Family Complications
“Aspetto un bambino... sono incinta” le dico,
esitando sulle ultime due parole.
“Com’è potuto
succedere? Come...?” si siede accanto a me con la testa tra le mani.
“Mamma non
volevo che accadesse. Te lo giuro. Non volevo” inizio a singhiozzare,
mettendomi una mano sulla faccia, cercando di bloccare il corso di lacrime che
non fanno altro che cadere sul mio volto lentigginoso. E’ la verità: non volevo
che accadesse.
“Non stai
dicendo sul serio, vero? Mi stai prendendo in giro... dimmi la verità” continua
a dirmi, credendo che io non stia dicendo seriamente. Magari fosse solo un
gioco, magari stessi facendo solo finta. Ma non è così. E’ tutto vero e reale,
purtroppo.
“Te la sto
dicendo la verità” le dico, continuando a singhiozzare.
“Ma non puoi
avere un bambino a diciassette anni! Non puoi crescere un bambino alla tua età,
sei ancora troppo piccola!” esclama, guardandomi negli occhi, “... e chi
sarebbe il padre? Com’è successo?”.
“...” domanda
che temevo, che ho sempre temuto, “mamma... io...”.
“Chi è quello
che ti ha messa incinta? Dimmelo Lily...”.
“Ted...” dico,
continuando a piangere e mordendomi il labbro inferiore a sangue. Vedo la sua
faccia sconvolta puntata su di me. Non so se sia rimasta più sorpresa del fatto
che sia rimasta incinta o che abbia passato una notte con Ted.
“Ted?”.
“Si, Ted, Ted Remus Lupin. Il tuo figlioccio” continuo a dire, tirando su col naso, “una sera ero
andata a casa sua e di Vic e l’ho trovato ubriaco, sdraiato sul divano perché
aveva litigato con Vic. Si è svegliato, mi ha vista e... e... ed è successo”
piango ancora più forte, dicendo le ultime parole. Mi metto la testa tra le
mani, non riuscendo a far fermare il corso di lacrime che sta percorrendo il
mio volto.
Sento mia madre
farmi alzare e stringermi a sé. Rispondo all’abbraccio, piangendo sulla sua
spalla e sentendo i suoi tentativi di farmi smettere di piangere. Non so per
quanto restiamo abbracciate l’una a l’altra, so solo che quanto ci allontaniamo
un breve sguardo di comprensione attraversa il suo volto. Mi accarezza una
guancia, asciugandomi le lacrime e cercando di abbozzare un sorriso, anche se
capisco che sia difficile anche per lei accettare una situazione simile.
“Non piangere,
Lily”.
“Sei arrabbiata
con me, vero mamma? Ma non lo sei solo tu. Lo sarà anche papà, i nonni... e
tutto il resto della famiglia. Lo so. Lo so perché lo sono anche io, anche io
sono arrabbiata con me stessa! Ho sbagliato... non sono perfetta, come tutti
d’altronde...” dico, bloccandomi per i singhiozzi che mi impediscono di
continuare a parlare.
“Non dire così.
E’ vero, sono un po’ delusa, ma sono sempre tua madre, no?” mi dice,
sorridendomi e asciugandomi altre lacrime che mi cadono sulle guance, “io ti
voglio bene e ti aiuterò con questo bambino. E’ per questo che servono le
mamme: starti vicino nei momenti difficili”.
Continuo a
piangere, forse perché tutte le mie preoccupazioni sul dirle la verità erano
frutto della mia immaginazione e non mi immaginavo che reagisse così. Senza
pensarci due volte, l’abbraccio nuovamente. Non posso credere che l’abbia presa
in questo modo. Avevo sempre pensato che si sarebbe arrabbiata e mi avrebbe
perdonata a stento, ma mi sbagliavo.
“Ti voglio
bene...” le sussurro in un orecchio, cercando di farle capire quanto veramente
sia importante per me che lei accetti la mia situazione e mi stia accanto.
“Anche io te ne
voglio” mi risponde, allontanandomi da sé e lasciando le sue mani sulle mie
spalle, “e ora smetti di piangere”.
“Come la
prenderà, papà?” le chiedo, guardandola negli occhi.
“Non lo so,
Lily... ma non ti preoccupare, ci sono io e riuscirò a farlo ragionare,
d’accordo?”.
“D’accordo...”
rispondo, asciugandomi alcune lacrime che mi sono cadute sul volto, “non voglio
che sappia di Ted...”.
“Lo dovrà
sapere, lo sai”.
“Dobbiamo
proprio dirglielo?” chiedo stupidamente, cercando di calmarmi.
“Lily...”.
“Ma io non lo
voglio questo bambino. Ho diciassette anni, voglio vivere una vita normale e
non dover crescere un bambino” le dico, pensando a quanto la decisione di
tenere o meno questo bambino sia mutata in queste settimane. Ora non so più
quello che voglio fare, se credere a Ted, se svuotare immediatamente il sacco
con papà.
“Lo so” mi
risponde semplicemente, cercando di sorridermi.
