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Autore: ForgetMeNot    27/07/2010    3 recensioni
"Era triste dover andare via. Era sempre triste lasciare la città in cui si era nati e cresciuti per oltre sedici anni, ma era fondamentale andare via prima che lui se ne accorgesse."
Kointahti sapeva che ogni scelta aveva le sue conseguenze, e la sua conseguenza era quella di essere cresciuta senza un padre. Padre da cui ora, per forza di cose, si sarebbe dovuta trasferire. Padre che, sfortunatamente per lei, non solo apparteneva ad una band piuttosto famosa, ma non immaginava nemmeno che lei esistesse. Le si prospettavano giorni duri.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lily Lazer, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Ville Valo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2 – Come Kiss Me Licia

 

In volo, 5 luglio 2010

 

Era evidente che certe cose non accadevano solo nei film. Seppo era ancora ammutolito dallo stupore, così gli passai il diario di mia madre, titubante. Anche se non l'avrei creduto possibile, lo vidi impallidire ancora di più, prendendo una vaga sfumatura verdastra che non mi rassicurava per niente, tant'è che chiesi alla hostess di portarmi qualcosa per farlo riprendere un po'. Quando la hostess gli portò un po' d'acqua, Seppo sembrò riscuotersi, ma mi guardò comunque con occhi piuttosto allucinati “Sei la figlia di Linde?” biascicò sorpreso. Io annuii, ricordando che mia madre, nel suo diario, lo aveva chiamato anche così. “Ma proprio Linde, il chitarrista degli HIM?”. Ci pensai un po' su: mia madre non aveva accennato a chitarristi o simili. “In realtà, Seppo, non ne ho la più pallida idea se sia il chitarrista o meno. Mamma ha scritto solo Mikko Lindstrom, degli Him. Penso anche che abbia nominato un certo 'Ville' e un certo 'Mikko Paananen', nient'altro” continuai io, ormai non troppo turbata. Non conoscevo nessuno degli Him, quindi che mio padre fosse un cantante, un chitarrista o un trombettiere per me non faceva nessuna differenza. Seppo annuì, perso nei sui pensieri, e mi restituì il diario di mia madre, che provvidi a chiudere nello zaino. Nel momento in cui mi girai, però, per chiedere qualche spiegazione in più a Seppo, ci informarono di allacciare le cinture per l'atterraggio e non ci fu più il tempo di parlare: eravamo arrivati ad Helsinki.

 

