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Autore: BigMistake    20/07/2010    1 recensioni
Dal Prologo: "Un nano ed un elfo, in groppa allo stesso destriero. Definire tale cosa rara, sarebbe soltanto blasfemia. Eppure successe alla fine della Terza Era, quando la Quarta albeggiava altisonante sulle teste della Terra di Mezzo. [...] Proprio in quel viaggio conobbero, a caro prezzo un popolo nascosto, Gwath - Ombre, venivano chiamate, e si mostravano come spettri nella notte. Mai avevano agito al di fuori delle loro terre, ma i tumulti che avevano scosso Mordor e tutti gli abitanti delle Terre dell’Est, ovviamente le avevano costrette a “cacciare”, se così possiamo definire la loro una caccia, ben oltre il loro piccolo recinto fatto di alberi e oscurità." Sarìin, il bardo racconta una storia agl'avventori di una taverna, i cui protagonisti presero parte alla Compagnia che salvò la Terra di Mezzo da un'imminente fine. Grazie per la vostra attenzione e buona lettura!
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gimli, Legolas, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO XVI: Un dono inaspettato.

La casacca lunga fino alle ginocchia ricopriva il corpo esile dell’elfo. L’aspetto fanciullesco di un ragazzo adolescente, forse al suo quindicesimo autunno, era fortemente in contrasto con l’effettiva età del giovane, il quale si stava maledicendo per essersi lasciato convincere di nuovo a seguirla nelle sue escursioni fuori le mura del Regno. Si agitava sempre più affrettato a cercarla, scomparsa forse da un'ora per inseguire chissà quale farfalla o rondine. L’aveva lasciato lì, impalato come un fico pendulo dall’albero, senza aggiungere una reale spiegazione alla sua momentanea fuga. L’ultima volta che era stato trascinato nei suoi capricci bizzarri, era stato costretto a strigliare tutti i cavalli del Reame e a pulire i loro zoccoli dal fango. L’aveva perduta di nuovo, questo ennesimo incidente lo induceva a temere fortemente che il suo destino più prossimo fosse di bersaglio per gli allenamenti degli arcieri e non di semplice stalliere come il padre.  

“Dove si sarà cacciata! Giuro che non le farò mai più da guida!” si trovava a ripetersi ad ogni passo, mentre con gli occhi cercava di distinguere le ombre attraverso i fasci di luce creati tra le fronde del bosco. Erano passati ben quattro anni da quando il Bosco Atro era stato riconquistato dagl’elfi ampliando così il regno di Lòrien fino al di là dell’Anduin, rendendolo nuovamente quello un luogo di pace e prosperità per gli Eldar. Ora si potevano dire liberi di passeggiare senza armi seco e nessuno ricordava più quella grande foresta come la Taur nu Fuin. L’Ombra era stata sconfitta e sire Celebron con il Re Thranduil dividevano quella chiamata Eryn Lasgalen, Bosco di Foglieverdi, dove spiravano dolci brezze e venticelli di aria salubre, non contaminata dalla malvagità dei servi di Morgoth. I capelli neri lisci e setosi portati poco sopra le spalle del giovane vennero proprio scossi da una di queste, o almeno così pensava, perché quando si voltò invece fu praticamente sopraffatto dalla presenza di un fanciulla con le mani sui fianchi che tamburellava nervosa con le dita sottili. Ne fu così scosso che sobbalzando mise un piede in fallo e cadde con il fondoschiena a terra.

“Lo dici sempre che non vuoi più accompagnarmi, poi non sai mai dirmi di no Anrond!” stava provando in tutti i modi a mantenere un’espressione inflessibile, ma ovviamente la goffaggine insolita del ragazzo provocava una certa ilarità facendole scappare una risata celata in un sorriso. “Non ti avevo detto di rimanere a guardare i cavalli?” chiese con una finta aria di rimprovero, mentre allungava una mano per aiutarlo a sollevarsi da terra.

“Non mi avevate anche detto che ci non ci avreste impiegato molto, mia signora?” chiese allora, accettando l’assistenza della fanciulla. Ella era assai bella e perfetta con i suoi colori autunnali in quelle vesti marroni e verdi, composte da una giubba che le fasciava perfettamente le forme e dei pantaloni, abbigliamento decisamente più comodo ed appropriato per una gita nel bosco pur mantenendo un aspetto assolutamente femminile. I lunghi capelli raccolti in una pesante treccia scendevano da un lato, mentre sulla fronte un diadema d’oro e d’argento indicava il nobile lignaggio della ragazza. Quando poi un raggio sbarazzino toccava le sue ciocche castane, un vivido bagliore si rifletteva sui tipici colori della vegetazione in quella stagione.

Da tempo gli alberi avevano indorato le loro chiome e presto il rosso avrebbe sostituito l’arancio ed il marrone il rosso, rendendo ancor più caldo l’aspetto della flora. Gli animali intanto si apprestavano al sonno ristoratore del gelido freddo del nord, scandendo con i loro versi l'appropinquiarsi alle proprie tane riparate dall'inverno. “Vi immagino arrampicata su qualche roccia ad osservare un bruco, con il rischio di cadere e ferirsi il braccio come l’ultima volta!” borbottò  Anrond sollevando i chiari occhi verso il cielo. La Principessa era molto irrequieta, curiosa ed indagatrice e questo spesso, troppo spesso, la conduceva in avventure decisamente da evitare. Usciva per quelle gite nel bosco ogni qual volta ne avesse la possibilità, sparendo da palazzo anche per giornate intere. Era difficile starle dietro e solo due elfi avevano così tanta pazienza, nervi saldi e tempo da dedicarle. Non avendo mai vissuto una vera infanzia aveva dei piccoli sfizi da soddisfare essenzialmente di natura studiosa, come la ricerca di radici e foglie per nuovi unguenti. In quella bella giornata settembrina Anrond si era lasciato convincere a scortarla, sperando che almeno per una volta non si cacciasse in qualche guaio.

