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Autore: BaschVR    11/07/2010    5 recensioni
Da un evento senza alcuna importanza come la chiacchierata tra due amici, si snodano una serie di avvenimenti più o meno sensazionali che cambiano sensibilmente la storia di Zack Fair.
Una What if incentrata sul concetto di malleabilità, che dimostra come ogni piccolo evento della nostra realtà produca grandi effetti che si ripercuotono nel nostro essere, prima o poi. [Crisis Core - Post Modeoheim]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cissnei, Zack Fair
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Crisis Core
- Questa storia fa parte della serie 'The Butterfly Effect'
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Salve! Un paio di paroline, prima dell’inizio di questa strana one-shot xD
La storia che state per leggere prende spunto dalla teoria dell’effetto farfalla. Citando Wikipedia, l’effetto farfalla  è una locuzione che racchiude in sé la nozione maggiormente tecnica di dipendenza sensibile alle condizioni iniziali, presente nella teoria del caos. L'idea è che piccole variazioni nelle condizioni iniziali producano grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema. (per maggiori informazioni sul fenomeno, consultate l’articolo da cui è estratta la definizione: http://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_farfalla).
Spero vi piaccia.
Dedico questa fic alla mia amica Lirith, che oggi compie ben 17 anni. Auguroni :D spero la fic sia di tuo gradimento ^^.


The Butterfly Effect



Ascolta il tiepido fragore delle onde che si riversano sulla battigia, perduto tra mille pensieri, mentre, in riva al mare, osserva la volta celeste che si mescola con il blu profondo dell’oceano. I passi che muove sono lenti, decisi, spostano la sabbia ruvida con leggerezza; davanti a lui, si estende il litorale nella sua bellezza eterea, avvolto dall’oscurità della mezzanotte che è da poco passata.
Alle sue spalle, la luce dei festeggiamenti a Costa del Sol rischiara l’intera baia di liete risate. Zack cammina lungo le rive argentee del mare, lambisce quasi incoscientemente i flutti gelati che si infrangono lungo il bagnasciuga sabbioso; i suoi passi producono solchi lievi sul lungomare, orme che vengono cancellate dal vento in appena pochi istanti.
Lentamente, lo sgradevole schiamazzo della folla al paese cede il posto al sospiro infinito della brezza che solca la superficie dell’oceano. Raggiunge una zona del litorale rocciosa, dissestata, sormontata da alcuni grandi scogli a strapiombo sul mare: i turbinosi flutti si infrangono violenti lungo le pareti calcaree, simili ai suoi pensieri.





D’un tratto, riconosce il suono di quei passi alle sue spalle. Producono tonfi leggeri, quasi inudibili ad un orecchio poco allenato, ma che a lui appaiono perfettamente chiari. Distende il viso in un sorriso un po’ forzato, cercando di rilassarsi: delle pieghe innaturali si disegnano ai lati della sua bocca.
“Ehi, Cissnei.”
Ascolta il suono della sua voce disperdesi nel vento. Si volta lentamente fino ad incontrare gli occhi di lei.
“Zack.” L’espressione della ragazza è intensa, indefinibile, leggermente velata dalla stessa malinconia che, ne è certo, colora anche i suoi occhi. Gli si siede accanto, perdendo lo sguardo nella disarmante vastità dell’oceano blu notte; poi si riscuote leggermente, e indirizza lo sguardo su di lui.
“Non mi andava di stare in mezzo a quella grande confusione. Mi spiace” esclama d’improvviso, prima che lei possa aprire bocca.
“Peccato!” risponde lei, sorridendogli. “Ti sei perso due Turk ubriachi che hanno provato a gettare Tseng in mare.”
Tra le sue labbra si dipinge fugace l’ombra di un sorrisetto appena accennato. “Suppongo che a quest’ora siano stati entrambi affogati brutalmente!”
“Beh, non mi sorprenderei se fosse davvero così!” risponde Cissnei.
Trascorrono parecchi minuti di silenzio tra i due, nei quali nessuno sente il bisogno di parlare. La ragazza perde nuovamente lo sguardo nel riflesso pallido della luna piena sulla superficie scura dell’acqua; flutti sospinti dal vento si spezzano lungo le alte pareti rocciose del loro scoglio.
“Adoro questo luogo”, afferma poi, senza nessun preavviso, facendolo quasi sussultare dalla sorpresa. “Il rumore delle onde dà la percezione dell’infinito. E poi, senti questo suono? E’ la brezza che tiene le redini della corrente. Alla gente potrebbe sembrare il frastuono di una tempesta. A me, invece, appare come il suono più mite che il pianeta possa offrire.”
“Piace anche a me” asserisce lui, atono, senza prestare davvero ascolto alle sue parole. Cissnei lo osserva, stizzita.
“Credo che, al momento della mia morte, farò buttare il mio cadavere in acqua” esclama d’un tratto, pensierosa. “O magari mi farò seppellire qui sulla spiaggia. Già, forse è meglio così.”
“Che cosa?!”
La ragazza ride. E’ una risata lunga e spensierata, perfettamente in linea con il debole frastuono della corrente. “Rilassati, volevo solo capire se mi stessi ascoltando o meno.”
“Ah! Mi avevi spaventato!”
“Lo so!”
Gli angoli della bocca di Zack si incurvano leggermente, mentre Cissnei posa la testa sulla sua spalla, chiudendo gli occhi.
“Mi manca Midgar” dichiara lui, improvvisamente, sospirando. Alle loro spalle lo schiamazzo della folla a Costa del Sol è più forte che mai. “E, allo stesso tempo, non ho idea di come farò a tornarvi, quando arriverà il momento di lasciare questo posto. Ho sempre pensato che la ShinRa fosse la mia casa. Mia madre diceva sempre che casa è un concetto fin troppo ampio: etichettiamo come casa il luogo in cui ci torniamo a fine giornata, in cui ci sentiamo al sicuro e protetti. La ShinRa, in effetti, era questo per me. Ma adesso… a causa di Genesis, Angeal, Lazard e del disordine in cui verte la compagnia… è come se avessi perso la fiducia in Soldier.”
“Un mio amico dice spesso che tutti cercano un posto dove tornare. Credo sia questa la definizione più efficace di casa” risponde Cissnei, pensierosa.
“Non è la prima volta che me lo dici, vero?”
“Può darsi” asserisce la ragazza, con un mezzo sorriso enigmatico. “Ma il punto è che tutti meritiamo di trovare un posto del genere. E francamente, se credi che per te quel luogo non sia la ShinRa, beh… non so dove sia il problema. Magari può essere anche l’occasione per un nuovo inizio.”
Il ragazzo la guarda serio, ma non trova nessuna parola capace di contrastare la logica della giovane Turk. Detto da lei, tutto sembra maledettamente semplice e immediato.