Non so cosa mi aspettassi, forse la neve o una città priva di colori, ma rimasi abbagliata: Helsinki era luminosa e rigogliosa di vita. La luce del mattino donava alla città un soffuso candore, grazie al quale i colori risplendevano come non mai, dall'azzurro del cielo, al blu del mare, al verde dei parchi e delle cupole dei monumenti: Helsinki sembrava il paradiso terrestre. Al contrario di ogni mia aspettativa, di nuovo, non faceva freddo anche se di certo non era come il luglio di Roma, era più simile ad una tiepida primavera. Il mio clima ideale! Sorrisi e non potei fare a meno di notare come anche il mio tutore, una volta messo piede sulla terra natia, avesse gli occhi che brillavano e un sorriso leggero sul volto pallido. Arrossii vagamente quando ricordai di averlo scambiato per il becchino e distolsi lo sguardo da lui per riportarlo all'azzurro di Helsinki. Un brivido di pura gioia mi attraversò la schiena e mi sentii in pace col mondo intero: era questo, per caso, l'amore a prima vista? Non avevo mai sentito parlare di colpo di fulmine per un luogo, ma infondo io non ero mai stata una ragazza convenzionale: in 17 anni di vita a Roma ero riuscita non solo a non imparare nemmeno una parola di dialetto, ma anche a non assorbirne la cadenza. In compenso, però, conoscevo piuttosto bene il finlandese, lingua di mia madre e di mia nonna, e l'inglese, colpevole la mia amica Ilaria e la sua passione per l'Inghilterra. Il pensiero di Ilaria mi riscosse: mi avrebbe ammazzata! L'avevo avvisata solo tramite sms, non un granché in effetti, senza darle la possibilità di una spiegazione. E no, non avrebbe capito l'urgenza della situazione. Mentre mi accingevo ad accendere il cellulare che per sicurezza avevo dovuto tenere spento in aereo, mi accorsi che Seppo si era allontanato di qualche passo e mi faceva segno di raggiungerlo indicando una grossa auto nera, coi vetri oscurati. Possibile che fosse così famoso? Decisi di non pensarci per il momento e lo aiutai a infilare la mia valigia nel bagagliaio dell'auto, per poi accomodarmi poco dopo sul sedile posteriore dell'auto diretta a casa. Un attimo, ragionai, casa mia era a Roma. “Seppo... dove stiamo andando?”. Seppo si girò verso di me quel tanto che gli permetteva il sedile del passeggero e la cintura allacciata. “A casa mia” rispose tranquillamente. Gelai: avrei dovuto dormire con uno sconosciuto, in una casa sconosciuta di un paese sconosciuto? Tutti quegli ''sconosciuti'' mi provocarono un po' di panico e probabilmente lo si lesse chiaramente sul mio viso, perché Seppo sorrise cordialmente e mi rassicurò dicendomi che lui aveva del lavoro da sbrigare e quindi sarebbe stato a casa per davvero poche ore. Il viaggio in auto non durò moltissimo e Seppo era una compagnia rassicurante e di un'allegria contagiosa, tant'è che più volte mi ritrovai a sorridergli apertamente. Mi raccontò del suo lavoro di manager (“E' un po' come fare il babysitter della musica! Sono una babysitter stra-pagata!”) di alcune band piuttosto famose e lì scoprii con sorpresa che era anche il manager degli Him, la band di mio padre. Fui piuttosto sorpresa ma in quel momento soltanto riuscii a spiegarmi la reazione quasi catatonica che aveva avuto in aereo. Poi realizzai: che colpo di fortuna! Avrei potuto presto conoscere mio padre, l'uomo che la mamma aveva tanto amato e poi abbandonato per consentirgli di diventare un musicista famoso! Non stavo più nella pelle e, quando arrivammo a casa di Seppo, non riuscii nemmeno a stupirmi della grandezza della villa o del suo arredamento minimal, ma lussuoso. Improvvisamente com'era arrivata, però, l'eccitazione si trasformò in qualcosa di più amaro. Mio padre non mi conosceva, non sapeva nemmeno della mia esistenza: come avrei mai potuto sperare che mi credesse? Ero molto simile a mia madre, vero, ma erano pur sempre passati diciassette lunghi anni, anni in cui mio padre aveva conosciuto fama, donne, successo. E se pure mi avesse creduto, chi mi diceva che mi avrebbe voluta? Fui riscossa da questi pensieri da Seppo che mi indicò la mia nuova camera, almeno tre volte più grande di quella che avevo a Roma, e mi disse di rinfrescarmi un po' mentre lui preparava il pranzo. Sorrisi mestamente e ringraziai, iniziando a disfare la valigia e prendendo l'occorrente per una doccia veloce, l'ideale per rimettermi un po' in sesto dopo il lungo viaggio in aereo e la giornata allucinante che avevo avuto.

Il pranzo, se tale si poteva chiamare una pizza surgelata a testa, era trascorso piuttosto silenziosamente e serenamente. Sparecchiai velocemente e, dopo aver non poco insistito, lavai le poche stoviglie che avevamo utilizzato e Seppo tirò fuori il pacchetto di sigarette che aveva in tasca e iniziò a giocherellarci. Dopo aver sbrigato le poche faccende, lo raggiunsi intorno al tavolo della cucina, pronta a ricevere altre informazioni su mio padre e sul suo gruppo, ma ben presto mi accorsi che Seppo sembrava nervoso e continuava a giocherellare con le sigarette. Sospirò forte, guardandomi finalmente negli occhi, e si decise a parlare “Dovremmo affrontare seriamente la questione di tuo padre, Kointahti. Posso capire che tu non veda l'ora di vederlo ma ci sono cose che devi sapere, prima, e poi dobbiamo vedere come... come regolarci, ecco”. Annuii, consapevole, e Seppo parve rincuorarsi, iniziando a raccontare speditamente. Mi raccontò della band da quando l'aveva presa lui in gestione, del carattere introverso di mio padre, della passione per le sue chitarre e del periodo piuttosto buio del cantante della band, Ville, che aveva avuto ripercussioni un po' su tutti. Quando mi raccontò di Manna e di Olivia sentii una piccola stretta allo stomaco: saremmo potute essere io e la mamma, se le cose fossero andate diversamente, e io non sarei stata in questa situazione piuttosto delicata. In quell'istante realizzai che la mia era, effettivamente, una situazione delicata: mio padre aveva una famiglia, una figlia di sette anni troppo piccola per capire appieno, che avrebbe anche potuto pensare che io volessi rubarle suo padre. Nostro padre. Mi vennero i brividi al pensiero della mia sorellastra, io che ero sempre stata sola, ma erano brividi di felicità: avevo sempre desiderato avere una famiglia numerosa, probabilmente perché ero cresciuta sola con nonna Helejna. “...rientreranno la prossima settimana e resteranno qui ad Helsinki fino ad agosto, con solo qualche leggero impegno”. Riemersi dai miei pensieri giusto in tempo per vedere quegli occhi scuri fissarsi nei miei, talmente penetranti da scavarmi dentro e arrivare a guardare l'anima. Non resistetti a quell'indagine intrusiva e abbassai lo sguardo sul pacchetto di sigarette che giaceva immobile sul tavolo e con la cosa dell'occhio intravidi Seppo fare un mezzo sorriso. “Sarai stanca. Vai a riposare, abbiamo ancora una settimana di tempo per pensare a quello che fare”. Annuii, effettivamente stanca e mi ritirai nella camera che mi era stata assegnata, ancora piuttosto spoglia. Stavo per posarmi stancamente sul letto quando un flebile quanto allegro motivetto mi ricordò dell'effettiva esistenza del mio cellulare. Sudai freddo quando mi ricordai della mancata telefonata ad Ilaria e, cautamente, risposi alla chiamata “Ehi, Lili. Ti giuro, posso spiegar...” “Pensi di poter spiegare il fatto che non ti sento da oltre ventiquattro ore e che mi hai lasciato su scritto un messaggio che diceva 'sono in areoporto, sto partendo. Ci sentiamo presto'?”. La voce vibrante d'ira di Ilaria arrivò forte e chiara e io mi sentii arrossire. “Ecco, vedi... io... io...” incespicai nelle parole e sentii uno sbuffo divertito all'altro capo del telefono “Spara dai, Koko, prima che decida seriamente di farti la pelle”. Sorrisi e sbuffai per quel ridicolo soprannome e iniziai a raccontare.

