Capitolo 7, parte prima.
Quando la Guardia
diventa guardia del corpo.
Quando la sveglia suonò
puntuale alle otto del mattino Hisashi era già desto da un pezzo. Era lunedì,
l'inizio di una nuova settimana e, soprattutto, l'inizio della sua nuova
"carriera" di porta pizze al Bar
America. Chissà come sarebbe stato? Era contento della sua scelta, avrebbe
finalmente portato a casa qualche soldo in più per arrotondare le entrate e
aiutare sua madre. Avrebbe finalmente messo la parola fine a tutta
quell'assurda situazione con il padre, o presunto tale. Non sopportava più la
vista della donna più importante della sua vita in lacrime, o con l'espressione
più triste e vacua che potesse avere. Voleva vederla sorridere, finalmente,
voleva vederla serena come non lo era da troppo tempo.
Saltò giù dal letto e
andò in cucina, per salutarla. La trovò intenta a preparargli la colazione,
così intenta nel suo lavoro che sussultò quando lui l'abbracciò da dietro,
schioccandole un bacio tra i capelli.
«Oh, tesoro,
buongiorno», lo salutò, sorridendogli. «Dormito bene?».
«Non tanto», rispose
lui, appoggiandosi contro il bancone della cucina e ficcandosi le mani nella
tasca della felpa. «Tu?».
Lei continuò a
sorridergli, abbassando lo sguardo per nascondere gli occhi lucidi. «Qualche
incubo, come sempre».
Il ragazzo strinse i
denti, ma cercò di non mostrarle la sua stizza. Almeno lui doveva infonderle
tranquillità. «Oggi inizio il lavoro», le disse, cambiando argomento.
«Sì, lo ricordo. Non
smetterò mai di ringraziare Akira» Gli porse la colazione, asciugandosi gli
occhi con il grembiulino da cucina. «Uno di questi giorni voglio invitarlo a
cena con la famiglia, che ne dici?».
«E averlo tra le scatole
anche di notte? Mamma, tu devi odiarmi sul serio».
Lei ridacchiò,
tirandogli un buffetto affettuoso sulla nuca. «Non fare finta di odiarlo, non
sei mai stato un bravo attore».
Hisashi abbozzò un
sorriso. «D'accordo, fammi sapere la data, così lo avverto».
Fatta colazione e una
doccia veloce, preparò il borsone dell'allenamento. Non vedeva l'ora di giocare
nuovamente; mancava solo una settimana all'amichevole contro il Ryonan e lui,
come i suoi compagni, stavano fremendo. Ryota, per quanto si fosse montato la
testa, si stava rivelando un buon capitano e dire che li stava mettendo sotto
era poco. Sembrava la versione rimpicciolita del Gorilla!
«Mamma, io vado!»,
esclamò, recuperando le chiavi della moto e mettendosi le scarpe. «Mi
raccomando, se succede qualcosa fammi chiamare dal preside, ok?».
La donna annuì,
abbracciandolo. «Buona giornata, Hisashi»
Il ragazzo le fece
l'occhiolino e si richiuse la porta alle spalle. C'era un bel sole quella mattina
e, dato che era particolarmente suscettibile ai cambiamenti climatici, pensò
che sarebbe stata una bella giornata, probabilmente. O almeno, così sperava. S'infilò
il casco integrale sul capo e mise in moto la sua adorata bambola.
Appena arrivò al liceo
gli si presentò davanti la solita scenetta mattutina, ormai un'abitudine
immancabile.
«Maledetta bagasha di una volpaccia artica, sai dove te la ficco
quella bicicletta scassata?!».
Hime, con l'espressione
più rassegnata del mondo, appena lo vide, gli corse incontro, lasciandosi alle
spalle quei due dementi che, come sempre, se le davano di santa ragione. «Hisa! Buondì!».
«Ciao. Gliel'hai detto
che possono limonare anche da un'altra parte?», le chiese, indicandoli con un
cenno del capo.
La rossa scoppiò a
ridere, ma ammutolì quando si accorse dell'ombra minacciosa di un King Kong di
sua conoscenza. «A-Akagi!».
Inutile dire che la
rissa venne sedata dalle amorevoli mani del loro ex capitano. «Buongiorno anche
a voi», ringhiò, mentre Hanamichi piagnucolava e si accarezzava la testa
dolorante e l'altro narcolettico sbadigliava, come se niente fosse successo.
«Oggi è il grande
giorno!», strillò entusiasta Hime, saltellando e battendo le mani come una
bambina. Neanche l'occhiataccia del Gorilla sedò il suo entusiasmo.
«Perché? Chi si sposa?»,
chiese Ayako, comparendo in quel momento con Ryota, appena arrivati in
motorino.
«Non si sposa nessuno, Aya-chan, quello lì inizia a lavorare.», rispose il neo
capitano, mentre la guardia lo guardava truce.
«È vero! Era ora che
mettessi la testa a posto, Mitchi!», sbraitò Hanamichi, battendogli una manona
sulle spalle. Inutile dire che si ritrovò un altro bernoccolo in testa due
secondi più tardi.
«Tu non hai proprio
speranze, mezza sega», gli rispose gentilmente Hisashi, ghignando. Il sorriso
gli morì sulle labbra appena riconobbe una testa bionda tra la folla di
studenti che stavano arrivando per l'inizio delle lezioni.