Il sopracciglio della ragazza si arcuò in una bella virgola sopra l’occhio destro in segno di perplessità alle parole del ragazzo, lo sguardo impaziente della Principessa si fissò sul viso imbarazzato dell'altro, che percepì il nervosismo incalzante provocato dalla sua protesta altresì dalle braccia conserte della fanciulla ed il suo continuo picchiettare del piede infrangendolo sulle foglie secche. “Non guardatemi così, sapete benissimo che se vi succede qualcosa se la prenderebbero con me, soprattutto ora! Se riportasse anche un misero graffio non solo il Re ma anche la Regina mi spedirebbe dritto tra le schiere degl’ultimi orchi all’Ered Mithrin! Comincio a pensare che proviate un certo gusto nel vedermi punire …”

“Non essere sciocco Anrond, sai che non è così. Non farei nulla per nuocerti, non volontariamente almeno. Magari sono solo un po’ avventata, ecco tutto!” Anrond era dispiaciuto di aver detto certe cose a quella fanciulla e pensare che avevano gli stessi anni, ma lei sembrava molto più grande di lui. Una giovane donna e lui un ragazzino appena in età per cavalcare. Da quando era venuta a vivere a palazzo da Thranduil, passava molto tempo nelle stalle e da lì la loro amicizia era nata. Non era una nobile spocchiosa ed altezzosa, aveva sempre una parola dolce ed i suoi modi erano gentili in ogni circostanza, anche se sapeva essere davvero strafottente. Gli dispiaceva enormemente quando la tristezza ricopriva i suoi occhi, guardarla sedersi tra le radici di un albero e chiudere le palpebre per pensare era un evento raro, soprattutto per uno spirito adamantino come il suo. Anrond trovò posto accanto a lei, osservando la luce baciare la sua pelle immacolata.

“Non siete voluta uscire per raccogliere bacche, vero mia signora?” chiese titubante, nella paura di disturbarla.

“No …” rispose con un filo di voce. “ … volevo solo rivedere un posto e stare un po’ sola. Mi dispiace averti fatto preoccupare!”

“Vi manca?” chiese allora azzardando un po’ di più su di un argomento pungente. La ragazza spinse la testa in avanti, rinforzando la posizione eretta del collo, che aveva abbandonato all'indietro.

“Succede quando si ama con tutto il cuore, possono passare minuti o anni ma la mancanza rimane sempre viva e di pari intensità … ” disse guardando di sfuggita il giovane elfo dai serici capelli neri. Il sorriso che ora si trovava sul bel viso della ragazza si distese, ma aveva una parvenza amara tra quelle due linee incurvate verso l’alto.

“Siete andata al ruscello?” la mente di Tirinîr scivolò verso quei giorni. Ultimamente ci pensava sempre, il ricordo era intenso e ben impresso nei recessi della sua memoria.

“ Sposami Tirinîr …” Legolas sulle prima non sapeva come interpretare quello sguardo: stupito, felice, spaventato. Cercava in tutti i modi di comprendere quello che passava per la testa al suo fiore d’inverno, eppure decifrare i continui mutamenti d’espressione della ragazza montavano nel suo cuore con crudeli scosse d’agitazione. Si aspettava una risposta naturale e decisa ed invece c’era solo incertezza nei suoi occhi. “Ti prego, rispondi melamin.” Cercò d’incitarla ma non poteva non lasciarsi tradire dall’inclinazione sempre più preoccupata che stava assumendo. Tirinîr non rispose, indietreggiando per scostarsi da lui quasi ne fosse spaventata. Stava per cadere su una delle tante panchine scolpite nella roccia quando Legolas accorse per non farla inciampare, ma lei rifiutò il suo aiuto barcollando prima di ritrovare da sola l’equilibrio perduto.

“Io, io …” disse senza riuscire ad articolare bene le parole. L’elfo non poteva a ragionare, tutto quello che stava vivendo sembrava irreale. Come poteva proprio colei che gli aveva chiesto di starle accanto per sempre, rifiutare la giusta conclusione al quell’amore così intenso che provavano l'uno per l'altra? Le sue mani erano rimaste a mezz’aria come ad afferrare qualcosa di sfuggente, perché inafferrabile era diventata quella bella ragazza che aveva davanti. Lei continuava ad retrocedere senza preoccuparsi di dove i suoi piedi si posassero, fissando il suo sguardo in quello attonito di Legolas. Era evidente che lo stava ferendo con quel suo improvviso terrore, non riusciva nemmeno a spiegarlo a sé stessa cosa governava i suoi passi sempre più lontani, come se fosse guidata da una mano più grande che la spingeva via. “Perdonami …” l’ultima cosa che disse prima di fuggire senza una meta. Legolas si diede dello stupido, come poteva aver pensato che finita da poco una prigionia si fosse preclusa la propria libertà in un matrimonio fatto di doveri con un Principe. L’attese per quasi tutta la notte, per ritirare la sua proposta e chiederle di perdonarlo, ma Tirinîr non tornò. Era scomparsa, non vi era traccia tra le mura del suo Regno. L’elfo altamente preoccupato mosse tutto il Reame Boscoso nelle ricerche durate per quasi l’intero giorno successivo. Sembrava come sparita nel nulla. Venne ritrovata proprio da lui, infreddolita e con le ginocchia raccolte in riva ad un ruscello poco fuori i confini. Chissà per quanto aveva vagato, svenuta e probabilmente troppo stanca per rinvenire quando le sue forti braccia la presero di peso per riportarla al caldo e al sicuro.

