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Autore: BigMistake    08/07/2010    1 recensioni
Dal Prologo: "Un nano ed un elfo, in groppa allo stesso destriero. Definire tale cosa rara, sarebbe soltanto blasfemia. Eppure successe alla fine della Terza Era, quando la Quarta albeggiava altisonante sulle teste della Terra di Mezzo. [...] Proprio in quel viaggio conobbero, a caro prezzo un popolo nascosto, Gwath - Ombre, venivano chiamate, e si mostravano come spettri nella notte. Mai avevano agito al di fuori delle loro terre, ma i tumulti che avevano scosso Mordor e tutti gli abitanti delle Terre dell’Est, ovviamente le avevano costrette a “cacciare”, se così possiamo definire la loro una caccia, ben oltre il loro piccolo recinto fatto di alberi e oscurità." Sarìin, il bardo racconta una storia agl'avventori di una taverna, i cui protagonisti presero parte alla Compagnia che salvò la Terra di Mezzo da un'imminente fine. Grazie per la vostra attenzione e buona lettura!
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gimli, Legolas, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO XII: Nuin Elenath.

Miei cari signori, non sapete quanto il mio spirito si sia rinvigorito nel sapere che avete ancora voglia di ascoltare questo mio canto, che della bella Adamante racconta le gesta. Bene dunque riprendere la storia da dove era stata interrotta. Avevamo lasciato il nostro trio a percorrere i cunicoli sotterranei delle prigioni, scappando da quella che era stata in vero la triste cella costruita nei tronchi degl’alberi.

L’elfo li guidò quasi ad occhi chiusi, la sua memoria salda gli aveva permesso di riconoscere ogni anfratto di quelle gallerie, in cui la sua altezza si districava appena. Svoltava deciso ad ogni bivio verso la direzione giusta, avvertita anche grazie alle correnti calde sempre più presenti, diradando l’umidità del terreno di cui erano costruite le pareti. Mentre percorrevano tale tragitto Adamante prese ad osservarle, incuriosita dalla loro natura. Erano molto antiche, risalivano ai tempi in cui le Gwaith erano poco più che un gruppo assortito di schiave liberte. Qualche radice pendeva dal soffitto ed alcune modellavano tutta la struttura delle gallerie, dove i segni delle unghie che le avevano scavate non erano evidenti. Le bestie cieche che avevano abitato quei budelli sotterranei dovevano essere di dimensioni non indifferenti data la portata dei solchi. Possedevano un diametro pari al suo palmo, incidevano i lati in quell’argilla che con il passaggio dell’aria era diventata solida e friabile come il tufo. Il senso di chiusura che donavano era asfissiante, quell’odore di terra bagnata affaticava il respiro e l’incedere, costringendo entrambi gli elfi a prevaricare i loro sforzi. Per Gimli invece quello era il posto che fino ad allora si avvicinava al suo ambiente naturale, non trovava difficoltà nel destreggiarsi nel manipolo di trafori in cui si trovarono.

Una ventata rovente lambì le loro pelli quando, di fronte alla diramazione in ben tre diverse direzioni, presero la galleria centrale trovandosi così a circa quattro rangar dall’uscita (nda unità di misura Númenóreana 1 ranga = 96,5 cm). Volarono veloci verso l’esterno, silenziosi come la notte che afferra il giorno appropriandosi con mano lesta del suo trono. Due cavalli, con le caratteristiche esili e slanciate dei destrieri Amazzoni, ruminavano distratti persino dal peso di cui erano caricati. Visibili erano ai loro occhi, nonostante i manti scuri favorevoli agli spostamenti notturni, tanto che al nano scappò una risata compiaciuta dell’effettiva loro presenza. Altresì Legolas fu coinvolto dalla contentezza del suo amico e prese anch’egli a sorridere. Quella libertà tanto bramata era a portata di mano, ad un passo rapido e scattante, eppure quello che stava lasciando dietro di sé era uno strano vuoto. Stava lentamente scomparendo, un’umana non avrebbe avvertito la figura di Raja andarsene verso quella che poteva rivelarsi una Guerra per la propria Indipendenza. Ma lei che abbandonava il suo mondo umano, la percepì nitidamente in quella marcia solitaria. Era giusto quindi emigrare e lasciare al triste destino lo stesso popolo che l’aveva salvata? Oppure era giusto onorare il sacrificio a cui si stavano sottoponendo? Lei si stava liberando di cosa in fondo? Non vi erano più le leggi oppressive che l’avevano costretta alla rinuncia della presenza di Helluin e del proprio figlio, non esistevano più intrighi e malelingue della corte, non vi erano più che le macerie di un mondo che doveva ricostruirsi. La Guaritrice correva sopra di esse, dunque, mentre si appropriava di quella libertà tanto sognata, le avrebbe calpestate con indifferenza? Si trovava con un piede fuori della porta sul retro, pronta a fuggire di sottopiatto per non essere intercettata dai quegli aguzzini che avevano già tormentato le sue ave. Quello che però possedeva nel cuore non era sollievo, ma avvertiva la sensazione di essere una codarda, abbandonando le Gwaith proprio nel momento in cui avevano più bisogno di lei. Vero, aveva sopportato troppo a lungo le malignità della corte, ma non era da quello che stava scappando. Ora chi la braccava era un principe viziato che si era visto sfilare il proprio bottino da sotto il naso. Il coraggio in fin dei conti non le mancava, perché non avrebbe dovuto affrontarlo?

