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Autore: ForgetMeNot    10/07/2010    2 recensioni
"Era triste dover andare via. Era sempre triste lasciare la città in cui si era nati e cresciuti per oltre sedici anni, ma era fondamentale andare via prima che lui se ne accorgesse."
Kointahti sapeva che ogni scelta aveva le sue conseguenze, e la sua conseguenza era quella di essere cresciuta senza un padre. Padre da cui ora, per forza di cose, si sarebbe dovuta trasferire. Padre che, sfortunatamente per lei, non solo apparteneva ad una band piuttosto famosa, ma non immaginava nemmeno che lei esistesse. Le si prospettavano giorni duri.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Lazer, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo'

 

Prologo

Helsinki, 2 Settembre 1992

Era triste dover andare via. Era sempre triste lasciare la città in cui si era nati e cresciuti per oltre sedici anni, ma era fondamentale andare via prima che lui se ne accorgesse. Raccolsi una lacrima che, traditrice, era sfuggita al mio controllo e raccolsi i miei abiti, infilandoli velocemente. Infilai fluidamente delle all stars che avevano di sicuro visto tempi migliori e solo allora mi arrischiai a lanciare un'occhiata al ragazzo che dormiva tranquillo, nel letto che aveva solo poche ore prima accolto il loro amore. “Mi spiace” sussurrai accarezzandogli delicatamente il viso, privo di qualunque traccia di barba. “Lo faccio per te. E per noi.”. Gli lasciai un ultimo, leggero, bacio sulle labbra, raccolsi il mio zaino e ne tirai fuori una lettera che lasciai sul letto, certa che, non appena si fosse svegliato, l'avrebbe trovata e letta. Era l'unica concessione che mi ero fatta, sarebbe stato troppo dirgli addio di persona, guardandolo negli occhi mentre gli spezzavo il cuore: il mio, di cuore, non avrebbe retto. Presi le chiavi dello scooter e il casco, abbandonati a terra, e uscii dalla stanza lentamente, cercando di non fare alcun rumore che avrebbe potuto svegliarlo: come avrei potuto spiegare la mia fuga frettolosa? Scossi la testa e decisi di non pensarci, chiudendo la porta delicatamente e non senza un brivido di timore. Sospirai e, mentre percorrevo a passo svelto il corridoio che collegava la stanza alla porta di casa, mi specchiai per sbaglio in un armadio a specchio proprio accanto la porta di casa. Quel che vidi mi fece salire un groppo in gola, mentre silenziose lacrime attraversavano il mio viso: nient'altro che un'adolescente con lunghi ricci scuri arruffati, le labbra carnose, tremolanti e strette a soffocare i singhiozzi, e occhi color dell'oro, colmi di lacrime e dolore. Distolsi lo sguardo e aprii quasi alla cieca la porta dell'appartamento, richiudendola dietro le mie spalle e corsi in strada, partendo poco dopo con lo scooter diretta a casa.

L'areoporto di Helsinki era piuttosto desolato a quell'ora del mattino e mi strinsi nella felpa fin troppo grande per la mia corporatura esile. Inspirai profondamente per darmi coraggio, riuscendoci solo in parte. Guardai per l'ennesima volta un vecchio orologio appeso ad un un muro verniciato di fresco, quasi sperando che il tempo avanzasse più velocemente, per non permettermi ripensamenti. Notai una cabina telefonica, apparentemente in buono stato, e mi ci avvicinai, attirata come una falena dalla luce. Mi resi conto che stavo per chiamarlo solo dopo aver composto la maggior parte del numero e riattaccai, intristita. Ripresi la cornetta e questa volta composi il numero giusto. Una voce stanca e vagamente strascicata mi rispose, riempendomi di nostalgia e tenerezza “Ciao nonna. Sì, sono all'areoporto, sto per partire. Arriverò per pranzo, certo. Grazie, nonna. A presto, allora. Sì, anche io, ciao”. Guardai nuovamente l'orologio: era ora. Mi avvicinai all'ufficio informazioni titubante, trascinandomi dietro una grande valigia piuttosto pesante. La signorina al di là del vetro mi sorrise e riuscii, nonostante tutto, a ricambiarle timidamente. “Buongiorno. Avrei prenotato un biglietto di sola andata per Roma, Italia. Sono Annika Sibelius.”.

Mentre l'aereo si alzava in volo, non potei che dar sfogo a tutte le lacrime, seppur silenziose, che premevano per uscire dai miei occhi: ero sola, in viaggio verso un luogo sconosciuto, un paese decisamente diverso da quello in cui ero vissuta e che avevo amato. All'improvviso dentro di me qualcosa si mosse: era stato un piccolo rimescolio al ventre, quasi impercettibile, ma c'era stato. Sorrisi debolmente e portai la mani sulla pancia, in una leggera e tremolante carezza. “Va tutto bene, piccola. Non sono sola... ho te. Andrà tutto bene, la mamma sarà forte per te”. Guardai al di fuori dell'aereo e, mentre l'ultima stella, la stella del mattino, scompariva pian piano cedendo alla luce del giorno, mi addormentai, spossata dalle lacrime ma con una piccola fiammella di speranza che partiva dal ventre e arrivava al cuore.

Nel frattempo nel cuore di Helsinki, il cuore di un ragazzo appena diciassettenne si spezzò irrimediabilmente.



  
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