The Seventeen Days
Beh, inutile
dire che da quel giorno la mia situazione iniziò ad andare peggio, sempre
peggio, tanto che ora vorrei, sinceramente, spaccare la faccia a Ted per quello
che mi ha fatto. Fino a quando mi era sembrato che avesse preso bene la storia del
bambino ero contenta perché sapevo che ci sarebbe stato lui ad aiutarmi con la
gravidanza, che mi avrebbe tenuto la mano quando lo avremmo detto alla nostra
famiglia, che sarebbe stato con me anche quando il bambino sarebbe nato, ma, da
quel giorno, tutta la mia felicità si trasformò in tristezza, totale tristezza,
rivolta alla voglia di liberarmi della vita che porto in grembo. In questi
giorni, diciassette precisamente, come l’età nella quale dovrò iniziare a
prendermi cura di un’altra vita, ho trascorso la maggior parte del tempo nella
mia stanza, con la testa immersa nel solito pensiero: riuscirò a essere una
brava madre? Riuscirò a prendermi cura un bambino, senza l’aiuto di suo padre?
Riuscirò ad aiutare mio figlio a crescere, quando anche io non ho finito di
crescere? Domande che attraversavano la mia mente, senza farmi pensare ad
altro. Poi avevo paura, paura dei miei genitori e di tutto il resto. Ed ogni
volta che ci pensavo, le bollenti lacrime, che cercavo di ripudiare, mi
cadevano sulle guance, rendendomi la vita impossibile. Diciassette giorni
trascorsi a piangermi addosso o tra le braccia dei miei fratelli, che mi
avevano ripromesso che non avrebbero detto niente a mamma e papà, diciassette
giorni trascorsi a cercare di farmi passare dalla testa Ted e Victoire. Eppure,
nonostante la mia tristezza, ogni volta che ci pensavo la rabbia mi invadeva.
La rabbia per essere ceduta quella sera, la rabbia per dover crescere un figlio
da sola, la rabbia per aver scoperto quanto Ted sia ancora immaturo. E’ da quel
maledetto giorno che non lo vedo, in questi diciassette giorni non è neanche
venuto a cena da noi ed anche papà lo ha considerato strano. Beh, penso che in
questi giorni abbiano iniziato a considerare strana pure me, ne sono sicura.
Dovrei dirgli tutto. Togliermi il pensiero e svuotare il sacco, sputare il
rospo. Non ci riesco, non ce la faccio, non ancora. Ogni volta che ci provo, mi
blocco e non riesco più a spiccicare parola.
Naturalmente,
tralasciando il fatto che sto ingrassando e che i vestiti iniziano a non
entrarmi più. E’ una cosa normale, ma, allo stesso tempo, è come se mi desse un
ultimatum, come se mi ricordasse che non potrò tenere nascosta la gravidanza
ancora per molto. Prima o poi i miei genitori se ne accorgeranno, anche se non
sarò io a dirglielo. Non smetterò mai di maledirmi per quello che ho fatto
perché, infondo, è tutta colpa mia. Beh, anche di Ted. Soprattutto di Ted e
della sua stupidissima immaturità.
La mia pancia
sempre più grossa mi ricorda anche che ormai è troppo tardi per liberarmi di
questo bambino. Sono al terzo mese e ormai dovrò portare in grembo questa vita
per altri sei mesi e poi dovrò decidere se crescerlo io o darlo in adozione.
C’è tempo. Beh, anche se, come dice il detto ‘chi ha tempo non perda tempo’. Allo
stesso tempo, non potrebbe andare peggio di così.
Beh, sono anche
successe tante cose negli ultimi giorni, e le parole che Vic mi aveva detto me
lo avevano fatto capire . Mi aveva detto che Ted stava attraversando un brutto
periodo e che avevano messo in pausa la loro relazione, rendendo false le cose
che mi aveva detto mio padre. Dai suoi occhi chiari traspariva la tristezza che
i suoi falsi sorrisi cercavano di nascondere. Mi aveva anche promesso che non
avrebbe detto niente a nessuno del bambino. Nonostante ci fosse rimasta molto
male, reazione molto giustificata, mia cugina non era una tipa vendicativa. Ma
dopo la rivelazione del fatto che Ted non l’amasse ero rimasta molto turbata, e
lo sono ancora oggi. Non mi sembra possibile che in diciassette giorni abbia
smesso di amare una persona, infatti non credo che sia così. La soluzione più
plausibile è che la notizia della gravidanza lo abbia turbato parecchio. Si, è
quello che penso. L’unica cosa che riesco è fare è logorarmi dei sensi di colpa
che mi fanno ripensare a quella sera. Ho rovinato la mia vita, prima di tutto.
