Capital Letter #16 - { P }
~ Photoshoot
Gli
era capitato per caso, durante una noiosa sera domenicale passata
senza scopo al dormitorio. Si era svegliato al mattino sprizzante di
entusiasmo, assicurandosi che anche tutti gli altri si svegliassero
assieme a
lui. Di fatti, dopo aver spalancato la finestra sul cortile e aver
urlato a
squarciagola come un isterico esaltato che Oggi
sarebbe stato il giorno più bello del mese!, Asou
si era affacciato dalla
sua stanza al piano di sopra, ridendo come suo solito e Michiru aveva
dischiuso
i vetri dalla sua sistemazione nel corridoio femminile. Il boato secco
che aveva
percosso la sottile parete separatoria aveva lasciato Chika leggermente
soddisfatto al pensiero che la sua sveglia entusiasta avesse
infastidito il
rompiscatole della stanza accanto, e ad ogni modo, nessun Stai zitto! e nessun Rilassati!
avrebbero mai potuto intaccare il suo umore, quella mattina.
Ovviamente
l’aveva pensata così fino a quando l’sms
freddo di Momoka non gli aveva
rifilato la più grande buca del secolo.
Aveva
aperto il telefono con un movimento secco del polso e atteso il
caricamento del
testo con tanta speranzosa impazienza che chiunque lo avesse visto
avrebbe
probabilmente pensato che da quell’e-mail dipendesse
l’estirpazione immediata
del suo mutuo sulla vita.
Niichan,
non posso più uscire con te. Facciamo
un’altra volta.
Fissando
lo schermo del cellulare come in una sorta di stato catalettico, Chika
aveva
sentito il proprio umore scendere ai minimo storici, precipitando senza
freni,
a velocità accelerata, sempre sempre sempre più
in fondo al baratro dello
sconforto. Un sms freddo da far paura, talmente categorico e definitivo
che gli
fece passare anche la voglia di risponderle.
Si
era
ritrovato a premere i polpastrelli sui tasti con tanta flemma da
impiegare
quasi due minuti a comporre la rassegnata e depressissima risposta.
Va bene =3= Però
appena puoi avvertimi, na?
E
stava
ancora fissando lo schermo ormai spento del telefono –
dannato inutile portatore
di sventura – quando era giunto il colpo di grazia.
Non
so quando, ma okay.
Aveva
incrociato Michiru lungo il corridoio, subito dopo aver riposto il
telefono in
tasca, ed aver mosso il primo faticoso passo del triste pellegrinaggio
che lo
avrebbe condotto per forza d’inerzia a vagare come
un’entità in pena per il
cupo dormitorio. La schiavetta stava andando da qualche parte con in
mano una
pila di asciugamani puliti; Chika la superò facendo finta di
non notarla, anche
se lei aveva guardato nella sua direzione muovendo la bocca ed
emettendo suoni
vagamente somiglianti ad “Ohayo
Chika-kun”,
forse tentando vanamente di attaccare bottone.
La mia sorellina mi odia. Sono un fratello
degenere.
Mi ha scaricato. Chissà che doveva fare
di così
importante?
Magari il suo ragazzo?
…Lo ammazzo.
Così
si
era ritrovato a vagare per il dormitorio senza alcuno scopo o
destinazione
apparente, demoralizzato come poche altre volte.
Scaricato da tua sorella. Molto bello.
L’idea
di
uscire con la sorellina lo riempiva sempre di euforia pura, ma gli
imprevisti
che riguardavano Momoka e gli impedivano di vederla facevano sempre
più male di
qualsiasi delusione amorosa.
Non
che a
lui sbattesse qualcosa delle cretine che gli davano buca agli
appuntamenti;
aveva smesso di provarci da quando era morto a dire la
verità. O forse da
prima?
Ma
si
trattava di Momoka!
Momoka!
Se
avesse
potuto andare a lavoro anche la domenica per guadagnarsi la vita, forse
in quel
momento non si sarebbe sentito così dannatamente inutile e
tradito e
soprattutto annoiato. Ma
Beck–san la
domenica magicamente spariva, lasciando la porta rattoppata
dall’ufficio chiusa
a chiave e soprattutto, la feccia non morta che custodiva la sua mano
destra non
si dimostrava cooperativa.
E
dunque,
per puro caso, in preda ad una depressione cronica da
iperattività repressa, e
dato che nessuno lì al dormitorio sembrava aver voglia di
sopportarlo nella sua
psicosi da cucciolo abbandonato sin dal mattino, aveva finito per
sedersi da
una parte nella sala comune e ad infilare – per
puro caso – la mano nella borsa di Koyomi.