Kiyo gli lanciò
un'occhiataccia e salutò unicamente il suo compagno di classe, Rukawa, con un
cenno della mano. Cosa che lo mandò in bestia. «Ehi, Rukawa, la conosci?», gli
chiese, avvicinandosi mentre continuava a osservarla sparire tra gli studenti.
L'altro si rialzò, dopo
aver sistemato la catena alla sua bici. Che poi, chi avrebbe potuto
rubargliela, conciata com'era? «Hn... È in classe
mia».
«Tutte le fortune sempre
a te», borbottò Mitsui, tant'è che quello neanche lo sentì, addormentato
com'era.
Kaede si risvegliò solo
quando sentì quel Do'aho salutare la velocista dell'anno, tale Sanako Tsukiyama
che, come sempre, era in ritardissimo e si stava
trascinando la solita chitarra più grande di lei. Di fretta com'era si accorse
solo all'ultimo momento di lui e lo salutò con un sorriso allegro, anche se lui
ci vide ben altro dietro quell'espressione. Più la vedeva, più si rendeva conto
che quella ragazzina sorrideva per circostanza.
«Ehi, Tsukiyama, a che
ora finisci con quella?», le chiese Mitsui, indicando la chitarra.
«Alle sei, perché?».
Hisashi si sistemò la
sacca sulle spalle. «Perché sono in moto, possiamo andare a lavoro insieme.»
«Ehi, non farti tanto
figo, ricordati che devi andare a spasso per portare pizze, eh», gli snocciolò
Ryota, facendo sorridere la piccola barista.
Mitsui non lo cagò di
striscio, continuando a guardare la ragazza. «Io finisco alle sette, magari
puoi venire a vedere gli allenamenti».
Sana annuì, entusiasta.
«Non capisco niente di basket, ma sarà divertente! E grazie per l'offerta».
Arrossì quando lui le fece l'occhiolino, salutandola per andarsene in classe.
Rukawa fece finta di non
sentire, passandole accanto e sentendo il suo sguardo addosso; ma lui aveva
sentito, eccome. E, non seppe perché, decise che quel pomeriggio, agli
allenamenti, avrebbe dato tutto sé stesso. Se davvero quella ragazzina non conosceva
niente di basket avrebbe sicuramente capito chi tra quel gruppo di giocatori
fosse il migliore. Tant'è che Hanamichi, che gli si era affiancato per menargli
le palle come sua consuetudine, dovette subito allontanarsi, dato che l'ego
smisurato del volpino l'avrebbe altrimenti ustionato.
Due secondi più tardi
arrivarono gli inseparabili gemelli Shimura, che salutarono tutti con un
sorriso smagliante, così smagliante che perfino Sendoh avrebbe avuto dei
problemi di concorrenza. «Buongiorno!», dissero in coro - come sempre, del resto.
Fu così che, per la
gioia di Rukawa, Hanamichi trotterellò da loro, i suoi migliori e preferiti adepti.
«Ehilà, Gatti-Siamesi!».
Hime e Yoehi si
guardarono mestamente, all'ennesimo soprannome animalesco che Hanamichi aveva
trovato.
«Và
capito, è un animale lui, non può sentirsi solo!», commentò Takamiya, sudando
freddo nel guardare il rossino che, per sua fortuna, era talmente intento a
gridare le sue grandiose gesta di cestista per preoccuparsi delle prese in giro
dei suoi amici.
«Certo che quei due hanno
la pazienza di un Buddha», fece Mito, a voce bassa per non rischiare il
linciaggio, mentre il resto dell'Armata e le due giovani donzelle del primo
anno lo seguivano.
«Sì, ma solitamente chi
è così paziente alla fine si rivela più distruttivo del King Kong», fece
saggiamente notare Hime, che schivò per puro caso uno scappellotto del King
Kong per antonomasia. «Ehi, Akagi! Non mi stavo riferendo a te! Egocentrico!».
«Hime Sakuragi!», tuonò quello. La rossa vide bene di darsela a
gambe, seguita poi dal fratello, che aveva sentito solo il
"Sakuragi", temendo possibili ritorsioni per qualcosa che aveva
combinato - perché lui ne combinava sempre.
Dal panico al mancato
dramma, dato che per la loro improvvisa corsa i gemelli più casinisti dello
Shohoku arrivarono in orario alla temuta lezione di matematica. Yoehi Mito?
Dovette sorbirsi il primo quarto d'ora fuori in corridoio da solo. Ma
unicamente il primo quarto d'ora, dato che Hanamichi lo raggiunse poco dopo per
essersi addormentato sul banco.
Ah, maledetti film
dell'orrore che non lo facevano mai dormire la notte!
*
L'ora di pranzo arrivò,
finalmente, seppur con inesorabile lentezza per tutti. Il lunedì era un giorno
traumatico per ognuno di loro, soprattutto se l'orario scolastico era bello
pesante come quello del primo anno, sezione 3. Sanako salutò i gemelli Shimura
e le poche compagne di classe con cui si fermava solitamente a chiacchierare, e
volò sulla terrazza del tetto, per pranzare. Rukawa - incredibile che fosse lui
il ragazzo che trovava sempre lì a ronfare! - non era ancora arrivato, ma lei
non disperò. Era letteralmente corsa, quella volta, e per quel poco che lo
conosceva probabilmente si stava ancora svegliando. Si sedette al suo consueto
posto, tirando fuori il suo pranzo e il quaderno di storia, per iniziare a
leggere tutti gli appunti che era riuscita a scrivere in quelle due, infinite,
ore di lezione.