Poi quella di Ted, quella di Vic, il loro matrimonio, il loro desiderio di
farsi una famiglia insieme. E rovinerò anche la vita dei miei genitori, che non
so neanche se mi perdoneranno. Come la prenderà mio padre, Harry James Potter,
il bambino sopravvissuto che ha sconfitto Voldemort e
che ha una figlia irresponsabile, rimasta incinta a diciassette anni, per
merito di una sbronza del suo figlioccio? E come la prenderà mia madre, Ginevra
Molly Weasley, unica femmina di sette figli e rimasta incinta del primo figlio,
James, a più di vent’anni?
Inizio davvero
ad aver paura di quello che diranno, quando, prima o poi, lo sapranno. Mi volto
su un fianco, ascoltando il silenzio che governa la notte. Non riesco a
dormire: ho troppi interrogativi che mi passano per la testa, senza una
risposta. Mi porto una mano alla pancia e inizio ad accarezzare, lentamente, il
mio ventre leggermente cresciuto. Forse questo bambino riuscirà davvero a darmi
la felicità di cui ho bisogno, forse potrà essere la cosa più bella della mia
vita, anche se sono troppo giovane per potermi prendere cura di un’altra vita.
Mi alzo dal
letto e mi dirigo in cucina. Guardo l’orologio che segna le tre e mezzo. Mi
dirigo al frigorifero e mi verso un po’ d’acqua in un bicchiere. Inizio a bere
e quando decido di tornare in camera mia, mi accorgo che un’altra figura è
entrata in cucina. Nella penombra, riconosco i suoi lineamenti e mi blocco, la
schiena attaccata al bancone della cucina. Lo vedo avanzare verso di me e
quando si ferma a circa due metri da me, non ho più dubbi su chi sia.
“Cosa ci fai
qui?” gli chiedo, rimanendo impassibile e guardandolo negli occhi, “perché non
sei a casa tua, Ted? Perché sei qui?”.
“Prima ho
raccontato a Harry della rottura tra me e Vic e lui si è offerto di farmi
dormire qui in questi giorni” mi risponde, facendo un passo verso di me.
Rimango immobile, le braccia conserte, il sopracciglio alzato.
“Prima di
scoprire che hai messo incinta sua figlia... poi voglio vedere quello che ti
dirà” ribatto seccamente, rimanendo con lo sguardo fisso sul suo.
“Lily, io ci ho
pensato sopra in questi giorni. E’ successo tutto velocemente. Tu, il dottore,
la gravidanza, Vic, il matrimonio. Devo ammetterlo, sono stato un vigliacco,
sono fuggito via, lasciando che te la cavassi da sola, senza riflettere sul
fatto che lui è mio figlio... e ignorando la verità, pensando che tutto stia
succedendo ad un’altra persona. Ma ci ho pensato sopra, ho avuto questi giorni
per rifletterci sopra, capendo che quello che è successo tre mesi fa è stato
tutto un errore, ma che ora posso rimediare, standoti accanto e crescendo
nostro figlio insieme a te. Mi dispiace di averti fatto soffrire, davvero,
spero che mi perdonerai per quello che ho fatto...” mi dice, continuando ad
avanzare verso di me.
“Il fatto è che
io non sono da sola. Ci sono i miei fratelli che mi stanno accanto, Rose... non
sono sola” rispondo duramente, cercando di fargli capire quello che ho provato
negli ultimi giorni, “mi posso fidare di loro, a differenza di te... loro sono
James e Al, farebbero di tutto per la loro piccola sorellina e il loro futuro
nipotino. Lo stesso vale per mia cugina... io non sono sola e non ho bisogno di
te”.
“Lils, ho
sbagliato, lo so, ne sono consapevole. Perdonami, puoi fidarti di me... io sono
il tuo Teddy Bear” mi dice, facendomi sorridere involontariamente alle ultime
parole. Infondo ‘Lils’ e ‘Teddy Bear’ sono le cose che ci legano sin da
bambini, “... quello era un sorriso?”.
“No, ti sei
sbagliato...” dico, nascondendo il precedente segno di felicità.
“Hai sorriso”
continua a dirmi, sorridendo e continuando ad avvicinarsi a me.