Il tempo, sulle spiagge tinte d’avorio di Costa del Sol, è un concetto quasi inesistente e assimilabile all’infinito, scandito soltanto dal lento incedere del sole tra le nuvole che velano il cielo.
Zack e Cissnei trascorrono le loro giornate così, tra una risata e l’altra, cercando di allontanare dalla mente gli ultimi avvenimenti che, segretamente, inquietano gli animi di entrambi. Spesso, durante  gli afosi pomeriggi screziati dal sole, fanno lunghe passeggiate sul lungomare, fino a giungere al limite estremo della baia, nella zona rocciosa in cui, alcune sere prima, si sono ritrovati a conversare sotto la luna piena. E qui, tra i tiepidi flutti del mare che si infrangono lungo le rocce, lasciano vagare i propri pensieri, discutono animatamente, raccontano con nostalgia frammenti di vita passata che reputano interessanti; e a volte, mentre il sole tinge di rosso la linea fugace del tramonto, si chiedono che cosa sarà del loro futuro e di quello sempre più fosco della compagnia.
Saltuariamente, anche Tseng va con loro. Ascolta le loro chiacchiere leggere in silenzio, con quell’espressione un po’ seria e corrucciata che notoriamente lo contraddistingue, in tenuta da Turk nonostante il caldo torrido che rende la sabbia rovente.
Le giornate scivolano via, si perdono nel monotono fragore delle onde che, ineluttabilmente, si disfano sulla riva del litorale dorato. Zack comincia a temere il ritorno a Midgar, a quella realtà che tanto duramente l’ha messo alla prova nel corso degli ultimi mesi; e, al tempo stesso, è ossessionato dalle parole che Cissnei, durante quella serata passata sulle rocce di pochi giorni prima, ha pronunciato francamente, con quella tipica spontaneità che tanto la caratterizza. Tuttavia, l’inquietudine legata ai suoi pensieri svanisce al sorgere del sole, quando il mare, infuocato dai colori dell’alba rosata, si tinge di tutte le sfumature dell’aurora che è appena trascorsa.





Ancora una volta, la luna crescente getta molteplici ombre sulla sabbia resa umida dall’alta marea. Le orme sulla battigia sono ritmicamente sopite dal leggero tocco dell’acqua, che gli solletica leggermente i piedi nudi, accarezzandoli; l’acqua è fredda, quasi gelata, e lo stuzzica lievemente all’altezza della caviglia.
Raramente si avventura per il litorale da solo: Cissnei è quasi sempre al suo fianco, in silenzio ma pronta a rincuorarlo in caso di bisogno. Sono diventati molto uniti nel corso di quelle lunghe giornate passate insieme, e si sono già ripromessi che, alla fine di quella lunga vacanza, si ritroveranno un po’ più spesso, per trascorrere un po’ di tempo insieme.
Camminano entrambi in riva al mare, osservando distrattamente la linea dell’orizzonte infiammata dal tramonto che è appena trascorso. Per la baia risuonano ancora i versi striduli dei gabbiani lontani.
“E’ così, è finita” afferma improvvisamente lei, mentre continua ad avanzare per il litorale sabbioso, così come hanno fatto in tutti gli altri giorni. “Domani si torna a Midgar.”
“Già. E’ stata una vacanza tranquilla, dopotutto.”
Si siedono entrambi sul limitare della riva, nel punto in cui le onde si infrangono rumorosamente per poi disperdersi tra la sabbia rosata dal tramonto.
“Hai pensato a quello che ti ho detto l’altra sera, su quelle rocce?” chiede Cissnei dopo qualche minuto, il tono di voce serio.
Zack non è sicuro di come dover rispondere.  “Ci ho pensato, sì…” afferma dopo qualche secondo, incerto.
“E…?”
“E cosa?”
Cissnei ride. “Hai capito qual è il luogo che vuoi chiamare casa?”
“Non ancora. Dopotutto, ho passato così tanto tempo alla ShinRa… non è facile per me decidere di lasciarla così, di punto in bianco.”
La ragazza lo osserva attentamente, lo studia un po’, con un’espressione seria dipinta sul viso. “A mio parere,” decreta all’improvviso, distogliendo lo sguardo, “hai già fatto una scelta. Credo che le decisioni che prendiamo avvengano in maniera quasi istantanea. Magari però hai solo bisogno di accettarla, prima di concepirla davvero come tale.”
Zack la guarda smarrito, senza capire dove voglia arrivare.
“Dico solo” risponde Cissnei, sorridendo del suo sguardo confuso “che più l’idea di lasciare la ShinRa si fa largo dentro di te, più è difficile accettarla.”
Il crepuscolo s’è insinuato lungo la linea infuocata dell’orizzonte, macchiandola del viola acceso che precede l’oscurità della notte. Quasi senza accorgersene, il suo pensiero è andato verso Aerith. Sa che lei sarà sempre ad aspettarlo, a Midgar, nella chiesa diroccata del Settore 5, qualunque scelta decida di compiere. D’un tratto, il peso delle sue decisioni sembra essere meno opprimente.