“Piccola strega, non perdiamo altro tempo i cavalli ci attendono!” gli occhi della Guaritrice scesero alla sua sinistra, dove Gimli aveva richiamato la sua attenzione.  Non era solo, poco dopo il viso di Legolas emerse dall’oscurità, dove l’iridescente luna aveva preso ad illuminare i suoi tratti eterei, rivelando così la preoccupazione provata all’evidente dubbio letto negl’occhi della fanciulla. Adamante attraversò il confine, superando il limite fra la vecchia e la nuova via, sgretolantosi al contatto con il premio che la Guaritrice aveva guadagnato. Si mosse con leggiadria, che mai aveva avuto se non in quell’occasione, fino ad azzerare la distanza che c’era fra lei ed il suo amato. Il tutto fu solo per poter intrecciare le proprie dita con quelle di Legolas, tentennante in un primo momento, ritirando persino il gesto, per poi invece afferrarle con più decisione.

“Dovevo solo dire addio un’ultima volta!” disse in un sussurro. Legolas sollevò l’intreccio delle mani per baciare le nocche della fanciulla, senza mai staccare lo sguardo da quello di Adamante. Da poco si trovavano in comunione e già le loro anime comunicavano senza bisogno delle vibrazioni delle corde vocali. Quella che gli stava dimostrando era comprensione, cosa che per Adamante risultava fresca nel torrido clima del Rhûn.

“Se avete finito i vostri convenevoli, preferirei andarmene! Ho vissuto troppe guerre nell’ultimo anno per preoccuparmi di una non mia!” rispose Gimli, con le tonalità baritonali e profonde come le grotte in cui soleva vivere. In quel caso lo spirito del nano era condiviso anche dai due elfi, che si affrettarono nel sistemare al meglio le imbracature dei loro cavalli. Non che ne avessero bisogno per cavalcare, ma di sicuro risultavano utili per i bagagli del viaggio che avrebbero dovuto intraprendere. Bastò un sussurro di poche parole da parte di entrambi che le due bestie iniziarono a galoppare rapide verso Nord Ovest, dove il Carnen intraprendeva il suo corso lontano dalle ingiurie e dai supplizi vissuti in quella manciata di giorni, pochi se considerati di fronte alla longevità dei tre viandanti, ma troppi in confronto all’intensità con cui li avevano vissuti.

Viaggiarono senza soste, mantenendo un ritmo serrato fino al raggiungimento del Fiume Rossacque. Avevano alternato brevi marce cadenzate a lunghi galoppi per coprire grandi distanze in breve tempo. Preferirono non parlare, se non per gli argomenti strettamente necessari all’organizzazione. La vegetazione non era fitta come nella Taur en Gwaith, composta per lo più da arbusti desertici e sterpaglie insecchite, però andava via via a verdeggiarsi in prossimità del corso d’acqua. Il clima era completamente diverso, l'aria in alcuni momenti sembrava soffocarli mentre il paesaggio desertico lasciava il posto ad uno meno arido. Attraversarono la striscia di terra che intercorreva tra il Mare del Rhûn ed il Carnen in tre giorni e tre notti, spingendosi il più al Nord possibile. Nella mattina del quarto dì raggiunsero un breve tratto di boscaglia, irrorato dalle rive del fiume. Era un posto stranamente pacifico, da poco i soprusi della marmaglia nera dell'Oscuro Signore avevano cessato di esistere in quelle terre ed ora, che molto era cambiato, anch'essa tornava a vivere.

