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Autore: Annina88    09/07/2010    6 recensioni
Non sono sicura di me stessa. Non sono sicura di lui. Sono sicura di noi. Di quello che abbiamo. Sono sicura di questo amore che mi ha strappato il cuore dal petto e lo ha chiuso in uno scrigno di cui solo lui possiede la chiave. E forse è stupido pensare che io non amerò mai nessuno come amo lui, che nessuno potrebbe amare qualcuno più di quanto io amo lui. Ma non sempre le cose stupide sono anche sbagliate. E la verità è talmente ovvia che negarla sarebbe solo un tentativo sciocco di sembrare meno…stupida, appunto. Ma non posso incolpare me stessa per amarlo in un modo talmente irrazionale, e folle, e sconfinato. D’altro canto, se non lo amassi in questo modo, non avrei risposto “si” alla domanda che mi fece sei mesi fa… Ennesima one shot sulla mia massima fonte di ispirazione, Robert Pattinson. Spero che vi piaccia...il titolo penso sia abbastanza eloquente, perciò non ho bisogno di aggiungere altro sulla trama.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- The Wedding -



Sei bellissima, mia mamma non me lo aveva mai detto. O forse me lo aveva detto quando ancora non ero in grado di capirlo. Di certo, non mi ha mai guardata così, con gli occhi neri che tentano di ricacciare indietro quel pianto che, già lo so, troverà pieno sfogo quando mi vedrà varcare la sacra soglia. Non che lei mi reputi brutta, tutt’altro, ma chissà perché riesce sempre a trovarmi un qualche difetto. Che sia il mio abbigliamento, che siano i miei capelli, che sia la mia pelle, che sia il trucco che non metto e che quando metto è un disastro, qualcosa che non va, lei, la trova sempre. Vuole che io sia perfetta anche in pigiama, vuole che io si bellissima, perché mi ha sempre reputata in grado di esserlo. Be, oggi, forse per la prima volta, mi guarda come se lo fossi davvero, perfetta e bellissima. Magari è solo perché deve, magari è solo perché oggi non può proprio non pensarla diversamente. Non lo so, ma che m’importa? Lei mi vuole bene. Ed io non ho indossato questo splendido vestito bianco, questo filo argentato attorno al collo, questo trucco che nasconde ogni minima imperfezione e questi fiori tra i capelli perfettamente raccolti per essere bellissima.
Oggi non voglio essere bellissima. Oggi voglio solo essere sua.
Il viaggio verso la chiesa è breve. Mio fratello guida la berlina blu perfettamente lucida. Mio padre se ne sta in silenzio sul sedile davanti, pensando ad un’altra figlia che se ne va. Accanto a me, la mia nipotina di sette anni gioca con l’orlo del suo vestitino ciclamino. Ed io fisso il paesaggio che scorre lento oltre il finestrino. Tengo stretto con entrambe le mani il mio bouquet di roselline bianche, puntellato qua e là di violette che non potevano mancare, perché il viola è il mio colore preferito.
E lui? Cosa starà facendo lui? Lui, mi starà aspettando.
Non mi sono svegliata, stamattina, con quello sciocco timore di ritrovarmi da sola all’altare. Non mi sono posta domande tipo “e se ci ripensa?”, “e se quando mi vede in modalità meringa cambia idea e scappa?”, “e se durante l’addio al celibato ha incontrato qualche modella degna della sua bellezza?”. No. Non ho mai avuto paura. Forse la mia è presunzione, ma io preferisco chiamarla sicurezza.
Non sono sicura di me stessa. Non sono sicura di lui. Sono sicura di noi. Di quello che abbiamo. Sono sicura di questo amore che mi ha strappato il cuore dal petto e lo ha chiuso in uno scrigno di cui solo lui possiede la chiave. E forse è stupido pensare che io non amerò mai nessuno come amo lui, che nessuno potrebbe amare qualcuno più di quanto io amo lui. Ma non sempre le cose stupide sono anche sbagliate. E la verità è talmente ovvia che negarla sarebbe solo un tentativo sciocco di sembrare meno…stupida, appunto. Ma non posso incolpare me stessa per amarlo in un modo talmente irrazionale, e folle, e sconfinato. D’altro canto, se non lo amassi in questo modo, non avrei risposto “si” alla domanda che mi fece sei mesi fa…