Kaede Rukawa arrivò
cinque minuti più tardi, assonnato e affamato nel contempo. Rimase un po'
stranito dal fatto che quella ragazzina non avesse approfittato del fatto che
ormai lo conoscesse per sedersi accanto a lui. Probabilmente era abbastanza
intelligente da capire che non voleva rotture di scatole intorno. Anche se, in
effetti, non le avrebbe detto di allontanarsi.
«Ciao!», lo salutò, con
un sorriso tirato.
E ora che diavolo ha? «'ao». Si lasciò
cadere sul pavimento, chiudendo gli occhi un attimo e godendo la quiete di quei
momenti, prima di iniziare a pranzare. Quando li riaprì li posò direttamente
sulla ragazza, che era tornata a leggere i suoi appunti. Non riusciva proprio a
capire cosa le passasse per la testa; solitamente era lui quello
imperscrutabile, quello che aveva lo sguardo impenetrabile, che solo Hime
riusciva a decifrare. Ma quella ragazzina, quella Sanako, proprio lo spiazzava.
Decise di non pensarci
troppo, dopo tutto non erano affari suoi; se quella ragazza era lunatica che
avrebbe potuto farci? L'unica cosa che non capiva era perché sorrideva con
tutti, tranne che con lui. Quando stava con Hime o addirittura con quell'idiota
di Sendoh sembrava la persona più felice del mondo, quando invece la trovava
sola non ostentava un minimo di falsità: triste era e triste rimaneva.
Accidenti a lei.
In realtà Sana aveva
voglia di chiacchierare quel giorno, ma non sapeva come iniziare. Probabilmente
doveva avere un'espressione da ebete appena il cestista aveva fatto la sua
comparsa e ciò non era bene. Quel ragazzo la metteva in soggezione, ma non in
imbarazzo, come quando era in presenza di Akira-sto-sempre-sorridendo-Sendoh. No, Rukawa la metteva in soggezione
perché era diverso dalle persone con cui aveva a che fare di solito. Era
taciturno, perennemente addentrato nel suo mondo personale e irraggiungibile e
non certo famoso per le sue amicizie femminili - tranne per le due uniche coraggiose
e fortunate che osavano anche prenderlo per i fondelli, cioè le due manager
della squadra.
Pensando a Hime, Sanako,
sorrise. Ammirava quella ragazza, era solare, matta e, nonostante tutto, di una
dolcezza unica. Sprizzava amore e amicizia da tutti i pori, indistintamente per
tutti i suoi amici, tranne che per il fratello, per cui stravedeva. Guardando
Rukawa si chiese come quella ragazza riuscisse a capirlo così facilmente con un
solo sguardo. Le poche volte che li aveva visti insieme era rimasta sbalordita,
non solo per la fama del volpino, ma anche perché aveva capito in poco tempo
che tipo fosse. Effettivamente, quei due, potevano benissimo essere fidanzati,
se la rossa non fosse stata già impegnata. Li avrebbe visti bene insieme.
Quel pensiero le fece
scuotere il capo. Fidanzati? Ah, erano amici, i migliori che avesse mai visto.
E poi c'era quel Kiyota, più fuori di un balcone quanto Hanamichi, con cui
stava bene, a quanto pareva.
Alzò lo sguardo su Kaede
e arrossì quando si accorse che le aveva lanciato un'occhiata perplessa.
Evidentemente l'aveva notata mentre discuteva tra sé e sé - non doveva essere
un bello spettacolo. «Akira mi ha detto che tra voi non scorre buon sangue». Si
pentì subito di quell'esordio appena l'occhiata di Rukawa si trasformò in un
fulmine.
«Ma va?». Vacci piano con il sarcasmo, o congelerai
l'intera scuola, Kaede.
«Mi ha detto che la
settimana prossima avrete una partita».
«Hn...
Lo batterò».
Lei sorrise. «Sei
proprio sicuro di te».
Kaede alzò un
sopracciglio, parecchio perplesso. «Mi sembra il minimo».
Sana rimase un po' in
silenzio, senza sapere cosa dire. Accidenti a lui, non poteva essere un po' più
loquace? «Sai, stasera verrò a vedere gli allenamenti».
Lo so. «Hn».
Kaede emise un gemito
quasi divertito quando la vide roteare gli occhi per il suo ennesimo
monosillabo. Eppure era tenace, la ragazzina. Hime lo avrebbe già mandato a
quel paese da qualche ora, al suo posto.
«Non capisco molto di
basket, ma sarà divertente, vero?». Incredibile, stava praticamente parlando da
sola! E quanto si sentiva stupida, incredibilmente stupida!
«Traumatizzante, direi».