“È un posto che mi aiuta a fare chiarezza, da quando è partito il Re non mi parla di lui. Anche Aurehen è evasiva alle mie domande. Mi ripetono solo che sta bene e che ricevono costantemente sue notizie. A proposito sarà passato il mezzo dì?” chiese improvvisamente osservando la tipica luce soffusa del meriggio.

“Da tempo ormai, mia signora!” affermò Anrond, fiero di poter dimostrare le sue conoscenze sui movimenti del sole. Prima che iniziasse uno sproloquio sulla posizione delle ombre Tirinîr si alzò di scatto ed iniziò a correre velocemente, tanto che il giovane elfo faticò a starle dietro. “Arweamin cosa è successo? Perché scappate così?” chiese agitando la mano nel tentativo di raggiungere con grandi falcate la Guaritrice.

“Ti ricordi la punizione di cui avevi tanta paura? Corri se non vuoi ritrovarti a pulire di nuovo tutte le stalle in mia compagnia!” quasi lo gridò accelerando il passo. Con lei ogni giorno era così, vi era sempre una corsa, schiamazzi e la strigliata da parte del Re per aver mancato una sua lezione. Thranduil l’aveva realmente accolta come una figlia e, vivendo in un momento di pace, aveva deciso di essere lui stesso il precettore di Tirinîr per insegnarle molto sul mondo che le era stato precluso.

 La Guaritrice venne così a conoscenza delle sue origini: i Laiquendi erano un popolo schivo ma pacifico, grandi amanti dell’acqua e conoscitori esperti di piante ed animali. Si stabilirono dell’Ossiriad fino alla distruzione del Beleriand , quando alcuni attraversarono i Monti Azzurri per ricongiungersi con gli Elfi Silvani. Due di questi erano Laurefindon e Anarië, coloro che diedero origine alla stirpe di Helluin. Si diceva che Anarië avesse ricevuto un dono alla sua nascita dalla Valier Estë, la Guaritrice, Signora della Pace e della Serenità e che esso veniva tramandato di generazione in generazione. Da tempo però non si era mai palesato, almeno fino a Tirinîr che aveva dimostrato di possedere in sé questa luce rinnovatrice. In molte delle descrizioni che Thranduil fornì di questo popolo la fanciulla riconobbe le caratteristiche del padre e le proprie, diventando sempre più convinta che quella dove ora risiedeva fosse la sua casa.

Avevano corso a perdifiato fino ai cavalli. Se avesse ritardato un’altra volta probabilmente avrebbe vanificato tanto lavoro per nulla. Ma questo non le impedì di richiamare l’attenzione del ragazzo su di sé. “Per sbrigarci facciamo una bella gara: chi arriva ultimo al palazzo esegue la punizione dell’altro oltre che la propria!” ma non gli diede il tempo di rispondere che era già montata a cavallo, iniziando la sua folle corsa. Era incredibile quanto aveva imparato di quel luogo in poco tempo, conosciuto ormai così bene da poterlo riprodurre sulla pergamena con una benda sugl’occhi. Ma quella notte, invece, non sapeva come tornare indietro.

“Legolas, scusami non volevo ferirti …” l’elfo le chiuse le labbra con un dito. Tirinîr era stata incosciente per alcune ore prima di svegliarsi. La paura unita alla delusione per quell’evidente rifiuto erano costati cari al Principe. Non gliene faceva una colpa, forse aveva affrettato un po’ troppo i tempi, ma il solo vederla riapriva quella ferita impedendogli di mostrarsi rilassato in presenza della ragazza.

 Il loro arrivo fu preannunciato con lo scalpitante galoppo dei cavalli. Tirinîr era in testa a mezzo miglio di distanza, per quanto abile Anrond era ancora inesperto e non poteva di certo competere con una Gwaith che barava. Giunsero davanti al grande portone, lei si voltò aspettando il giovane che la raggiungesse iniziando a schernirlo con risatine strozzate.

“Siete scorretta, questa volta non adempirò alla vostra punizione!” protestò allora Anrond riuscendo a raggiungerla a fatica ancora trafelato dallo sforzo. Si pose di fronte alla ragazza, dimostrando tutta la sua disapprovazione con un cipiglio arrabbiato a caratterizzare i bei lineamenti. I cavalli sbuffavano e nitrivano, muovendo la testa dall'alto verso il basso indicando che la corsa li aveva stancati ed il loro bisogno di riposare. Tirinîr allora scese dalla groppa del suo con un salto muto e aggraziato, che sembrava non trovare terra sotto i suoi piedi per quanto leggeri fossero i suoi movimenti. Accarezzò il muso dell’animale che si calmò al tocco della fanciulla, divertita dall’espressione buffa del suo amico.

“Anrond non te la prendere! Era solo un piccolo scherzo. Non scaricherò le mie colpe su di te, anzi questa volta ne assumerò la piena responsabilità!” disse poi rivolta al ragazzo, smontato anche lui da cavallo nel frattempo. Restarono così qualche istante, quando ad un tratto Anrond chinò il busto in avanti portando una mano al cuore. Quel suo atteggiamento stava a significare solo una cosa.