“Legolas!” chiamò Adamante rimasta più indietro rispetto all’elfo ed al nano, che montavano lo stesso cavallo. Legolas si voltò tirando in un movimento morbido le redini verso destra, attendendo di essere affiancato dalla ragazza.“Il sole sta calando, presto sarà notte. Siamo abbastanza lontani per riposare, i cavalli sembrano stanchi …” a quell’affermazione passo la mano sul fosco manto equestre del collo. Persino l’animale che portava la strana coppia partecipò alla conversazione con uno sbruffo ed un nitrito, confermando la preoccupazione della Guaritrice.

“Non solo loro!” confermò Gimli, emettendo tutta l’aria che aveva in corpo con un profondo sospiro.

“Credo che il nostro amico confermi le tue richieste, Tirînir!” rispose l’elfo in un sorriso per poi guardarsi attorno alla ricerca di un posto dove potersi sistemare. Scelsero, di comune accordo, un piccolo spiazzo delimitato dalle radici di un maestoso albero sprofondate nel terreno. Le sue fronde riflettevano più colori, mescolando l’autunno ormai iniziato con l’estate morente, offrendo loro un temporaneo riparo. Da quella posizione riuscivano ad udire il cristallino sciabordare delle acque del Carnen, riempiendo il silenzio che ancora vigeva fra i tre, ognuno impegnato per la sistemazione della notte. Lì, dove l’influsso del Mare del Rhûn iniziava a scemare, la temperatura calava durante le ore notturne in tenebre senza luna e senza stelle. L’elfo non voleva che i suoi compagni risentissero del cambio del clima, indi si era prodigato nell’accendere un fuoco con la legna procurata dal nano mentre perlustrava i luoghi limitrofi al piccolo accampamento.

“Cosa ci aspetterà domani quindi, mastro elfo?” la ragazza ascoltava distrattamente la conversazione dei due,mentre esaminava il contenuto delle bisacce ancorate alle groppe dei cavalli, alla ricerca di qualcosa da mangiare per rimettersi in forze.

“Dobbiamo proseguire verso nord, fino alla diramazione del fiume con il Celduin, non riesco a prevedere ancora quanti giorni di cammino ci attendono, amico mio!” di tanto in tanto Adamante volgeva la coda dell’occhio al nano e all’elfo, ancora impegnata nella sua esamina delle provviste.

“Ho sentito di sfuggita che parlavate della Montagna Solitaria. La incroceremo nel nostro cammino?” chiese Gimli sedendosi accanto al fuoco di fronte a Legolas, il quale pareva affascinato dalle lingue delle fiamme che s’innalzavano verso il cielo imbrunito. Anche il nano aveva preso a fissare il fuoco, la cui luce si rispecchiava in quello sguardo vitreo e stanco infossato nel viso sgraziato del Portatore della Ciocca.

“Sì!” rispose l’elfo sospirando. “Vuoi tornare a casa, Gimli?” a quella domanda Adamante profilò il volto, per mettere a favore il suo orecchio dal fine udito nell’ascolto di quella domanda a cui si scoprì spaventata. In quel tempo si era affezionata a lui, con il suo orgoglio e la sua testardaggine degna della razza a cui apparteneva. La risposta non fu che un borbottio ed una sonora sbuffata, seguita da un silenzio interrotto soltanto dallo scoppiettio del focolare. La Guaritrice non seppe interpretare quei suoni, preferendo glissare l'argomento per riprendere ad esaminare il bagaglio fornito dalla Storica. Nella sua vita di guerriera la Guaritrice non aveva mai fatta sua una lama, non le interessava, visto che le imbracciava in così poche occasioni da definirle più uniche che rare. Intrufolando poi le dita nelle bisacce del secondo cavallo vi trovò delle coperte e gli abiti a lei destinati. In effetti era ancora agghindata ed acconciata per i rituali dello Yavieba. Inoltre l'elsa di una spada fuoriusciva da sotto la borsa, arma per la sua difesa.

