Il corpo
inerte giaceva ai suoi piedi, il sangue usciva gorgogliando dal grosso taglio
che le attraversava l’addome allargandosi in una pozza sotto la sua figura
immobile. Lui la guardò spaventato. Era una bambina, aveva poco più di dieci
anni, la ferita all’addome non era l’unica che ne deturpava il corpo, altre
meno profonde la ricoprivano dalla testa ai piedi, sembrava che un animale
l’avesse fatta a pezzi con gli artigli. Mentre la guardava si chiese cosa ci
facesse li, e soprattutto dove fosse il “li”. Si guardò attorno, era notte, una
notte buia senza stelle, il cielo era coperto e una pioggerella leggera cadeva
su tutto. Sentiva delle voci lontane, grida irritate. Tornò a guardare la
bambina, si chinò sopra di lei e fece per raccoglierla da terra, forse quelle
persone la conoscevano, avrebbe dovuto portarla da loro ma si fermò a metà del
gesto, si guardò le mani, non erano mani normali, erano lunghe e forti,
ricoperte di una peluria viola, dotate di artigli affilati come rasoi, erano
ricoperte di sangue fino ai polsi.
Si alzò a
sedere con un grido strozzato, gli occhi rossi spalancati nel buio. Cercò a
tentoni l’interruttore della luce trovandolo al terzo tentativo. La stanza
venne inondata dal chiarore artificiale, si guardò le mani preoccupato ma tirò
subito un sospiro di sollievo. “Solo un
sogno.” Le mani infatti erano perfettamente normali, certo, per quanto
potessero essere normali le sue mani. Fissò l’artiglio di metallo che aveva al posto
del braccio sinistro per un momento, pensieroso. Poi si mise a sedere sul bordo
del letto massaggiandosi la testa con la mano normale. Mancavano diverse ore
all’alba ma oramai non sarebbe riuscito a dormire comunque. Si alzò in piedi
stiracchiandosi. Era li da quasi tre settimane, i primi giorni li aveva passati
a disinfestare, i secondi a rendere vivibile almeno una parte della casa. La Shinra Mansion non sarebbe mai stata un gran che come casa, men che
meno per lui però ora non rischiava di venire attaccato nel tragitto dalla
camera da letto al bagno. Sbadigliò
sonoramente infilando la porta della cucina, da quando era li aveva gli incubi
e non riusciva a dormire decentemente. “E
sarebbe strano il contrario.” Pensò mentre infilava caricava distrattamente
la macchina del caffè. L’accese e mentre aspettava che quella facesse il suo
dovere si appoggiò al tavolo con le braccia incrociate sul petto. Continuava a
sognare quella bambina, la prima della serie, cosi come l’avevano trovata
quella notte. Era successo circa tre settimane prima a Edge,
ed era stata anche la prima volta che aveva avuto quell’incubo ricorrente.
Si svegliò
di soprassalto, solo che non si trovava nella stanza da letto al piano di sopra
del bar di Tifa, dove era andato a dormire, in realtà era li su richiesta della
ragazza, una delle solite cavolate riguardanti il mantenere i contatti o una
cosa del genere, era riuscito a saltare le prime tre ma questa non era riuscito
a rifiutarla, gli atri sarebbero dovuti arrivare l’indomani. Si trovava su un tetto, ricordò che si era
guardato attorno stupito ma nemmeno tanto, ultimamente gli era capitato spesso,
ogni tanto pensava di farsi vedere da un medico ma poi ci rinunciava,
probabilmente non avrebbe capito un accidente data la fisiologia che si
ritrovava. Poi le urla, provenivano da qualche parte alla sua destra, lungo la
via. Si lanciò di tetto in tetto, un fantasma rosso sibilante sullo sfondo nero
della notte. Atterrò al centro della strada facendo arretrare i primi
soccorritori e se la ritrovò davanti, un
corpicino sfigurato in mezzo a un lago di sangue. Rimase cosi a guardarla a
lungo, si ricordava qualcosa del genere nel fumo della sua testa. Un pensiero
terribile si fece strada nella sua testa, all’inizio poco definito, come oltre
un velo di nebbia. Poco dopo erano arrivati Cloud e
Tifa e assieme avevano ricostruito i pezzi.