“Certo che te ne assumerai le responsabilità, è decisamente l’ultima volta che tardi mancando così di rispetto al tuo Re!” la voce di Thranduil era veramente furibonda, questa volta l’aveva attesa addirittura fuori del palazzo probabilmente snervato dalla troppa attesa. “Arnond, porta i cavalli alle stalle immediatamente!” il giovane non si attardò nel compiere i suoi doveri e, dopo aver salutato con riguardo entrambi, si allontanò in compagnia dei due equini. Tirinîr si voltò lentamente andando ad incontrare il glaciale sguardo di Thranduil, che sembrò quasi incenerirla sul posto. Eretto, stava a pochi passi da lei con le braccia legate al petto, decisamente fuori di sé. Ma c’era qualcosa di strano, una sorta di rassegnazione leggeva in lui. “Non so proprio cosa devo fare con te!” Certo la presenza della Guaritrice a palazzo aveva decisamente mosso le acque, ogni giorno il suo sorriso era sempre più raggiante come il suo umore e donava allegria in un luogo fin ad allora rigido e serioso. Aurehen risentiva molto di quel lato spensierato della fanciulla e ne gioiva. Il poter osservare così da vicino la sparizione delle cicatrici di Tirinîr, l’aiutava a sostenere il peso dell'anima ferita della ragazza. La Guaritrice ormai pensava al suo passato come un ricordo lontano, era come se un muro fitto di bruma si stesse alzando su gli episodi più difficili da rivivere, rendendole sempre più facile l'affrontare la sua memoria.

“Mi spiace sire! Cercherò di essere più puntuale in futuro!” cercò di giustificarsi, inclinando la testa in segno di soggezione.

“Questa frase è stata pronunciata talmente tante volte da te che ha perso di significato. Vai nelle tue stanze ora a riflettere seriamente sulle tue azioni ed escine solo quando sarai seriamente pentita!” disse allora il Re, con tono grave di chi conosce qualcosa di più di quello che vuol dare a vedere.

“Solo questo? Niente lavoro nelle cucine o ricami più al dito che alla stoffa?” domandò dubbiosa la ragazza.

“Ubbidisci senza protestare, altrimenti potrei cambiare idea!” a quell’ordine non seppe replicare e mortificata superò il Re entrando a Palazzo. Non si affrettò a raggiungere i propri alloggi, diventati ormai un piccolo mondo che la rappresentava. Vi era un anticamera con una grande libreria ed un focolaio molto grande, una scrivania ampia dove vi erano adagiati molti più libri che sugli scaffali. Delle tende leggere delimitavano un piccolo parapetto che dava proprio sullo spazio antistante le porte del palazzo. Un grande letto soffice e morbido era posto in un ambiente comunicante, da dove la luce filtrava attraverso una piccola finestra bifora adornata da tralci di edera scolpita nella roccia, aperta invece ai giardini reali diventati pianta stabile dei suoi studi. Nell’entrare nella stanza d’ingresso si scontrò con una figura di spalle. Stava ferma ad osservare l’esterno con le mani legate dietro l’ampia schiena, i lunghi capelli dorati ad accarezzarne il profilo. A Tirinîr le mancarono le parole di bocca, non riusciva più ad articolare nessun suono se non fosse per uno di stupore. E pensare che aveva progettato di dimostrarsi sprezzante dopo essere partito senza nemmeno salutare se non con un misero biglietto, invece adesso sentiva solo l’infinita voglia di essere stretta tra le sue braccia.

“Legolas …” bisbigliò incredula. L’elfo sorrise mostrandosi finalmente in tutto il suo splendore, i suoi occhi, le sue labbra sottili ma non troppo, la pelle bianca come la neve. Era lì dopo settimane di assenza, era tornato finalmente. Tirinîr gli corse incontro gettandosi con tutta la forza sul suo petto. Anche per il principe la lontananza era stata struggente, ora che poteva assaporare il dolce profumo di fresie che l’accompagnava si sentì appagato. Rimasero così l’uno tra le braccia dell’altra, ma Tirinîr temeva che quello fosse solo un sogno e si discostò giusto per poter guardare il cielo limpido riflesso nei suoi occhi. Legolas invece cercò la sua mancina dove uno splendido anello d’argento spiccava all’anulare, la portò poi alle labbra per poterla baciare esponendo alla luce anche la sua vera simile a quella della ragazza.

“Ti prego ascoltami, non te ne andare …” non le importava di essere in veste da camera uscendo fuori dalle coperte, il suo scopo era quello di spiegare cosa era accaduto all’elfo.

“Ho capito Tirinîr non vuoi essere incatenata nuovamente. Me ne rammarico ma lo capisco, sono stato sciocco io a chiederlo dopo così poco tempo! Non sentirti in obbligo con me, non ce ne è motivo!” fu la risposta fredda del principe ad un passo dalla porta. Dentro un fuoco intenso bruciava ardentemente, era fatto di lapilli e lava che scorreva ormai attraverso le sue vene, corrodendolo dall’interno. Amava quella fanciulla e non poteva farne a meno, ma era troppo dura per lui sentirsi dire di no apertamente.

“Mi è concesso il diritto di parlare, oppure pensi di poterlo fare al posto mio, Legolas?” il suo tono era mutato dalla supplica all'imposizione, voleva potersi spiegare. L’elfo si girò ed il suo sguardo sofferente andò a cozzare contro quello dispiaciuto della ragazza. “Siediti accanto a me, per piacere!” chiese più pacata indicando il ciglio del letto vicino alla sua figura. L’elfo obbedì come un cane fedele al padrone, ripromettendosi di non essere più precipitoso come Gimli gli aveva consigliato. Tirinîr accolse le mani dell’elfo fra le sue e con un sospiro iniziò a parlare. “Mi hai colto alla sprovvista, non pensavo che me lo avresti chiesto così presto.” Legolas non guardava altro che il pavimento di pietra, troppo spaventato da quello che stava per udire. “Non volevo dirti di no, solo dovevo pensare. Io desidero diventare tua moglie.”