Midgar è uguale a come la ricorda, immersa nello spettrale bagliore verdastro che da sempre gli conferisce l’energia Mako. Appena pochi minuti dopo essere sceso dall’elicottero, cammina già per le affollate strade dei bassifondi, a passo svelto, impaziente di rivederla dopo settimane di lontananza. La gente, le costruzioni, l’illuminazione, tutto sembra in qualche modo diverso, dissimile da quelli che sono i suoi ricordi del luogo, ma si rende conto che forse è solo lui ad essere cambiato.
Intravede le slanciate guglie gotiche della chiesa tra i tetti delle costruzioni più vicine. Sorride, felice di essere tornato, di poter rivedere Aerith, di cominciare a recitare in un atto della sua
vita che difficilmente ha immaginato in passato. Corre lungo l’ultimo tratto di strada, impaziente come non mai, raggiunge il malandato portone di legno della grande costruzione in pietra e lo spalanca, ansante.
A differenza della grande città attraverso la quale si è snodato nei minuti precedenti, la prima cosa che lo colpisce della chiesa è che la trova del tutto uguale all’ultima volta che l’ha vista. Riconosce in un lampo le statue usurate dal tempo disposte ai lati dell’androne, osserva con nostalgia le panche semi distrutte disposte ai lati della navata, gli è familiare persino quell’illuminazione così fioca elargita dal numero esiguo di raggi di sole che filtrano dalle alte finestre diroccate.
Immerso nei suoi ricordi, inizialmente non si accorge nemmeno del dettaglio più importante, del motivo per cui s’è precipitato con tanta foga verso quella costruzione in rovina del settore 5 dei bassifondi. Ma all’improvviso, nel momento esatto in cui posa lo sguardo sul rigoglioso campo fiorito che gli sta di fronte, capisce che qualcosa manca a quel meraviglioso quadro, qualcosa che lo rende incompleto nella sua prospera bellezza.
La ragazza che ha aspettato tanto di rivedere, che gli è mancata in modo così intenso durante le lunghe giornate passate sotto il caldo rovente di Costa dl Sol, semplicemente, non è lì.





La sua voce, al telefono, sembra fiacca e assonnata. Probabilmente è stata svegliata dal suono squillante del cellulare, perché ha risposto dopo diversi squilli, quando ormai stava per rinunciare ed annullare la chiamata.
“Pronto?” risponde lei, lentamente, dopo un grosso sbadiglio.
“Ehilà, dormigliona!” esclama lui giovale, ridendo.
Gli sembra quasi di vederla, mentre spalanca gli occhi per la sorpresa di sentire la sua voce. “Zack…?”
“Ovvio!” fa lui, interrompendola. “O forse mi confondi con qualche altro membro di  Soldier caduto dal cielo?”
Dall’altra parte dell’apparecchio, una risata. “No, tranquillo. Finora solo tu hai avuto il piacere d’incontrarmi in questo modo. Comunque, Perché chiami a quest’ora del mattino?” chiede Aerith, con un tono di voce più sveglio.
Zack fatica a non prenderla bonariamente in giro. “Veramente, mezzogiorno è passato già da un pezzo!”
“Cosa?!” Sente il trambusto della ragazza mentre scende dal letto e agguanta la sveglia, meravigliata. “Come ho fatto a dormire tanto?!”
Sorride e non risponde, aspettando che lei smetta di prendersela con l’apparecchio che non ha suonato. “Beh, non è mica così grave, però” afferma Zack dopo qualche secondo, di buonumore.
“Ma questo è il periodo più importante per la fioritura! Avevo intenzione di curare i fiori durante la mattinata!” esclama lei, amareggiata. “Beh, vorrà dire che lo farò adesso. Vado a prepararmi. Ti richiamo tra poco, va bene?”
Cerca di trattenerla, ma prima che possa dire qualunque cosa a proposito del suo ritorno, lei ha già chiuso il telefono, di fretta.





Rimane per una buona decina di minuti ad aspettare, nella penombra velata dai tiepidi raggi di sole che discendono obliquamente dal soffitto distrutto in più punti. Si distende sul parquet polveroso, gli occhi chiari rivolti al soffitto, osservando il complesso disegno di travi che si incrociano armoniosamente al di sopra della sua testa.
Dopo un po’, il telefono squilla prepotentemente, nella sua tasca.
“Ciao!” esclama Aerith, non appena il ragazzo accetta la chiamata.
“Ehilà, a quanto pare ci risentiamo!” risponde Zack, ridendo.
Le parole della ragazza sono velate dalla costernazione. “Mi dispiace, per prima. Ero un po’… assonnata, diciamo.”
“Tranquilla, tranquilla.” Il sorriso di Zack si allarga sempre più sul suo viso. “Aaaallora, stai andando alla chiesa, dunque?”
“Sì, sono per strada” afferma lei, pensierosa. “E tu, ancora in spiaggia?”
“Ovvio!” mente Zack, mordendosi le labbrsa per non scoppiare a ridere. “E a proposito, qui c’è Tseng che ti saluta!”
“Tseng?!”
“Sì, perché?”
Aerith è un po’ confusa. “E’ solo che… beh, non sembra un tipo da spiaggia.”
“Non lo è, infatti” esclama Zack. “Sta in divisa anche sotto il sole cocente!”
“Tipico di lui” afferma la ragazza sorridendo. “Ma comunque,  quand’è che hai intenzione di tornare nella sporca e maleodorante Midgar?”
Non riesce più a nascondere quella lieta risata che fin dall’inizio della conversazione cerca di reprimere. Aerith lo ascolta, confusa: gli chiede che cos’abbia da ridere tanto, ma lui non riesce nemmeno a rispondere, tanto è divertito dalla situazione.
E poi, il portone della chiesa si apre con un lento cigolio, che disegna un lieve fascio di luce bianca sul parquet di fronte all’entrata. Si volta con lo stesso ghigno soddisfatto che ha assunto durante tutto l’arco della telefonata, e, per la prima volta dopo diverse settimane, incrocia il suo limpido sguardo di nuovo.