Sanako non capì bene le
parole del ragazzo finché non vide con i suoi occhi gli orrori che accadevano dietro le porte della palestra. Tra Araki che
iniziava i suoi miseri e fallimentari tentativi di approccio con Hime,
Hanamichi che s'imbestialiva e difendeva la sorella dalle grinfie del Puffo,
Rukawa che lanciava frecciate gelide ai due contendenti, Miyagi che tirava le
orecchie a entrambi per riportare un minimo d'ordine, Mitsui che lo sfotteva
dicendo che prima o poi l'animo bestiale del King Kong si sarebbe impossessato
di lui, le matricole varie che si spanciavano dalle risate e Ayako che
sventagliava le teste di tutti a destra e a sinistra, Sanako pensò che il Caos
era niente in confronto.
Fortuna volle - o sfiga?
- che fece la sua colossale comparsa Akagi, che sedò tutti con le sue amorevoli
e consuete cure. Le uniche che si salvarono furono proprio le due donnine della
situazione, una perché stava usando le maniere forti proprio come piaceva a
lui, l'altra perché si era accorto che fosse la vittima delle avances di quello
strano tipo. E per quanto Hime gli facesse girare i palloni alla velocità della
luce, aveva ancora un minimo di buon cuore per capire che quel tizio tanto
normale non fosse. Non che quell'esagitato del ragazzo fosse l'esempio vivente
della perfezione, tutt'altro; ma almeno non era così... inquietante.
Inutile dire che Hime
gli si aggrappò al braccio, per sdebitarsi del favore ricevuto e lui, per
riprendersi da quel piccolo momento di benevolenza, se la scrollò di dosso come
una mosca.
«Ehi, Gori! Che ci fai
anche oggi qui?», chiese Hanamichi, mentre al suo fianco un Araki più che
deluso e fumante di frustrazione e rabbia stava parlottando da solo, come un
invasato.
«Già, perché non torni a
giocare se trovi il tempo di venire agli allenamenti ogni volta?», domandò
anche Hime, ancora scottata dalla decisione dell'ex capitano di lasciarli dopo
una stagione estiva a dir poco incredibile.
«Perché devo studiare,
baka», si giustificò lui, cercando di levarsi quell'impicciona da torno. Quando
si voltò vide lo sguardo seccato e scettico di Mitsui, a braccia conserte
davanti a lui.
«Avanti, non vorrai
farmi credere che uno come te non riuscirebbe a trovare il tempo per studiare e
per praticare il suo sport preferito?».
Maledetta adulatrice!, pensò Kaede, sorridendo sotto i baffi.
«Hime, tu sei uno dei
tre motivi per cui non tornerei mai», le confessò seriamente Akagi, mentre la
ragazza esibiva la sua miglior espressione di (falsa) tristezza.
«E quali sarebbero gli
altri due?», domandò strafottente Hisashi, facendosi avanti. Quel disgraziato
di un negriero lo aveva mollato proprio quando stava riprendendo le forze e
aveva tutta la voglia e lo spirito di dimostrargli quando bravo fosse
diventato, doveva fargliela pagare per essere scappato così!
«Suo fratello è un altro»,
rispose il Gori, indicando con un cenno del capo un povero Hanamichi con i
lacrimoni agli occhi.
«E il terzo?»,
insistette la guardia, corrugando la fronte.
Akagi non rispose,
esitando qualche secondo. In realtà il terzo motivo era il principale tra
tutti, e anche quello che più faceva male. Non aveva avuto le forze necessarie per
combattere durante la partita contro l'Aiwa, la partita decisiva che li avrebbe
portati in finale. Era esausto, come tutti, dall'incredibile match contro il
Sannoh, ma non se lo sarebbe mai perdonato. Lui, il Capitano, il trascinatore
della squadra che aveva mollato proprio nel momento più importante. Con che
coraggio avrebbe dovuto indossare nuovamente quella maglia?
«Ehi, Capitano». Akagi
si voltò verso una sorridente Hime, che gli posò una mano sulla spalla. «So
cosa stai pensando e lo sappiamo tutti. Quindi non darti colpe inesistenti,
chiaro? Quando vuoi tornare, se lo vorrai, ci sarà sempre posto per te, sarebbe
ingiusto il contrario».
Lui sospirò pesantemente
e pensò di ringraziare quella peste di ragazza con un piccolo pugnetto tra i
capelli indemoniati. Non poteva certo lasciarsi andare in un abbraccio, lui!
«Insomma, volete darvi una mossa a iniziare gli allenamenti, scansa fatiche?». Misero
tentativo di sviare la discussione verso altri lidi, fortunatamente per lui,
riuscito. Per quella volta.
«Bene, ragazzi,
avvicinatevi». Ryota richiamò l'attenzione, gasandosi come sempre del fatto che
ora era lui il Capitano - anche se effettivamente, con il Gorilla nei paraggi,
si sentiva sempre un po' in soggezione e sotto esame. «Oggi ci divideremo così:
prima della partitella a fine allenamento, vorrei fare qualcosa di nuovo».
«Ecco, ora ne spara una
delle sue», biascicò Hisashi al suo vicino, un Hanamichi ancora incacchiato
verso il Puffo.
«La scorsa volta ho
notato che tu, Hanamichi, sei un po' rigido in alcuni movimenti. Voglio che per
un po' faccia degli allenamenti speciali per riabilitarti al meglio».
«Checcosa?!
Io sto benissimo, Ryo-chan! O oltre che basso sei anche cieco?», sbraitò come
uno scaricatore di porto il rossino, che cinque secondi più tardi si beccò un
calcione nel di dietro dalla sorella.