“Mi dispiace,
mamma, mi dispiace davvero tanto” le dico, prendendo un profondo respiro.
“Dispiace anche
a me che sia successo a te”.
Improvvisamente
sentiamo la porta aprirsi e la voce di mio padre echeggiare per tutta la casa.
Senza dire niente a mia madre, corro su per le scale e mi chiudo in camera mia,
sedendomi con la schiena contro la porta. Ho paura, tanta paura, come non ne ho
mai avuta in tutta la mia vita. Accarezzo la mia pancia leggermente cresciuta,
ricominciando a piangere non appena sento mia madre e mio padre litigare.
Appoggio la testa alla porta, guardando il soffitto e cercando di ripudiare le
lacrime. Devo smettere di piangere, devo farlo. In questo preciso momento,
sento un colpo provenire da dentro la mia pancia. Abbasso lo sguardo su essa e
un piccolo sorriso non può non uscire dalle mie labbra.
“Ti sei mosso”
sussurro, non so se più come un’affermazione o una domanda e con le lacrime che
mi cadono sul volto, al mio bambino, “andiamo a parlare con il nonno? Che ne
dici? Dobbiamo proprio?”.
Continuando a
chiedere cose di questo genere alla mia pancia, mi alzo e, con una
determinazione mai avuta prima, apro la porta e scendo fino in salotto, dove
vedo i miei genitori intenti a parlare.
“Papà... mi
dispiace” gli dico, apparendo nella stanza e avvicinandomi a lui. Altre lacrime
cadono sul mio volto alla vista dello sguardo smeraldino di mio padre, “mi
dispiace tanto”.
“Non piangere,
piccola mia. Vieni qui” mi dice, abbracciandomi e accarezzandomi i capelli
rossi. Lo abbraccio a mia volta, piangendo sulla sua spalla, “non è colpa tua,
ma di quello stupido che si è approfittato di te. E chi è?” mi chiede, rompendo
l’abbraccio e guardandomi negli occhi.
“Non posso
dirtelo, papà. Ti arrabbieresti con lui e con me...”.
“Ti prometto
che non mi arrabbierò, ma dimmelo, ho bisogno che tu me lo dica”.
“Papà, io... io
non posso. Non posso dirti chi è, mi dispiace. Non voglio dirtelo” cerco di
proteggere Ted a tutti i costi, anche se non so per quanto potrò resistere.
Anche mio padre ha il diritto di saperlo, ma ho paura di quella che potrebbe
essere la sua reazione se venisse a sapere che il suo figlioccio ha messo
incinta sua figlia. Beh, non è proprio il massimo.
“Lo conosco?”.
“Si...”.
“E’ un tuo
amico?”.
“Papà, io non
posso...” ripeto, cercando di dissuaderlo da fare altre domande.
“Lily...”.
“Promettimi che
non ti arrabbierai, ti prego...”.
“Te lo
prometto”.
“Ted...” appena
pronuncio il suo nome, vedo dipingersi sul volto di mio padre un’espressione
che non ho mai visto prima.
“Ted? Il...
nostro Ted?” mi chiede conferma, rimanendo con lo sguardo fisso sul mio, “com’è
potuto succedere?” mi chiede, lo sguardo inespressivo, la voce impassibile. Ho
paura che non manterrà la promessa, ho questo brutto presentimento, “come
diavolo è successo?”.
Gli racconto di
quella sera, più o meno con le stesse parole che avevo usato con mia madre. Non
appena finisco di parlare, dalla porta d’ingresso entrano i miei fratelli e
Ted.
“Cos’è? Una
riunione familiare?” chiede Al.
“Qualcosa del
genere, dato che Ted ha messo incinta tua sorella” dice papà, con tono
visibilmente arrabbiato. So che non è arrabbiato con me, se no mi avrebbe già
urlato contro, mentre sono sicura che è molto arrabbiato con Ted. Sapevo che
non avrebbe mantenuto la promessa, “non è così, Ted? Ti sei ubriacato dopo che
Vic se ne era andata e ti sei approfittato di mia figlia”.
“Harry...” vedo
Ted che cerca di dire qualcosa, ma mio padre lo interrompe nuovamente,
ricominciando a urlargli contro.
“Come hai
potuto approfittarti di mia figlia? Della ragazza che hai sempre considerato
come una sorella?” gli chiede, avvicinandosi a lui e guardandolo, “non voglio
più vederti”.
“Papà” dico,
correndo verso mio padre e Ted, “mi ha promesso che mi aiuterà a crescere
il...”.
“Come hai
potuto solo toccare Lily?!” mi interrompe, lasciando il proprio sguardo fisso
su Teddy, “vattene”.
“Harry,
ascolta...”.
“Esci subito da
questa casa!” gli urla contro. Guardo Ted negli occhi e vedo la tristezza che
si è impossessata di lui. Senza dire una parola, ma soltanto ricambiando il mio
sguardo, ubbidisce ed esce da casa nostra.