“Amore, sei tu?”
La sua voce proviene dalla cucina, e mi stupisco. Quando è a casa tra un progetto e l’altro, ogni volta che rientro dal lavoro lo trovo sempre stravaccato sul divano a guardare un film, a leggere un libro, più spesso a suonare la chitarra. Ed al mondo non esiste modo migliore per rincasare, con il suono di quelle vecchie corde pizzicate dalle sue lunghe dita.
Ma oggi, è diverso. E’ in cucina, ed è strano. E’ totalmente incapace di preparare una cena decente, e poiché ho eliminato dalla dispensa ogni sorta di quelle schifezze che lui adora e che finiranno per fargli venire il cancro allo stomaco, sono sempre io quella che armeggia con mestoli, padelle e mattarello. Ed anche se sono stanca, lo faccio volentieri, perché a causa del suo lavoro, non ho molte occasioni di cucinare per lui.
“No, sono la tua amante focosa che ne ha ancora voglia” grido, mentre appendo il cappotto all’appendiabiti.
“Ah, meno male! Mi ero quasi preoccupato…”
Facciamo questo giochino da almeno un anno, praticamente da quando abbiamo cominciato questa folle convivenza.
Getto la borsa sul divano, e, mentre mi avvicino alla cucina, i miei sensi iniziano a percepire segnali inquietanti. Rumore di padelle e di piatti, ed un odore che mi stupisco a riconoscere come profumo di sugo di pomodoro e ragù di carne. Intercetto anche una scia diversa, che sembra essere…cioccolato.
Quasi mi convinco di essere entrata nella casa sbagliata, ma quando entro in cucina mi devo ricredere. Questa è davvero casa mia. I fornelli sono accesi. Il forno è in funzione. Dell’acqua bolle in una pentola. Il sugo borbotta nella padella. E dietro a tutto questo, c’è lui. Riconoscerei la sua schiena ovunque, e meglio ancora riconoscerei i suoi capelli, perché sono esattamente i suoi. La sua chioma è un po’ come lui, perché è pazza, fuori da ogni logica, senza una forma, senza possibilità di domarla, nemmeno il colore è definibile: al primo impatto, può sembrare un biondo scuro, ma poi lo guardi bene e ti rendi conto che forse è un castano chiaro, e se spunta il sole, la faccenda si complica, perché appaiono dei magnifici riflessi bronzei.
Quando si volta verso di me e mi sorride come se mi stesse aspettando da tutta la vita, mi rimbalza addosso la verità, tante volte appurata, che niente, in lui, è normale. Niente di lui si avvicina minimamente al concetto di normalità. A partire dal suo viso, che più che quello di un uomo somiglia un po’ troppo a quello di un angelo. Non che io ne abbia incontrati molti, di angeli, a dire il vero non so nemmeno se abbiano una faccia, però se il suo fosse il viso di un uomo, prima o poi avrei dovuto incontrare qualcuno che avesse un volto simile, e invece no. Ed io, di quel viso amo ogni dettaglio. La linea marcata della mascella, la curva gentile delle guance che tanto spesso si tingono di rosso, le labbra sottili e incredibilmente rosse, la barbetta persistente che dà quel tocco di virilità alla perfezione. Non esiste nessuno con un volto così, perciò devo dedurre che il suo viso trascenda la realtà umana. Può essere un angelo, può essere un dio, o un semidio, di certo non può essere semplicemente un uomo.
E poi, oggigiorno, quasi tutti gli uomini sanno sbrigare qualche lavoro domestico. Lui è completamente negato! Per questo me ne sto qui impalata a fissarlo come se non lo riconoscessi.
“Ma…stai cucinando?” balbetto.
“Ottima intuizione, Sherlock!” risponde, gettando le tagliatelle nella pentola d’acqua.
“Ma chi sei tu?! Che ne hai fatto del mio ragazzo?!”
Lo vedo scoppiare in una di quelle sue risate sceme e incontrollabili, quelle risate che a volte lo fan sembrare un idiota ma che inevitabilmente ti coinvolgono e ti risucchiano come un vortice, e ti ritrovi a ridere con lui e come lui. Solo che, in questo momento, sono troppo sconvolta persino per quello.
“Diciamo che l’ho chiuso nell’armadio per qualche ora, ma il sostituto è così inguardabile da non meritare nemmeno un bacio?”
Me lo chiede con un tono ed uno sguardo che sono un frullato di innocenza e malizia, ergo irresistibili. Sono due, i metri che ci separano, eppure gli corro incontro, perché improvvisamente mi sono ricordata che ho trascorso le ultime otto ore senza di lui. Un nulla, in confronto ai mesi in cui lui è assente, ma anche in quelle otto ore mi sento come se mancasse la parte fondamentale di me. Lui è la mia vita, è il mio ossigeno, e solo quando sono di nuovo insieme a lui posso tornare a respirare.
Le mie braccia si allacciano attorno al suo collo e le mie labbra accolgono l’invito delle sue. Non so che sapore abbia la sua bocca quando è separata dalla mia, so solo che quando lo bacio, ho l’impressione di star gustando una mousse di frutti di bosco. Le nostre lingue si conoscono bene, come due amanti di vecchia data, eppure non si stancano mai di rincorrersi e scoprirsi come due bambini. Come noi. Quando ci separiamo, ho il fiato corto, le palpitazioni e la tremarella alle ginocchia. Tanto spesso, lui mi fa sentire come un’adolescente alla sua prima cotta. Altre volte, divento quella donna piena di voglie indicibili e pensieri talmente impuri che potrebbero davvero condannarmi all’inferno.
“Mi sei mancata” sussurra la sua voce arrochita, mentre le sue labbra mi accarezzano il collo e le sue mani vagano lungo la mia schiena.
“Anche tu, amore. Come sempre…ma se non la smetti finisce che ti trascino con me sul pavimento e mando all’aria tutto questo miracolo”
Ridacchia contro la mia pelle, perfettamente cosciente, il bastardo, dell’effetto che scatena sulla sottoscritta. Solleva la testa per tornare a guardarmi, dall’alto del suo splendente metro e ottantanove. Un giorno, la mia insistenza a non voler colmare con un qualsiasi tipo di tacco i venti centimetri abbondanti che ci separano, condurrà ad un torcicollo perenne per lui e ad una frattura alle caviglie per me. Ma dopo quattro anni, ancora ce la caviamo.
“Dai siediti, è quasi pronto”. Mi ruba un altro bacio, prima di tornare ai fornelli.
Mi accorgo ora che ha anche apparecchiato la tavola in modo pressoché perfetto. Mi siedo al mio solito posto, ancora sbigottita. Faccio un po’ mente locale, perché oggi potrebbe essere un giorno importante per la nostra storia ed io me ne sono dimenticata. Non è il mio compleanno. Non è nemmeno il suo. Non è il nostro anniversario, e non è nemmeno il mesiversario. Oggi è il 18 gennaio e noi ci siamo conosciuti a marzo. Forse ha firmato un contratto importante di cui non mi aveva parlato, ma di solito ne discute sempre prima con me. Niente, non capisco.
“Amore…ma a cosa devo tutto questo?”
Non mi risponde. Si avvicina al forno e sbircia dentro.
“Ah, bene! E’ pronta!” esclama tutto soddisfatto.
Apre il portellino ed estrae quella che sembra una splendida torta di cioccolato, di quelle semplici con il pan di spagna al cacao.
“Devo chiamare un esorcista per caso? Hai fatto anche la torta?!”
“Eh si, so che la adori…”
Un sospetto inizia a formularsi nella mia mente confusa.
“Amore…non è che hai combinato qualcosa e stai cercando di farti perdonare?”
Sorride, mentre scola la pasta.
“Amore mio, con tutto lo sconvolgimento e i casini che ho portato nella tua vita, dovrei cucinare ogni giorno per farmi perdonare…”
Non so cosa rispondergli, perché piuttosto che parlare preferisco godermi lo spettacolo di lui che mescola la pasta con il ragù con la grazia di un elefante, ma con successo. Prende un sottopentola e porta la padella calda sul tavolo.
“Eccola servita, madame” e si esibisce persino in un inchino da perfetto gentiluomo d’altri tempi.
E’ così buffo e così folle, il mio amore.
Il primo boccone è un po’ riluttante. Ho il terrore che abbia usato lo zucchero anziché il sale, perché ne sarebbe davvero capace. E invece, mi ritrovo a gustare delle tagliatelle perfettamente al dente, condite con un sugo davvero delizioso. Mi complimento con lui più e più volte, ed il mio è anche un sottile incoraggiamento a dilettarsi più spesso in cucina, così che qualche sera possa essere io quella che si stravacca sul divano. Perfino la torta è buonissima, anche se non è venuta proprio morbida come avrebbe dovuto essere, ma basta fare un po’ di pratica.
“Amore, era tutto ottimo, davvero, ma ora mi spieghi perché?”
“Be, sai…a 28 anni penso che un uomo debba imparare ad essere autosufficiente”
“Mmm…chissà perché non mi convince…”
“Dev’esserci per forza un motivo se ho voglia di cucinare per la mia ragazza?” mi domanda sfuggente.
“Be, nel tuo caso…si”
Distoglie lo sguardo e sorride, ma in maniera nervosa, come a dire “beccato!”. Mentre fissa il suo piatto vuoto, cerco di immaginare cosa stia cercando di dire o fare. Escludo subito che le sue siano brutte notizie, per due motivi: primo, dubito che mi avrebbe fatto una sorpresa piacevole come trovarlo in cucina per annunciarmi che vuole lasciarmi, secondo, la mia mente semplicemente si rifiuta di prendere in considerazione tale ipotesi. Perciò, sotto dev’esserci qualcosa di buono, e per questo non sto più nella pelle.