La bambina
si chiamava Liara, aveva passato tutto il pomeriggio
a giocare fuori con amici e solo a tarda sera quando ancora non rincasava i
genitori si erano preoccupati. Prima erano usciti a cercarla e poi non
trovandola avevano richiesto aiuto al vicinato, purtroppo non c’era stato nulla
da fare. Lui era rimasto in disparte a guardare pensieroso, il terribile dubbio
che lo attanagliava sempre più forte fino al limite della sopportazione. Si era
risvegliato in cima a quel tetto, cosa ci faceva li? Perché non era nella sua
stanza e soprattutto cosa aveva fatto mentre non era cosciente di se? Era
possibile che in qualche modo fosse stato lui a … Non terminò il pensiero,
certo le ferite sembravano quelle che poteva infliggere una bestia feroce, e si
propendeva per quell’ipotesi anche se di solito i mostri non si erano mai
spinti cosi dentro al centro abitato. Eppure lui sapeva di poter infliggere
ferite del genere se si trasformava.
Non era di
certo il tipo che si lasciava prendere dal panico ma ebbe paura, per tutta la
vita aveva sempre saputo di essere un mostro ma aveva sempre pensato di essere
un mostro sotto controllo, dominato dalla sua parte umana, il solo pensiero di
poter essere fuori controllo lo terrorizzava. Esteriormente tutto quello che
lasciò trasparire fu l’appoggiarsi a una parete. Una goccia di pioggia gli
cadde sul naso, alzò lo sguardo al cielo senza stelle, di li a poco avrebbe
piovuto a dirotto.
<< Vincent
ti senti bene? >>Lui riabbassò lo sguardo e si ritrovò di fronte a Tifa,
lei lo stava fissando preoccupata. << Sto bene. >> Rispose.
<< Stavo solo pensando. >>
<< Come
al solito. >> Tifa alzò gli occhi al cielo appoggiò la mano sinistra al
fianco mentre con la destra indicava dietro di se. << Tu e quello la
siete buoni solo a rimuginare. >> Vincent inarcò un sopracciglio e guardò
oltre la ragazza che aveva di fronte. Cloud se ne
stava con lo sguardo concentrato e una mano appoggiata sul mento. Gli scappò un
sorriso suo malgrado. La voce di Tifa gli fece riportare l’attenzione davanti a
se.
<< È
terribile quello che è successo, non riesco a capire come sia potuto arrivare
un mostro fino a qui, siamo quasi in centro. Tu che ne pensi? >> Lui
distolse lo sguardo. << Non lo so, è strano però questo è sicuro, di
solito tendono ad attaccare solo in aperta campagna, forse questo era talmente
affamato da spingersi fin quaggiù ma in quel caso non capisco perché il corpo
sia intatto. >> Tornò a guardarla. << Qualcuno di quelli che sono
arrivati per primi ha visto qualcosa? >>
Lei scosse
la testa << No, nessuno ha visto niente. >> Rimase soprapensiero un
attimo, poi riprese a parlare. << Piuttosto, come facevi a sapere
dell’emergenza? Ti abbiamo chiamato ma non hai risposto, pensavamo che
dormissi. >> Preso in contropiede esitò prima di rispondere, << Non
riuscivo a dormire, cosi sono uscito a fare due passi. Quando ho sentito le
grida sono venuto qui. Ora scusami ma devo andare. >> Si scostò dal muro
e in due rapidi balzi risalì sul tetto, si stagliò contro la luce di un tuono
per un momento. Avvolto nel mantello sembrava un demone uscito da qualche
romanzo dell’orrore, l’artiglio dorato era alzato in un gesto di saluto. Tifa
non riuscì a rispondergli che era già sparito.
Il caffè
borbottò riportando la sua attenzione al presente, se ne versò una tazza che si
portò alle labbra. Uno spiffero gelido gli scompigliò i capelli, sorpreso si
voltò notando la finestra aperta. La mente gli si svegliò di soprassalto: lui
non lasciava mai una finestra aperta. Posò la tazza del caffè sul tavolo e si
avvicinò cauto alla finestra, tentando di guardare in ogni direzione
contemporaneamente, guardò fuori sporgendosi, non pareva esserci nessuno. Nibelheim sembrava tranquilla. Nella notte il cielo si era
schiarito e ora la luce della luna illuminava il paesino. Stava per voltarsi
quando una luce improvvisa attirò la sua attenzione, si agitava poco distante
dalle case, su quello che lui conosceva come un sentiero piuttosto frequentato,
mentre la osservava sentì le prime voci concitate, smussate dalla lontananza,
mentre altre luci salivano verso il sentiero dal paese. Un brivido gli passò
lungo il corpo, scattò come una molla verso la camera da letto. si infilò gli
stivali in fretta e si gettò il mantello rosso sulle spalle, non c’era tempo
per rendersi più presentabile di cosi. Afferrata la Cerberus
dal comodino tornò correndo verso la cucina balzando fuori dalla finestra in un
unico fluido movimento.