«Hana, non fare storie e
vai da Ayako per l'allenamento speciale!», lo sgridò Hime. «L'idea è mia,
perché voglio che torni in forma. E poi...», aggiunse, ammiccando. «Un
allenamento speciale per un giocatore speciale!».
Inutile dire che a
quelle parole il numero dieci iniziò a gongolare come un bambino di fronte al
negozio di caramelle zuccherose, cosa per cui tutti i ragazzi ringraziarono la
seconda manager per l'adulazione riuscita.
«Mi duole ammetterlo,
Hime, ma a volte sei geniale», ammise Akagi, che dovette rimangiarsi le parole
appena quella gli si appese al collo.
«Ehi, silenzio!»,
esclamò Miyagi, battendo le mani per recuperare l'attenzione di tutti. «Seconda
novità: voglio mettere sotto i nuovi acquisti, perché ho notato che potete
sviluppare alcuni punti di forza. Per farlo, però, dovrete lavorare tra di voi,
successivamente lavoreremo insieme».
«Che vuol dire? Che ci
relegherai in un pezzo di palestra?», chiese irritato Araki.
Eichiro, al suo fianco,
sorrise mentre gli batteva una mano sulla spalla. «Tranquillo, fidati del
Capitano. Sta solo dicendo che ci alleneremo per dare un aiuto maggiore alla
squadra, dovresti esserne fiero».
Oh, grazie al cielo un altro sant'uomo che sostituirà
Kogure!,
pensò Ayako, che ritirò la sua arma di distruzione di massa, il fido ventaglio,
già pronto a colpire.
«E udite, udite, vi
allenerò io!», esclamò Hime, facendo il segno della vittoria.
«Cosa?! Hicchaaan! Non ti lascio da sola ad allenare quel Puffo
spelacchiato!», strillò Hanamichi, che venne afferrato per la collottola dalla
manager mora, prima che le saltasse addosso per difenderla.
«Ahaha!
Ora voglio proprio vedere come farà quel Nobu-cacca senza te che la proteggi,
Sakuragi!», rispose esaltato Araki, ridendo come un povero pazzo. Dietro di lui
Rukawa, che vide bene di tirargli un calcio per sedare i suoi bollenti spiriti.
«Ehi, maledetto! Come hai osato?».
«Pensa a renderti utile,
deficiente», sibilò Kaede, lanciando un'occhiata alla sua migliore amica, più
grata che mai del suo pronto intervento.
Ryota, che ormai aveva
già perso le staffe da parecchio, riprese a parlare. «I veterani rimasti si
alleneranno come sempre sulla stessa lunghezza d'onda. Domande?».
Hanamichi alzò la mano.
«Posso fare il mio allenamento speciuale per i giuocatori speciuali con la
mia Hicchan?».
«Qualche problema con
me, Hanamichi?», domandò con un ghigno poco promettente Ayako.
«No, no! Ahaha, scherzavo Aya-chan! Tu vai
benissimo!».
«Bene, iniziamo!».
Il triplice allenamento
che si svolse quel pomeriggio nella palestra dello Shohoku fu alquanto
distruttivo. Ayako ebbe un bel da fare con il suo allievo dalla testa
indiavolata, che si distraeva ogni tre per due per controllare la sua piccola
sorellina indifesa - che tanto indifesa non lo era affatto. Hime, infatti, per
sedare le continue avances del suo nuovo spasimante vide bene di punirlo con il
doppio degli esercizi, quali flessioni di gambe, braccia, salti, sollevamento
pesi e chi più ne ha più ne metta. Effettivamente, sembrava più la versione al
femminile di quel gendarme di Akagi, che la solita tenera e pazza Hime
Sakuragi. I due gemelli Shimura, invece, vennero messi a dribblare degli
ostacoli, con passaggi di palla al limite del possibile. Ryota, infatti, aveva
notato una certa intesa tra i due, e pensava che avrebbe potuto utilizzarli
insieme in campo, per mettere in atto nuovi tipi di azioni che avrebbero
sicuramente spaesato gli avversari.
I veterani, d'altro
canto, proseguivano i loro consueti - devastanti - allenamenti settimanali, che
tanto li avevano aiutati a sviluppare la loro incredibile abilità.
Ma fu il momento della
partitella - quello che tutti aspettavano, uno in particolare - che fu uno
spettacolo. Non tanto per il lavoro di squadra che tutti stavano aumentando a
vista d'occhio, ma per l'incredibile maratona di un certo Kaede Rukawa, che in
quella partitella ci mise anima e corpo. Era immarcabile, segnava a ogni
possesso di palla e, impossibile ma vero, riusciva anche ad allestire delle
splendide azioni con il suo miglior nemico. Hime non fu la sola a rendersi
conto di questo strano atteggiamento dell'amico, ma forse fu l'unica ad
accorgersi delle occhiate furtive che Kaede lanciava alla fine di ogni azione
verso la panchina, dove Sanako osservava basita la scena. La ragazza non capiva
un'acca di quello sport - vuoi perché non le era mai interessato, vuoi perché
non era un'amante degli sport in generale - ma non le fu difficile comprendere
che quello che Rukawa stava facendo in campo era straordinario.
Gli allenamenti finirono
con l'intera squadra letteralmente distrutta, che si trascinò verso le docce
senza forze - o almeno, utilizzavano le poche rimaste per insultare il volpino.