“Mi vuoi dire cosa c’è, o devo iniziare a preoccuparmi?”
“E va bene! Va bene!” sbotta, scuotendo la testa e alzandosi improvvisamente, facendo quasi ribaltare la sedia.
“Torno subito” bisbiglia, prima di baciarmi la punta del naso.
Poi scompare, ed io mi rilasso sulla sedia. Con la forchetta, stacco un altro pezzettino di torta dal vassoio e mi gusto l’ultimo peccato di gola di questa giornata. Un minuto dopo, lui rientra in cucina e quando lo vedo non so se ridere o piangere.
“E quella cosa sarebbe?” domando, lasciando trasparire una certa sorpresa.
“Una cravatta” risponde ovvio.
“Lo so che è una cravatta…ma da quando s’indossano le cravatte in casa e soprattutto sopra una t-shirt? E poi cosa stai nascondendo lì dietro?”
“Ti prego, ti prego! Lo so che ti sembro ridicolo…però…lasciami prima fare quello che devo fare e poi potrai prendermi per il culo quanto vuoi, ok?”
Provo quasi tenerezza nel vederlo così. E’ chiaramente in difficoltà, è teso e nervoso, e non so nemmeno perché. Non ho idea di cosa stia succedendo, ma è anche della sua follia che mi sono perdutamente innamorata. Non so mai che aspettarmi da lui, ed ora eccolo qua: prima cucina, poi si mette la cravatta sopra un’anonima t-shirt bianca. Quale spettacolo stia mettendo in scena, lo saprò solo gli permetto di continuare.
“Ok…”
“Bene”
Si avvicina a me e si accuccia accanto alla sedia, piegandosi sulle ginocchia, ed è strano ritrovarmi più alta di lui. Allunga le braccia, ma invece che incontrare il suo abbraccio, mi ritrovo con una coroncina di carta e plastica sulla testa, di quelle che si reggono con un elastico. Ora davvero non ci sto capendo più niente…
“Ma che cos-“
“Shhh” mi zittisce, poggiando l’indice sulle mie labbra. “Adesso parlo io, poi quando sarà il tuo turno, potrai dire quello che vuoi, promesso”
Non ho altra scelta che fidarmi.
Prende un bel respiro, fissa per qualche secondo le piastrelle che compongono il pavimento, e poi torna a guardarmi. Con un’intensità che quasi mi ferisce, tanto che il mio cuore sembra diventare piccolo piccolo per poi scomparire nel nulla.
“Stasera avrei dovuto…avrei voluto portarti fuori a cena, in uno di quei ristoranti costosissimi in cui manca solo che ti portino in braccio sino alla sedia. Magari un posto sul Tamigi, o su una terrazza panoramica. Avrei sfruttato il mio nome, ed anche i miei soldi, per avere il tavolo migliore nel ristorante migliore con la cucina migliore e la vista migliore. Mi sarei messo la cravatta, e sai che la metto soltanto per gli eventi pubblici e ogni tanto in televisione. Ti avrei comprato quel vestito che ti piace tanto e che non hai nemmeno voluto provare perché costava troppo. E finalmente sarei stato davvero, davvero orgoglioso di essere quello sono, perché finalmente sarei stato il tuo principe e ti avrei fatta sentire una regina…”
So che il discorso non è concluso. So che andrà avanti, non so come, ma andrà avanti e comunque si concluderà, saranno le parole più belle che io abbia mai sentito. Per questo, il mio cuore, che improvvisamente ha ritrovato il suo posto, sta galoppando nelle prateria. Per questo, sento che i miei occhi si stanno giù inumidendo.
“Ma non l’ho fatto. Non l’ho fatto perché, mai come questa sera, ho voluto essere normale. Non volevo uscire a cena ed essere continuamente disturbato da qualcuno che mi chiede un autografo. Non volevo che ti sentissi costretta ad indossare quei tacchi che non sopporti. Non volevo ritrovarmi in uno di quegli ambienti lussuosi e snob in cui né tu né io ci sentiamo a nostro agio. Volevo che fossimo…noi. Semplicemente, tu ed io. Però, come vedi, mi sono messo la cravatta ed ho cucinato, per farti capire che anche un bambinone come me può diventare grande e prendersi cura di te. E ti ho messo questa coroncina in testa perché volevo che tu ti sentissi una regina anche senza un bel vestito e tra le mura di casa nostra. Tu sarai la mia regina ogni giorno, perché giuro che non ti farò mai mancare nulla.”
Sorrido, mentre con il dorso delle dita raccoglie le prime lacrime sfuggite al mio controllo. Non respiro, perché temo che una cosa tanto bella possa sparire anche con il più leggero dei suoni.
“Non voglio prometterti che sarò l’uomo perfetto, perché io sono esattamente l’opposto e sbaglierò tante, tante, tante volte. E non sto cercando di…pararmi il culo per il futuro, sto solo dicendo che se la tua risposta sarà no io…lo capisco.”
Risposta? Quale…quale risposta? A quale do…domanda? I…io…
Perfino i miei pensieri balbettano come un disco inceppato, e per questo non oso dar loro voce. Anche perché credo di avere le corde vocali attorcigliate insieme allo stomaco.
“Ma se mi risponderai si, io prometto che…io prometto…Ma no, niente promesse. Non voglio che tu mi risponda si per le mie promesse, anche perché mi odierei troppo se non riuscissi a mantenerle. Però una cosa posso promettertela, si, perché è l’unica cosa di cui sono pienamente convinto, il motivo per cui ho organizzato tutta questa messa in scena ed il motivo per cui sto facendo la figura dell’idiota da circa mezz’ora…”
Ridacchio nervosamente, mordendomi il labbro inferiore fino a quasi sanguinare. Mi fermo solo quando il suo sguardo s’incatena al mio, imprigionandomi ed immobilizzandomi completamente. Con quei suoi occhi che mi hanno resa assolutamente sua dal primo istante in cui hanno incontrato i miei.
“Io ti amo. Ti amo da sempre e prometto che ti amerò finché avrò la forza di respirare. Perché amarti per me è esattamente come respirare. E scusami, scusami per quei giorni in cui non te l’ho detto e quei giorni in cui non te lo dirò, ma ti prego, non devi mai, nemmeno per un secondo, dubitare di questo. Mai. Perché se non fosse così, se io non ti amassi più di ogni altra cosa al mondo…io…non ti darei questo…”
I miei occhi, totalmente appannati, si concentrano sulla sua mano che va verso la tasca posteriore dei suoi jeans. Le sue dita afferrano una scatolina di velluto blu e la posano delicatamente sul tavolo, proprio davanti a me. Non serve che io la apra per sapere cosa nasconde. Non ho bisogno di vedere per esplodere nel pianto più felice di tutta la mia vita. Magari è un ciondolo. Magari un paio di orecchini. Magari le chiavi di una macchina nuova. Sono le parole che ha detto…quello che rappresentano che mi fanno sentire come se non fossimo più sulla Terra. Come se fossimo su un pianeta isolato dove esistiamo solo noi nella nostra bolla felice e perfetta.
Ma ora, mi farò coraggio. Ora aprirò questa scatolina. E se dentro dovesse esserci…quello che penso, giuro che inizierò a torturami di pizzicotti per provare a me stessa che questo non è solo un bellissimo sogno.
Le mie dita tremano, mentre sfiorano la superficie liscia della custodia tondeggiante. La prendo in mano, come se reggessi un cristallo molto fragile. Mi mordicchio di nuovo il labbro e...apro…e mi gira la testa…e un po’ voglio morire…e un po’ non mi sono mai sentito tanto viva…e un po’ non ci credo…e un po’ voglio troppo crederci…
Un anello. Un anello bellissimo. Una fede argentata che culmina in un piccolo diamante, le cui sfaccettature colpite dalla luce della lampada sopra le nostre teste, brillano creando ognuna il proprio arcobaleno. Non ci sono parole per descriverne la bellezza, tantomeno per descriverne il significato.
Mi porto una mano alla bocca, singhiozzando come una casalinga disperata alla prima visione di “Love story”. Vorrei urlare, ma anche starmene zitta a fissare questo anello che, per quanto bello, non si avvicina minimamente agli occhi celesti del mio amore. Non so come dove trovo la forza per tornare a guardarlo, perché sono certa che la mia faccia adesso sia una maschera orribile, bagnata e patetica.
Non mi sono nemmeno accorta che, nel frattempo, si è inginocchiato. Lui, che ha il mondo ai suoi piedi, si è inginocchiato davanti a me.
“Vuoi sposarmi?”
A chiedermelo, è ogni minuscola parte di lui. I suoi occhi, la sua bocca, le sue mani, il suo cuore, la sua mente, tutto il suo corpo, tutti suoi desideri. Ed io, potrei trascorrere l’eternità a frugare in ogni angolo del mondo, senza mai riuscire a trovare un solo motivo per cui non dovrei rispondergli si. Unirmi a lui, in ogni modo possibile, questo è tutto ciò che desidero e che ho sempre desiderato. Non si tratta solo di un anello, di una firma su un contratto, non è per l’orgoglio che avrei nel portare il suo cognome. E’ la pura e semplice consapevolezza di volersi legare in maniera indissolubile. E’ una promessa, la promessa di quel “per sempre” a cui pochi ancora credono, ma che per me, per lui, per noi, è tutto, perché non accetteremmo mai l’idea di poterci amare meno.
“Si…si!”
Ed il suo sorriso, dopo la mia risposta, non potrò mai, mai, mai dimenticarlo, perché è la cosa più bella che io abbia mai visto in tutta la mia vita.