Saettava di
albero in albero, troppo veloce per essere distinto come qualcosa di più di una
macchia rossa, preso da una frenesia più forte di qualsiasi cautela. Arrivato
al villaggio atterrò sul tetto di una casa con un tonfo. La gente cominciava ad
uscire di casa e si stava dirigendo verso il sentiero. Sentì gridare qualcosa e
vide di sfuggita qualcuno indicarlo. Tre settimane di isolamento buttate via ma
in quel momento non gli importava, riprese a correre sui tetti, verso il
sentiero. Poco prima di arrivarci riacquistò un po’ di cautela e si fermò ai margini
del cerchio di luce, appollaiato su un ramo, si avvolse più strettamente nel
mantello per proteggersi dal freddo.
Al centro
della via si era radunato un campanello di persone, molti portavano delle torce
elettriche, dalla sua posizione sopraelevata Vincent era in grado di sbirciare
sopra le teste. Al centro del campanello c’era la personificazione dei suoi
peggiori sospetti. C’era un corpo riverso a terra, sopra una pozza di sangue,
da dov’era riusciva a notare che si trattava di un bambino. “O una bambina.” Si raggelò mentre
rivide davanti agli occhi l’immagine della bambina morta ad Edge.
Furono i discorsi della gente a fargli riportare l’attenzione sulla scena. Una
donna piangeva abbracciando il corpicino.
<< È
stato un demone vi dico! Guardate come ha ridotto la mia bambina! >> A
urlare era un uomo di mezza età, il padre. Si rivolgeva agli altri con la
rabbia della disperazione.
<<
Andiamo Robert, hai appena perso una
figlia e capisco che sei sconvolto ma potrebbe essere stato un animale
selvaggio qualsiasi. Lo sai che la foresta attorno al villaggio è pericolosa di
notte. >> Un altro uomo aveva posato una mano sulla spalla del primo.
Quello però se la scrollò di dosso rabbioso. << E tu credi che la mia
Erica sarebbe venuta nella foresta da sola di notte? Sapeva benissimo di non
doverci venire, cosi come lo sanno tutti! >> Si rivolse quindi al resto
della folla che era andata aumentando col passare del tempo. << Vi dico
che deve essere stato un demone! L’ha attirata fuori paese con i suoi poteri e
poi l’ha uccisa! >> Un singhiozzo della donna sottolineò quelle parole.
Nel frattempo era stata staccata delicatamente dal cadavere della bambina
e accompagnata poco lontano da alcune
altre donne del villaggio. Scoppiò un vociare confuso tra gli uomini che
discutevano sulla presenza o meno del fantomatico demone.
<< Io
l’ho visto! >> Il gruppo si bloccò e calò il silenzio. A parlare era
stato un ragazzino, di poco più di dodici anni. Vincent aveva il sospetto di
averlo già visto ma non riusciva a collocarlo. Robert, superato il primo
momento di sorpresa colse al volo l’occasione. << Ecco! Avete sentito? Lo
sapevo! E dimmi ragazzo, dove l’hai visto? Com’era? >> Il Ragazzino si
guardò attorno intimorito poi si fece coraggio e indicò verso il villaggio e di
botto Vincent lo riconobbe, era lui che l’aveva notato poco prima mentre
saltava sul tetto, poteva immaginarsi cosa avrebbe detto. << Laggiù, sul
tetto di una casa, è stato un attimo non l’ho visto bene, una sagoma rosso
sangue. >> Il ragazzo parlava ora in tono concitato. << Stava
venendo da questa parte! >> Gli uomini si ritrassero sull’ultima frase e
presero a guardarsi attorno nervosamente, puntando le torce un po’ dappertutto.
“Merda.” Fece in tempo giusto a
pensarlo quando il fascio luminoso di una torcia gli si puntò dritto negli
occhi.