“Perché lo hai
fatto? Perché lo hai mandato via?” chiedo a mio padre, guardandolo con occhi
spenti, “mi sarebbe stato accanto! Ho capito che sei arrabbiato per quello che
ha fatto, ma non è stata solo colpa sua! E’ stata anche colpa mia!”.
“Lily...” cerca
di calmarmi, ma io ho già deciso.
“Ciao, papà!”
lo saluto, prima di correre fuori casa. Vedo la sagoma di Ted allontanarsi e
gli corro incontro. Quando arrivo vicino a lui, senza che neanche se ne
accorga, lo abbraccio.
“Lils, perché
mi hai seguito? Pensavo che tuo padre ti avesse segregata in casa senza
permesso di uscire per paura di incontrarmi...” mi dice, abbracciandomi a sua
volta, “e questo vuol dire che mi hai perdonato totalmente?”
“... ci devo
pensare su” gli rispondo, ridendo e rompendo l’abbraccio.
“Cosa farai
ora?” mi chiede, chiedendomi indirettamente se tornerò a casa mia o se farò
qualcos’altro.
“Non lo so, ma
una cosa è certa: non tornerò a casa mia fino a quando mio padre non accetterà
l’idea che io aspetto un bambino da te e che lo cresceremo insieme. Perché è
quello che faremo, vero?” gli chiedo, non tanto sicura della promessa che mi ha
fatto di crescere nostro figlio insieme.
“Certo, Lils. Io,
tu e il bambino... suona bene” mi dice sorridendo. Rispondo al sorriso,
guardandolo nei suoi bellissimi occhi castano ombrato.
“Dove andiamo?
Voglio dire... io non tornerò più in casa mia per un po’... tu dopo che hai
lasciato Vic non hai praticamente più una casa... quindi, dove andiamo?”.
“C’è sempre un
posto dove possiamo andare” disse, afferrandomi la mano e materializzandoci in
un posto dove ero stata poche volte, ma del quale papà mi aveva raccontato
molte volte: Grimmauld Place.
“Mmm... Grimmauld Place, dove si riuniva anche l’Ordine della Fenice...”
dissi, vedendo il suo sguardo leggermente sorpreso del fatto che io sapessi
dell’associazione della quale facevano parte anche i suoi genitori, “beh, me
l’ha raccontato papà”.
“Si, lo ha
raccontato anche a me. Tutta la storia... Voldemort...
i mangiamorte... e tutto il resto. I miei
genitori...”.
“Remus Lupin e Ninphadora Tonks. Sai che ti hanno voluto bene” gli dico,
stringendo la sua mano che si trova in una mia.
“Harry mi
raccontava sempre di quanto erano coraggiosi e di quanto mi volevano bene. Sono
orgoglioso di essere loro figlio. E spero che anche il nostro bambino sia
orgoglioso dei suoi genitori” cerca di cambiare discorso per non farmi notare i
suoi occhi lucidi, illuminati dalla luce lunare. So che parlare dei suoi
genitori lo fa sempre stare male.
“Sono sicura
che lo sarà” rispondo, sorridendogli e vedendolo rispondere al mio sorriso.
Iniziamo a
camminare e ci fermiamo davanti ai numeri undici e tredici di Grimmauld Place. Vedo Ted fare un
incantesimo tra i due numeri civici e apparire il numero dodici, del quale è
conosciuta l’ubicazione solo a pochi maghi. Entriamo e subito Ted lancia un lumus, facendo illuminare la stanza e facendomi capire che
è da tanto tempo che nessuno mette piede in questa casa.
“Beh, Ted...
penso che dovremo darci da fare. Fortuna che ho portato la mia bacchetta” gli
dico, sfoderando l’oggetto magico dalla tasca della gonna.
“Non ci pensare
neanche. Nella situazione in cui ti trovi hai bisogno solo di riposo, ragion
per cui ti troverò una stanza, la rimetterò a posto e ti riposerai. Quando
domani mattina ti sveglierai sarà tutto come nuovo, d’accordo?” mi dice,
prendendomi per una mano e iniziando a salire le scale alla ricerca di una
stanza. Devo ammettere che è molto grande come casa. E’ davvero enorme.
Troviamo subito una stanza al primo piano con un letto matrimoniale, un armadio
in legno e uno specchio polveroso. Ted lancia un incantesimo senza pronunciarlo
e mette a posto l’intera stanza, facendola diventare pulita e decisamente
abitabile.
“D’accordo,
Teddy Bear...”.
“Era da tanto
che non mi chiamavi così” sorride, interrompendomi.
“Buona notte”
gli dico, avvicinandomi a lui e dandogli un bacio sulla guancia, “... e sogni
d’oro...”.
“... mio
tesoro” conclude uscendo dalla stanza.
Senza pensare
né alla reazione di mio padre, né a quella che avrà l’intera famiglia mi tolgo
le scarpe e mi metto sotto le coperte del letto, addormentandomi, per la prima
volta dopo tanto tempo, con il sorriso sulle labbra.