Quando incontro i suoi occhi, tutto svanisce.
Non sto più camminando lungo la navata.
Sento a mala pena il contatto del braccio di mio padre.
Gli invitati, che se ne stanno in piedi ad ammirare il cammino della sposa, diventano solo una macchia colorata, senza volti, né sguardi, né voci.
Non sento il profumo dei fiori.
Non sento la musica che proviene dall’organo.
Non vedo il prete, non vedo i testimoni.
C’è soltanto lui.
E’ immobile. E mi guarda come non mi ha mai guardato. Mi guarda come se non mi avesse mai vista, e come se non volesse vedere nient’altro. Mi guarda come se non ci credesse, come se avesse paura di vedermi svanire. Mi guarda come se al mondo non esistesse null’altro. Mi guarda come se questo fosse il giorno più bello della sua vita. Mi guarda come se qualunque cosa brutta sia successa in passato e succeda in futuro, non contasse più nulla. Mi guarda come se avesse voglia di ripetere tutto un’altra volta, purché lo conduca di nuovo qui.
Per questo, c’è soltanto lui.
Ci sono solamente i suoi occhi, che in questo momento sono spaventosamente colorati e immensi come l’oceano. E’ come se mi stessero risucchiando, come se mi ci perdessi dentro. Affondo in quei due zaffiri sfaccettati di minuscoli smeraldi. Anche i suoi occhi, come i suoi capelli, come lui, sono indescrivibili. Non so di che colore siano, so solo che mi ricordano il cielo, a volte il mare, ma son sempre il mio paradiso, il mio rifugio sicuro, l’ancora che mi tiene attaccata alla vita.
Quando li vidi per la prima volta, pensai a come avrei potuto continuare a vivere senza di loro…