Gli chiede quand’è arrivato, e lui risponde che è lì da poco tempo, probabilmente da nemmeno un’ora. Conversano solo un po’, o forse per tutto il pomeriggio seguente: quand’è tra le sue braccia, Aerith  non riesce proprio ad avere una precisa concezione dello scorrere del tempo. Zack racconta della sua vacanza a Costa del Sol, delle lunghe passeggiate sulla spiaggia dorata, delle notti passate sullo strapiombo roccioso che dà sul lungomare; gli parla delle sue decisioni, delle molte cose che ha capito su se stesso, dei suoi nuovi progetti per il futuro che passeranno insieme. Aerith non parla quasi mai, lascia che sia lui ad esprimere tutto quello che gli passa per la testa, intervenendo di tanto in tanto con qualche breve commento divertito.
I raggi del sole si espandono lungo le travi consunte del parquet, mentre il pomeriggio scivola via nell’aria frizzante della sera nascente. Quando il cielo oltre le nubi si tinge dell’indaco scuro della notte, decidono di andare a mangiare qualcosa, e si avventurano nel tiepido brulichio che contraddistingue le placide serate dei bassifondi. Si recano presso un locale semplice e un po’ fuorimano, nel settore 7, chiamato 7th Heaven; la ragazza al bancone li accoglie con un sorriso, poi gli chiede se sono già pronti ad ordinare.
Consumano la cena in silenzio, lanciandosi qualche sguardo d’intesa che li fa sorridere al di sopra dei piatti: e infine, una volta pagato il conto, sono già di nuovo fuori, a passeggiare per le articolate vie della grande città al centro del mondo.
Quella notte, fanno l’amore per la prima volta.





Si sveglia che è già mattina, quando i tiepidi raggi del sole nascente arrivano sul suo viso, illuminandolo. Infastidito, apre lentamente gli occhi, osservando con smarrimento il luogo dove si è addormentato. Le alte pareti gotiche della chiesa gli riportano alla mente i ricordi della notte appena trascorsa.
Si stringe intorno alla vita di Aerith, distesa accanto a lui in posizione fetale; si avvicina al suo collo nudo e lo bacia dolcemente, su più punti, aspettando che si svegli e che gli sorrida dolcemente, sua complice nella notte che è già volata via: e lei apre gli occhi, sorridendogli, posando una mano sul suo petto e baciandolo dolcemente sulla labbra.
“Buongiorno” sussurra lievemente, la voce assonnata.
“Buongiorno anche a te” risponde lui, sorridendole dolcemente.
Aerith chiude di nuovo gli occhi, poggiando la testa sul suo torace, serena. In quel momento pensa che sarebbe bello morire così, per imprimere quel momento per sempre e fare in modo che nessun altro avvenimento possa superarlo per gioia e intensità d’emozioni. Sente il cuore di Zack battere ritmicamente, all’interno della gabbia toracica: dolcemente, quel suono la culla un’altra volta nel sonno. Rimangono così finché la mattina non sorge florida e giovale, risvegliando il tiepido aroma dei fiori appena sbocciati.
“Che ore sono?!” chiede improvvisamente Aerith, alzandosi di scatto. Il suono della sua voce, così lapidario e incisivo, risuona tra le alte pareti della chiesa per diversi secondi, prima di spegnersi lentamente.
“Le otto e trentuno, perché?”
Osserva il volto della ragazza pietrificarsi in una smorfia atterrita. “Mia madre mi ucciderà, diamine!”





Durante il percorso di ritorno verso casa di Aerith, inventano diverse scuse, più o meno credibili, tra una risata e l’altra, per smorzare la tensione della ragazza. Tuttavia, arrampicandosi dalla finestra semiaperta, sospira con sollievo una volta appurato che sua madre sta ancora dormendo.
“Meno male” esclama poi, sedendo sul letto con il sorriso ritrovato. “Altrimenti sarebbero stati cavoli amari.”
“Beh, è normale che tua madre ti proibisca di stare in giro di notte. Dopotutto, non è che queste strade siano parecchio sicure…” afferma lui, in piedi accanto alla porta, poggiando la schiena contro il legno ruvido dell’entrata.
“C’eri tu, con me. Questo mia madre non lo sa!” esclama lei, ammiccando con lo sguardo.
“Sai, non credo che sapere ciò la tranquillizzerebbe alquanto!”
“Già, probabilmente hai ragione.”
Si avvicina a lei e la bacia ancora; trascorrono insieme diversi minuti dell’ambita felicità a  cui hanno anelato durante l’interminabile periodo in cui sono stati lontani.
“Devi andare?” sussurra lei poco dopo, tra le lenzuola sfatte del suo letto, dove, abbracciati, hanno guardato il sole sparire oltre il piatto, pronto ad illuminare la città che sorge sopra le loro teste.
“Suppongo di sì. Ho qualcosa di importante da fare, dopotutto.” La risposta è seria, così come il suo sguardo.
“Non sei obbligato a farlo. E’ una decisione molto importante da prendere, non vuoi pensarci un altro po’?”
“No.” Improvvisamente, si rende conto di non avere più nessuna esitazione. Probabilmente persino la parte più recondita del suo Io ha accettato questa decisione come l’inizio di una nuova, sensazionale vita.





Davanti ai suoi occhi si snodano le grigie gallerie d’acciaio che sono i corridoi della sede centrale della ShinRa. Quasi meccanicamente, appena entrato all’interno dell’abitacolo che funge da ascensore principale, sposta la mano verso il piccolo bottone del piano Soldier; poi si corregge, accennando un sorriso e spostando la mano ad un paio di pulsanti più in alto, sospirando. Il rumore sconnesso dell’ascensore che sale avvicina i suoi pensieri alla meta che, pochi giorni prima, si è prefissato con decisione di raggiungere.
Quando le porte di metallo si aprono davanti ai suoi occhi, rivelando il candido bagliore di un corridoio in marmo bianco, capisce di non poter più tornare indietro.
Non che comunque sia interessato a farlo.