Nel
giro
di quelle due poche ore era riuscito a sviluppare un odio
incondizionato per i
cellulari a velocità record. Tuttavia il colore rosa
pastello della vernice, la
sua forma leggermente arrotondata e la massiccia chincaglieria
rilucente ed
ingombrante che pendeva dall’antenna suscitarono
improvvisamente in lui
un’attrazione irresistibile.
Sentiva
la
voce di Koyomi che risuonava squillante dalla mensa, ma non si
curò in alcun
modo della sua privacy o di qualsiasi rimostranza avesse potuto
avanzargli nel
caso l’avesse scoperto: era in gioco
l’intrattenimento di Chika Akatsuki
in un momento critico e dunque le eventuali
padellate di Koyomi poco gli importavano, anzi, avrebbero solo reso la
giornata
un po’ più movimentata. Rimosse il blocco alla
tastiera, compiacendosi di non
trovare nessun ostacolo idiota come stupidi codici di sicurezza da
ragazzina
delle medie, e iniziò il proprio pigro tour nel mondo rosa
shocking di Koyomi
Yoimachi.
All’inizio
lo trovò abbastanza scontato, a dire il vero. I messaggi di
testo erano solo
brevi scambi di battute tra lei e Michiru riguardo appuntamenti o
impegni
scolastici, raramente lei e Sotestu (rimase in bilico fra il disgusto e
il
divertimento quando lesse che Asou la chiamava Koyo-chan e a volte Zucchero – il solito demente),
poi lei e
amiche che non conosceva. Insomma, quotidiana amministrazione, banale e
di poco
interesse.
Iniziò
a
divertirsi un po’ di più iniziando a sfogliare le
foto nella galleria
multimediale, sorvolando sui file musicali che, era sicuro, non
avrebbero in
alcun modo coinciso con i suoi gusti – bastava pensare alle
cantilene melense
che Koyomi adorava cantare al karaoke, niente a che vedere con i sani
Gun’s and
Roses o i divini Nirvana.
La
voce di
Koyomi dalla mensa divenne appena più acuta proprio mentre
Chika osservava con
leggero interesse una foto imbarazzante di Sotetsu che baciava sulla
guancia
una Koyomi pietrificata, mentre da sopra la sua testa di rapa
spiccavano due
dita che lui stesso ricordava di aver piazzato al momento dello scatto.
Così se
ne stette lì seduto su di una sedia sbrecciata, accasciato
sullo schienale, il
mento incastrato sul bordo di legno come un bimbo in punizione.
Percepiva dei
movimenti nella sala comune, dei movimenti lenti e silenziosi a cui non
fece
caso, continuando curiosamente a frugare il telefono di Koyomi, mentre
le sue
chiacchiere lontane sembravano commentare oltraggiate ogni foto.
Koyomi
e
Michiru che ridevano indossando abiti gothic lolita, con la schiavetta
leggermente
in imbarazzo.
Una
foto
vecchissima dei primi tempi al dormitorio, assieme alla presidentessa
Shimotsuki e Sotetsu.
Una
serata
al karaoke, con Chika che gridava come un forsennato nel microfono e
Sotestu
che rideva a crepapelle.
Michiru
ai
fornelli, la frittata distrutta sul fornello che inizia a prendere
fuoco.
Shito.
Koyomi
e
Michiru che mangiano sushi e…
Chika
Akatsuki si bloccò.
…eh?
Tornò
rapidamente alla foto precedente, rimanendo qualche istante a fissarla
come se
fosse un artefatto alieno appena precipitato sulla superficie terrestre
esattamente davanti ai propri piedi.
Lo
schermo
illuminava un ritratto in primo piano di uno Shito intento a stringersi
meticolosamente il nodo della cravatta, lo sguardo leggermente vacuo
che si
perdeva in una direzione non meglio definita, i capelli erano
impressionati con
talmente tanti pixel che Chika avrebbe potuto contarli ad uno ad uno,
nella
perfezione morbida con cui gli sfioravano il collo poco sopra la
camicia
bianca.
Rimase
a
fissarlo per lunghi istanti, immobile, in silenzio. Anche il ciarlare
di Koyomi
non lo raggiungeva più.
Improvvisamente
l’idea di quell’oggetto rosa e rotondo
dall’aspetto leggermente psichedelico spaccato
in mille pezzi sul pavimento divenne talmente seducente che Chika
riuscì a
sbatterlo intatto sul tavolo vicino solo per puro caso.
Che
diavolo ci faceva Shito nel telefono di Koyomi?
Che motivo aveva una foto del genere di
stare
nel telefono di Koyomi?
E
quando
gliel’aveva scattata?
…che
diavolo aveva di così speciale, Shito, per finire in quel
telefono, in una foto
tanto intima da sembrare il tipico scatto a tradimento rubato da una
bimbetta
rincoglionita al ragazzo che le piace?
Rimase
sospeso su quella riflessione.