Quando mi apre la porta, è come se morissi.
E’ come se tutto, il mio cervello, il mio corpo, il mio cuore, si scollegassero dal resto del mondo.
Le orecchie mi fischiano e la vista si appanna. Ho paura di svenire, ma so che non succederà, perché non posso rischiare un’apocalittica figura di merda proprio davanti a lui.
E non è che io non voglia svenire solo perché lui è l’attore più famoso, richiesto e pagato del momento -anche se si tratta di un dettaglio non proprio da trascurare. Più che altro, non ho voglia di svenire davanti all’uomo per cui ho perso la testa da…diciamo cinque secondi.
Questa non è la prima volta che lo vedo, ovviamente. A meno che non ci si sia voluti rinchiudere in un qualche monastero in Tibet, tutti sanno chi è lui. Tutti, almeno una volta, hanno visto la sua immagina su una rivista o in televisione. Succede così, quando improvvisamente diventi uno degli uomini più belli del mondo.
Che lui fosse bello, non ho mai avuto dubbi, perché l’oggettività è di per sé innegabile.
Ma che lui fosse così bello, io davvero non me lo aspettavo.
“Ciao…” mi dice, aggrottando la fronte e fissandomi con aria quasi preoccupata.
Perfetto, nemmeno dieci secondi, e già nutre dei dubbi sulla mia salute mentale…E come dargli torto, visto che me sto impalata con l’espressione da creatura “rincitrullulita” del bosco di Bambie.
“Ehm…tu sei…l’assistente di Melissa Rosenberg, vero?”
Mi viene in aiuto, questo gentile splendore. Chissà quante volte gli sarà capitato d’imbambolare le ragazze semplicemente esistendo.
“Ehm…si, si sono io” mi scuoto, ritrovando improvvisamente la lucidità.
Le sue labbra si tendono in un sorriso sollevato, come se fosse felice di non dover telefonare alla neuro.
“Anna, giusto?”
“Si”
Oh. Mio. Dio. Ha pronunciato il mio nome italiano con un accento inglese che avrebbe anche potuto sciogliermi e farmi diventare una specie di uovo all’occhio di bue sparso sul pavimento.
Impazzirò, me lo sento. Il processo di perdita della sanità mentale è già iniziato.
“Accomodati pure”
Si scosta dalla porta per lasciarmi passare. Varco la soglia quasi timorosa, perché ho la sensazione che, compiuto questo passo, la mia vita non sarà mai più la stessa. Io non sarò mai più la stessa, ma temo che questo sia dovuto a quando, un minuto fa, i miei occhi si son posati sui suoi. Grave errore. Gravissimo. Mortale, oserei dire.
“Scusa il disordine, ma sai…non sono mai stato portato per le faccende domestiche”
Mentre parla raccoglie un paio di magliette che non so come son finite per terra. Quella che dovrebbe essere una suite somiglia più ad un accampamento nomade. Sul tavolino davanti al divano c’è un pacchetto vuoto di patatine, un posacenere con un paio di mozziconi ed una pila di quattro o cinque dvd noleggiati da Blockbuster. Una lattina mezza accartocciata di Coca Cola spunta da sotto il divano, su cui se ne sta appollaiata una vecchia chitarra classica.
“Stavi suonando?”
Mi esce così, questa domanda che non so perché mi sa di troppo confidenziale, di troppo intima. Mi mordo la lingua, perché lui ha l’aria del divo riluttante che almeno qualcosa di suo, della sua vita, se lo vorrebbe tenere per sé. Forse la chitarra è il suo piccolo angolo di pace in cui torna ad essere solamente se stesso, ed io con la mia domanda, lo sto invadendo senza alcun ritegno. Posso iniziare a scavarmi la fossa o devo aspettare che lo faccia lui? Lui, che tuttavia mi guarda come se il mio impicciarmi gli fosse in qualche modo gradito.
“Si…ehm…più che altro strimpellavo note a caso e cercavo un modo per dare un senso a quel che ne usciva. E’ che nella mi testa c’è un tale casino che…che non so nemmeno io di che diamine parlo…Scusa, sicuramente ti sembrerò un idiota”
Allora, mi sono appena innamorata perdutamente di un idiota.
“Credimi, di idioti ne ho conosciuti tanti nella mia vita e non ti somigliano nemmeno un po’…”
Ma che cazzo ho detto? Ora mi metto pure a fargli il filo così apertamente? Contegno, Anna! Contegno, maledizione!
Però lui, se non è un idiota, è un gran bastardo. Perché ora mi sorride con così tenero imbarazzo che mi sento improvvisamente febbricitante ed ha quella mano tra i capelli che non so davvero che cosa invidiare, se la mano che tocca quei capelli o i capelli che vengono toccati da quella mano.
Dio, ma che dita sono quelle? Sono così lunghe…Che diavolo ci fa con quelle dita, eh? Come se tutto il resto del suo corpo, e tutto il resto di lui, non incoraggiasse abbastanza pensieri a dir poco depravati…Scommetto che se la sua chitarra avesse una voce, urlerebbe come una donna in preda all’orgasmo, mentre con quei polpastrelli ne pizzica le corde con maestria.
“Siediti pure, se vuoi!”
Lascio che sposti la chitarra per riporla delicatamente in una custodia in pelle nera e mi accomodo sul divano.
“Vuoi qualcosa da bere?”
“No grazie, sono a posto…e poi diciamo pure che non bevo sul lavoro”
Ridacchio isterica della mia stessa penosissima battuta, e il suo sguardo da punto interrogativo è un po’ lo specchio della mia attuale deficienza.
“Ok…ehm…allora, tu sei qui perché devi consegnarmi una cosa, giusto?”
Si…il mio cuore.
“Esatto”
Apro la borsa e prendo la cartellina a cui manca solamente il timbro “top secret” per essere considerato ufficialmente tale. E’ lo script di “Breaking Dawn”, ed il mio capo, Melissa Rosenberg, autrice di codesta opera, mi ha incaricato di consegnare una copia ad ogni attore che prenderà parte al film.
Le nostre dita si sfiorano, mentre il copione passa dalle mie mani alle sue, ed è come se una scossa elettrica penetrasse attraverso la pelle. L’idea che lui si accorga dell’effetto che ha su di me mi terrorizza a morte. Non voglio che pensi che io sia l’ennesima ragazzina che grida e si strappa i capelli in sua presenza. E’ chiaro, l’ho sempre considerato un bel ragazzo, ma soprattutto l’ho sempre apprezzato come il talentuoso artista che è. Di bellocci senza sostanza ce ne sono fin troppi in giro – un po’ come gli idioti – ma lui merita decisamente molto più rispetto e considerazione. Anche se il suo fascino diventa irresistibile quando si ritrova a gironzolare dalle tue parti e senti che il cuore sta quasi per scoppiare, lui è soprattutto un ragazzo di talento, un uomo che tenta in qualunque modo di scrollarsi di dosso quell’identità di idolo delle adolescenti che lui non ha mai chiesto gli fosse attribuita.
“E’ un bel malloppo. Ne avrò di compiti da fare quest’estate…” scherza, mentre sfoglia rapidamente il copione.
“Immagino però che tu sia abituato…”
“Si…ma forse avrai saputo dei miei problemi di memoria, e la cosa peggiore di questi film è che non ti è concesso improvvisare perché…”
“Perché il personaggio è già troppo costruito e definito…e se cambi qualcosa, ci saranno circa un miliardo di ragazzine che saranno pronte ad appenderti alla Bastiglia”
“Giusto” sussurra stupito.
Mi fissa con un mezzo sorriso ed uno sguardo quasi incantato, come se le mie parole gli avessero appena cambiato la vita. Sorrido ed abbasso lo sguardo, sentendomi un po’ a disagio. Avere quei suoi occhi su di me e sentirmi avvampare d’imbarazzo mi ricorda tanto il mio primo bacio, quel momento nella vita di ogni donna in cui tutto, ma proprio tutta, diventa magia.
“Dev’essere…dev’essere quasi…frustrante per te” mi azzardo a dire, anche per interrompere l’imbarazzante silenzio sceso tra di noi.
“Lo è, in effetti…”
Si siede sbuffando sul divano, accanto a me, ma mantenendo una sorta di distanza di sicurezza, come se non volesse sembrare azzardato.
“So che farò la figura di quello che sputa nel piatto in cui mangia, ma sebbene sia grato per le opportunità che mi ha dato essere Edward Cullen, non vedo l’ora che tutto questo finisca…”
Parla tenendo la testa reclinata, appoggiata allo schienale, e lo sguardo fisso sul soffitto. Mi ritrovo ad ammirare la curva accentuata della mascella sotto l’orecchio e due piccoli nei gemelli sulla nuca, e scopro di essere diventata una maniaca senza speranza, perché perfino quei dettagli mi sembrano infinitamente attraenti. Il profilo delle labbra color pesca è incantevole. La maglietta bianca e anonima che indossa mette in risalto la finezza dei bicipiti e dei pettorali, ben definiti da un po’ di lavoro in palestra, ma non così grossi da lasciare intendere che lui ne sia un assiduo frequentatore. Il suo corpo è davvero la cosa più perfetta che io abbia mai visto. La sua pelle ha il colore del latte, e vorrei toccarla anche solo per sentire se è fredda o calda.
In tutta questa sua abbagliante bellezza, c’è solo un elemento che stona: il suo sguardo. Vi leggo malinconia, e soprattutto stanchezza, ed anche qualche sfumature di rabbia. Qualcuno potrebbe domandarsi di che cosa diavolo si lamenti uno che ha un traboccante conto in banca e che basta che respiri per avere le donne ai suoi piedi. Il punto è che questo ragazzo mi sembra un po’ troppo sensibile per soffermarsi su questi aspetti triviali della vita.
“Ho una paura fottuta che la gente non mi prenda mai sul serio. E’ assurdo pensare che proprio il ruolo che mi ha aperto un sacco di porte allo stesso tempo mi faccia apparire sempre e solo come quello che ha fatto Twilight…Io non sono così. Io voglio essere…qualcosa di più. Io…io non so nemmeno perché ti sto dicendo tutto questo…non ti conosco neanche…”
Ora sorride amaramente e si copre il volto con le mani, come se si vergognasse. Ho voglia di abbracciarlo e sussurrargli che andrà tutto bene, perché lui è eccezionale. Ho voglia di accarezzargli il capelli e lasciarlo addormentare con la testa sul mio grembo. Ho voglia di ascoltare il suo respiro mentre la mia mente si annebbia del suo odore.
Il suo odore, mi piace. Da morire. Quando uscirò da questa stanza sarà la cosa che mi mancherà di più, oltre ai suoi occhi. Non è che lui profumi di qualcosa in particolare, non profuma di erba tagliata, di menta o di vaniglia. Semplicemente profuma di buono. Il suo odore è accogliente, familiare, ti fa stare bene, ti fa sentire al sicuro e…parte di qualcosa.
“Chissà…forse ti ispiro fiducia…o forse qualcosa di me ti fa venire in mente tutte quelle ragazzine che ti idolatrano e sfogandomi con me è come se volessi lanciare un messaggio anche a loro…”
“O forse è solo perché…mi sento bene…con te…”
Il mio cuore forse ha smesso di battere. Il mio respiro forse si è bloccato. Il mio cervello è in stand by. Eppure perché mi sento così viva? Che mi dicesse una cosa tanto bella, non ho osato nemmeno sperarlo. Possibile che lui, in questi pochi minuti, abbia provato almeno un centesimo delle sensazioni che hanno travolto me?
“Ma che cazzo sto dicendo? Scusami, devo sembrarti proprio malato…”
“Idiota, malato…noto che hai un’elevatissima considerazione di te stesso! Il fatto che tu non riconosca le tue qualità è quasi irritante…”
“Scusami…”
“Vuoi smetterla di scusarti? Diamine, solitamente gli uomini non ti chiedono scusa nemmeno una volta nella vita, e tu lo hai già fatto tre volte nell’arco di cinque minuti…Non sarai idiota né tantomeno malato, ma di certo sei strano”
Lascia scivolare le mani lontano dal suo volto, permettendomi finalmente di rimirare lo spettacolo dei suoi occhi. Ha lo sguardo di un bimbo sperduto, e un po’ mi sento in colpa perché forse ho esagerato con la sincerità. Ma lui me l’ha proprio strappata dal petto e mentirgli mi è impossibile, non ci riuscirei nemmeno se volessi.
Mi sento meglio quando, dal nulla, scoppia a ridere. Sarà per la situazione semplicemente assurda, sarà per sciogliere la tensione che ha trasformato questa stanza in uno studio medico e questo divano in un lettino da psicologo, ma nemmeno io riesco a trattenermi e mi lascio coinvolgere dalla sua risata cristallina e quasi infantile.
“Ora devo andare…” mormoro, fissando la porta, perché non oso guardarlo mentre la sua euforia si spegne, e non oso guardarlo mentre io stesso annuncio la mia imminente dipartita.
Mi alzo dal divano e mi dirigo verso la porta. Non mi volto nemmeno quando lo sento alzarsi e seguirmi. La vicinanza del suo corpo a mio è quasi insostenibile. Per questo, è meglio che me ne vada subito ed accetti l’idea che la mia vita deve andare avanti senza di lui. Non so come, ma non vedo alternative. Insomma, lui è immensamente lui, mentre io…sono solo io.
Ma…c’è una faccenda che non mi posso permettere di lasciare in sospeso. Una domanda che devo porgli, una risposta che devo assolutamente avere. Perché improvvisamente è diventata la cosa più importante della mia vita, e di fronte a questa consapevolezza, non posso fare a meno che prendere un bel respiro e guardarlo. E sento il mio cuore fare “ahi”, perché lui è talmente bello che guardarlo mi fa male.
“Posso farti una domanda?”
“Certo”
“Sei felice?”
Oh Dio. Ed ora mi guarda così, e sembra un bimbo ancora più sperduto, ancora più confuso. Ed io, spero solamente che non mi chieda il perché di questa profonda intrusione, perché non saprei che cavolo rispondergli. Come posso rispondergli che la sua felicità, da circa dieci minuti, è tutto per me.
“Ti risponderò, ma ad una condizione…”
“Quale?”
“Resta…”
“Perché?”
“Perché se ora uscissi da questa stanza, la mia risposta sarebbe no…ed io no, a te, non lo voglio mai dire…”