“Allora perché sei scappata?” chiese quasi strozzandosi con le sue stesse parole. Una domanda che lo spaventava, una domanda che esigeva una risposta che forse non avrebbe voluto sentire.

“Perché io non so nemmeno cosa sia un matrimonio. Come posso diventare una moglie perfetta per un Principe se non so da dove si comincia?” con delicatezza prese il mento dell’elfo, dirigendolo a portata dei suoi occhi tristi. “Sono arrivata fino al ruscello dove mi hai trovata e sono rimasta lì a pensare, perché era quello di cui avevo bisogno. Perdonami ma ero troppo confusa per dirtelo in quel momento. Fin da bambina lo scorrere di un fiume mi calmava aiutandomi ad acquisire la giusta lucidità, ebbene ho trovato le mie risposte quasi subito in compagnia del suo mormorio. La mia era una paura irrazionale, cosa ci serve di più del nostro amore Legolas? Non lo conoscevo prima che entrassi nella vita eppure è nato spontaneo, non credo sarà tanto diverso essere tua moglie. Quando però volevo tornare non ho saputo riconoscere la strada e mi sono persa come una pivellina.” se prima sentiva la lava dopo le parole della sua amata avvertiva un fuoco nuovo e luminoso, non vedeva altro che un bacio passionale e travolgente ad accogliere la sua risposta come avrebbe dovuto essere fin da principio. Quando però le sue labbra si stavano per posare su quelle della fanciulla, ella lo bloccò ponendo le sue esili dita a paratia fra di loro. “Prova a richiederlo ora …”

“Tirinîr vuoi concedermi la tua mano e diventare la mia sposa?” chiese Legolas davvero sicuro ormai della risposta.

“Sì, accetto ernil nîn!”

 

“Quando sei tornato melamin?” le sue stesse parole tremavano nel constatare che quello non fosse il miraggio di un mero sogno. Passava il palmo sul suo viso a sincerarsi che fosse proprio il suo Principe, Legolas di suo canto la teneva stretta per la vita, aveva catturato il cuore sfuggevole di un’Ombra e non voleva lasciarlo andare.

“Nel mattino, ma tu eri già andata via …” non riusciva a trattenersi dal sorridere quando il volto di Tirinîr diventava così tranquillo e sereno, in questo caso euforico. “Mi sbaglio o hai fatto delirare mio padre?” non c’era rimprovero, non voleva di certo sprecare tempo a rimbrottare colei che dopo pochi giorni sarebbe stata sua per sempre.

“Sono un avversario temibile per i precettori, tuo padre si è preso una bella briga a voler diventare il mio maestro!” da quelle risposte divertenti subito cambiò espressione, una nota triste apparve sul suo volto e gli occhi si spensero della felicità provata dal suo ritorno. “Mi sei mancato, sono state settimane molto dure con i preparativi del matrimonio e senza avere notizie certe su dove eri.”

“Non potevo dirti dove sarei andato, mio fiore d’inverno, basta avere un po’ di pazienza e vedrai che capirai la ragione di tanto mistero.” Lo spirito indomito della ragazza trovava riposo solo tra le braccia dell’elfo che, trasportato dalla gioia di rivederla, prese ad accarezzarle una guancia delicatamente con il dorso della mano. Lesse nei suoi occhi mille emozioni, ma quelle più ardue d’affrontare per lui erano il dispiacere e la tristezza. Con il tempo trascorso tra gli alberi di Eryn Lasgalen Tirinîr aveva riscoperto tutte le meravigliose sensazioni di benessere e beatitudine abbandonando la melanconia al passato, sapere che a causa sua era tornata a subire una sofferenza lo turbava. “I miei sogni non ti rendevano giustizia, sei ancora più bella di quando sono partito.” Disse in un soffio appena percettibile, la ragazza non mancò nel dipingere di rosso le sue gote. Nonostante Legolas le dedicasse attenzione e devozione in ogni momento, non era ancora abituata alle sue premure ed ogni volta finiva con cadere nella timidezza.

“Mi hai sognata?” chiese incredula cercando inutilmente di deviare lo sguardo. Non poteva, in realtà era come incatenata a quegl’occhi che da tempo non vedeva.

“Tutte le notti e ti ho pensata ogni istante quando ero sveglio. Amin mela lle!” preso dal trasporto avvicinò il suo viso a quella dell’amata e con teneri e sfiorati baci unì le loro bocche, assaporando quel benvenuto che attendeva da quando era giunto al Reame Boscoso.

“Ti prego non mi lasciare più senza un motivo apparente, mio Principe!” disse Tirinîr appena si discostarono per poggiare le fronti a contatto e scambiarsi tenere carezze sul viso. La ragazza teneva gli occhi chiusi inspirando ed espirando concitatamente, come se avesse una tremenda paura che Legolas scomparisse da un momento all’altro.

“Guren go cen! | S - Il mio cuore [era] insieme a te! | Ma era necessario che partissi questa volta!” in un delicata morsa l’elfo aveva afferrato il volto della fanciulla e, mentre teneva saldo il collo, passava dolcemente i pollici sulla linea della mascella riscoprendo con il tatto la morbidezza dell’epidermide pallida di Tirinîr. “In più non vorrei che il piccolo Anrond prenda il mio posto, questa sua infatuazione per te è sempre più presente. Io di certo non posso biasimarlo …” restarono  per qualche istante in silenzio guardandosi fra di loro con complicità, poi da dei leggeri sorrisi si passò a ridere sommessamente, spezzando definitivamente la tensione creatasi.