Ma che cazzo penso?
Oh
si, il
messaggio gelido di Momoka lo aveva fatto precipitare in depressione.
Ma
se era
destino che i telefoni quel giorno fossero la fonte di ogni suo
cambiamento
d’umore, il cellulare di Koyomi si era trasformato
rapidamente da un’ancora di
salvezza ad una fonte di un’inspiegabile ira distruttiva.
Si
alzò si
botto, seccato, e quando ruotò su sé stesso per
allontanarsi dalla sala comune
– forse per evitare di recarsi in mensa a chiedere il motivo
intrinseco di quella maledetta fotografia
nel telefono
di Koyomi – vide che c’era una figura umana seduta
in un angolo del divano, in
mezzo alla stanza.
E,
diavolo, era quel fottuto Shito di merda.
Se
ne
stava lì, composto, le gambe accavallate ed un libro in
mano. Quando si accorse
dello sguardo di Chika sollevò appena gli occhi,
osservandolo da dietro le
sottili lenti da lettura, inarcando appena le sopracciglia.
«
Vuoi
qualcosa, corruttore della quiete?» lo chiese con tono
seccato, forse
riferendosi alla maniera poco gradita con cui quella mattina era stato
svegliato.
Chika
sbuffò rumorosamente, reprimendo il desiderio istintivo di
saltargli addosso
per gonfiarlo di botte. Ad ogni modo rimase in piedi fermo per qualche
istante,
fissandolo con un cipiglio contrariato; Shito gli restituiva lo
sguardo, del
tutto imperturbabile.
«
Quindi?»
chiese ancora, questa volta tranquillo, tornando al suo libro
« Hai esaurito le
energie per disturbare gli altri come la scimmia che sei? »
Vaffanculo, Shito Tachibana.
Ci
sarebbe
stato davvero alla perfezione. Tuttavia Chika represse anche quello.
C’era
qualcosa di fastidioso che lo tormentava in un angolino delle testa, un
malessere
martellante che brillava di un rosa acceso, nasceva nella voce di
Koyomi e
cresceva ad ogni sguardo al volto di Shito.
Tsk.
Si
sedette
all’estremità opposta del divano, affondando un
gomito nel bracciolo;
l’imbottitura fuoriusciva in qualche punto dalla pelle
strappata. Shito sembrò
non fare caso ai suoi movimenti bruschi, si limitò
semplicemente a voltare
lentamente pagina, battendo le palpebre, gli occhiali che riflettevano
i
bagliori liquidi dei suoi occhi vermigli.
Chika
continuò a fissarlo, il blaterare di Koyomi che rimbombava
dalla sala vicina
come il rotolare ingombrante e fastidioso di un enorme masso lungo una
rupe
scoscesa.
Shito
era
sempre così dannatamente elegante e posato in ogni suo
gesto. Era abbastanza
ovvio che poi, con la faccia da fottuto angelo che si ritrovava,
suscitasse qualcosa
nelle ragazze. Di certo non simpatia, dato che – Chika ne era
testimone – era
una delle poche qualità di cui quel perfetto stronzo
mancasse, assieme forse
alla tolleranza. Di che diavolo si stupiva?
D’altronde,
che gli importava di una stupida foto? Koyomi aveva anche foto sue e di
Sotetsu
e questo non stava di certo a significare che provasse una qualche
smisurata
attrazione per nessuno dei due.
Ma
che cazzo.
Guardò Shito con maggiore intensità, quasi che
volesse perforarlo con qualche
raggio dorato di fotoni surriscaldati. Che diavolo stava pensando?
Essere
scartato da una tua amica in favore di un’altra persona non
è una cosa per cui
avrebbe dovuto sentirsi così dannatamente turbato. Che gli
importava di Koyomi?
Però
cazzo, non solo Momoka che se ne andava a spasso con chissà
quale spasimante.
Ora
anche questo.
Shito
si
voltò appena, dopo qualche istante; lo studiò,
aggrottando appena la fronte.
Ruppe il silenzio con un sussurro:
«
Si può
sapere che c’è?»
«
Niente.»
Chika lo dichiarò con tono definitivo, seccato. Era
dannatamente evidente che
ci fosse qualcosa.
Gli
occhiali di Shito scivolarono leggermente lungo il profilo perfetto del
suo
naso. Chika deglutì appena.
«
Tu hai
qualcosa.» stabilì Shito, riportando la montatura
al proprio posto « E ti
ostini a tenere la bocca chiusa, stranamente.»
«
Non mi
pare che di solito te ne importi qualcosa.» Chika lo disse
quasi sputando le
parole. Improvvisamente il desiderio di picchiare Shito era
notevolmente
aumentato. Quest’ultimo annuì, prendendolo alla
lettera.