Da quella stanza, alla fine, non sono mai uscita.
Da quel giorno, è come se fossimo perennemente rinchiusi in una stanza, io e lui.
Anche quando ci sono mille miglia a separarci, il suo odore continua ad avvolgermi come se fossimo seduti sullo stesso divano, sdraiati sullo stesso letto, a respirare la stessa aria, a sognare le stesse cose.
Sono di fronte a lui, finalmente. Il mio cammino sembrava non avere mai fine. Non vedevo l’ora di raggiungerlo, pur sapendo che da lì, lui, non si sarebbe mai mosso. I suoi occhi puntati nei miei lo tengono ancorato al terreno, e a questo pianeta, nonostante lui appartenga chiaramente ad un altro mondo. Forse proviene dall’Isola che non c’è. Forse, se un giorno lo perdessi, saprei dove andarlo a cercare: seconda stella a destra, e poi dritto sino al mattino, giusto? O forse, è nato in quel luogo che sta tra il sonno e la veglia…Non lo so. Però ora è qui, proprio davanti a me, e tutto di lui mi dice “ti amo”.
Il completo nero che indossa fascia il suo corpo alla perfezione. Al mondo non può mai essere esistito uno sposo tanto bello. Vorrei chiedergli se lui pensa la stessa cosa di me. Vorrei chiedergli se il vestito che ho scelto gli piace. Vorrei chiedergli se m’immaginava così. Vorrei chiedergli tante altre cose. Vorrei chiedergli se un giorno il cielo riuscirà mai ad essere azzurro come i suoi occhi ed il sole splendente come il suo sorriso.
Il prete recita la funzione, ma io sento a mala pena le sue parole. Nelle orecchie, ho solo il dolce suono della sua voce, quando in quella stanza si è messo a suonare e canticchiare, stregandomi.