“È un caro ragazzo, gli passerà presto!” replicò Tirinîr tra una risata e l’altra.

“Non ha molta scelta!” rispose a tono con una punta di serietà nella voce. La Guaritrice lo guardò esterrefatta: quella era gelosia, equilibrata gelosia tra due innamorati poco prima del matrimonio. Per lei fu come una delle più languide lusinghe fatte, per quanto Anrond fosse un ragazzo molto più giovane di lei, quasi un bambino in suo confronto almeno in aspetto, Legolas si sentiva in dovere di tenere la guardia alta. Aveva impiegato quasi tremila anni per trovarla, non voleva in alcun modo che rapissero quello che era il suo eterno amore, nemmeno un ragazzino poco più che trentenne.

“Ora però ho bisogno che tu acquieti la mia curiosità!” disse la fanciulla con un tono irremovibile, scostandosi per non lasciarsi distrarre da qualche gesto amorevole capace di scioglierla e farle perdere le capacità di raziocinio. “Devo sapere il perché sei partito senza dirmi nulla!” era così intenta nell’estorcere la verità da Legolas che non si accorse della presenza di qualcuno nella sua camera. L’elfo stava ben attento invece a non vagare con lo sguardo dietro le spalle della ragazza, aspettando pazientemente che la persona si presentasse da sé.

“Non sei cambiata di molto Chillah, sempre a chiederti i perché delle cose e pronta a tutto …” una voce famigliare fu come nettare per le sue orecchie, le braccia le ricaddero molli lungo i fianchi, gli occhi sbarrati e persi in tutti i suoi ragionamenti. Come poteva essere? Era questo dunque il segreto? Quanto tempo era passato da quando era convinta di non risentire più quella voce?  “Perché non mi saluti?”

“Perché temo che se mi volto scopro che è solo un illusione …” la forza in quel momento le venne a mancare, le gambe le tremarono e le labbra vibrarono per la commozione. Quel passo incerto, una camminata unica caratterizzata dal ritmo sconnesso di una gamba trascinata. Una mano prese la spalla della Guaritrice e l’invitò a girarsi. Gli occhi, già pieni di lacrime, brillarono quando incontrano quelli scuri di chi era giunta alle sue spalle.

“Raja … Ruin … Siete proprio voi?” chiese cercando di credere in ciò che vedeva. La donna che era di fronte alla Guaritrice era proprio la vecchia e saggia amica che aveva lasciato alla Foresta delle Ombre, solo con qualche filo d’argento tra i suoi capelli ricciuti e neri. La bambina invece se ne stava aggrappata al collo della madre osservando attentamente quella che somigliava alla sua Chillah, ma era così diversa da lei, più bella nei lineamenti e più alta di come la ricordava. Continuava a studiarla tentennante se concederle o meno il beneficio del dubbio, faticando nel riconoscerla.

“Ruin eri così impaziente di vederla ed ora non le dici nulla?” chiese Raja nel tentativo di sbloccarla. Durante il loro viaggio Legolas aveva spiegato alla Storica che il suo aspetto era mutato, seppur rimanendo affine a quello che loro conoscevano. Ma quella bambina non pensava di trovarsi di fronte un’estranea e tutto quel cambiamento le rimaneva di difficile comprensione. Ne era praticamente in soggezione, intimorita dalla nobil donna che la guardava speranzosa di un suo saluto. Eppure c’era quel qualcosa in lei, la dolcezza che trasmetteva con i suoi occhi era la stessa della ragazza che solo due anni prima le insegnava a coltivare il suo orticello.

La manina, ancora paffuta ed infantile, picchiettò contro la spalla della madre indicandole la sua volontà di scendere. Fece poi svolazzare la stessa, chiedendo a quella nota sconosciuta di abbassarsi al suo livello per poterla esaminare da vicino. Percorse attentamente il profilo degli zigomi, le curve del viso addolcite da un fisionomia magra ma florida, le labbra piene. Una cosa però le indicò con certezza che quella era la sua Chillah: il promontorio del naso appena più pronunciato, una imperfezione nel viso perfetto che non deturpava in alcun modo la splendida bellezza dell’elfo. L’esplorazione che veniva effettuata da quella bambina dai boccoli di fuoco avvenne nel più completo silenzio, attendendo il suo oculato responso. Non emise alcun fiato nemmeno quando con dolcezza abbracciò la Guaritrice, stringendosi forte al suo petto. Tirinîr depositò una serie di baci sulla morbida capigliatura della piccola e la tenne a sé per non lasciarla più andare. Da sopra la sua testa ringraziò il suo promesso con il labiale. Quello era il più bel dono che le potesse fare.

 

“È stato difficile come pensavi, Tirinîr?” da un po’ Legolas attendeva la sua amata varcare la soglia della biblioteca dove solevano incontrarsi la sera prima di coricarsi ognuno nelle proprie stanze. Sapeva che con Ruin e Raja a palazzo non avrebbe avuto molto tempo da passare con la sua promessa, quindi aveva atteso pazientemente che sopraggiungesse la stanchezza che la natura umana conferiva alle loro membra. Seduto con la schiena poggiata su di una comoda poltrona di velluto ed immerso in un libro, aveva udito i suoi passi avvicinarsi ancor prima di sollevare lo sguardo dalla sua lettura, ormai adagiata inerme sulle sue ginocchia. L’unica fonte di luce era il fuoco che scoppiettava allegro nel camino, la sua amata ancora non sopportava bene le temperature più fredde del Reame Boscoso.  