<< Eccolo
li! >>
<< Presto
qualcuno lo abbatta! >>
Vincent si
riparò gli occhi con il braccio sinistro, accorgendosi quasi all’istante
dell’errore che aveva commesso.
<< Guardate!
Guardate che artigli mostruosi! >>
<< Sparategli!
>>
Sentì il rumore
meccanico di un’ arma che veniva caricata e preparò i muscoli allo scatto
quando d’un tratto sentì un rumore come di metallo su metallo e la luce negli
occhi sparì. Nell’aria risuonò una voce che riconobbe all’istante.
<< La
vogliamo piantare con l’isterismo da linciaggio branco di idioti!? >>
La camera
era piccola il materasso del letto era duro come il pavimento ma il bagno era
pulito e la vista sui monti Nibel era incantevole. O
per lo meno lo sarebbe stata se il cielo fosse stato limpido. Yuffie guardò corrucciata il depliant che il gestore le
aveva rifilato, uno stupendo paesaggio montano arricchito dalle strane
formazioni rocciose per cui era famosa la zona su cui titolava. “Monti Nibel la magia ti aspetta.” Lo confrontò con la triste
immagine uggiosa che componeva la vista dalla finestra e sbuffò.
Si gettò sul letto a braccia e gambe
divaricate e rimase a guardare il soffitto per un po’. Prima di rendersene
conto si ritrovò a pensare a cosa cavolo ci faceva li. Non era stata
esattamente una scelta ponderata ma non c’era altro da fare, quel rimbambito in
rosso faceva sempre di testa sua, e come al solito doveva pensarci lei. Dopo
essere riusciti a decifrare il perché della sua sparizione ovviamente. Ripensò
alla discussione avvenuta qualche settimana prima a Edge
durante il “Raduno Annuale degli Eroi”, il nome era un po’ stupido ma lo aveva
deciso quando ancora era una bambina idiota e sotto sotto
le piaceva ancora.
<< Quel
grandissimo idiota! >> Yuffie sibilò furente
passeggiando su e giù per la sala del bar mentre gli altri la guardavano chi
divertito e chi preoccupato.
<< Calmati
dai, avrà avuto di sicuro le sue buone ragioni. >>
<< Buone
ragioni un corno! >> Fulminò Cloud con lo sguardo
e lui alzò le braccia come se lei dovesse aggredirlo da un momento all’altro.
<< Fa sempre cosi, il bel tenebroso solitario. Chiedere aiuto è uno
smacco per lui. Vincent “me la cavo da solo”Valentine,
lui è immortale, indistruttibile, non ha bisogno di nessuno vero? Come se
starsene a riposo dentro una bara insegnasse a risolvere i problemi! >>
Si voltò arrabbiata e ricominciò a camminare avanti e indietro.
Cloud si
guardò attorno chiedendo disperatamente aiuto con lo sguardo. Barrett se ne stava appoggiato a un tavolino fissando
sconvolto la ragazza che dava in escandescenza, non ci era abituato. Red XIII
era uscito poco prima dicendo che andava a fare quattro passi, portandosi via
anche Cait Sith, l’unico
modo che aveva Reeve per venire senza trascinarsi
dietro la stampa. Cid si era addormentato su una
sedia, i piedi sul tavolino di fronte a lui, russava sonoramente e se nemmeno
quelle urla riuscivano a scuoterlo probabilmente non ci sarebbe riuscita
nemmeno un esplosione nucleare. Finì cosi per fissare lo sguardo su Tifa che
alzò gli occhi al cielo, sbuffò e dopo avergli mimato un “eh va bene” muto si
avvicinò alla ninja infuriata.
<< Senti,
non pensi sia il caso di andare a dirle a lui queste cose? >> Yuffie si bloccò e la fissò torva, poi sbuffò e sembrò
rilassarsi.
<< Forse,
è che non so dove si sia cacciato. >> Fissò sconsolata l’amica.
