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Autore: Lucy Farinelli    10/07/2010    2 recensioni
Lo estrae lentamente dal petto fumante e lo osserva nel palmo della mano. Eccolo lì, il suo vecchio cuore di zombie. Non è un mucchietto di cenere, né un qualcosa di ancora vivo, pulsante di sangue. Non pesa, sembra fatto di carta, e con la stessa rapidità pare incendiarsi dinanzi ai suoi occhi, bruciando fino ad estinguersi in ogni minima parte.
Genere: Dark, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Black black heart

 

Ogni notte, quando la Luna si leva alta sulla linea dell’orizzonte, il cimitero si risveglia e, con lui, anche tutti i suoi abitanti.

Le famiglie di vampiri si levano dalle cripte e si apprestano ad andare in città in cerca di qualche preda con cui nutrirsi.

I fantasmi svolazzano qua e là tra lapidi e cespugli, conversando pigramente e osservando gli spiriti più giovani correre via, smaniosi di trovare qualcuno ancora vivo da terrorizzare.

Le mummie trascinano bende e membra sull’erba e sul terriccio, raccattando amuleti e talismani che scivolano inevitabilmente a terra a ogni loro rigido movimento, mentre scheletri e demoni siedono in circolo per dedicarsi ai loro millenari tornei di poker.

Solo il piccolo zombie vive ignorato da tutti, costretto ad avanzare nell’ombra, a ridosso delle lapidi e dei cespugli, silenzioso e impaurito. È solo, il piccolo zombie, non c’è nessuno della sua specie con cui possa parlare, e tutti gli altri abitanti del cimitero sono troppo presi dalle proprie occupazioni per badare ad un essere pavido come lui.

Cammina lontano, il piccolo zombie, sulle rive del laghetto melmoso, calciando sassi lungo la riva e guardando malinconico l’acqua che, placidamente, si infrange di tanto in tanto sui ciottoli. Ormai, ha perso il conto degli anni trascorsi in quel modo; sa solo che gli sembrano infiniti.

Secondo le sue abitudini, il piccolo zombie siede sulle rocce ricoperte di alghe e lascia penzolare i piedi sulla superficie dell’acqua, sfiorandola appena e osservando il proprio riflesso distorto e tremolante.

Sospira, il piccolo zombie, e attende con pazienza l’arrivo dell’alba – il momento in cui tutti devono tornare a nascondersi –, sperando, notte dopo notte, nell’arrivo di un altro come lui in quel cimitero.

“Piccolo zombie, piccolo zombie,” cominciano a cantilenare i vampiri di ritorno dalla città.

Hanno le guance rosee e le labbra vermiglie, ma non una sola goccia di sangue ancora fresco di vittime ha toccato i loro abiti immacolati. Sogghignano crudeli, mettendo in bella mostra i denti affilati e scintillanti.

“Cosa fai lì tutto solo?”

I ragazzi lo circondano, maschi e femmine, e lo guardano con occhi malevoli.

“Cerchi il tuo cuore nell’acqua, piccolo zombie?” gli domanda il più vicino. “Ma il tuo cuore è ormai polvere dentro di te, non esiste più. Di certo, non assomiglia al nostro che, ogni notte, riprende vigore e batte di nuovo.”

I vampiri scompaiono all’improvviso, così come sono arrivati, lasciando dietro di loro solo l’eco di risatine maligne.

Il piccolo zombie sospira, si alza e torna piano tra le tombe, ma i fantasmi cominciano a svolazzargli attorno, fastidiosi come mosche perlacee.

“Dove vai, piccolo zombie?” gli domandano con voce sottile. “Come riesci a camminare ancora con quel peso che hai nel petto, le ceneri del tuo cuore ormai spento?”

“Lasciatemi in pace,” li scaccia il piccolo zombie, agitando le mani.

I fantasmi lo studiano per qualche momento, poi se ne vanno borbottando, ma ecco sopraggiungere la coppia delle mummie reali, con l’ombra del pesante trucco nero attorno agli occhi, sulla cinerea pelle del viso avvizzito e tirato sugli zigomi sporgenti.

“Avrebbero dovuto imbalsamare il tuo cuore affinché si conservasse nel tempo,” tuona il Faraone altezzoso, bloccando la via al piccolo zombie. “Che te ne fai adesso di un misero mucchietto di cenere?”