I capelli intrecciati iniziarono ad infastidirla e la lunga veste di leggera organza prese a piombarle addosso come una cotta di ferro. Ma Raja le aveva fornito il piccolo abito di pelle con cui aveva conosciuto il suo Principe, gli stivali dalla forgia maschile comodi più dei piedi nudi ed il manto che serviva a nasconderla durante le imboscate ai sgraditi ospiti della Foresta delle Ombre, nel cuore della regione di Agasha Dag. Iniziò con l’estrarre i calzari, lasciandoli cadere per liberarsi le mani e prendere il manto con il suo ben più comodo abito. Liberata la borsa dell’ingombrante contenuto, notò che non era stata completamente svuotata ed altro vi risiedeva nel fondo. Tastò con cura l’oggetto, sentì la consistenza liscia della copertina di cuoio accanto al fodero ricurvo ben conosciuto alle mani della Guaritrice. Con una nuova emozione scavò con le mani all’interno della borsa, immergendo le braccia quasi interamente per prendere entrambe le cose a lei più care. Il Diario di Helluin e Nimril, il pugnale dalla lama bianca. Quasi ebbe un sussulto vedendosi ricongiunta a quegl’importanti cimeli e, nella fretta di portarseli al cuore, non vide un terzo oggetto depositarsi a terra accanto ai suoi piedi. Era la bautta che ella stessa aveva rinnegato. L’afferrò con la mancina, scorrendo con il pollice sul gretto e mordace tessuto creato solo per essere tenuta nascosta. Inutilmente. Fu pronta e rapida a rintanarla nella borsa guidata da un istinto irrefrenabile, quando il passo felpato dell’elfo calpestò le foglie rinsecchite del manto boschivo dietro le sue spalle. Non voleva aggiungere ulteriore angustia con un ricordo di un momento buio, in cui era la cupidigia e il disonore ad imperare sulla figura della ragazza. Con più calma vi mise anche il pugnale e il diario.

“Di cosa ci ha rifornito Raja?” chiese Legolas quasi intimorito dalla reticenza di Adamante nel parlare. Da quando avevano lasciato le Ombre si era chiusa in un bozzolo taciturno che lui rispettava ma che al contempo odiava, in quanto la vedeva troppo riflessiva e preoccupata. Se fossero stati i suoi i desideri da assecondare, l’avrebbe volentieri tempestata di domande per sapere cosa nella sua mente continuava a pungerle così tanto da renderla quasi muta. In realtà ciò che temeva nel più profondo era un pentimento da parte della Guaritrice.

“C’è acqua e cibo. I viveri dovrebbero bastare per una settimana al massimo due se ci conteniamo nel consumarlo: vi è carne secca, pane e formaggio stagionato.” Le sue parole scorrevano molto veloci e pratiche nell’esporre, Legolas era incerto sul suo comportamento non sapeva come reagire di fronte a quell’improvvisa freddezza della fanciulla. Lei di suo canto, non sorreggendo lo sguardo afflitto dell’elfo, prese a sciogliere le cinghie dell’imbragatura, spogliando così il cavallo del suo compito di trasportatore. “Una volta esaurite le scorte potremmo cacciare e pescare, inoltre posso raccogliere bacche e piante commestibili. Le otri sono sufficienti per altri due giorni di cammino. La scorta d’acqua non sarà un problema, visto che percorreremo il fiume …”

“Tirînir …” sospirò l’Elfo obbligandola a voltarsi e a guardarlo. “I tuoi occhi sono sempre persi nella meditazione, il tuo viso è contratto e dalle tue labbra si muovono solo per brevi conversazioni. So che quello che hai passato è duro da affrontare ed io non ho alcun diritto di spingerti a parlare, ma se c'è qualcosa che ti turba ti prego, non esitare ad appoggiarti a me. " implorò sconsolato alzando una mano a sfiorarle il viso. La ragazza cercò di rassicurarlo accondiscendendo al suo tocco, inclinando la testa ed appoggiando la guancia contro il suo palmo.

“No, non c'è nulla che mi angoscia. Ho solo bisogno di togliermi queste vesti ingombranti a favore di qualcosa di più comodo!” rispose improntando un tenero sorriso. Gli occhi dell’elfo si abbassarono, arresosi alla reticenza del volersi confessare della ragazza. Poi risollevò il capo cercando di rispondere anche lui con un timido sorriso.

“E sia!” dichiarò sconfitto. Nell’intonazione con cui lo disse e nel mutismo che lo seguì c’era un’implicita affermazione: solo quando Adamante lo avesse voluto. Lei lo lesse anche in quel sospiro arrendevole e docile espirato da Legolas, non era abituata a quell’eccessivo riguardo e quasi ne risultò stordita. L’elfo dopo aver goduto di quel contatto con la sua amata, sempre per troppo poco tempo rispetto alla sua volontà, tolse la mano ricacciandola svogliatamente lungo il fianco. “Raja aveva detto che nel bagaglio c’erano delle coperte, dove sono?” deviò il discorso, fingendosi poco interessato da quello che la ragazza aveva sospeso nel cuore. Adamante colse la digressione rasserenata, dimostrando poi la sua gratitudine con la stessa carezza che aveva subito.