 

Helsinki, 11 luglio 2010

 

In sei giorni io e Seppo eravamo riusciti a costruirci una certa routine che di familiare, comunque, aveva ben poco: la mattina presto Seppo usciva di casa per tornare, poi, per l'ora di pranzo giusto in tempo per “gustarsi del buon cibo italiano”; dopo due giorni di cibi precotti e pizze surgelate, infatti, mi ero decisa a prendere in mano le redini della cucina e, pur non essendo una gran cuoca, un buon piatto di spaghetti sapevo prepararlo e Seppo sembrava stesse aspettando solo quello per dire definitivamente addio a quello che solo con molta immaginazione poteva ritenersi 'cibo'. Non molto tempo dopo pranzo, comunque, Seppo spariva di nuovo fino a sera e io ne approfittavo per leggere i diari della mamma e per fare lunghe passeggiate per Helsinki, senza allontanarmi eccessivamente dall'abitazione – anche se è meglio definirla maestosa villa – del mio simpatico tutore.

Avevo imparato ad amare quella città ospitale metro a metro che la percorrevo e ad apprezzare la discrezione e l'affabilità dei suoi abitanti, rispolverando il mio finlandese un po' arrugginito e chiacchierando allegra con alcuni negozianti. Continuai a passeggiare, sovrappensiero, con la busta della spesa che dondolava a tempo con la mia andatura. Alla fine, dopo una lunghissima discussione un po' agitata, io e Seppo avevamo trovato un compromesso sulla questione 'padre'. Avevamo deciso o meglio, lui aveva deciso, che a causa della delicata situazione di mio padre, con Manna e Olivia, avremmo aspettato un po' di tempo prima di rivelargli che io fossi, in definitiva, sua figlia. Avremmo semplicemente detto una parte di verità, cioè che lui mi aveva praticamente 'ereditato' dalla sua vecchia amica di infanzia, nonna Helejna, e che sarei stata con lui fino al compimento dei diciott'anni, in Dicembre. Io non ero d'accordo, ovviamente, ma dovetti sottostare alla ragionevolezza del suo discorso. Per contro, però, io volevo comunque conoscerlo, stargli accanto, permettergli di conoscermi e di conoscerlo. Ero stata così determinata che Seppo si era trovato d'accordo con me e mi aveva assicurato che ci avrebbe pensato lui. Ancora con le sue parole in mente, girai svelta l'angolo della strada e andai a sbattere violentemente contro qualcuno che mi fece volare gambe all'aria. Persi la presa sulla busta della spesa che si riversò in strada “Ahi! Dannazione, stia più attento!” affermai, cercando di rimettermi in piedi. “Potrei dirti la stessa cosa, sai, ragazzina?”. Alzai lo sguardo sull'uomo su cui ero andata a sbattere: un bel ragazzo, alto, bruno e con due penetranti occhi verdi. I jeans stretti gli fasciavano le gambe snelle, una t-shirt nera e un cappello scuro in testa. Di lana. Repressi una risata divertita e mi accinsi a radunare la spesa che, fortunatamente non consisteva in uova o qualcosa di estremamente fragile. Sbuffai quando mi accorsi che lo sconosciuto non muoveva un dito per aiutarmi. Irritata, sbottai “Puoi almeno darmi una mano a raccogliere tutta questa roba?”. Lo sconosciuto sembrò trasalire e iniziò a raccogliere la spesa, scoccandomi di tanto in tanto qualche occhiata incuriosita. Finii di raccogliere la spesa e fu troppo tardi quando mi accorsi che mancava qualcosa. Una risatina imbarazzata alle mie spalle, mi gelò “Hai le 'tue cose', darling?”. Mi girai e con orrore notai che quello sconosciuto aveva in mano un pacco di assorbenti intimi. I miei assorbenti. Arrossii e iniziai a imprecargli contro, mischiando nel flusso di parole anche un po' di italiano e di inglese. L'uomo ghignò e mi si avvicinò, mettendo gli assorbenti nella busta della spesa che tenevo in mano. Inaspettatamente, invece di allontanarsi, mi si avvicinò ancora di più, portando una mano lunga, sottile, al mio volto, avvicinandolo al suo. “Non dovresti arrabbiarti, darling. Una ragazza così carina non dovrebbe arrabbiarsi in questo modo”. Rimasi impietrita da tanta audacia, e dal suo volto così vicino. Tuttavia, la sorpresa durò solo pochi secondi e la mia mano scattò veloce, prima di qualunque pensiero logico. Fissai sbalordita il segno rosso che andava accentuandosi sulla guancia dello sconosciuto davanti a me, la sua espressione sbalordita e la mia mano, che ancora pulsava per l'impatto. Biascicai qualche scusa più o meno comprensibile e fuggii letteralmente via, lasciandolo ancora stupefatto a massaggiarsi la guancia.