Appena un paio d’ore dopo, assapora la libertà della vita di un qualunque cittadino di Midgar. Si ritrova a camminare lungo quello che riconosce essere Viale Loveless, con un gran sorriso sulle labbra, indossando degli abiti civili per la prima volta dopo parecchio tempo. I suoi passi sono più spontanei, liberi di camminare lungo qualunque strada: ha dimenticato la sensazione di essere davvero padrone delle proprie scelte.
Sorride alla città, nel pieno del suo rinnovato vigore. Sente il telefono squillare, in tasca, vibrando silenziosamente.
“Pronto?”
“La notizia si è diffusa più in fretta di quanto non avresti voluto, suppongo.” Riesce a sentire una sfumatura di tristezza nel tono di voce di Cissnei.
“Diamine, lo sanno già tutti?” domanda Zack, visibilmente sorpreso.
Cissnei fa una breve risatina. “No, non tutti,” risponde poi, seria. “Ovviamente, il reparto Soldier è stato informato, e così anche quello dei Turk. Sono un po’… confusi, a dire la verità. Non vedono un motivo, così pensano che tu abbia scoperto qualcosa di losco sulla compagnia e sui suoi piani segreti.”
“Eh?”
“Le teorie della cospirazione sono molto in voga, di questi tempi” afferma lei, con semplicità. “Le persone non si sforzano mai di vedere le cose attraverso un punto di vista differente dal proprio.”
Zack respira profondamente, imboccando una via secondaria della grande città. “Cissnei… volevo ringraziarti per… beh, lo sai. Senza di te non sarei qui, in questo momento. Grazie davvero.”
“Non serve ringraziarmi. Chissà che anche tu non avresti fatto comunque la stessa scelta, anche se non ti avessi detto nulla, quella notte!” esclama lei, ma Zack capisce che è lieta che abbia espresso tanta gratitudine nei suoi riguardi. “Ora, scusami, ma devo andare. A quanto pare, diverse zone del mondo sono ancora sotto attacco… ma non è più un tuo problema, giusto?”
Zack sorride. “Chiamami quando finisci gli incarichi, andremo a bere qualcosa insieme!”
“Ci conto, eh?” scherza lei, prima di chiudere la chiamata.
Ripone il telefono nella sua tasca, sorridendo. Persino nell’oscurità gotica delle vie di Midgar, adesso, gli sembra di vedere il tiepido splendore dei raggi di sole.





Con i soldi che ha accumulato durante i numerosi anni al servizio della ShinRa, prende un piccolo appartamento in un viale secondario ma ben tenuto. Poche stanze, un bagno, un piccolo balconcino che dà sulla strada: sente che starà bene, lì.
Ogni giorno, dopo una breve colazione, va a trovare Aerith, all’interno della diroccata chiesa del Settore 5. Passa con lei gran parte delle sue giornate: e in breve, i giorni cedono posto alle settimane e ai mesi.
Aerith decide anche di presentarlo a sua madre, in una di quelle tante serate che trascorrono insieme: Elmyra si dimostra cordiale, e ben presto anche lui riesce a superare l’imbarazzo iniziale di una situazione del genere. Trascorrono una serata piacevole, divertente, inusuale: ma è lì, attorno a quel piccolo tavolo di legno dalla forma rotonda, che Zack sente per la prima volta di appartenere a quella famiglia.
Qualche giorno dopo, quando lo rivela alla ragazza, lei sorride: gli spiega, con quel suo tono lieto, che quello è lo stesso sentimento che prova quando, da lontano, osserva la gioiosa armonia che traspare dai volti della gente dei bassifondi, e che è felice che anche lui riesca a provare lo stesso.
Saltuariamente, di tanto in tanto, dietro qualche bicchierino in uno dei tanti bar della metropoli, incontra ancora i suoi vecchi colleghi di lavoro. Discute un po’ con Cissnei, ricordano insieme i vecchi tempi e le decine di missioni svolte in coppia, si aggiornano sulle novità delle loro vite; quanto a Tseng, gli capita spesso di incontrarlo lungo le vie dei Bassifondi che conducono alla chiesa di Aerith; scambiano soltanto poche parole concise, poi ognuno va per la propria strada: dopotutto, sa che Tseng non è mai stato un gran chiacchierone.





Aerith ha passato la notte da lui, nel suo letto, tra le sue braccia. Il mattino li ha colti impreparati, incapaci di sciogliere quella stretta che li ha tenuti legati per tanto tempo insieme. Rimangono a sonnecchiare, in dormiveglia, mentre fuori dalla finestra Midgar si sveglia velocemente.
D’un tratto, il suo telefono squilla. Uno, due, tre volte consecutive: lo lascia trillare, svogliato, perché non vuole alzarsi e abbandonare il tepore del corpo della ragazza che ha accanto. Tuttavia, al settimo o all’ottavo squillo, è costretto ad allungare una mano verso il comodino.
“Pronto?” sussurra assonnato, allontanando le coperte disfatte ai piedi del letto.
“Ti ho svegliato?” Il tono di Cissnei è una sfumatura a metà tra il divertito e il costernato.
Zack tiene il telefono tra la testa e la spalla, mentre si infila in fretta un paio di pantaloni gettati alla rinfusa su una sedia. “No, ero già sveglio da un po’…” mente, avvicinandosi alla cucina e cercando un po’ di caffè in frigo.
“Ti tradisce il cadaverico tono di voce” afferma lei, con una risata un po’ canzonatoria. “Sul serio, mi dispiace, è solo che sono già le nove del mattino, e pensavo che probabilmente ti avrei trovato già in piedi. Bella la vita da disoccupato, eh?”
“Ha i suoi vantaggi, sì” afferma lui, sorridendo. “Come mai questa telefonata?”
“Volevo solo dirti che… beh, domani parto per un’altra missione. E non ho idea di quanto tempo possa impiegare prima di terminarla. Dunque pensavo che magari, questa sera, avremmo potuto vederci, parlare un po’…”
“E’ una bella idea!” approva lui, felice. “E… pensi di potermi rivelare il luogo di destinazione della missione, o sono informazioni super-riservate accessibili solamente al reparto Turk?”
Ascolta la risata di Cissnei attraverso l’apparecchio elettronico. Ascoltandola da lì, sembra più stridula di quanto non lo sia davvero.  “Te ne parlerò stasera, se vorrai.”