 

Raggiunse la riva del fiume dove ebbe l’occasione di farsi un bagno. La cinta metallica che le stringeva in vita trovò il suo riposo a terra, tinnendo al contatto con il suolo con un rumore adamantino, poi lasciò cadere la sua veste facendo scattare le spille fissate sulle spalle. Il diadema con la pietra trasparente posta sulla sua fronte venne slegato ed aggiunto al groviglio della stoffa. Il sole era stato quasi del tutto oscurato, tingendo il cielo e l’acqua delle tinte calde del crepuscolo. Il fiume era calmo, la sua superficie appariva liscia come una lastra di uno specchio, argenteo se osservato a filo con il terreno ma riflettente i toni dell’arancio e del rosa inondanti il tramonto, se studiato sollevato dal terreno. Una striscia cupa di alberi dalle rade fronde divideva i due elementi all’orizzonte, in uno la leggerezza dell’essere nell’altro la forza e la dirompenza. Adamante si inabissò dopo aver sciolto le complicate trecce dai capelli. L’acqua le lavava la pelle con fredde sferzate di corrente, abbassando la testa fino a coprire ogni senso ogni percezione. In questo aveva vissuto fino ad allora. In un mondo occluso all’esterno, protetto dalle stesse abitanti dove nulla poteva influire. Le parole di Raja la colpirono attraverso i recessi della memoria, quello era ciò che aveva guadagnato. La somma delle reminiscenze del proprio dolore era l’unica risposta che non poteva non darsi. Troppo aveva pagato per quel profondo cambiamento a cui aveva dato inizio. La sua fuga non era il sintomo della vigliaccheria, ma quella era la ricompensa del Fato, il dono per il sacrificio compiuto da lei stessa in tutta la sua breve vita. La sua strada non era congiunta a quella delle Gwaith. Aveva subito una deviazione, la stava trasportando dove il suo stesso padre avrebbe voluto. Ora il sentiero lastricato su cui si sarebbero avvicendati i suoi passi era lo stesso percorso dal Principe elfico, che continuava a studiarla non riuscendo ad interpretare i messaggi che emanava il suo comportamento. Quando la paura e l’angoscia si sciolsero dalle membra della Guaritrice, lavate dal Carnen e trasportate lontane disperse tra i flutti, la fanciulla riemerse vestendosi poi in fretta e furia. La Guaritrice si era dilungata più del dovuto nelle sue abluzioni ed era giunto il momento di sciogliere anche i dubbi del suo amato. L’oscurità aveva già accolto il mondo nel suo ventre e la ragazza aveva preso a correre verso l’accampamento non eccessivamente lontano. Avvertiva il ronfare rumoroso del nano che copriva i rumori del bosco ad ogni passo che l’avvicinava. Se ne stava coricato accanto al fuoco, avvolto nella coperta, l'elmo depositatato accanto alla sua testa. Abbracciava l'ascia come un cuscino, impugnandola come se fosse in procinto di una battaglia. Adamante incontro dapprima i cavalli ancora svegli. Si sentì in dovere di donare loro una carezza, bisbigliando alle loro orecchie parole di ringraziamento. Da sempre aveva portato rispetto per gli animali, li vedeva al pari degl'esseri umani: la loro era pur sempre fatica, lo stesso sudore e lo stesso sangue scorreva in battaglia quando venivano feriti. Inoltre, nella sua giovanile esperienza, aveva imparato che spesso esistevano bestie di animo ben più nobile dei propri propietari.

“Sei tornata.” affermò Legolas in un sussurro, senza distaccare lo sguardo rivolto al cielo. Teneva le mani intrecciate dietro la nuca, un ginocchio sollevato accanto alla gamba distesa, sdraiato a terra sopra la coperta poco distante dal russare di Gimli, abbastanza da essere illuminato dal fuoco ma in modo che non fosse di eccessivo fastidio. Non era mai stato il suo aspetto ad incantare Adamante, eppure avendo modo di osservarlo da quella posizione privilegiata non poté evitare di notare la bellezza splendente che possedeva nella sua natura intrinseca. Anche lei era figlia di cotanto splendore, eppure si sentì ulteriormente fortunata nell’essere stata scelta da lui. Dell’essersi scelti a dir la verità. 