«
Hai
ragione.» e tornò al suo fottuto libro, come era
logico che facesse, essendo il
figlio di puttana che era. Chika si sistemò diversamente sul
divano, affondando
stizzito il palmo aperto nell’ampio spazio che grazie al
cielo li divideva.
Meglio che fosse così, o avrebbero davvero ricominciato a
picchiarsi a causa di
una stupida foto.
«
Shito!»
la voce di Koyomi che si avvicinava dalla mensa raschiò i
timpani di Chika in
maniera dolorosa e insopportabile. Si voltò lentamente,
appena in tempo per
vederla apparire da dietro lo schienale del divano; Shito si
girò dalla sua
parte, poggiando una mano sulle pagine del libro e posandovi sopra la
copertina,
pronto ad ascoltarla.
«
Ti va un
thè? Te lo preparo alla mela.»
cinguettò, dondolando come una bambolina, un
sorriso dolcissimo sulle labbra « Non è il massimo
ma è buono comunque, ne?»
solo allora sembrò accorgersi della
presenza di Chika « Chika, lo vuoi? Lo preparo anche a
te!»
Chika
aveva la certezza irrazionale che se non si fosse trattenuto avrebbe
preso
Koyomi per staccarle la testa a morsi. Scosse il capo con un movimento
meccanico, in un cenno secco di diniego. Ad ogni modo, per quanto non
riuscisse
a comportarsi altrimenti, era davvero troppo per una semplice ed
inutile foto
nel telefono di Koyomi. Infantile, forse. O forse no?
Shito
le
sorrise appena:
«
No,
grazie, Yoimachi. Sei molto gentile.» il sorriso divenne
più aperto, ma Chika
sapeva quanto fosse falso, quanto fosse dovuto a semplice gentilezza
stereotipata. Fottuto stronzo. Shito non avrebbe di certo regalato un vero sorriso a Koyomi per una cosa
simile.
Lei
annuì
e si allontanò dopo qualche istante, lasciandoli di nuovo
soli. Le dita di Chika
affondarono maggiormente nella pelle rovinata, la mano che fremeva
– per pura
coincidenza era la destra. Rimasero
in silenzio per lunghi istanti, Shito che leggeva in perfetta
tranquillità come
se fosse l’unico essere umano in quella stanza, Chika che
continuava a
rimuginare e tremare inspiegabilmente, pieno di rabbia fino
all’orlo. Tra
l’altro, il fatto di non capire il motivo di tutta
quell’irritazione lo faceva
incazzare il doppio.
E
proprio
mentre meditava di alzarsi e andare da Koyomi a romperle le scatole
fino a che
non avesse pianto d’esasperazione, percepì un
tocco leggero sul dorso della
mano destra. Rimase immobile, accertandosi di non aver immaginato
niente, poi
piano voltò lo sguardo verso la figura al suo fianco.
Shito
Tachibana continuava a leggere, gli occhi fissi e inespressivi che
seguivano le
lettere nere e verticali sulle pagine. Erano le sue dita.
Si
accostarono lente alla mano di Chika – la sua
mano, a dire il vero – rasentando la pelle del divano erosa
dal troppo
utilizzo, sfiorando le nocche bianche ed i muscoli contratti.
Bastò un gesto
lento, e la mano di Chika si rilassò, lasciandosi guidare
piano da ciò che
dettava, pacata, la volontà di quelle dita sottili.
Si
trovarono a vicenda, stringendosi talmente forte che le nocche di Chika
tornarono bianche, in un intreccio scomposto e un po’ scomodo.
Chika
di
colpo provò uno starno sollievo.
Davvero
inspiegabile.
Continuò
a
fissare Shito, in perfetto silenzio, l’espressione che
tornava serena per
qualche istante, mentre l’altro leggeva impassibile, come se
nulla stesse
accadendo. Come se non fosse stato lui,
questa volta, il primo a cercarlo.
Coglione.
Sbilanciandosi
sul divano, Chika sollevò una gamba e gli piazzò
la pianta del piede sulla
guancia, premendo talmente forte da fargli volare gli occhiali dal
naso. E in
più, quel giorno si era anche dimenticato di mettersi uno
straccio di calzino.
Shito
rimase immobile qualche istante in quella posizione, il piede di Chika
che
ancora affondava nella sua guancia liscia, gli occhiali rotolati per
terra con
un inquietante rumore metallico.
E
quando
si voltò a guardarlo, molti secondi dopo, gli occhi che si
posavano su Chika ad
una lentezza estenuante, l’amaranto delle sue iridi era, come
dire, abbastanza
alterato.
Chika
Akatsuki ridacchiò forte, di gusto, per la prima volta in
quel giorno da che
Momoka gli aveva dato buca.
Alla
fine
si sarebbero picchiati. E sarebbe stato divertente.
(xxx)