Il piccolo zombie stringe le braccia al petto e lo guarda con occhi tristi.

“Anche voi ce l’avete con il mio cuore,” mormora. “Ma non è colpa mia se sono nato così.”

Le due mummie si scambiano un’occhiata, poi sorridono in modo grottesco, rivelando denti grigiastri e labbra ormai inesistenti, e il piccolo zombie, terrorizzato, scappa via a gambe levate.

Corre senza guardare, per cancellare quel dolore dalla sua mente, e non si accorge di essere appena finito nel bel mezzo della bisca degli scheletri e dei demoni.

“Ehi, ragazzino, stai attento!” lo ammonisce un demone senza occhi e con un gran paio di ali nere sulla schiena, indicando il mazzo di carte al centro del tavolo. “Stiamo giocando la mano decisiva. È questione di vita o di morte.”

Gli altri scoppiano a ridere sguaiatamente.

“Vuoi giocare anche tu?” gli chiede uno scheletro con un sigaro fra i denti. “Si rischia il tutto per tutto.”

Il piccolo zombie scuote la testa imbarazzato.

“Mi hanno detto che non ho cuore per esistere, figuriamoci se posso mettermi a giocare a carte.”

Un altro demone con troppe braccia gli punta un dito contro.

“Dì un po’, ragazzo, ma davvero non ti pesa andartene in giro con quel peso nel petto? Qui nessuno ha più un cuore, a parte i vampiri che ancora lo usano. Non ti costerebbe meno fatica liberartene una volta per tutte?”

Sull’orlo delle lacrime, il piccolo zombie corre via, ai confini del cimitero, all’ombra delle ultime lapidi asfissiate dall’edera. Da lì può vederli tutti, gli altri abitanti del camposanto, sa che tutti stanno ridendo di lui e piange.

Si sente solo, abbandonato, in balia dei commenti che gli altri gli rivolgono da tempo immemorabile. Perché non c’è nessun altro come lui, in quell’inferno terreno?

Se l’è chiesto tante volte se da qualche parte nel mondo ci fosse stato qualcuno della sua stessa specie, ma ormai non ci spera più. È passato così tanto tempo…

Il piccolo zombie si asciuga le lacrime e rivolge gli occhi al cielo: il Sole sta per sorgere, la Luna sta pian piano impallidendo e l’orizzonte si tinge di rosa.

Il piccolo zombie sa che dovrebbe tornare di corsa alla sua tomba, ma qualcosa lo blocca. Rimane immobile a fissare la linea orientale dell’orizzonte: i primi raggi di Sole lo ipnotizzano.

Da quanto non li vedeva?

Per la prima volta dopo secoli, il suo corpo acquista finalmente calore. Tanto calore.

Troppo calore.

Il Sole è letale per le creature della Notte come loro e il piccolo zombie comincia a prendere fuoco. Mentre il suo petto brucia, insinua una mano sotto le costole alla ricerca del proprio cuore. Riesce a sentirlo, lo stringe, non è un ammasso di polvere come gli hanno sempre ripetuto. È solo un po’ indurito, ma c’è.

Lo estrae lentamente dal petto fumante e lo osserva nel palmo della mano. Eccolo lì, il suo vecchio cuore di zombie. Non è un mucchietto di cenere, né un qualcosa di ancora vivo, pulsante di sangue. Non pesa, sembra fatto di carta, e con la stessa rapidità pare incendiarsi dinanzi ai suoi occhi, bruciando fino ad estinguersi in ogni minima parte.

Il piccolo zombie sente la Morte imminente, la vegliarda mietitrice lo sta venendo a prendere.

“Eccolo, gente, ecco il mio cuore tanto schernito,” mormora il piccolo zombie, mentre le fiamme avvolgono infine tutto il suo corpo. “C’era sempre stato e voi non lo avete mai capito. Il mio cuore nero. E me lo sono dovuto cavare per provarne l’esistenza.”

L’ultima cosa che il piccolo zombie riesce a vedere prima di chiudere gli occhi per sempre è il mucchietto di ceneri scure in cui il suo cuore si è finalmente spento.  

 

 

 

 

 

  
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