“Temevi che non l’avrei fatto?” disse incedendo con piccoli passi verso l’elfo, che rivolse un fugace sguardo alla ragazza, ritornando poi alla meditabonda contemplazione del cielo. La Guaritrice si accucciò accanto a lui, inclinando la testa da un lato cercando di capire cosa in realtà stesse pensando. “Potrei stendermi qui, accanto a te?”

“Istag i dambeth! | S – Conosci la risposta! | ” replicò con una nota amara nella voce. Adamante si stese congiungendo le mani al grembo, osservando anche lei il buio che si stanziava davanti ai loro occhi.

“È una notte scura …” commentò la ragazza interrompendo il silenzio. “Non c’è luna, né stelle …”

“Avo meli in doe pen elenath! | S – Non amo le notti senza stelle! | ”

“Man mêl ent?  Man mêl i fuin? | S – Chi le ama? [lett. Chi ama quelle?] Chi ama l’oscurità?| ” in sincrono voltarono gli sguardi incontrandosi l’uno con l’altro. I loro occhi parevano trapassare le loro anime più di ogni altra volta, scavando profondamente dentro i loro cuori.

“Man grogag, Tirînir? | S – Cosa ti terrorizza, Tirînir? | ” tutto era bisbigliato come un segreto. I loro occhi non smettevano di incatenarsi, si rincorrevano in quella breve distanza cercando di non smettere mai di scrutarsi, prendersi ed ancorarsi.

“Pensavi davvero che non avrei avuto remore a lasciare su due piedi Raja e quello che era l’unico mondo da me conosciuto?” rispose Adamante con la voce arrochita dal basso tono che aveva assunto. Legolas continuava ad ammirare il profilo di Adamante disegnando con lo sguardo la curva della fronte, il promontorio del naso e le morbide forme delle labbra che ondeggiavano articolando le parole nel suo conversare. Aveva passato così tanto tempo a chiedersi cosa celava dietro la sua maschera che ora averla davanti, senza avere la paura di essere nel peccato, quasi lo irretiva.“Ho desiderato spesso fuggire dalla Taur en Gwaith, ma questo non toglie che non avrei mai intrapreso con leggerezza tale gesto. Il mio cuore è forte e spesso sono stata impavida nell’affrontare le avversità, ma questo è qualcosa di mai sperimentato prima. Sono stata catapultata fuori da un bozzolo Legolas, io conosco le Ombre e poco altro. Non potevo affrontare tutto senza pormi delle domande.” sospese le sue stesse parole, tornando a guardare la volta celeste offuscata dal buio. “Ho passato tutta la mia esistenza a sentirmi inadatta ed ora ho la possibilità di trovare il mio autentico posto. Mi chiedi cosa mi terrorizza, mio signore? Ebbene sono terrorizzata dall'eventualità di fallire. Questa è un'opportunità unica, ma davanti la strada mi è oscura e sconosciuta." Come un cieco che per la prima volta vede la luce del sole, Legolas si trovò a capire realmente quello che aveva scosso la ragazza. Per quanto uno desideri buttarsi nel baratro non è detto che non lo spaventi, Adamante era pur sempre molto giovane ed inesperta e questo salto nel vuoto non poteva lasciarla del tutto indifferente.“Renich man pennen nan Gwaith? | S – Ti ricordi cosa dissi alle Ombre? | L’ignoto spaventa ma solo in un modo si può rendere questa paura una forza: imparando a conoscere. Sono convinta di questo. Io voglio esplorare il mondo, voglio calpestare tutta la terra senza limiti e confini, voglio riempire il mio cuore della sapienza che mi è stata negata. Voglio che questa nebbia sia del tutto diradata, lo voglio davvero. Il panico invero circuisce la mia anima rendendola quasi impietrita, ma ...” disse tornando con il viso rivolto a Legolas. “... ma c'è una ragione per cui non mi sto tirando indietro, sopra ogni altra. Quella ragione risiede in te, mio Principe. Restami accanto, perchè è solo grazie alla tua presenza al mio fianco che trovo la forza per affrontare la foschia creata dalle mie paure e dalle mie incertezze!” rimasero senza proferire alcuna parola per molto tempo. Fu allora che i due innamorati compreso la natura dei propri sentimenti. Le due anime si erano congiunte nelle avversità e si conobbero in quell'istante, quando non c'era la fretta e la premura di scappare.Entrambi si trovavano a riflettere su quanto li legasse, era molto più forte di quello che potessero pensare, era qualcosa di accentrante, un amore profondo nato prima che s'incontrassero. I due complementari, che necessitavano di stare insieme. Legolas, armato di questa nuova cognizione, sciolse le mani da dietro la testa allargando il braccio verso la ragazza per invitarla al suo leggittimo posto. Adamante si rannicchiò sul suo torace posando l’orecchio all’altezza del cuore. Ascoltava il ritmo regolare dei suoi battiti sincronizzati con il suo respiro ed apprese che mai si era sentita a casa come allora. Le dita dell’elfo presero ad incastrarsi tra i capelli ancora umidi, percorrendoli nella loro lunghezza. Era questo che voleva in fin dei conti, soltanto tenerla abbracciata liberamente.

