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Autore: eclinu    17/07/2010    9 recensioni
Certi incontri avvengono per caso; possono essere divertenti, tristi, comici. Come in questo caso: un piccolo "incidente" ha fatto sì che due persone incrociassero i loro destini.
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[...]Arrivata davanti la porta dello Starbucks l’aprii spingendola con la schiena visto che avevo le mani occupate dal portafogli, dal caffè, dalla busta e la borsa mi era scivolata nell’incavo del gomito. Non l’avessi mai fatto. Quando mi voltai inciampai nel fermo della porta, quello che si trovava a terra, avendo già precario equilibrio mi ritrovai a saltellare sui tacchi e caddi irrimediabilmente addosso al povero sfortunato che mi era capitato davanti: gli versai addosso tutto il caffè ed il muffin volò via dalla busta, spiaccicandosi al suolo. «Cavolo…» Disse una voce di ragazzo e quando alzai gli occhi dal muffin mi ritrovai davanti un petto sodo coperto da una camicia bianca macchiata di marrone.[cit]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Salve ragazze, eccomi che torno a scassare con una shot senza né capo né coda

Salve ragazze, eccomi che torno a scassare con una shot senza né capo né coda.

Che ve ne pare? Mi è venuta in mente ed ho voluto scriverla.

Per il momento questa storia non ha un seguito, sembra quasi una what if? Già… e se si reincontrassero? XD

Il seguito di questa storia è la long fic Stelle cadenti

Anche io sono rimasta male dal finale, ma se mi gira bene potrei anche pensare ad un continuo.

Per il momento: addio XD

Sara.

 

Incontro

Esistono incontri che ti cambiano la vita

 

Sospirai.

Sospirare, in un certo senso, mi aiutava a restare calma e a non urlare nel bel mezzo di New York, tra le persone che passeggiavano –o per meglio dire: correvano- per Times Square.

Facevo la fila per comprare un caffè al carretto dove lo compravo sempre; questo gentile signore che vendeva caffè e brioche, a buon prezzo ed anche di ottima qualità, si fermava sempre sul marciapiedi di fronte ad uno dei tanti palazzi che caratterizzavano quella zona.

Faceva caldo quel mattino, troppo caldo per essere solo il ventidue aprile: per fortuna, quel mattino, avevo indossato solo una camicetta blu, la gonna bianca, lunga fino al ginocchio e le immancabili –purtroppo, devo aggiungere- scarpe col tacco, anch’esse blu; i miei capelli lunghi e castani erano legati in uno chignon alto e due ciocche più corte mi incorniciavano il viso; non ero un tipo che amava molto truccarsi, ma era necessario nell’ambiente che frequentavo, così mi limitavo al fondotinta, ombretto, matita e lucido per le labbra.

Tutta questa eleganza, tutta questa perfezione, era dovuto al fatto che fossi la segretaria personale di Aro Russo, il direttore di una famosa agenzia di modelli: sceglieva lui i volti e soprattutto i corpi di ragazzi e ragazze che avrebbero sfilato su famose passerelle con abiti di famosi stilisti e i fortunati avevano un futuro assicurato anche per la settima discendenza. I nomi dei modelli e delle modelle più famose uscivano dalla nostra agenzia.

Quella mattina, il capo mi aveva chiamata con l’interfono nel mio ufficio adiacente al suo: «Bella» aveva detto la voce distorta dall’apparecchio «Vammi a prendere un caffè allo Starbucks, ma non quello che fanno qui sulla strada, voglio quello di Times Square»

«Corro!» Avevo risposto efficiente, voltandomi per osservare dalla vetrata alle mie spalle il traffico quotidiano di New York; sospirai quando il capo aggiunse «Entro un’ora»

Non ci sarebbe stato nulla di strano se preferiva il servizio di una caffetteria anziché un’altra, il problema consisteva nel fatto che l’agenzia in cui lavoravo si trovava nei pressi di Central Park, nei pressi del The Plaza Hotel New York. Times Square distava qualche buon kilometro.

Avevo preso un taxi e mi ero fatta lasciare sul marciapiedi dove mi trovavo in quel momento: se lui voleva il suo caffè anche io avevo diritto a prendere quello che preferivo. Lo Starbucks era proprio lì vicino ed una piccola deviazione non mi avrebbe di certo fatto male.

Altre due persone e poi sarebbe giunto il mio turno.

Alzai gli occhi verso il cielo: quel mattino era molto azzurro, qualche nuvola cotonata lo abbelliva e non sembrava ci fosse la pellicola di gas e fumo che caratterizzava New York.

Mi mancava la mia piccola città, Forks, nello stato di Washington dov’ero cresciuta con mio padre, ma il mio lavoro non mi dispiaceva ed ogni tanto riempivo quella mancanza addentrandomi in Central Park; vivevo in un piccolo appartamento, in un grande palazzo, niente di lussuoso ma nemmeno niente di terribilmente povero: avevo arredato tutto come la casa a Forks e quindi non sentivo molta mancanza di casa.

Aggiustai la borsa che mi era scivolata dalla spalla e poi l’uomo davanti a me andò via: presi il mio caffè e mi concessi un muffin al cioccolato, giusto per addolcire la lunga giornata che trascorreva lentamente.

Presi la busta di carta dove l’uomo alto e magro, dal viso simpatico, aveva infilato il bicchiere col caffè ed il muffin e dopo averlo pagato mi avviai velocemente allo Starbucks: avevo sete, quel mattino non avevo fatto colazione per arrivare presto al lavoro e adesso avevo un buco nello stomaco.