Al calar del sole si ritrovano al solito bar, da soli, com’è loro abitudine in serate del genere: Aerith preferisce non immischiarsi nelle questioni della ShinRa, un po’ per paura, un po’ per rispetto nei confronti della grande amicizia tra i due ragazzi.
Prendono posto in uno dei tanti tavoli vuoti, davanti alla vetrata illuminata da cui traspare la quieta oscurità dei bassifondi notturni. Come al solito, iniziano sorseggiando un bicchiere di whisky invecchiato.
“…e quindi, l’ho portata un po’ in giro per la città con il carrello dei fiori che le ho costruito. All’inizio sembrava un po’ spaesata, ma poi si è abituata in un lampo alla vita della gente sopra il piatto!” esclama Zack, alla fine del suo racconto, aggiornando la ragazza con gli ultimi resoconti delle sue avventure nei bassifondi.
Cissnei non lo ascolta con lo stesso interesse dei loro incontri precedenti. Sembra distratta, mentre osserva al di fuori della finestra, incapace di mantenere viva l’attenzione sul suo discorso per più di pochi secondi. Zack se ne accorge ben presto, e lascia che il suo tono si smorzi in un silenzio carico di comprensione.
“Qualcosa non va?” chiede poi, lasciando andare il bicchierino semivuoto sul polveroso tavolo di legno.
Cissnei compie lo stesso movimento con il braccio, esitando giusto un secondo in più di lui al momento di abbandonare la presa lungo le fredde e levigate pareti del bicchiere. Sospira, stanca.
“E’ che… è stata una lunga giornata.”
“Ti andrebbe di parlarne un po’?” le domanda Zack, con il tono più incoraggiante che possiede. Dopotutto, vedere Cissnei in questo stato lo fa star male.
La ragazza sembra un po’ combattuta, divisa tra sentimenti contrastanti. Probabilmente non vuole ledere il suo buonumore con inutili preoccupazioni, ma, d’altra parte, sfogarsi con qualcuno le farebbe tremendamente bene.
Alla fine, dopo una manciata di secondi passati in silenzio, respira profondamente. Sulle sue labbra si dipinge l’ombra di un sorriso tirato.
“E’ solo stata una di quelle lunghe, interminabili, sfiancanti giornate no. E’ cominciata con quello stupido incarico. Sai, quello di cui ti ho parlato prima, a Nibelheim. Sembra qualcosa di potenzialmente pericoloso. Oltre a me, anche Sephiroth ed una manciata di altri Soldier di gradi differenti saranno inviati sul posto. Credo ci sia qualcosa che la ShinRa evita di rivelare persino ai suoi dipendenti, in quel reattore. E poi…”
“Cosa?” domanda Zack, concentrato.
“Ti è mai capitato di pensare che quella che stai per intraprendere potrebbe essere la tua ultima missione? Io non riesco a togliermi questa sensazione. So che qualcosa andrà storto. Me lo sento.”
Il tono di voce è serio, demoralizzato, quasi rassegnato. Non l’ha mai sentita parlare così: quest’idea deve averla sconvolta parecchio.
“Ascoltami bene, tu!” comincia il ragazzo, serio. “Spiegami semplicemente perché in questa missione qualcosa dovrebbe andare storto. Partecipa anche Sephiroth, che… cavolo! E’ il miglior combattente dell’intero reparto Soldier! Con lui accanto, puoi star certa che qualunque problema sorga, verrà neutralizzato in men che non si dica. Vedrai che entro pochi giorni sarai di nuovo qui, a Midgar, insieme a tutti gli altri. La ShinRa ha passato periodi del genere continuamente, prima di divenire l’immenso colosso mondiale che è oggi. Una crisi passeggera non è nulla, per lei, fidati.”
Le sue parole sono forti, decise, pronunciate con quell’indomito fervore ed entusiasmo che l’ha sempre contraddistinto.
“Ti manca, vero?” domanda Cissnei, il tono di voce malinconico. “la ShinRa, intendo.”
La domanda è tanto improvvisa che lo fa vacillare, per un attimo. Poi il suo volto si dischiude in un sorriso. “In verità, no. Ho imparato a non pormi nemmeno questa domanda. Ricordo con dolcezza i giorni che ho passato nella compagnia, ma quelli che sto vivendo adesso sono altrettanto belli e vividi. Non c’è alcun motivo di fare un paragone tra due realtà che, pur non coesistendo tra loro, sono di fatto più simili di ciò che può sembrare.”
Trascorrono diversi minuti di silenzio. Cissnei tiene lo sguardo chino, perde i suoi pensieri nel liquido ambrato che le sta di fronte, annacquato dal ghiaccio. Poi, all’improvviso, un suo singhiozzo disperato rompe la quiete, lacerandola. “Z-zack, ti prego…” sussurra, tra le lacrime. “Io… n-non voglio andare…”
La guarda negli occhi, desolato. D’un tratto, capisce che c’è ancora qualcosa che gli nasconde.
“Perché?” le sue parole adesso sono fredde, pungenti, inquiete.
“T-ti prego!”
Le lacrime che le rigano il viso sono di gran lunga la cosa peggiore.
“Cissnei!” esclama, grave.
“N-non voglio… abbandonarti…” mormora lei, in sussurro appena udibile.
L’affermazione lo colpisce violentemente, con la potenza inaudita di quelle onde che, glaciali, si infrangevano fragorosamente lungo la battigia a Costa del Sol. Spalanca gli occhi, rielabora più e più volte la frase sconnessa, cerca di trovarvi altri significati, disperatamente.
“Che vuoi dire?” le domanda, con un sorriso forzato di incredulità.
“Hai capito benissimo.” Il tono della sua voce, freddo, non ammette alcun genere di dubbi.
“Io sto con Aerith.”
“Lo so.”
“E siamo felici insieme.” Il sorriso scivola via dal suo viso, come neve sotto il tiepido sole di fine inverno.
“So anche questo.”
“E allora…” comincia lui, irato. “Che cosa credevi di fare dicendomi una cosa del genere?!”
Cissnei non risponde alle sue parole, mortificata: tiene lo sguardo basso, troppo umiliata per riuscire a guardarlo negli occhi. “T-ti prego, non…”
“Cosa?!”
“N-non fare così… t-ti prego…!” I suoi singhiozzi diventano ancora più frequenti.
Zack si alza in piedi, furente, e abbandona l’edificio in fretta. Ignora il rumore dei passi alle sue spalle, il cigolio stridente della porta che si apre, i suoi singhiozzi disperati che gli implorano di tornare indietro. La sente urlare il suo nome, nel silenzio del vicolo dormiente: Zack, Zack, Zack! Urlerebbe il suo nome al mondo intero, ma lui non si lascia impietosire. Carico di rabbia, non si volta nemmeno per un momento, mentre svanisce nella foschia notturna originata dai vapori del reattore Mako.
Cissnei, invece, rimane per parecchio tempo lì, affacciata all’uscio di quel dimesso bar di periferia, piangendo amare lacrime di rabbia e sconforto. Il bicchierino è ancora ben saldo tra le sue mani: tuttavia, questa volta non è annacquato solamente dal ghiaccio.