“Helluin naa êl uin menel. | S – Helluin è una stella del firmamento. |” la fanciulla, sorpresa per quella sua affermazione, sollevò la testa posando il mento contro il suo petto sopra la propria mano, per permettersi di osservare meglio il viso del suo amato, che con occhi adoranti non aveva smesso di fissarla. “Non lo sapevi?” Adamante scosse il capo negando. Si ritrovò molto interessata del discorso intrapreso. “Elbereth Gilthoniel, Signora delle Stelle, così chiamata per il più grande operato mai compiuto prima d’allora nella Terra di Mezzo, attinse dalle argentee rugiade delle tinozze di Telperion, argenteo albero sorto dal canto di Yvanna, ed accese nuove stelle per accogliere il risveglio dei Priminati. Radunò anche molte di quelle più antiche tra cui Wilwarin, Telumendil e Menelmacar (ndr. Wilwarin = Cassiopea; Menelmacar = Orione  ), spadaccino del cielo che preannunciava l’Ultima Battaglia che avrà luogo alla fine dei giorni. Si vuole proprio che quando quest’ultima prese posto nell'Ilmen ed Helluin apparve con il suo fuoco azzurro nella foschia sopra il confine del mondo, i Primogeniti di Ilùvatar si destarono presso il lago Cùivienen e mentre se ne stavano ancora silenziosi sulla riva, il loro occhi incontrarono per prima cosa le stelle del cielo. Perciò gli Eldar hanno da sempre amato il lume delle stelle. (Rif. Silmarillion; Cap. III “L’avvento degl’elfi e la cattività di Melkor”).” Adamante era rimasta concentrata e vigile per tutto il racconto. Si sentiva incantata dalla splendida voce di Legolas che narrava la nascita degl’elfi e della loro storia. Ma il suo desiderio di sapere non ne era rimasto sazio, i suoi occhi risplendevano della curiosità nata in quel frangente.

"Non sapevo il vero signficato del nome di mio padre, il tuo racconto è bellissimo. Mi sembrava di poter osservare il manto celeste puntellarsi di luce." disse emozianata la ragazza dirigendo lo sguardo verso l'alto. "Quando potremo ammirare gli astri mi piacerebbe molto che tu mi indicassi qual è questa stella e anche le altre. Voglio conoscere tutto delle nostre genti!" quel senso di appartenenza stava crescendo nella Guaritrice come il germoglio in primavera.

"Un grande onore ricopre il nome di Helluin e tuo padre era sicuramente degno di potersi fregiare del prestigio di cui era investito." rispose Legolas rinfrancato dall'interesse ostentato e da quel barlume di speranza che aveva iniziato a splendere fra di loro.

“Eri suo amico? Lo conoscevi?” chiese con fermento, investendolo con le sue parole. La sua impazienza di conoscere più a fondo quel lato della sua vita si manifestò con uno scatto repentino del busto, trovandosi così seduta di fronte all’elfo che la osservava quasi divertito da quel suo modo puerile di esporsi.

“Non sempre ha risieduto tra gli Elfi Silvani, le sue origine erano altre. Ma sì, lo conoscevo e spesso ci inoltravamo tra gli alberi per cacciare assieme. ” Sollevò la mano, la quale giaceva a terra dopo che la ragazza si era allontanata, e con il dorso tracciò la linea di velluto della mascella. Un nuovo quesito era nato nella fanciulla, poteva notarlo dall’espressione corrucciata che tratteneva negl’occhi e nella fronte aggrottata in tre rughe appena accennate. In Legolas invece un sorriso sovvenne nel vedere Adamante così interessata.

“Qual è la sua storia, allora? Ti prego raccontamela. Sapere le mie origini sarebbe un ottimo punto di partenza per costruire il mio futuro!” la reazione concitata di Adamante provocò una crescente ilarità nell’elfo, il quale prese a soffocare una risata trascinando per un braccio la Guaritrice verso di sé.