L’ ho ascoltato e mi ha incantata. Ci siamo ingozzati di hamburger e patatine fritte, stando attenti a non sporcare il divano di maionese e ketchup. Ci siamo raccontati ogni genere di cazzata ci venisse in mente e abbiamo riso come solo i bambini sanno ridere. Mi ha permesso di entrare nel suo mondo fatato e confuso, ed io l’ho lasciato entrare nel mio. E’ diventato il mio migliore amico, ed io la sua migliore amica. Gli ho detto che lui ha tipo cinque modi diversi di ridere e lui mi ha detto una come me non l’ha mai conosciuta. E’ entrato dentro di me ed io sono entrata dentro di lui, eppure non ci siamo mai nemmeno sfiorati.
E’ mezzanotte passata, e mi alzo per andarmene. Lui mi chiede di restare e dormire insieme a lui, puntualizzando che per dormire intende sul serio dormire. E mi fa ridere perché è così buffo quando s’imbarazza e anche se si sente uno scemo ma non può fare a meno di chiederle, certe cose. E non me la sento di rifiutare, perché davvero non me ne voglio andare. Così, ci sdraiamo sul letto, e ci fissiamo negli occhi senza sapere da dove cominciare per sentirci meno impacciati. E’ dolce, il modo in cui è sdraiato. Tiene le mani unite sotto il cuscino, le ginocchia piegate e le caviglie sovrapposte, e quell’aria da cucciolo disperso e impaurito che ti fa morire dalla voglia di accarezzarlo.
“Non ho mai solo dormito con una ragazza” mi confessa, e non capisco perché si sente così sporco mentre lo dice.
“Perché me lo hai chiesto ?”
“Perché nemmeno io sapevo di avere cinque modi diversi di ridere. Il fatto che tu mi abbia fatto ridere in cinque modi diversi significa che non potevo lasciarti andare via. Non stanotte. E visto che sei la prima persona che abbia mai notato una cosa del genere, ho deciso che devi essere la prima in tante altre cose. Come dormire…e basta”

