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Autore: ForgetMeNot    12/07/2010    3 recensioni
"Era triste dover andare via. Era sempre triste lasciare la città in cui si era nati e cresciuti per oltre sedici anni, ma era fondamentale andare via prima che lui se ne accorgesse."
Kointahti sapeva che ogni scelta aveva le sue conseguenze, e la sua conseguenza era quella di essere cresciuta senza un padre. Padre da cui ora, per forza di cose, si sarebbe dovuta trasferire. Padre che, sfortunatamente per lei, non solo apparteneva ad una band piuttosto famosa, ma non immaginava nemmeno che lei esistesse. Le si prospettavano giorni duri.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Lazer, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 – The Undertaker



Roma, 4 luglio 2010

Mi sentii tanto un pacco postale, di quelli col destinatario illeggibile e mittente mancante, tra l'altro. Le mie valigie erano pronte, nella stanza accanto, e gli scatoloni con le mie cose erano imballati da tempo e io ero ancora costretta a star seduta attorno a quel tavolo, mentre degli sconosciuti decidevano della mia vita. In un modo o nell'altro, fino al prossimo anno, non avrei potuto vivere in questa casa, la mia casa. Non mi innervosii, non urlai, non sbuffai impaziente, non piansi. Mi sentivo svuotata, completamente persa nel mio dolore, e guardavo, senza realmente vederle, le persone in quella stanza che discutevano animatamente. Ad un tratto la porta si aprì ed un uomo anziano, completamente vestito di nero, si accomodò sull'ultima sedia rimasta libera, mormorando quelle che sembrarono delle scuse. Mi guardò per un attimo, incuriosito, per poi sorridermi con una strana luce negli occhi scuri. Non risposi al sorriso, né diedi segno di essere incuriosita in qualche modo del suo arrivo: sarà stato il becchino.

Ora che siamo tutti presenti, possiamo iniziare con l'apertura del testamento.” Il notaio sistemò i documenti che aveva davanti a sé e si schiarì la gola. “Io, Helejna Laine in Sibelius, nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, nomino mia nipote Kointahti Mikaela Sibelius erede di tutto il mio patrimonio al compimento del diciottesimo anno d'età. Fino a quel momento dispongo che il signor Seppo Vesterinen, mio caro amico d'infanzia, si prenda cura di mia nipote e dei suoi beni nel migliore dei modi, e che la sostenga nella sua ricerca. Allego qui una lettera da consegnare alla suddetta nipote in via strettamente privata, da leggere il prima possibile. Roma, 15 settembre 2004”.

Lo shock fu tale da scuotermi dalla mia iniziale apatia e notai, non senza una certa dose di curiosità, che anche colui che avevo classificato come becchino sembrava piuttosto scosso. Le parole della nonna, anzi bisnonna per essere precisi, ruotavano nella mia testa come impazzite. “Ricerca?” fu l'unica cosa che riuscii a dire, con quella che sembrava più il pigolio di un pulcino che la voce di un essere umano. Nessuno dei presenti rispose alla mia domanda, il notaio mi consegnò una busta bianca, con rifiniture in avorio, che osservai sbigottita e che, con mano tremante, mi accinsi a prendere. Mi alzai e mi diressi in quella che era stata per diciassette anni la mia camera per avere un po' di privacy. Mentre chiudevo la porta della piccola stanzetta, riuscii a percepire le ultime parole del notaio “C'è una lettera anche per lei, signor Vesterinen”. Non volli sentire altro.

 

"Roma, 15 Settembre 2004

Carissima Tahti, se stai leggendo questa lettera, vuol dire che io non ci sono più, ormai. Non piangere, bambina mia, e non chiuderti nella tua apatia come stai facendo in questo momento, da oltre due settimane della morte di tua madre. Lei non vorrebbe che tu stessi così, e nemmeno io lo voglio, bambina mia. Quando tua madre arrivò in questa casa, quasi dieci anni or sono, sperduta e incinta, mi si strinse il cuore e decisi non farle domande, né su tuo padre né della sua fuga frettolosa. Sembrò capire i miei sforzi e mi sorrise dolcemente, portandomi una mano sul suo ventre solo vagamente arrotondato. “E' una femmina e nascerà in gennaio. Saluta la nonna, Kointahti”. Puoi immaginare ben la mia sorpresa quando qualcosa si mosse, al di sotto della mia mano. Piansi, bambina mia, e abbracciai forte tua madre. Sai, Tahti, il tuo nome significa “stella del mattino” e tua madre mi spiegò che aveva scelto così, per te, poiché quella era stata l'ultima cosa che aveva visto della sua città natale, Helsinki, poco dopo che avevi fatto sentire la tua presenza per la prima volta. Non mi disse mai nulla di tuo padre, tranne che l'amava ancora e che lui aveva amato lei incommensurabilmente. Voleva che tu sapessi che eri nata dall'amore, piccola mia, e che eri sempre stata amata. Molti anni più tardi, quando tu avevi poco più di cinque la scoprii scrivere su un piccolo quadernetto nero, con uno strano simbolo sopra. E' questo lo scopo principale di questa mia lettera: nella stanza di tua madre, in fondo all'armadio, ho conservato tutti i suoi quadernetti, sono sicura che lei vorrebbe che li tenessi tu. Poco prima che se ne andasse mi confessò che la situazione era cambiata, per tuo padre, e che lei avrebbe voluto che tu lo conoscessi e che lui fosse messo a conoscenza della tua esistenza. E' qui che devi perdonarmi, bambina mia, perché non posso pensare di lasciarti andare, ora, e rischiare che lui ti porti via da me. Perdona l'egoismo di una vecchia troppo sola e addolorata, che si è vista sopravvivere a sua figlia e a sua nipote. Non posso perdere anche te, proprio ora che mi sei rimasta solo tu al mondo. Spero che un giorno potrai perdonarmi.