<< A
questo forse possiamo arrivarci. >> Tifa si portò una mano al mento
poggiando il gomito sul palmo dell’altra e sembrò riflettere per qualche
istante. << Allora ragioniamo, probabilmente è sparito subito dopo la
morte della bambina, quasi sicuramente le due cose sono collegate, sembrava
turbato da qualcosa. Inoltre quella notte fu il primo ad arrivarci perché era
già fuori. >> Yuffie la guardava assorta,
ascoltando l’amica attentamente. “possibile
che quel deficiente …”
<< Quell’idiota
si reputa responsabile! Come cavolo ho fatto a non pensarci prima! >>
Tifa le sorrise. << Eri troppo impegnata ad arrabbiarti >> Lei ne
sapeva qualcosa di “Idioti che si sentivano responsabili.” Lanciò uno sguardo
ironico a Cloud che le rispose con un alzata di
spalle. Quindi tornò a parlare a Yuffie. << Ora
il punto è capire perché pensa di esserne responsabile, quella bambina aveva
ferite inferte da artigli, cosa può centrarci lui? Dopotutto è un essere umano.
>> Ma anche mentre lo diceva si accorse che non era del tutto esatto,
ammutolirono tutti evitando di guardarsi in faccia, alla fine fu Barrett ad esprimere ad alta voce il pensiero degli altri.
<< Ma
lui non è umano, non sempre almeno vero? >> Yuffie
gli lanciò uno sguardo che avrebbe potuto farlo esplodere. << Ehi non
pensare che io non lo consideri umano, solo che si trasforma anche in
qualcos’altro, lo sappiamo tutti. E quando lo fa è fottutamente spaventoso! >>
Yuffie si avvicinò di un passo e fu Cloud a venirgli in soccorso. << Ma andiamo, non
penserete veramente che abbia potuto fare … Voglio dire è Vincent. >>
<< No
io non credo che abbia potuto farlo, non coscientemente almeno. >> Tifa
abbassò lo sguardo. << Però se avesse perso il controllo sulla sua
capacità? >> Yuffie la fissò sbiancando. Non
poteva crederci. Eppure il corpo di Vincent era sempre stato instabile, la sua
fisiologia era un pasticcio cosi come la sua chimica interna, ma poteva
veramente succedere che perdesse il controllo su se stesso? Non voleva crederci
eppure … << Se veramente è successo questo. >> Parlò lentamente, le
parole le costavano una certa fatica. << O perlomeno se lui pensa che sia
successo questo, c’è solo un posto dove può essere andato per tentare di
capirci qualcosa. >> Li fissò uno per uno. << Ed io intendo
seguirlo. >>
Il vociare
in strada la svegliò dal flusso dei ricordi, forse si era addirittura
appisolata a un certo punto. Si stropicciò gli occhi e si mise a sedere.
Dall’esterno provenivano parecchie voci concitate e passi di corsa. Il suo
corpo si tese, i riflessi di anni di combattimenti e allenamenti lo fecero
reagire prima ancora che la testa riuscisse a collegarsi. In meno di trenta
secondi era nella piccola hall dell’hotel con il suo shuriken
nella mano destra. La stanza era deserta, la porta spalancata cigolava
pigramente sui cardini mentre da fuori provenivano altri rumori di gente in
corsa. Si catapultò fuori. Il villaggio era in subbuglio, gente che correva da
tutte le parti, la maggior parte si stava dirigendo fuori paese prendendo una
via laterale. Alzò lo sguardo e notò delle luci più su lungo il costone della
montagna. Stava per dirigersi la anche lei quando l’esclamazione di un
ragazzino la fece voltare. << Ehi guardate la! >> Lo vide per puro
caso, un ombra rossa che schizzò via sui tetti a una velocità tale da renderlo
a malapena percepibile. Sparì nei boschi talmente velocemente da far dubitare
che ci fosse stato sul serio. “E io che
pensavo di dover faticare per incontrarlo.” Sorrise mentre partiva di corsa
verso il sentiero che conduceva su per il costone. Vincent si era diretto
proprio la. La salita era più dura del
previsto, fu cosi che arrivò appena in tempo per vedere uno degli uomini del
villaggio puntare un fucile verso Vincent, che se ne stava appollaiato su un
albero come un idiota riparandosi dalla torcia che qualcuno gli aveva puntato
in faccia. Mentre tutt’attorno la gente inneggiava al linciaggio.
Agì di
impulso, sapeva perfettamente che non c’era un vero pericolo, Vincent avrebbe
evitato il colpo con una facilità estrema, tuttavia queste considerazioni le
balenarono nel cervello un attimo dopo aver lanciato lo shuriken
ed aver esordito con la frase più infelice di tutti i tempi.
<< La
vogliamo piantare con l’isterismo da linciaggio branco di idioti!? >>