E abbiamo dormito e basta sul serio, quella notte.
Non so chi dei due si sia addormentato prima, so solo che la prima a svegliarsi sono stata io. Mi ero mossa durante il sonno e gli davo le spalle. Il suo braccio mi circondava la vita, senza troppe pretese - pur nell’incoscienza -, se non quella di avvertire la mia presenza. Non so esattamente se il suo desiderio fosse quello di non sentirsi solo o di non sentirsi senza di me. Ricordo però che sorrisi.
Sorrisi come sto sorridendo ora, mentre i suoi occhi si fanno lucidi per l’emozione e la premura di dire si, di ripetermi che mi vuoi anche davanti a Dio e a tutto il resto del mondo.
Non serve che lui lo dica anche a me, perché lo so. Lo so da quando mi chiese di dormire insieme a lui. Lo so da quando mi svegliai con il suo braccio attorno a me. Lo so da quando anche lui aprì gli occhi e mi disse che mi lasciava libera, perché non poteva tenermi in ostaggio...

“E poi, entrambi abbiamo anche un lavoro ed una vita fuori di qui, giusto?” mi dice, con non troppa convinzione.
Annuisco, perché la nostra separazione è inaccettabile quanto necessaria.
“Non sparire, ok?” mi supplica, mentre tiene aperta la porta.
Solleva un angolo della bocca, in uno dei suoi famosi sorrisi sghembi, come se volesse sdrammatizzare tutta la dolorosa assurdità della faccenda.
“Ci rivedremo, forse. Non so quando, non so dove...ma ci rivedremo”oso dire.
“Me lo prometti?”
“Si, te lo prometto”
Ed esco da quella stanza, senza nemmeno dirgli ciao. Sento il rumore della porta che si chiude alle mie spalle, e del mio cuore che si frantuma in mille pezzi. Ogni frammento è come una scheggia di vetro che riflette la sua immagine. C’è lui, dentro di me, in ogni parte di me. C’è solamente lui. In ogni respiro, in ogni lacrima, in ogni passo lungo il corridoio.
Ci rivedremo, forse.
Gliel’ho promesso.
Non so quando, non so dove…ma gliel’ho promesso.
E l’ho promesso anche a me stessa, perché in quella stanza ho lasciato fin troppo di me.
E se non potessi andare avanti, senza quella parte?
Mi blocco. Con un piede avanti ed uno indietro, ed il dito pronto a premere il pulsante di chiamata dell’ascensore.
E se non volessi avere il cuore in frantumi? Se quelle schegge mi stessero tagliando troppo in profondità?
Chiudo gli occhi. Respiro.
E se di lui volesse avere tutto? E se a lui volessi dare tutto?
Mi volto.
E se quel quando fosse ora? E se quel dove fosse qui?
Cammino. Anzi corro, finchè non mi ritrovo ancora davanti a quella porta. Busso.

…Io, Anna, prendo te, Robert, come mio legittimo sposo, e prometto di amarti e rispettarti ogni giorno della mia vita…

Mi apre la porta, senza nemmeno chiedere chi è. Perché già lo sapeva, che come lui non poteva lasciarmi andare ieri notte, così io non potevo andarmene questa mattina.
E senza dire niente, senza nemmeno indugiare troppo sui suoi occhi languidi che non sanno se esultare o chiedermi perché, lo bacio. O meglio, mi avvento letteralmente sulle sue labbra, che hanno il colore delle pesche ed il sapore della mousse ai frutti di bosco. E mi inebrio della sua dolcezza e del suo respiro ansante, mentre risponde al mio bacio, quasi aggredendo a sua volta la mia bocca. Mi prende in braccio, allacciando le mie gambe al suo bacino, e mi porta in camera da letto.
Facciamo l’amore in un modo così intenso e dolce che quasi mi si spezza il cuore. Lui non è certo il primo, ma è il primo che mi ama delicatamente come se fossi fatta di cristallo. E’ il primo che con quelle sue labbra scopre ogni angolo di me come se fossi ricoperta di miele. E’ il primo che mi entra dentro come se avesse paura di vedermi evaporare. Mi tiene stretta a lui con un braccio, mentre con l’altra mano stringe la mia. Nessuno mi ha mai amata così, come se non ci dovesse essere nemmeno un centimetro della mia pelle separata dalla sua. E questo mi dà la certezza che, d’ora in avanti, dove sarà lui, sarò anche io. E viceversa.

...Io, Robert, prendo te, Anna, come mia legittima sposa, e prometto di amarti e rispettarti ogni giorno della mia vita…

Sdraiati l’uno di fronte all’altro, ci fissiamo negli occhi mentre ancora non abbiamo ripreso a respirare in modo normale. Anche se con lui, oramai lo so, nulla potrà mai essere normale, nemmeno il respiro.
Accarezzo la sua fronte, portando via quel poco di sudore che ancora la imperlava. Le mie dita s’insinuano di nuovo nei suoi capelli, finché il mio palmo non si posa sulla sua guancia ed inizio a tracciare il profilo della sua bocca con il pollice.
Sei così bello, vorrei dirgli. Ma rimango zitta, perché ancora devono inventare parole degne di lui.
“Anna…”
“Si?”
“Secondo te…è possibile che io già ti ami?”
“Non lo so…già mi ami?”
“Si”
“Allora si, è possibile”
“E tu?”
“Io cosa?”
“Già mi ami?”
“Già? Io…credo di avere anche tardato troppo a farlo…”

“Vi dichiaro marito e moglie”
Lo scrosciare degli applausi alle nostre spalle è lo sfondo perfetto al nostro primo bacio come marito e moglie.
“Ti amo, signora Anna Pattinson”
“Ti amo, signor Robert Pattinson”

“Secondo te, è possibile che ci siamo conosciuti solo ieri e già sto pensando che un giorno potrei chiederti di sposarmi?”
“Non lo so…stai già pensando che un giorno potresti chiedermi di sposarti?”
“Si”
“Allora si, è possibile anche questo”

  
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