Ringrazio Maruzza per essere stata la prima a recensire.
Siate buoni con me, è la mia prima esperienza.
Non
ero assolutamente felice di questo posto. Erano passati circa due anni
da
quando mi ero trasferita. All’epoca non mi opposi al
cambiamento, probabilmente
perché volevo che, per una volta, la mia famiglia ritrovasse
la felicità
perduta. Nella mia precedente città avevo lasciato tutti i
miei affetti, la
scuola e tanto altro, ed era stata dura ambientarmi nella piccola
cittadina di
Key, ma non era poi così male in fondo.
-Stai
di nuovo ripercorrendo il sentiero dei ricordi?-.
Una
voce calda e dolce mi ridestò dai miei pensieri. Era mia
madre, Elisabeth Cole
Hale. Mi aveva raggiunta su in terrazza, dove, in teoria, avrei dovuto
ammirare
le stelle cadenti nella famosa notte del 10 Agosto, San Lorenzo. Era
una
tradizione giunta fino a noi e in particolare alla mia famiglia.
Le
sorrisi sinceramente e annuì. Era una bellissima donna,
probabilmente la più
bella che avessi mai visto e nutrivo un profondo rispetto per lei.
Elegante e
raffinata in ogni circostanza. Mi guardava dall’alto dei suoi
-Venice-,
richiamò nuovamente la mia attenzione, -Ti ho portato del
tè-.
-Grazie
mamma-.
Lei
mi porse la tazza e io feci attenzione a non versare il contenuto sulla
mia
nuova camicetta, un suo regalo.
-Ancora
nessuna stella?-, mi chiese, scrutando il cielo.
Feci
lo stesso. -Nessuna, avevo un desiderio pronto per essere realizzato,
ma
non sono fortunata, direi-, giunsi alla conclusione più
ovvia.
Lei
mi si avvicinò cingendomi con le braccia e stampando un
bacio sulla mia guancia
sinistra.
-In
ogni caso non ne avresti bisogno-.
Sbuffai,
eccola che ricominciava con le adulazioni, doveva farsi perdonare di
aver
lavorato anche questa sera.
-Sei
tornata tardi-, notai, bevendo un po’ di tè.
Lei
sospirò, questo argomento era sempre stato tabù
per la famiglia Hale benché mia
madre fosse una semplice designer, era fin troppo fuori casa, come mio
padre
d’altronde. Avevo pensato persino che avesse
un’amante, ma non avevo mai
proferito parola a riguardo. Mi fidavo di lei e anche di mio padre.
Lei
non rispose, ma c’era d’aspettarselo.
Rientrò in casa lasciandomi sola.
Appoggiai
la tazza sul tavolino lavorato in paglia e mi sporsi dal terrazzo
concentrandomi sulla strada.
Una
signora cercava il suo gatto, che buffo, era così tutte le
sere; un bambino, il
mio vicino che forse si chiamava Joshua, non ricordavo, stava giocando
con le
macchinine nel porticato; infine un uomo stava bussando alla mia porta.
Restai
a guardare aspettando che il campanello suonasse, ma ciò non
avvenne. Mi sporsi
nuovamente, ma l’uomo era sparito. Chi era?
Lasciai
il terrazzo perplessa e raggiunsi mia madre in salotto. Era bianca in
viso e
reggeva un pacchetto nero e affusolato.
-Mamma?
Che hai?-, chiesi sfiorandole il viso con il dorso della mia mano.
-Non
ti senti bene?-.
Lei
scosse il capo continuando a fissare la scatola.
Io,
delicatamente, presi il pacchetto dalle sue mani.
Lo
aprì con decisione. Una rosa rossa con un solo petalo bianco
era ciò che
conteneva il pacco, ma mia madre alla sua sola vista
sussultò spaventata. Non
l’avevo mai vista in quello stato. Era una minaccia? Qualcuno
odiava mia madre?
Ma com’era possibile?! Lei non era in grado di sfiorare
nemmeno con una mosca,
figuriamoci.
Presi
la rosa, non aveva spine, ma solo allora notai un cartoncino nero.
“Strano
colore per una dedica”, pensai. Lo voltai per capire chi
fosse il mittente e mi
si raggelò il sangue.
-Quando
te ne accorgerai, sarà troppo tardi-.
Queste
parole erano scritte con inchiostro rosso. Guardai mia madre che si era
accasciata sul piccolo divanetto stile Ottocento e mi guardai intorno.
Provavo
un senso di familiarità in tutto questo. Avevo
già visto quella rosa. Ma dove?
E poi chi era quell’uomo?
-Mamma,
che significa?-.
Lei
mi guardò, gli occhi spalancati dal terrore.
-Non
chiedermi ciò che già sai!-, esclamò
alzandosi di scatto e strappandomi
la rosa dalle mani.
Attraversò
la stanza velocemente e mi lasciò sola, ancora una volta.
Aveva lasciato solo
il biglietto che rilessi più volte, ma senza capirne il
significato.
Che
già sapevo? Io non sapevo nulla. Non capivo di cosa parlasse.
Lo
piegai e lo infilai nella tasca posteriore dei miei jeans.
Avevo
imparato due cose da quando ricordavo.
La
prima: Mai parlare di lavoro.
La
seconda: Era inutile fingere.