“Non credo
proprio” ribatto, rimanendo impassibile, i miei occhi puntati sui suoi, “... mi
hai delusa, mi hai fatto stare male per tutto questo tempo. Non sai come ho
passato questi giorni. Tutti pieni di domande del tipo: sarò all’altezza? Sarò
una brava madre? Riuscirò a crescere questo figlio da sola? Ho sofferto
tanto... e ora non puoi venire qui, farmi un discorso pieno di scuse e poi
pretendere che io ti perdoni così su due piedi, abbracciandoti e fidandomi
nuovamente di te”.
“Mi dispiace”
ripete, facendo un ultimo passo verso di me e accorgendomi di quanto si sia
avvicinato. Continuo a rimanere impassibile e lascio il mio sguardo puntato sui
suoi occhi, “ho anche chiuso la mia relazione con Vic. Ho avuto bisogno di
pensarci su... ma alla fine ho fatto chiarezza nella mia testa e ho deciso di
dare la precedenza a mio figlio e alla ragazza che ha bisogno di me”.
“Anche lei ha
bisogno di te e poi non devi sacrificare la tua felicità solo per aiutare noi”
dico, con tono duro.
“Non vuol dire
che io non possa essere felice anche con te e mio figlio” mi continua a dire,
tendendomi le braccia come se volesse abbracciarmi. Non vedendo nessun segno di
vita da parte mia, si avvicina a me di un altro passo e mi stringe a se. Cedo,
lasciandomi cullare dal suo abbraccio.
“E questo non
vuol dire che io ti abbia perdonato totalmente” sussurro contro il suo petto, i
capelli rossi sul volto e i lacrimoni che fanno di
tutto per cadere dai miei occhi. Sento le sue mani accarezzarmi i capelli e le
sue labbra lasciarmi un breve bacio, per me indelebile, sulla mia fronte.
Quando l’abbraccio si scioglie faccio per uscire dalla cucina per poi tornare
in camera mia, ma Ted mi fa bloccare sulla soglia della stanza.
“Sai che dovrai
dirglielo...” mi dice, intendendo i miei genitori.
“Lo so... e
dovrò anche dirgli chi è quell’irresponsabile e ubriacone che mi ha messa
incinta” gli rispondo, con lo stesso tono impassibile e vuoto.
“... ricorda
che io ti starò sempre accanto. Resterò per sempre al tuo fianco” mi dice,
accarezzandomi una guancia.
“Staremo a
vedere. Vado a dormire, buonanotte” dico, camminando fino in camera mia. Mi
metto sotto le coperte e, finalmente, quando nessuno può vedermi, tiro un
sospiro di sollievo. Come potrei non essere felice? Come potrei essere triste
del fatto che mi ha appena detto che mi starà accanto? Spero che non mi stia
prendendo in giro un’altra volta. Mi sento sollevata, non completamente
naturalmente, ancora non è finita. Certo, lui, a quanto mi ha detto, mi starà
accanto, ma non vuol dire che mi sposerà o roba simile. Vuol dire solo che mi
aiuterà a crescere questo bambino insieme. Rimane il problema di dirlo alla
famiglia, a mamma, a papà. Poi tra sei mesi diventerò madre. Perché è successo?
Ancora non riesco a farmene una ragione.
Il sole che
penetra dalla finestra mi fa svegliare. Mi alzo, indosso i vestiti di ieri e
scendo, dirigendomi fino in salotto. Mi siedo su una poltrona, raggomitolata su
me stessa.
“Ciao, Lily” mi
dice mia madre, avvicinandosi a me. Sposto lo sguardo su di lei e cerco di
sorridere, “perché sei qui tutta sola?”.
Non rispondo,
mi limito a prendere un lungo e rumoroso respiro.
“Lily...”.
“Aspetto un
bambino” dico, tutto d’un fiato, lasciando cadere alcune lacrime dai miei
occhi.
“Tu... cosa?
Lily?” cerca conferma, avvicinandosi a me e guardandomi con faccia sconvolta.
“Aspetto un
bambino...” altre lacrime cadono dai miei occhi.
“Cosa?”.
“Aspetto un
bambino... sono incinta” le dico, esitando sulle ultime due parole.
“Com’è potuto
succedere? Come...?” si siede accanto a me con la testa tra le mani.
“Mamma non
volevo che accadesse. Te lo giuro. Non volevo” inizio a singhiozzare, mettendomi
una mano sulla faccia, cercando di bloccare il corso di lacrime che non fanno
altro che cadere sul mio volto lentigginoso.