Hime trotterellò verso
la nuova ospite, con un sorriso da orecchio a orecchio. «Allora, Sana! Come ti
son sembrati?».
«A parte matti come dei
cavalli, ovvio», borbottò Ayako, sistemandosi i capelli.
Sana ridacchiò. «Oh,
beh... un po' casinisti, sì».
«Un po'? Ma dico, li hai guardati bene?». Hime, che sembrava
seriamente sotto shock per quell'ingenua affermazione, le si sedette accanto.
«Noi ci siamo abituati, ma deve essere un trauma per chi assiste agli
allenamenti per la prima volta».
«Effettivamente sì, ho
temuto parecchie volte che arrivassero alle mani», annuì, preoccupata, la
barista.
«Oh, quello è pane di
tutti i giorni, forse oggi si son contenuti perché c'era una nuova donzella a
guardarli».
Sanako arrossì
all'occhiolino della rossa. «No, ma che dici! Neanche si sono accorti che ci
fossi».
Hime pensò che quella
ragazza o era fuori come un balcone da non rendersi conto di quello che la
circondava, o lo faceva apposta. Molto probabilmente era più plausibile la
prima ipotesi, ma sperò ardentemente che si sbagliasse. Non poteva essere così
addormentata, quella santa ragazza!
Hisashi Mitsui uscì
dalla doccia per primo, fresco e lindo come una rosa. «Ehi, Tsukiyama!».
«Salve, senpai!
Complimenti per oggi!».
«Ah, quell'idiota di
Rukawa mi ha quasi fatto sfigurare», fece la guardia, issandosi la sacca in
spalla.
«Sfiguri sempre con me,
Mitsui», fece la voce dell'idiota in questione, che passò alle sue spalle
salutando con lo sguardo le due ragazze.
«Allora, Hisa! Inizi oggi, eh?», esclamò ridacchiando nervosamente
Hime, per evitare che quei due iniziassero a darsele di santa ragione.
«Sì, sarà la ventesima
volta che lo dite», disse scocciato. «Siete insopportabili».
Hime sorrise, roteando
gli occhi. «Beh, io vado a dare una mano ad Ayako, o chi la sente altrimenti!
Buon lavoro, ragazzi!».
I due la ringraziarono,
avviandosi verso la moto. Fecero in tempo a mettere piede fuori dalla palestra
che Kiyo raggiunse l'amica, i capelli ancora bagnati dalla doccia. «Sabato,
alle dieci».
Sanako corrugò la
fronte. «Sabato alle dieci?».
«Ho le prime
qualificazioni di nuoto».
«Oh, così presto?».
La bionda annuì,
sospirando. «È arrivato il calendario proprio oggi». Poi, accorgendosi del
ragazzone al fianco della sua migliore amica per poco non le scese un colpo.
«Kobayashi», la salutò
lui, più serio che mai, riprendendo a camminare.
Sana guardò l'amica,
curiosa. «Lo conosci?».
«Hn»
Kiyo lo guardò sparire dietro l'angolo, le chiavi della moto che giravano attorno
a un dito. «Tu?».
«Oh, sì, inizia oggi a
lavorare al bar, come porta pizze... o ragazzo tutto fare, come lo chiama
Watanabe-san».
Identica domanda le
rivolse Hisashi, appena mise in moto. «Sì, è la mia migliore amica... o almeno,
l'unica ragazza che possa essere considerata un'amica».
«Non è il massimo della
simpatia».
La ragazza scosse il
capo. «Kiyo è un po' fredda e scorbutica, a volte, ma appena la conosci si
scioglie sempre».
«Ah, sì? E ti insulta,
anche?».
«Ti ha insultato?».
Hisashi agitò una mano,
per far cadere il discorso. Quell'argomento lo irritava parecchio, era
incredibile. E dire che aveva anche pensato che avrebbe potuto provarci,
magari. Ma con una strega come quella era impossibile anche solo pensarlo.
*
Kiyo chiuse irritata la
telefonata, buttando sul divano il cordless di casa. Si lasciò andare contro i
cuscini e rimase così, ferma a pensare una soluzione per uscire da quella
situazione che non le piaceva per niente. Toshiro - quel bastardo! - l'aveva
appena chiamata per informarla, gentilmente, che sarebbe passato a prenderla
per uscire. Come se stessero ancora insieme e come se lei avesse avuto voglia
di rivedere quella faccia da schiaffi. Aveva, ovviamente, rifiutato ma lui, che
difficilmente digeriva un no, le aveva detto chiaro e tondo che quella sera
sarebbe uscita con lui, e non voleva sentire scuse.
Si passò una mano tra i
capelli, stanca di tutto. Doveva concentrarsi per le qualificazioni, non doveva
perdere tempo a tener lontano un ex che non voleva accettare il suo rifiuto.
Senza contare il fatto che Toshiro non era certo uno che faceva passare liscio
ciò che non gli andava e temeva che veramente potesse fare qualcosa di
sconsiderato.
Aveva detto che sarebbe
venuto a prenderla per le otto e mancava meno di un'ora. Tempo sufficiente per
serrare la casa e chiamare la polizia. E se fosse venuto in compagnia? Oh, non
voleva neanche pensarlo! Era da sola a casa - i genitori erano usciti con degli
amici di famiglia che non vedevano da tempo - e aveva una tremenda paura. Una
tremendissima paura. Avrebbe voluto avere almeno la presenza di Sana, che per
quanto piccola e indifesa fosse, era comunque una persona che poteva aiutarla.
