitano? Ma affronteremo la Gibraltar? Quando?”
Mary sorrise a sentire tutte quelle domande e annuì: “l’ordine è di virare
appena questo maledetto vento tornerà a soffiare, poi prenderemo l’ultima parte
della chiave. Tornando indietro la Gibraltar ci affronterà e noi risponderemo
al fuoco, poi …” Non finì la frase perché Amy aggiunse: “salveremo Stephanie!”
Mary riprese: “certo, poi faremo vela per la Florida e il tesoro di
Morgan.”
Fece una pausa poi fissò intensamente le ragazze. “ci vuole molto tempo per
arrivare laggiù. Ci saranno tante battaglie in mezzo …” Il cuore di Anne perse
un colpo.
Sara cercò di sviare ogni possibile compito, dicendo: “ma io non c’entro,
giusto? Non devo fare niente!”
Mary le cinse le spalle con un braccio e le sussurrò: “oh … e invece sì. Fidati
di me!”
Sara inarcò un sopracciglio: “è per questo che chiedo, non mi fido.”
Mary rise e Sara si tolse il braccio dalle spalle, guardandola di traverso.
La madre le si avvicinò ancora, e le disse qualcosa all’orecchio che le ragazze
non sentirono.
Sara sgranò i suoi grandi occhi blu, e cominciò a scuotere con forza la
testa: “no!! Non puoi farmi questo!
No!”
Mary sembrava sempre più divertita per il destino che aveva riservato per
la figlia, e rideva di gusto mentre annuiva compiaciuta. “invece si, Sara. Sono tu puoi farlo.”
Se ne andò con passo leggero e si perse nel crepuscolo.
La figlia rimase immobile sul ponte con le braccia lungo i fianchi e lo
sguardo perso.
“noooooo” disse di nuovo.
“cosa è successo, cosa devi fare?” chiese Anne curiosissima e anche un po’ divertita.
Sara la guardò con gli occhi ridotti a due fessure. “se voi due non foste
qui non dovrei fare nulla.” disse imbronciata.
“perché, cosa ti ha ordinato?” insistette Anne.
Sara voltò lo sguardo all’ombra della nave alle loro spalle e le ragazze
pensarono che centrasse in qualche modo Stephanie. “la Gibraltar è il fulcro di
questa storia?” chiese Amy.
Sara scosse le spalle: “in qualche modo, abbastanza diretto.”
“è successo qualcosa?” chiese Amy.
Sara annuì e spostò lo sguardo sulla spada che le scendeva dal fianco,
parallela alla gamba sinistra. Poi disse: “direi che non dico niente di
impossibile se tra qualche giorno avrete la vostra amica al fianco, ragazze,
solo che dovrete ringraziarmi perché in parte sarà merito mio!” sorrise.
Loro pensarono che per un pirata era ovvio prendersi il merito di qualsiasi
cosa, ma Sara aveva detto la verità. Stava per insegnargli la scherma.
Glielo disse, e loro rimasero di marmo per un paio di minuti. Quando tornarono con i piedi per terra Sara se n’era già andata.
Ciao! Spero che questo capitolo vi paiccia, e che non sia noioso... Grazie Nemesis 18 per la tua bellissima recensione, e spero che anche questo capitolo ti piaccia!! ... ci stiamo piano piano avvicinando alla fine di questa prima parte! Che emozione...
Comunque, continuate a farmi sapere cosa ne pensate, ma grazie anche ai lettori silenziosi (che spero ci siano!)
Ciaoo
P.S. Questo capitolo si chiama "Rivelazioni - prima parte" perchè le ragazze devono scoprire ancora altre cose, in un altro capitolo chiamato "Rivelazioni" ... ma non ora, più avanti... però il titolo sarà sempre quello!!
Baci
Archer