“La visita ai giardini l’ha stancata, l’emozione però ha avuto la meglio. È una bambina meravigliosa, ma testarda e non voleva proprio addormentarsi prima di avermi raccontato del suo orto che si è ampliato in varietà. Piuttosto mi sono attardata a parlare con Raja, ma prima di tutto: c’è un principino elfico con le orecchie a punta che deve molte spiegazioni alla fanciulla qui presente!” assaporare quei momenti con la sua Tirinîr per l’elfo era una gioia incommensurabile, aveva vissuto la sua convalescenza giorno per giorno ed il vederla così piena di vita lo faceva sentire sollevato. Aveva compiuto il miracolo che si era preposto e i pochi giorni che lo separavano dalla consacrazione della loro unione lo rendevano un fanciullo impaziente.

“Sei decisamente stata troppo a contatto con un nano di mia conoscenza, da quando mi apostrofi come un principino elfico con le orecchie a punta?” chiese divertito. Era bello scherzare con lei spesso molto adulta e matura, ma che stava recuperando il tempo perduto durante la sua gioventù.

“Da quando hai deciso di partire prima del nostro matrimonio senza dirmi il perché!” rispose la fanciulla mentre si sedeva sulla poltroncina di fronte a quella dove si trovava Legolas. “Sto ancora aspettando!” incalzò incrociando nervosamente le braccia al petto. Quell’espressione contrariata la rendeva ancora più bella, il suo storcere il naso e l’imbronciarsi delle morbide labbra sprigionavano una tenerezza unica nel suo genere.

“Credevo fosse evidente ormai il perché, melamin. Volevo farti una sorpresa e soprattutto non volevo far mancare la tua famiglia in un giorno così importante per noi. Non è stata gradita per caso?” chiese allora con un certo tono arrogante e di sfida.

“La sorpresa in sé per sé sì. I due mesi di lontananza nella piena ignoranza decisamente no!” il tono animato con cui lo disse preannunciava la sua arrabbiatura. Stizzita aveva preso ad osservare le fiamme dibattersi nel focolare, stringendo i braccioli in legno forse con un po’ troppa veemenza. Legolas si alzò da dove si trovava per genuflettersi ai piedi della sua amata, non poteva permettere in alcun modo che il suo volto fosse sfigurato dalla tristezza. Con movimenti lenti e dolci le prese le mani per accostarle alla bocca e baciarle con devozione. Avrebbe implorato il suo perdono se fosse stato necessario, ma l’accenno di un sorriso gl’indicò invece i primi cedimenti da parte di Tirinîr. “Pensavo che non saresti tornato in tempo per la data che avevamo fissato, sai quanto ci tengo che sia proprio nel solstizio d’autunno …” smise allora di baciarle le mani e prese a fissare il suo sguardo perso ancora nella contemplazione del fuoco.

“Non dovevi assolutamente pensare una cosa simile, non avrei mai potuto!” quella risposta brusca attirò gli occhi della Guaritrice verso il suo amato ancora inginocchiato davanti a lei, inalberato per quella che era un’infondata ed inaccettabile paura. “Avo gâr caun beth nîn? Avo ingag na i veleth nîn? | S – Non ha valore [la] mia parola? Non credi nel mio amore? |” l’elfo si sentiva messo in dubbio e ne era fortemente dispiaciuto. Sentirsi rivelare questo dopo aver costretto i suoi uomini, Raja e Ruin a viaggiare senza sosta per giorni interi solo per poterle riunire in occasione delle nozze, lo aveva decisamente seccato. Tirinîr aveva percepito la stretta alle sue mani aumentare senza dolergli, ma quel tanto che le permetteva di capire di averlo offeso. La sua inespressività non lasciava infine spazio ai dubbi. Quando il suo amato si scopriva arrabbiato diventava freddo e spento, non dava in escandescenza, non alzava la voce soprattutto con lei. Piuttosto la puniva con un silenzio assordante e con parole secche atte a farla ragionare.

“Scusami, sono stata una sciocca a pensarlo. Hai ragione, non dovevo dubitare di te e del nostro amore …” disse sommessa, abbassando lo sguardo sconfitta ed amareggiata per aver rovinato quel loro momento insieme con inquietudini puerili. Vedendo la costernazione della sua promessa, Legolas decise di mettere da parte il proprio orgoglio ferito dalla scarsa fiducia della ragazza e sollevato il suo mento l’invitò a guardarlo negl’occhi.

“Non ha alcuna importanza, mio fiore d’inverno. Ora siamo insieme e con te avrai anche Raja e Ruin!” seguendo il suo cuore Tirinîr si abbassò sul viso dell’elfo e gli sfiorò le labbra per ringraziarlo. “Ora dimmi, cosa vi siete raccontate con Raja? Novità dalla Taur en Gwaith?” chiese interessato con voce bassa, cambiando così discorso, nel tentativo di risollevarla dopo la piccola diatriba appena avvenuta.

“Non molte melamin.” Il suo parlare era grattato, quell’argomento riapriva le vecchie ferite in via di guarigione, ma necessario da affrontare per le stesse. Doveva assolutamente conoscere le conseguenze alla sua sortita. “Dopo la rivoluzione l’esercito è rimasto fedele, ma alcune hanno deciso di andarsene per vivere una nuova vita seguendo il mio esempio. Sembra che i Variag non stiano ancora cercando di attaccarle, ma pensa che si muoveranno prima o poi, mi ha detto che non sarà un problema propriamente immediato ma che si presenterà. Mi ha assicurato che saranno pronte, secondo il suo parere dovrebbero stringere un’alleanza con qualche città lungo la strada che i Variag conoscono e magari creare una colonia esterna utile anche ai commerci ormai chiusi con il Sud. Non nascondo che sono preoccupata, molto preoccupata. Sei riuscito a trovarle così facilmente che non tarderanno a stanarle, soprattutto se escono dal bozzolo creato nella Foresta dove sono più forti, rischiano di esporsi troppo apertamente alla vendetta di Kudzo e di Kudrem.”