Ho ripreso i contatti con un vecchio amico di famiglia, il signor Vesterinen, che veglierà su di te e ti aiuterà a trovare tuo padre, se lo vorrai. Lui è finlandese, come tua madre, e ha molte conoscenze nel campo musicale e tuo padre, a detta di Annika, ha avuto un grande successo con una band finlandese di un gruppo di cui non so il nome, purtroppo, ma che dovrebbe comunque essere scritto negli ultimi quadernetti di tua madre.

Sappi che ti ho voluto bene, bambina mia, e che sei stata per me, come per tua madre, una fiammella che ha riscaldato i nostri cuori e illuminato le nostre vite.

Con immenso affetto,

Nonna Helejna"

 

La stanza vorticava furiosa intorno a me, le parole della lettera che stringevo fra le mani si accavallavano le une sulle altre, rendendole irriconoscibili e illeggibili. Presi quindi un grosso respiro e, mentre la stanza riprendeva la sua normale staticità, rilessi velocemente quella breve, brevissima, lettera. Non ero arrabbiata con la nonna, né con mia madre né col mondo intero, a dir la verità: il ronzio che occupava la mia mente e assordava le mie orecchie non mi permetteva di provare nulla. Cercai di riscuotermi, concentrandomi su quei quadernetti, dei diari, che la nonna aveva conservato – o nascosto? – nell'armadio della camera della mamma. Non mi accorsi di essermi alzata dal letto, sul quale mi ero distesa a leggere quelle poche righe qualche minuto prima, finché non sentii richiudere dietro di me la porta della mia stanza. I miei piedi si mossero da soli, attirati come da una calamita dalla stanza in fondo al corridoio, quella che era stata di mia madre. Entrai piano, pronta a essere sommersa dai ricordi legati a quella stanza, che puntualmente arrivarono forti, sotto forma di una potente ondata di nostalgia e malinconia. Accarezzai con lo sguardo l'intera stanza: il letto perfettamente rifatto, le pareti chiare e i mobili di legno scuro, una gigantografia di Helsinki appesa al muro, qualche ninnolo infantile, i miei primi regali di natale, lavoretti della scuola. Era tutto rimasto come sei anni prima, tutto come il giorno in cui se n'era andata a causa di una polmonite fin troppo aggressiva. La nonna aveva voluto così, aveva eretto la camera a santuario della mamma, e ci si rinchiudeva spesso anche per ore, a riflettere. Helejna Sibelius, a dispetto della sua origine nordica, era stata la persona più calorosa del mondo: aveva accolto nipote e pronipote in casa sua, aveva donato loro tutto l'amore di una madre, ampiamente ricambiato, e gliel'aveva dimostrato ogni giorno. La morte prematura della nipote l'aveva scossa profondamente e non c'era stato giorno in cui non avesse fatto visita alla camera della defunta con e senza la nipotina.

Riemersi dai miei pensieri, non senza un malinconico sorriso, e mi avvicinai ad un'anta dell'armadio, indecisa se aprirla o meno. “Al diavolo!” mormorai e aprii di scatto, socchiudendo gli occhi. Non so cosa di speciale mi aspettavo che capitasse, qualcosa tipo un'esplosione di suoni, di colori o generale, fatto sta che nulla di tutto ciò accadde, ovviamente, e se fossi stata anche solo un minimo più lucida me ne sarei resa conto da sola. L'armadio era solo un semplice armadio, piuttosto vuoto a dir la verità: oltre alla famosa scatola, c'era soltanto una vecchia felpa nera piuttosto grande. La presi e, con un un gesto un po' insensato, la portai al viso per annusarla. Una lacrima sgorgò dai miei occhi senza che potessi fare nulla per impedirlo: possibile che ci fosse ancora il suo profumo dopo tutti questi anni? O era solo una mia suggestione?