Mai bere caffè senza aver prima mangiato qualcosa, mi diceva mia madre ma non mi sembrava carino divorare un muffin pieno di cioccolato per strada col rischio di sporcare la mia camicetta, così cacciai solo il bicchiere col caffè e lo sorseggiai.

Arrivata davanti la porta dello Starbucks l’aprii spingendola con la schiena visto che avevo le mani occupate dal portafogli, dal caffè, dalla busta e la borsa mi era scivolata nell’incavo del gomito. Non l’avessi mai fatto.

Quando mi voltai inciampai nel fermo della porta, quello che si trovava a terra, avendo già precario equilibrio mi ritrovai a saltellare sui tacchi e caddi irrimediabilmente addosso al povero sfortunato che mi era capitato davanti: gli versai addosso tutto il caffè ed il muffin volò via dalla busta, spiaccicandosi al suolo.

«Cavolo…» Disse una voce di ragazzo e quando alzai gli occhi dal muffin mi ritrovai davanti un petto sodo coperto da una camicia bianca macchiata di marrone.

Terribilmente dispiaciuta, poggiai tutto a terra e cacciai un fazzoletto di stoffa dalla borsa, iniziando a tamponare la macchia e dicendo cose del tipo «Oddio, mi perdoni, sono terribilmente desolata. Non volevo sporcarle la camicia con il caffè, mi scusi, si lasci pulire» Ma quando notai che la macchia non andava via mi abbassai per prendere le salviette imbevute dalla borsa.

Il ragazzo disse qualcosa tipo «Non si preoccupi, sono cose che capitano…»

Stavo per tamponargli ancora la camicia quando decisi di alzare lo sguardo e ciò che vidi mi lasciò a bocca aperta: vedevo bei ragazzi ogni santo giorno, modelli che passavano davanti la mia scrivania ogni ora; ero abituata a visi mozza fiato, corpi statuari ma ciò che mi si presentò davanti fu la visione più bella del mondo.

Quel ragazzo era un angelo: aveva capelli ramati e scompigliati dal gel, occhi di un verde talmente limpido che potevano ipnotizzarti, zigomi alti, fronte perfetta come il naso e le labbra, oh… le labbra…

«L-le chiedo scusa, non volevo, le ho rovinato la camicia» Mi affrettai ad abbassare il viso sulla macchia, poiché le mie gote erano diventate rosse come due petali di rosa scarlatta.

«A me dispiace di più per quel povero muffin» Disse per alleggerire la situazione.

Alzai lo sguardo e sorrisi «Anche a me» risposi.

«Se non va di fretta, posso offrirle un caffè ed un muffin» Propose. «Sa, per farmi perdonare per esserle venuto addosso»

Avvampai «Oh, beh, in realtà dovrei andare a lavoro…» guardai l’orologio da polso, mancavano ancora tre quarti d’ora.  «Ma dovrei essere io a scusarmi, sono stata io a macchiarla»

«Sono un uomo, non mi faccio offrire il caffè da una donna» Prese la giacca che era caduta durante l’impatto con me e mi indicò un tavolo vuoto lì vicino.

Mi accomodai e lui poggiò la giacca sulla sedia. «Come lo preferisce il caffè?» Chiese gentile.

Ci pensai un po’ su «Preferisco prendere un frappuccino»

«Ed un muffin al cioccolato. Arrivano subito.» Corse al bancone e lo vidi avvicinarsi alla cassa per pagare.

Mi sentivo tremendamente a disagio e guardavo ossessivamente l’orologio: se prima mancavano quarantacinque minuti adesso ne mancavano quarantatre.

Quel ragazzo era tremendamente carino e sembrava anche gentile ma sicuramente dopo quel giorno non l’avrei rivisto più.

Tornò dopo un paio di minuti con due frappuccini e due muffin, uno al cioccolato ed uno ai frutti di bosco; si sedette di fronte a me e mi porse le mie cose.

Mi guardò e mi allungò la mano destra «Piacere, io sono Edward» disse, quando ricambiai la stretta.

«Io sono Isabella, ma mi faccio chiamare Bella» Risposi al limite dell’imbarazzo.

La sua camicia era ancora per metà marrone e notai che il suo collo era stretto in una cravatta.

«Mi dispiace ancora per ciò che ho fatto» Dissi; il senso di colpa veniva anche dal fatto che se avesse avuto un colloqui di lavoro, o che se dovesse andare al lavoro, doveva farlo con la camicia in quelle condizioni.

«Le ho detto di non preoccuparsi. Capita di rovesciarsi il caffè addosso.» Mi sorrise mentre addentava il suo muffin.

Io cercai di fare in fretta a trangugiare il mio senza sembrare volgare e finii tutto il frappuccino.

Mancava mezz’ora prima che potessi rientrare in ufficio col caffè del capo e così, dispiaciuta per l’incidente, presi un foglio dalla mia agenda e scrissi il mio indirizzo al ragazzo. Glielo porsi e lui mi guardò con un sopracciglio alzato mentre succhiava dalla cannuccia

«Mi mandi la camicia, gliela mando alla lavanderia per scusarmi e ripagarla del caffè e del muffin» Spiegai.

«Oh ma non si disturbi. Non fa nulla.»

Mi alzai facendo finta di non ascoltarlo «Sono terribilmente dispiaciuta, ma adesso devo andare a lavoro. Mi perdoni. Aspetto la sua camicia.»

Presi le mie cose ed andai alla cassa, per ordinare un caffè da portare e prima di uscire dalla negozio, mi voltai verso il tavolo per salutare Edward: gli feci un cenno con la mano e lui ricambiò sorridendo.

Chissà se lo avrei incontrato ancora. Ma quell’incontro aveva cambiato radicalmente la mia giornata.

   
 
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