Il giorno seguente, prima ancora dell’alba, esce per fare una lunga passeggiata per le vie ancora buie della metropoli. Ripensa agli avvenimenti della sera precedente, cercando di analizzarli da una diversa prospettiva: forse è stato fin troppo crudele con Cissnei, magari avrebbe potuto mostrare maggiore comprensione nei suoi riguardi. Sicuramente, in quel momento, la ragazza deve sentirsi distrutta, tra la partenza e quell’infuocata discussione che ha distrutto i suoi sogni. Tuttavia, non riesce ancora a perdonarla: non è stata corretta nei suoi riguardi, gli ha nascosto qualcosa di importante che avrebbe dovuto rivelargli parecchio tempo prima.
La linea dell’orizzonte s’infiamma delle flebile luce dell’alba. Una parte di lui si sente in colpa per la ragazza, e gli propone di correre all’edificio ShinRa, fermarla, chiederle scusa per il suo comportamento offuscato dalla rabbia. L’altra parte, tuttavia, non riesce ad assolvere le colpe che lei ha commesso nei suoi riguardi, e nutre verso Cissnei un profondo rancore che riesce a giustificare solo in parte.
Osserva il sole sorgere per l’ennesima volta dalle alte montagne ai lati della città. Si ritrova a pensare che perdonare è difficile, almeno tanto quanto chiedere scusa.





Nonostante alla fine si sia preposto di andare a parlarle, quando arriva alla sede della ShinRa è già troppo tardi. Attraverso qualche ex-collega rimasto alla base di Midgar, riesce a sapere che le varie squadre sono già state inviate verso le loro destinazioni all’alba, per essere già operativi sul luogo durante il corso di quella stessa giornata.
Lascia la sede della compagnia, pensieroso; attorno a lui, lentamente, la città riprende vita sotto il suo sguardo.
Per gran parte dei giorni seguenti, è distratto, taciturno, con la testa altrove: ha provato a chiamarla diverse volte, durante quelle lunghe giornate, speranzoso, tuttavia il telefono ha sempre squillato a vuoto per diverse volte. Probabilmente non ha molta voglia di parlare con lui: dopotutto, dopo il modo in cui si sono lasciati, persino lui non riesce a biasimarla per la sua decisione.
Aerith, in quei giorni, lo osserva attentamente, impensierita dal suo comportamento apatico e silenzioso, così diverso dal solito modo esuberante di fare che l’ha sempre contraddistinto. Capisce anche lei che c’è qualcosa che non va, qualcosa che lo impensierisce e che al tempo stesso lo turba profondamente: tuttavia, nonostante le costi molto, asseconda il suo desiderio, e decide di non costringerlo a parlare con lei, se non gli va.
E poi, a sette giorni dalla partenza di Cissnei, durante una brutale tempesta che sconquassa con violenza l’anima della città, Zack riceve una telefonata.
Sa già che qualcosa non va, lo sente, prima ancora di premere il tasto per accettare la chiamata.





Cissnei è morta. Così gli ha detto Tseng, in quella breve telefonata di pochi minuti prima. L’intera Nibelheim è arsa in un incendio, durante la notte: cause sconosciute, nessun superstite tra i membri della compagnia, nemmeno il leggendario Soldier di prima classe Sephiroth.  
Non capisce come sia potuto accadere. Ci deve essere un errore, sì, probabilmente è così: la ShinRa emette continuamente comunicati del genere sulla morte dei propri dipendenti, per nasconderne l’effettiva ubicazione o per eliminare qualunque traccia di cattiva condotta. Ne è sicuro: quasi certamente è solo una copertura di cattivo gusto architettata dalla compagnia.
Ne parla con Aerith, poco dopo, attraversando il fragore assordante della pioggia che si dibatte lungo le vie scarsamente illuminate, fino a casa sua.
“Se il comunicato diceva così, allora deve essere vero” esclama Aerith, nella penombra della sua camera, lanciandogli un occhiata costernata. Lui si alza in piedi, avanza fino alla finestra, osserva le gocce di pioggia scivolare e ricongiungersi lungo il vetro, in una breve traiettoria che si dilunga attraverso la superficie verticale.
“Non capisci… la ShinRa ha già fatto una cosa del genere, prima con Genesis, poi con Angeal! Ed entrambi i casi, erano vivi, ed il comunicato di morte era solo una menzogna della ShinRa. Potrebbero aver fatto la stessa cosa con Cissnei e Sephiroth!”
“Oppure potrebbero aver detto la verità.”
Zack si volta verso di lei, incredulo. “Da quando vai d’accordo con tutte le macchinazioni che ordisce la ShinRa?”
Aerith si alza in piedi, decisa. “Da quando le loro parole sono di gran lunga più convincenti delle tue! C’è stato un incendio, è normale che non ci siano dei superstiti! Se è accaduto durante la notte, probabilmente non hanno nemmeno avuto alcuna possibilità di fuga!
“Forse mentono anche su questo!” esclama Zack, cercando una scappatoia alle sue parole. No, non può nemmeno prendere in considerazione l’idea di credere ad un ipotesi tanto ridicola. Deve ancora scusarsi con Cissnei, rincuorarla, dirle che gli dispiace, che non avrebbe dovuto trattarla così, in maniera tanto rude e aspra, quella sera, e che era solo sconvolto da quell’inaspettata rivelazione.
No, non può essere morta. Non adesso che ha capito quanto è importante per lui e per la sua vita. Vuole ringraziarla per tutti i suoi preziosi consigli, dirle che da quando c’è lei la sua vita è migliore, e che, nell’ipotetico futuro che a volte immagina, c’è posto anche per lei, accanto a lui e ad Aerith.
La ragazza davanti a lui ha un espressione scettica sul volto. “Zack, sei sconvolto da questa storia, è ovvio che tu creda sia tutto un imbroglio. Tuttavia, le possibilità che sia davvero come dici sono quasi del tutto inesistenti!”
Il ragazzo nemmeno lo ascolta, tanto è perso nei suoi pensieri. Si alza in piedi, si rassetta i vestiti come meglio può, poi si avvicina alla porta, veloce.
“Dove stai andando?” chiede Aerith, confusa.
“A salvare un’amica.” La risposta è breve, concisa, screziata dalla ferma decisione che ha assunto il tono della sua voce.
“Vuoi andare fino a Nibelheim da qui?!”
“Tseng si prenderà cura di te.”
“Ma…!”
“No!” esclama lui, interrompendola. Non vuole che cerchi di fermarlo, che gli dica di lasciar perdere e di restare lì, con lei, aspettando che il dolore per la perdita appena subita si lenisca lentamente. La bacia dolcemente, con passione, interrompe il flusso dei suoi pensieri solo per un momento, assaporando la libertà che il tocco di quelle labbra gli fa sentire.
“Tornerò presto” sussurra lui, aprendo la porta. Aerith lo saluta con un cenno del capo, mentre sul suo volto si dipinge il tiepido tepore di un sorriso timido di comprensione.
Abbandona la casa di Aerith, correndo sotto la pioggia che batte ininterrottamente sul selciato. Quando arriva al suo appartamento, bagnato fino all’osso, si dirige verso il ripostiglio, in fretta. Trova ciò che sta cercando, sorridendo. Dopotutto, gli è mancato tenere in mano la sua Buster Sword.