Un leggero bussare alla porta mi distrasse. Presi la scatola a la poggiai a terra, guardandone il contenuto. “Avanti” mormorai, prendendo il primo quadernetto della piccola pila. Alzai lo sguardo quando la porta si aprì e non potei nascondere la mia sorpresa quando apparve la scura figura del becchino. “Mi dispiace disturbarti, ma avrei bisogno di parlarti, prima di partire” mormorò un po' a disagio, con un accento familiare. Immediatamente m'innervosii “Lei, signor becchino, è un avvoltoio! E' venuto qui a chiedere dei soldi, vero? Non ne ho, non ha sentito il notaio? Vada dal signor Vesterinen, e mi lasci in pace!” Le mie guance, solitamente pallide, si colorarono di rosso per la rabbia e la foga con cui avevo risposto. L'uomo sembrò sbigottito più di quanto lo ero stata io quando era apparso alla soglia della stanza “Becchino?” disse, confuso. Ancora quello strano accento, di cui però non riuscivo a ricordare il quando l'avessi mai sentito. “Becchino, sì. Beccaio, beccamorto, hautausurakoitsija, the undertaker. Come lo vuole chiamare?” sbuffai spazientita. Contro ogni mia aspettativa, l'uomo rise. Rise forte, e sembrava non riuscire a smettere. Aspettai svariati secondi, perplessa, che si calmasse, ma l'uomo non accennava a smettere. Mi guardai attorno preoccupata: che fosse un folle? Purtroppo, le uniche uscite erano la porta, occupata in gran parte da quell'uomo, e la finestra. Il fatto che fossimo al terzo piano, però, mi portava a scartare la seconda proposta. Mi feci prendere dal panico e, mentre la mia mente elaborava piani di fuga sempre più improbabili e fantasiosi – uno dei quali mi vedeva lanciarmi fuori la finestra con un doppio salto mortale e atterrare su una moto fiammante e già in moto, in una specie di incrocio fra Lara Croft e Mission Impossible –, l'uomo smise di ridere. “Hai proprio un bel caratterino, sai? Tutta tua nonna” e col sorriso ancora sulle labbra, mi allungò una mano “Io sono Seppo Vesterinen, Kointathi. E sono il tuo tutore legale”. Ah. Era finlandese, amico della nonna. Ecco perché il suo accento mi sembrava familiare.

Molte ore più tardi, dopo aver impacchettato le mie cose e dato ordine di inviarle all'indirizzo che il signor Vesterinen aveva fornito e una corsa all'areoporto, mi ritrovai seduta in una poltroncina di prima classe di un aereo diretto ad Helsinki, seduta accanto al signo Vesterinen. Le cose erano accadute così velocemente che non c'era stato il tempo di pensare: dopo essermi scusata per la magra figura che avevo fatto con il signor Vesterinen, egli mi aveva avvisato che non poteva rimanere in Italia per più di qualche ora, a causa di certi impegni di lavoro. Da lì, mi ero ritrovata catapultata in una marea di cose da organizzare, preparare e spedire ed avevo avuto giusto il tempo di agguantare l'enorme felpa di mia madre, i suoi diari e di chiudere casa. Non ero riuscita ad avvertire nemmeno Ilaria, la mia migliore nonché unica amica, se non poco prima che l'aereo decollasse. Ero sempre stata una persona piuttosto riservata, che non aveva particolare interesse negli altri, e che credeva fermamente nel detto “pochi ma buoni”. Nel mio caso i ''pochi'' si riducevano ad uno. Ilaria, scherzando, spesso mi diceva che ero al limite fra la disadattata e l'asociale. E a me andava più che bene così.

Mi addormentai, comunque, non appena poggiai la testa sul morbido poggiatesta della poltroncina e non mi risvegliai che a un'oretta dall'arrivo, infastidita dal russare di qualcuno seduto dietro di me. Anche l'uomo seduto accanto a me sembrò infastidito dall'insistente russare, ma continuò a leggere il suo giornale, concentrato. Presi il mio bagaglio a mano, un piccolo zainetto colorato e pieno di scritte mie e di Ilaria, di spille e ciondoli, e ci frugai dentro, leggermente emozionata. Afferrando il diario di mia madre, il primo secondo la data che vi era impressa sulla copertina, l'emozione mi fece tremare le mani. Inspirai profondamente e lo aprii: 8 agosto 1996, Caro diario...

