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Autore: Hollina    19/07/2010    5 recensioni
Perchè tutto succede per una ragione. Non c'è modo di sfuggire al proprio destino. Ci saranno sempre delle scelte da fare e delle decisioni da prendere. Ma di chi ci si può fidare se non delle persone che ami? "Lo guardai negli occhi. Erano castani. Indugiai sul suo viso, sulla sua fronte ricadevano ciuffi color biondo cenere. Il mio sguardo vagò sul resto del suo corpo. Era davvero un tipo originale e affascinante. Doveva essere non molto più grande di me".
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho deciso di inserire subito il primo capitolo per attirare la vostra attenzione.
Ringrazio Maruzza per essere stata la prima a recensire.
Siate buoni con me, è la mia prima esperienza.

La Rosa

Non ero assolutamente felice di questo posto. Erano passati circa due anni da quando mi ero trasferita. All’epoca non mi opposi al cambiamento, probabilmente perché volevo che, per una volta, la mia famiglia ritrovasse la felicità perduta. Nella mia precedente città avevo lasciato tutti i miei affetti, la scuola e tanto altro, ed era stata dura ambientarmi nella piccola cittadina di Key, ma non era poi così male in fondo.

-Stai di nuovo ripercorrendo il sentiero dei ricordi?-.

Una voce calda e dolce mi ridestò dai miei pensieri. Era mia madre, Elisabeth Cole Hale. Mi aveva raggiunta su in terrazza, dove, in teoria, avrei dovuto ammirare le stelle cadenti nella famosa notte del 10 Agosto, San Lorenzo. Era una tradizione giunta fino a noi e in particolare alla mia famiglia.

Le sorrisi sinceramente e annuì. Era una bellissima donna, probabilmente la più bella che avessi mai visto e nutrivo un profondo rispetto per lei. Elegante e raffinata in ogni circostanza. Mi guardava dall’alto dei suoi 175 centimetri. I capelli ricadevano sulle sue spalle in piccoli boccoli più chiari del suo colore naturale castano e  i suoi occhi, leggermente più chiari, trasmettevano una tenerezza che, ogni qual volta mi perdevo in quello sguardo, mi sentivo più sollevata.

-Venice-, richiamò nuovamente la mia attenzione, -Ti ho portato del tè-.

-Grazie mamma-.

 Lei mi porse la tazza e io feci attenzione a non versare il contenuto sulla mia nuova camicetta, un suo regalo.

-Ancora nessuna stella?-, mi chiese, scrutando il cielo.

Feci lo stesso. -Nessuna, avevo un desiderio pronto per essere realizzato, ma non sono fortunata, direi-, giunsi alla conclusione più ovvia.

Lei mi si avvicinò cingendomi con le braccia e stampando un bacio sulla mia guancia sinistra.

-In ogni caso non ne avresti bisogno-.

Sbuffai, eccola che ricominciava con le adulazioni, doveva farsi perdonare di aver lavorato anche questa sera.

-Sei tornata tardi-, notai, bevendo un po’ di tè.

Lei sospirò, questo argomento era sempre stato tabù per la famiglia Hale benché mia madre fosse una semplice designer, era fin troppo fuori casa, come mio padre d’altronde. Avevo pensato persino che avesse un’amante, ma non avevo mai proferito parola a riguardo. Mi fidavo di lei e anche di mio padre.

Lei non rispose, ma c’era d’aspettarselo. Rientrò in casa lasciandomi sola.

Appoggiai la tazza sul tavolino lavorato in paglia e mi sporsi dal terrazzo concentrandomi sulla strada.

Una signora cercava il suo gatto, che buffo, era così tutte le sere; un bambino, il mio vicino che forse si chiamava Joshua, non ricordavo, stava giocando con le macchinine nel porticato; infine un uomo stava bussando alla mia porta. Restai a guardare aspettando che il campanello suonasse, ma ciò non avvenne. Mi sporsi nuovamente, ma l’uomo era sparito. Chi era?

Lasciai il terrazzo perplessa e raggiunsi mia madre in salotto. Era bianca in viso e reggeva un pacchetto nero e affusolato.

-Mamma? Che hai?-, chiesi sfiorandole il viso con il dorso della mia mano.

-Non ti senti bene?-.

Lei scosse il capo continuando a fissare la scatola.

Io, delicatamente, presi il pacchetto dalle sue mani.

Lo aprì con decisione. Una rosa rossa con un solo petalo bianco era ciò che conteneva il pacco, ma mia madre alla sua sola vista sussultò spaventata. Non l’avevo mai vista in quello stato. Era una minaccia? Qualcuno odiava mia madre? Ma com’era possibile?! Lei non era in grado di sfiorare nemmeno con una mosca, figuriamoci.

Presi la rosa, non aveva spine, ma solo allora notai un cartoncino nero.

“Strano colore per una dedica”, pensai. Lo voltai per capire chi fosse il mittente e mi si raggelò il sangue.

-Quando te ne accorgerai, sarà troppo tardi-.

Queste parole erano scritte con inchiostro rosso. Guardai mia madre che si era accasciata sul piccolo divanetto stile Ottocento e mi guardai intorno. Provavo un senso di familiarità in tutto questo. Avevo già visto quella rosa. Ma dove? E poi chi era quell’uomo?

-Mamma, che significa?-.

Lei mi guardò, gli occhi spalancati dal terrore.

-Non chiedermi ciò che già sai!-, esclamò alzandosi di scatto e strappandomi la rosa dalle mani.

Attraversò la stanza velocemente e mi lasciò sola, ancora una volta. Aveva lasciato solo il biglietto che rilessi più volte, ma senza capirne il significato.

Che già sapevo? Io non sapevo nulla. Non capivo di cosa parlasse.

Lo piegai e lo infilai nella tasca posteriore dei miei jeans. 

Avevo imparato due cose da quando ricordavo.

La prima: Mai parlare di lavoro.

La seconda: Era inutile fingere.

 

   
 
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