Toshiro non le avrebbe torto un capello con lei presente. Forse.
Si maledisse per il
caratteraccio che aveva, per il fatto che avesse più nemici che amici. Ma non
era colpa sua, in fondo. Aveva ricevuto troppe scottature dal passato per
fidarsi di un cospicuo gruppo di persone, oltre al fatto che, dopo la storia di
Toshiro, pensava che tutti gli uomini fossero uguali a lui. Accidenti, quanto
avrebbe voluto vivere da un'altra parte, rifarsi una vita e ricominciare tutto
dall'inizio! Sanako era l'unica persona di cui potesse fidarsi, e ci aveva
impiegato parecchio tempo prima di capirlo, diffidente com'era. Era una ragazza
ingenua, perennemente persa nel suo mondo, ma era sincera e fedele, ed era ciò
che lei cercava in un'amicizia. Sapeva di trattarla male, delle volte, ma con
ostinazione Sana non si offendeva mai, comprendendo sempre i motivi che la
spingevano a comportarsi così. Prima o poi le avrebbe dovuto fare un monumento.
Si alzò dal divano,
andando a recuperare l'elenco telefonico stipato da qualche parte in qualche
mobile. Appena lo trovò cerco freneticamente la voce Bar America. Pensando alla sua amica le era venuta in mente
un'idea, bizzarra e insensata forse, ma magari l'avrebbe aiutata un po'.
*
Appena Mitsui svoltò
l'angolo, con la sua bella moto, da quella sera usata come porta pacchi, capì
che all'indirizzo che gli era stato indicato qualcosa non andava. C'era un
ragazzo, probabilmente un po' più grande di lui di età, che suonava e bussava
ripetutamente alla porta, senza ottenere risposta.
«Vuoi aprire questa
cazzo di porta o devo buttarla giù?», stava gridando il tizio in questione.
Hisashi parcheggiò la
moto a qualche decina di metri di distanza, per cercare di capire che diavolo
stesse succedendo. L'avevano per caso sbattuto fuori di casa?
«Kiyo, lo dico per il
tuo bene. Apri. La. Porta».
Sentendo quel nome,
Hisashi sbarrò gli occhi. Guardò l'indirizzo che il signor Watanabe gli aveva
segnato nel cartone della pizza, e poi il cognome della famiglia: Kobayashi!
«Ehi, tu, che stai
facendo?», chiese all'altro, scendendo dalla moto e levandosi il casco, che
vide bene di tenere in mano per ogni evenienza. Aveva promesso al signor Anzai
che non avrebbe più fatto a botte, ma nella vita non si poteva mai sapere.
«Chi diavolo sei? Vedi
di allontanarti, facchino, o ti mando via a calci nel culo», gli rispose
Toshiro, riprendendo a battere un pugno sulla porta.
Hisashi chinò il capo,
sorridendo ironico. «Scommetti che ti spedisco in ospedale, invece?», gli
disse, con un ghigno poco promettente, tamburellando le dita di una mano sul
casco integrale.
Toshiro borbottò qualcosa,
e si avvicinò alla sua macchina, senza smettere di guardarlo. «Non finisce qui,
bamboccio. Non finisce qui».
Hisashi gli fece il
medio per salutarlo, quando quello sgommò via per le strade di Kanagawa. «Ma
guarda tu quello stronzo». Si avvicinò alla porta di casa Kobayashi, che venne
aperta subito dopo.
Kiyo, vedendo lo sguardo
indagatore del ragazzo, si sentì una perfetta idiota. Aveva rischiato che quei
due si ammazzassero, solo perché lei credeva fosse la cosa migliore da fare!
«Mitsui, scusami».
Lui corrugò la fronte.
«E di cosa? Mica l'hai chiamato tu, immagino».
«No, ma ho chiamato te».
Arrossì appena si accorse dello sguardo del ragazzo.
«Come sarebbe a dire?».
«È il mio ex. Mi aveva
avvertita che sarebbe venuto a prendermi... e ho pensato di chiamare te per
mandarlo via».
«Ehi, non mi pagano per
fare la guardia del corpo», rispose lui, seccato. «Soprattutto a una che
neanche mi rispetta».
«Scusami, Mitsui,
scusami! In che lingua devo dirtelo?», esclamò lei esaltando un tono
melodrammatico.
«Potresti continuare a
ripeterlo, così abbassi un po' la cresta» Hisashi sorrise, ma niente di
derisorio o provocatorio. «La pizza la offro io, per questa volta».
Lei sospirò, roteando
gli occhi. «Accidenti a te, devo anche ringraziarti di nuovo, ora»
«Beh, sarebbe gentile da
parte tua». Si allontanò verso la moto, voltandosi a guardarla. «Andiamo,
mettiti un giubbotto e sali in moto. Non ti lascio sola. Ti riaccompagnerò a
casa appena finisco».
Kiyo strabuzzò gli
occhi. Aveva sentito bene?
«Muoviti, non ho tempo
da perdere, Kobayashi! O ti lascio qui e mi porto via la pizza».