 

Non potevo crederci. Guardai sbigottita quelle lettere chiare, un po' spigolose, classiche della calligrafia di mia madre e dovetti rileggerle, per essere sicura di aver inteso bene. Dopo averle rilette per la terza volta il significato non cambiò e decisi di chiudere il diario e posarlo sulle mie ginocchia, per riflettere. Alcune di quelle frasi sfrecciavano nella mia mente come impazzite 'Mai, mai scommettere contro Annika Sibelius'. Scossi la testa come per scacciare via una mosca piuttosto insistente. '...spero capirai che era la cosa giusta da fare per te, per noi, e che mi perdonerai', e ancora 'Hanno chiamato il gruppo H.I.M., acronimo per solo Dio sa cosa'

Anche tu sei una fan degli H.I.M?”. Mi distrasse la voce di Seppo Vesterinen che, seduto accanto a me, aveva appena ripiegato il giornale. “Come, signor Vesterinen?” chiesi, con voce strozzata, credendo di aver pensato a voce alta. “Ti prego, bambina, chiamami Seppo. Sennò mi fai sentire vecchio!” rise brevemente. “Comunque mi riferivo all'heartagram su quel quaderno” sorrise, indicando con lo sguardo la copertina del diario. Ma certo, gli H.I.M.. Quello strano simbolo deve appartenere a loro. In fondo, mia madre era pur sempre una loro fan. Lo fissai dritto negli occhi scuri, ma non lo vidi veramente, persa com'ero nei miei pensieri e, con le emozioni in tumulto, emisi un risolino isterico “No, in realtà no, Seppo”. Mi guardò confuso. “Ma pare che io sia la figlia di uno di loro.” riuscii a concludere, atona. Seppo sbiancò, somigliando ancora di più al becchino che avevo ipotizzato fosse all'inizio. Seppo, the Undertaker.



8 agosto 1996

Caro diario,

ce l'hanno fatta! Ce l'hanno fatta! Lo sapevo, lo sapevo che ce l'avrebbero fatta! Ah, Migè mi deve una birra, e una di quelle buone tra l'altro. Mai, mai scommettere contro Annika Sibelius, lei VINCE! E ben presto conquisteranno il mondo, e lì altro che birra, Migè Amour, o come diavolo ti fai chiamare ora Paananen! Fortunatamente la nonna si fa sempre arrivare il giornale, l'Helisingin Sanomat, direttamente da casa, e così ho potuto sapere la notizia relativamente presto! Hanno chiamato il gruppo H.I.M., acronimo per solo Dio sa cosa, e Ville ha disegnato l'heartagram. E' davvero, davvero, perfetto. Ero sicura che quella testa dura, se solo si fosse impegnata, avrebbe fatto cose straordinarie! Glielo diceva sempre anche Linde.

Mi mancano. Sono passati quattro anni ormai e mi mancano terribilmente. Kointahti è sempre più bella, con quei folti capelli scuri e gli occhioni azzurri, sempre spalancati a cercare di guardare quanto più mondo le è possibile, e fra qualche mese compirà quattro anni. Ora dorme, la nonna dice che è praticamente la mia fotocopia. A prima vista è vero, potrebbe sembrarlo, ma io ti rivedo in ogni smorfia del suo viso, nelle fossette del suo sorriso, in ogni sfumatura dei suoi incredibili occhi.

Un giorno spero capirai che era la cosa giusta da fare per te, per noi, e che mi perdonerai. Non era quello che volevi, non era ciò che ti avrebbe fatto felice, dover badare ad un figlio, abbandonare la musica per garantirgli un futuro. Se tu l'avessi saputo, se te l'avessi detto, probabilmente mi avresti convinta a non andarmene, avresti abbandonato tutto, ma io non potevo permettertelo. Non saresti stato felice, quello di cui avevi, e hai tutt'ora, bisogno è la tua musica. Non ho potuto permetterti di veder crescere tua figlia, e questo sarà il mio unico rimpianto, ma ogni evento importante della sua vita è documentato da centinaia di foto, e di filmati, che un giorno spero di poterti far vedere. Ma sono dovuta andare via da te, per la tua felicità, perché ti amavo. E ti amo ancora, Mikko ''Linde'' Lindstrom.







Angolo Non-Ti-Scordar-di-Me

Eh già, proprio il nostro Linde.. ve lo aspettavate? ^____^

Grazie mille a chi legge soltanto, e infinite grazie a chi ha recensito, mi avete riempito il cuore di gioia ^_______^

TheResurrection: Grazie mille, spero ti piacerà anche questo capitolo! =)

Villina92: Grazie mille, ma spero che non vorrai mettermi alla gogna dopo questo capitolo.. che intendevi con ''a posto?'' ^^

Alla prossima!

ForgetMeNot - Myosotis

  
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