Non appena arrivai a casa, un po' affannata dalla corsa, realizzai pienamente quello che avevo fatto e scoppiai a ridere. Così mi trovò Seppo, tornato dal lavoro un po' prima che mi guardò confuso, ma contento della mia spensieratezza.”Ho una tale fame che mangerei anche te, Tahti” mi disse sorridendo sbilenco, mettendo i denti in bella vista come per mordermi, gli occhi scuri che brillavano. Mi ripresi velocemente, ridendo ancora, e iniziai a preparare la cena mentre Seppo mi guardava fra l'affamato e il divertito. D'un tratto, come un veloce flash della mente, apparve davanti ai miei occhi una scena di un famoso cartone animato che in Italia aveva avuto piuttosto successo quando ero bambina e mi stupii per la precisione con cui erano avvenuti i fatti. Ci mancava solo che lo sconosciuto fosse il cantante di una band abbastanza famosa e poi mi sarei potuta considerare la protagonista di Kiss Me Licia e lo sconosciuto sarebbe stato la versione dark di Mirko. Scossi la testa per l'assurdità della scena e mi concentrai sul cibo.

Andai presto a letto, dopo cena, l'indomani mio padre e gli Him sarebbero tornati ad Helsinki e finalmente avrei potuto conoscerlo.

 

 

 

Angolo Non-Ti-Scordar-di-Me

 

Ma salve bella gente! Finalmente, anche se con un po' di ritardo, sono riuscita ad avere un po' di tempo per scrivere e per pubblicare questo capitolo!

Piccolo appunto: io adoro Kiss Me Licia e devo dire che, inizialmente, proprio non mi ero resa conto di aver reso la scena così simile a quella del cartone animato ma, una volta scritta, ci sono diverse somiglianze fra Mirko e Ville, no? Ehm.. no, eh? xD

Vabbè, passiamo ai ringraziamenti. Vorrei ringraziare di cuore jester248, TheResurrection e _diable_ per aver inserito la mia storia fra i seguiti: mi avete riempito di gioia!

 

Un ringraziamento specialissimo a chi commenta, quindi grazie a:

jester248 grazie mille, spero che continuerà ad essere interessante anche dopo questo capitolo! ^.^

TheResurrection un po' di malinconia era necessaria e infondo nessuna storia né è completamente priva! Per Linde.. bè, è ancora presto per dirlo, come puoi notare da questo capitolo. Tahti e Seppo hanno pensato al bene della sua famiglia prima di tutto, con metodi che forse qualcuno troverà un po' discutibili! Ho soddisfatto la tua curiosità? =P

Villina92 Grazie mille! La morte di Annika anche se, a dir la verità, ha scosso anche me è servita perchè gli avvenimenti accadessero senza intaccare troppi equilibri: pensa un po' Linde diviso fra Annika e Manna.. sarebbe stata una situazione piuttosto scomoda! ^.^

 

Alla prossima!

ForgetMeNot - Myosotis

  
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