Ci mise meno di un
minuto a recuperare la giacca e a raggiungerlo in moto. Quasi stentava a
crederci, ma Hisashi Mitsui le aveva praticamente ordinato di seguirlo al bar
per non lasciarla sola!
«Prima devo fare altre
due consegne, non ti disturba?», le chiese, infilandosi il casco. Lei scosse la
testa, felice di avere la protezione del copricapo protettivo. Non si sarebbe
accorto del suo sorriso, per fortuna.
Appena arrivarono al
bar, Sanako si accorse subito dei due e si preoccupò non poco appena l'amica le
raccontò l'accaduto.
«Il senpai è stato molto
gentile a portarti qui», assentì Sana, sorridendo grata al ragazzo, che si
liberò dal discorso con un cenno della mano, sparendo verso le cucine.
Ma le sorprese non erano
ancora finite lì, non per quella sera almeno.
Continua...
* * *
Salve a tutti!
Prima di tutto vorrei spiegarvi quel "parte
prima": avevo in mente un capitolo decisamente più lungo (mooolto più
lungo), ma per non darvi il colpo di grazia già da ora ho deciso di tagliarlo
in due. Mi ha stravolto un po' i piani, ma vabbè... Quando i personaggi
iniziano a fare quello che vogliono loro e non quello che vuoi tu è un bel
casino. XD
Vorrei ringraziare chi continua a seguire questa cosa, sono
contentissima! :)
E in particolare lirinuccia,
che ha scritto tre lunghissime recensioni (per le quali sto ancora gongolando
come Hanamichi poco prima! *_*). Mia cara, non preoccuparti per il ritardo,
prima di tutto viene la vita reale, poi quella di questo mondo! ;) Ma andiamo
con ordine, voglio risponderti per bene, perché te lo meriti! :*
Prima di tutto grazie per i complimenti, leggere che questa
cosa sia quasi il seguito dell'originale Slam Dunk è un onore, davvero! *_* E'
una grande soddisfazione per me, perché amo questo manga, amo chi l'ha
disegnato, e amo tutti i personaggi. E' come se fossero con me, a fare casino
tutto il tempo, come se li vedessi davanti ai miei occhi - no non mi son fumata
niente, tranquilla! XD Anyways, siamo in due ad adorare Hime (io la venero
letteralmente!), son orgogliosa di averla creata, la mia bambolina! *O* XD
Piuttosto, mi piacerebbe sapere la tua opinione su Sanako - un personaggio un
po' "insignificante", lo ammetto (nel senso che è la tipica
bonacciona sempre con la testa tra le nuvole), ma vorrei capire perché ci vedi
una possibile Mary-Sue in lei. :° Kiyo, invece, è esattamente il contrario - e
come biasimarmi, del resto, dovevo creare qualcuna in grado di tener testa a Hisashi,
no? ù_ù XD Ed è esattamente quello il mio intento,
Hisashi Mitsui che si vede maltrattato da una ragazza non può certo stare in
disparte. ;) Per quanto riguarda Ede vs Istrice sono molto combattuta, lo
ammetto. Ma ho iniziato Wild Boys con un'idea
in testa e credo che la porterò avanti... Anche se significa rimischiare le
carte in tavola! (Anche perché ho in mente di scrivere una trilogia di questa
"saga", quindi ce n'è di tempo e di spazio! *fischietta*).
Permettimi, però, di dire la mia su Akira: il numero 7 del Ryonan è il mio
personaggio preferito in assoluto (subitissimo dopo ci sono Rukawa, Maki,
Kiyota, Hanamichi, Hisashi e Akagi, tutti al secondo posto xD),
sarà che adoro il suo sorridere sempre anche alle provocazioni, sarà che adoro
le sue stesse provocazioni, saranno i suoi capelli che superano le leggi di
gravità, o solo il fatto che abbia la maglia numero 7 (il mio numero preferito
insieme al 3), o saranno tutte queste cose insieme, non saprei! Ma ho letto
davvero tante ff in cui viene descritto come il
maiale della porta accanto - ora non entro nel merito, ognuno è libero di
pensarla come vuole! L'Akira Sendoh che mi immagino io è sì malizioso (quanto
potrebbe esserlo Hisashi, per questo io li immagino migliori amici), ma lo
immagino anche incredibilmente dolce, di quei ragazzi che se si innamorano non
avrebbero occhi se non per la loro donzella, che non può essere la prima che
capita. E non credo neanche che Akira sia tanto interessato al sesso femminile,
non più di Rukawa, forse, perché mi ha sempre dato l'impressione di uno che
sacrifica la sua vita tra basket, ronfate e pesca. Almeno, questo è quello che
penso io, del Sendoh che mi immagino io. Ci tenevo a spiegartelo perché in
tutte le mie storie Akira sarà sempre così. ;) Ma non aggiungo altro, o va a
finire che mi faccio sfuggire qualcosa di troppo su quello che la mia mente
bacata ha intenzione di sfornare prossimamente! *ride sguaiatamente*
Orbene, dopo avervi fracassato la testa con un capitolo papiroso e un angolo autrice ancora più lungo, vi saluto e vi do
appuntamento al prossimo aggiornamento! ;)
Un abbraccio, e ancora grazie.
Marta.
Ps: Haruko, quella cosa...
Con un fratello che è un Gorilla, lei non poteva non essere una Babbuina! XD