Jàrnsa
si risvegliò. Non
avrebbe saputo dire quanto tempo fosse passato dal suo svenimento; la
sola cosa
di cui era certa era il forte mal di testa che l’attanagliava.
Davanti a lei, illuminata da una candela, una grossa creatura sgraziata
e
maleodorante ghignava malignamente.
- Dormito bene, mortale? - si divertì a chiederle Surtr.
- Chi sei, mostro? - gli chiese Jàrnsa. Si accorse di essere
legata a una
sedia.
- Modera i toni, donna! Magari ho un po' di pancia, ma non credo
d'essere un
mostro! - continuò il gigante.
- Cosa vuoi da me? Lasciami!
- Eh, no, non sarebbe abbastanza divertente! Voglio raccontarti un po'
di cose.
- Non voglio sentire niente, lasciami e basta!
Jàrnsa urlava e fissava Surtr con sguardo pieno d'odio. Non
aveva idea di cosa
volesse da lei e non era del tutto certa di volerlo sapere.
- Suvvia. Volevo raccontarti che sono stato in Islanda, recentemente.
Ti dice
nulla, questo? - sorrise.
La donna ebbe una stretta al cuore.
- Se... se hai anche solo osato sfiorare mio marito, ti giuro che...
che...
- Che cosa? Che mi ucciderai?
Il gigante rise sguaiatamente. Allungò una mano su una
spalla di Jàrnsa.
- Lasciami, lombrico! Spero che ti capitino le peggiori cose!
- Tranquilla, non c'è possibilità che questo
avvenga. Comunque, proseguendo il
mio discorso...
Jàrnsa tentò di sputargli in faccia, ma il
bersaglio si era nel frattempo
allontanato.
- Sarai più fortunata la prossima volta! - la
provocò ancora Surtr. Lei gli
lanciò un'occhiata gelida.
- Dicevo, sarai sollevata sapendo che non dovrai più
preoccuparti di tuo
marito!
- Che cosa stai dicendo, maiale?
- Piano con i complimenti, piano! Sto solo dicendo che tuo marito... puff!
A quest'ora deve già essere stato accolto dal tuo amato
Odino nel Valhalla, se
non sbaglio...
La donna strinse i pugni fino a ferirsi. Lanciò un grido
penetrante,
desiderando avere in mano un qualsiasi tipo di arma per fare a piccoli
pezzi quell’essere.
- Dai, così mi dai fastidio. Io ora ti devo salutare, ho
impegni che mi
chiamano: devo massacrare i tuoi concittadini e, dopo loro, tutti gli
altri
porci umani che infestano Miðgarðr.
Tu adesso divertiti, magari
riuscirai a liberarti prima di morire di fame. Piacere, il mio nome
è Surtr!
Il gigante uscì dalla stanza.
Jàrnsa
scoppiò a piangere a dirotto.
Cosa ho fatto di male? Ho sempre servito la mia famiglia, la
mia patria e
gli dèi. Ho commesso degli errori? Se sì, quali
errori possono giustificare una
simile cattiveria nei miei confronti?
L'idea di poter patire il male senza averlo commesso dava alla donna un
forte senso
di straniamento, come se tutto ciò che la circondava non la
riguardasse.
Dov'erano le cause, dove gli effetti?
Improvvisamente
lo scoramento fu cancellato
dall'odio.
Cercò di girare il capo verso le proprie mani, senza
tuttavia riuscirvi. Aveva
urlato tanto da essere quasi rimasta afona; non con potendo contare su
aiuto
dall'esterno, studiò ogni modo per liberarsi da sola dalle
corde. Una gamba,
forse, era poco meno stretta dell'altra; dopo un lasso di tempo che non
seppe
stimare le riuscì di liberarsela. Non ci volle molto per
fare lo stesso con
l'altra gamba, ora meno stretta dalla fune: poteva così
camminare.
L'ostacolo,
adesso, era rappresentato dalla
porta, che Surtr aveva chiuso, evidentemente, con la chiave a lei
rubata mentre
era svenuta. Da fuori nessun rumore; Jàrnsa, con un nodo in
gola, scacciò
l'idea che l'intero paese fosse stato sterminato.
Come uscire?
Le finestre erano sbarrate: le aveva chiuse lei stessa, prima di
svenire, per
respingere i giganti; l'idea di usarle come vie di fuga, specie a causa
delle
sue mani legate, era improponibile. Occorreva un'idea.
Si
ricordò che, nella stanza a fianco, un'asse
di legno era a sbalzo, essendo saltati dei chiodi. Si recò
là, ormai con le
gambe libere, quindi provò a forzare l'asse con un piede.
Dapprima il legno
sembrò inamovibile, poi cominciò a traballare
nella propria sede e, infine, si
staccò con fragore dalla parete.
Si
apriva così un varco, largo a malapena per
permettere a Jàrnsa di passarvi attraverso. Non le fu facile
farcela ma,
infine, vi riuscì, stanca e dolorante.
Contrariamente a quanto immaginava non si vedeva anima viva,
né uomini né
giganti; in quel momento non le importava. Raggiunse un capanno di
attrezzi
agricoli lì vicino e, dopo vari tentativi, riuscì
a liberarsi le mani.
Ti troverò, Surtr, e te la farò pagare;
non mi interessa se sono una donna.
Ti pentirai di ciò che hai fatto fin quando avrai la
sfortuna di esistere. Io
ti odio.