E, con la spada che rappresenta il suo onore, si mette in viaggio. Attraversa pianure, montagne, regioni intere che, in tutti quegli anni, non ha mai avuto occasione di vedere, ma che adesso gli appaiono davanti, lungo la linea infinita che si estende davanti a lui. Spesso, la sera, parla con le stelle, certo che gli indicheranno la via: non ha mai fatto un viaggio del genere da solo, e dunque è confuso, indeciso sulla via corretta da seguire: un paio di volte, giunto ad un villaggio, scopre di aver sbagliato direzione, e quindi si rimette in marcia, conscio di aver perso inutilmente del tempo prezioso.  
Una settimana dopo che ha cominciato quel suo lungo viaggio, si ritrova nei pressi delle rovine di Nibelheim. Osserva le poche tracce lasciate dall’incendio, scava tra le macerie delle case,  in preda alla disperazione: ma tra quelle rovine annerite non c’è alcuna traccia del passaggio della ShinRa.
Avanza attraverso le travi annerite dal grande incendio. C’è una stradina di campagna, più in alto, dissestata, tortuosa, piena di piante secche ed annerite. Vi si avventura, sempre più convinto che la risposta a quel mistero sia lì, a pochi passi da lui, nascosta per bene su quelle montagne.
E poi, lo vede.
Dapprima è solo un riflesso del sole, che si specchia lungo la superficie ben levigata dell’arma. Poi, quando si avvicina, nota le numerose striature scarlatte lungo le quattro braccia dell’utensile. In un istante, riconosce l’arma di Cissnei.
Lo shuriken è conficcato con forza in un punto in cui il terreno è stato dissodato da poco. Passa una mano lungo il ruvido selciato, tremante. Comincia a scavare con le mani, in preda ad una folle disperazione, cercando di fugare il suo terribile presentimento. Non può essere, non può aver viaggiato tanto solo per quello…
Dopo pochi minuti, sfiora con la punta delle dita quello che sembra essere un arto. Istantaneamente, un brivido freddo di spavento gli percorre la schiena. Il fetore putrido che emana il cadavere semisepolto gli dà la nausea.
Reprime la sensazione di vomito, costringendosi a riportare alla luce quel braccio che ha toccato poco prima. Senza neanche guardarlo, chiude gli occhi. Non è certo di voler sapere a chi appartiene.
Poi, sospirando e facendosi coraggio, alza le palpebre, tremante.
Il braccio, bianco e gelido, presenta alcune caratteristiche particolari che riconosce con facilità. L’uniforme del cadavere è quella di un fante, non di un Turk.
Il sollievo è così grande da farlo barcollare per diversi istanti, confuso. Poi, un enorme sorriso di felicità gli si dipinge sul volto. La sua risata è lunga, sincera, così immensa da rischiarare l’intera valle.
Ci mette ancora diversi secondi prima di capire che quella non è la tomba di Cissnei, e che lei è ancora viva, da qualche parte, nonostante abbia lasciato la sua arma lì, su quella tomba, come una firma indelebile che testimonia il suo passaggio. Sfila da terra lo shuriken, ammirandolo come il più prezioso tra i tesori del mondo. Al suo posto lascia la Buster Sword, conficcandola lungo il solco già creato dalla precedente arma, come tributo d’onore al fante sconosciuto sepolto in quella tomba, che durante i giorni a Nibelheim l’ha conosciuta e protetta, e che forse ha addirittura sacrificato la propria vita per lei.
Ricompone la tomba, prestandovi parecchia cura, mentre diverse lacrime di gioia gli rigano il volto. Alla fine, prima di proseguire per il suo lungo viaggio, raccoglie da terra lo Shuriken rosso fuoco.
Dopotutto, dopo che questa lunga storia sarà giunta al termine, a Cissnei occorrerà nuovamente un'arma. E quando sarà il momento, lo sente, lui sarà lì con lei, così come fanno i veri, grandi amici.

FINE
   
 
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