“So quanto ti preme conoscere il nostro passato, melamin, ma abbiamo un lungo viaggio da affrontare. Spero solo che non sia tua intenzione continuarlo nel silenzio come abbiamo fatto fino ad ora.” Disse ancora con il riso che gli ripercuoteva il petto. “Credo che invece sia giunto il momento di riposare. Dormi.” Il tono della sua voce andava progressivamente ad abbassarsi, diventando poco più che un fioco mormorio. “Sa Lòrien tîr erin eleig. Losto nîn Lothrhîw. Losto. | S – Che Lòrien [Lòrien = Inteso come il Vala Irmo] vegli sui tuoi sogni. Dormi, mio fiore d’inverno. Dormi. | ” E detto questo l’elfo prese ad intonare una nenia dalle tonalità dolci e piacevoli, accompagnando il calar delle palpebre della fanciulla. La mente della ragazza fu invasa da un torpore quasi immediato incantata da tale melodia che s’insinuava nei suoi tormenti, nel suo animo fino a raggiungere i sensi, intorpiditi dalla stanchezza che sembrò diventare insostenibile al suono della leggiadra voce di Legolas. Il suo fu un sonno vuoto, senza sogni, di quelli che depurano lo spirito e il corpo. Una tela vergine dove il pittore può scoprire la sua opera, o lo scultore può modellarela sua statua, o il bardo, se mi è concesso tale ardire, può cantare una lieta storia come questa. Una notte nuova, buia e spaventosa. Una notte in cui lo stolto cerca la luce del fiore di Telperion, ma che delle mani sapienti possono ricoprire di stelle.

 

Note dell'autrice: Salve!!!^^ Questo dovrebbe essere una sottospecie di prologo alla seconda parte con un po' di romanticismo. Avrei voluto approfondire la storia della nascita degl'elfi o magari la cosmologia di Arda che è splendida però temevo di annoiare. Comunque spero di non aver troppo riassunto non rendendogli giustizia. Per saperne di più su Helluin bisognerà attendere carre mie. Eh eh!!!

Il titolo signofica "Sotto la schiera di stelle", in realtà non ci sono ma le crea Legolas con il racconto.

Precisazione tecnica: Irmo, per chi non lo sapesse, detto il Signore del Desiderio, è considerato inoltre il Signore dei sogni e delle visioni. Veniva chiamato Lòrien per il posto in cui risiedeva. Per questo Legolas s'ingrazia a lui per i sogni. Ci saranno altri riferimenti ai Vala (la creazione è fantastica, se non si è capito mi piace la mitologia!!!)

Ah c'è stato un' imprecisione  nel capitolo scorso: prima di arrivare al Celduin, incrociano il Carnen che poi si dirama nel Celduin. Correggerò le indicazioni di Raja.

PS: DOMANDINA: Mi stavo chiedendo (ormai da settimane visto che i mei bambini sono ancora più usurati di come li avevo prima) che io ricordi non c'è un chiaro riferimento alla madre del nostro principe elfico negli scritti del professore? Non c'è un nome esatto, ho guardato un po' di alberi genealogici e ho ripercorso Lo Hobbit (questo più sommariamente) e il Silmarillion ma non mi sembra di averla trovata. Ho anche effettuato una ricerca su internet e niente. Magari mi sto sbagliando ma qualcun sa dirmi se Tolkien ne ha mai parlato, magari in qualche racconto che io non ho letto o magari mi è sfuggito. Di solito sono abbastanza brava nel ricordarmi nomi e parentele, ma Arda è così vasta e particolareggiata che è difficile districarsi, soprattutto quando possono esserci notizie fallaci. Grazie per la collaborazione. ^^

Rispostine:

Thiliol:  Mae govannen melloamin!Non ti nascondo che non vedo l'ora anch'io di scrivere i sani pucci pucci, insomma se lo sono meritato. Grazie per l'informazione sull' AU. Dalla spiegazione che ho trovato nel regolamento pensavo che si usasse solo per il contesto. Per il What if? Ma non so a questo punto non penso che sia necessario dal momento che l'avvertimento più consono è AU. Alle brutte si fa sempre in tempo ad inserirlo. Grazie sempre per i tuoi suggerimenti! Te ne sono davvero grata! Un bacione!!! ^^

RINGRAZIO INOLTRE I MIEI LETTORI.

Sempre vostra. Malice.

   
 
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