“Ti ricordi cosa hai detto durante il viaggio di ritorno?” chiese all’improvviso Legolas vedendo che la ragazza aveva smesso di parlare deglutendo nervosamente.

“Che mi fido della mia Storica …” rispose elargendo un gran sospiro a rimarcare il suo evidente stato di angoscia.

“Esatto! Tirinîr non angustiarti prima che le cose accadano!” depositò allora una carezza sul suo viso cercando di rincuorarla, facendole percepire la sua vicinanza. In effetti era molto utile averlo accanto quando lo sconforto catturava la sua anima.

“Non posso fare a meno di domandarmi se sarei stata utile alla Taur en Gwaith, Callial si sta ancora riprendendo, alterna momenti di lucidità sempre più lunghi ad attimi di pazzia. Sono dispiaciuta di non poterle stare accanto, in fondo è mia sorella … Ho come l’impressione di essere stata egoista …” Legolas non si potè trattenere dal zittirla posizionandole un dito sulle labbra.

“Tu eri una vittima al suo pari, se le fossi stata accanto probabilmente non ne avreste giovato nessuna delle due. Dovevate guarire entrambe da due veleni diversi uno fisico ed un altro del cuore. È stato necessario il tuo allontanamento e poi è quello che voleva anche lei.” La fanciulla non si destò dal torpore dei suoi pensieri se non quando Legolas le porse una missiva chiusa da un sigillo in ceralacca ben noto a quella che una volta era un’Ombra. I due alberi, la morte e la vita, con al centro il diamante. “L’ho incontrata, mi ha chiesto di consegnarti questa porgendoti le sue scuse per non poter assistere alle tue nozze. Avrebbe voluto, davvero, ma le sue condizioni non le permettono di spostarsi agevolmente. Posso portarti la mia testimonianza in compenso se questo può alleggerire il peso nel tuo cuore … ” la Guaritrice afferrò con mani tremanti il rotolo, che sembrava essere avvolto su di un oggetto più pesante. Rispose poi all’amato con un cenno della testa invitandolo a continuare. “Sta meglio, è savia il più delle volte e si rende perfettamente conto dei suoi errori passati. Raja l’ha presa in custodia e sta facendo un ottimo lavoro, ma la strada da affrontare è ancora lunga e dura. Mi ha anche pregato di perdonarla … ”

“Come potrei non farlo, non era lei a parlare quando la sua mente delirava.” Lo interruppe Tirinîr singhiozzando per trattenere le lacrime. Da tanto non piangeva per tristezza ed in fondo si stava liberando l’anima con quello sfogo.

“Ora ti lascio sola e ti auguro la buonanotte. Ti amo mio piccolo fiore d’inverno …” l’elfo non aggiunse altro in quel bisbiglio, posò solo le sue labbra sulla fronte in un casto ed affettuoso bacio e si alzò allontanandosi silenzioso. Tirinîr aspettò che i singulti terminassero prima di rompere il rosso fermo, posto sul lembo della pergamena per evitare che si srotolasse. Tra le sue spire vide una fine catenella di metallo lucido scivolare ed appeso un ciondolo circolare con lo stemma della Gwaith con un diamante incastonato tra i rami dei due alberi. Lo studiò distrattamente per poi vertere con più attenzione al contenuto della lettera. Vi erano lettere scritte in maniera egregia ed altre distorte come da un tremore colto alla mano di chi le aveva vergate. Le parole erano quelle dell’antica lingua delle amazzoni che qui per voi tradurrò in linguaggio corrente:

Mia cara sorella,

Scusami se ti appello a tale nonostante tutto il dolore che ti ho inflitto. Avrei davvero voluto essere lì di persona per poter implorare il tuo perdono ma non posso purtroppo, a causa delle mie precarie condizioni. Non sai quanto io mi penta e mi dolga di quello che hai passato con la me avvelenata dal Sangue di Orco. Non hai mai meritato il male che le Gwaith hanno saputo infliggere con i propri arcaicismi.

 Sono spaventata mia dolce sorella, tanto spaventata da me stessa. Non posso fuggire da quello che la mia mente era stata indotta e spesso ho paura delle mie stesse azioni. Prima era così semplice, non avevo rimorsi e non ricordavo nemmeno se ti colpivo con il mio bastone. Ora invece tutti i miei misfatti compaiono chiari e nitidi. Prego ogni giorno Artemis affinché mi dia un po’ della tua forza per combattere le fiamme che mi si scatenano dentro, come avrei voluto averti accanto anche se non sarebbe stato giusto per te. Tu meriti di stare lontana dall’orrore che hai vissuto, ingabbiata tra questi alberi in una vita non tua. È vero, tu manchi a questa Foresta, ma questo non è e non è mai stato il tuo posto. Possiamo cambiare le leggi, possiamo allearci con chiunque, non cambieremo però quello che siamo. Macchine di distruzione. Mi ricordo ancora quando imbracciasti per la prima volta la spada e ti rifiutasti di combattere con una ragazza più debole di te. Senza cibo né acqua venni rinchiusa per due giorni nelle prigioni, nessun’altra si sarebbe fermata vedendo la supremazia fisica come un’arma di attacco, ma tu sì sapendo bene a cosa andavi incontro.

Il tuo Principe è qui oggi e mi offre l’occasione di redimermi in un certo modo, anche se poche parole sconclusionate, scritte in un momento di lucidità, non potranno sostituire mai tutto quello che hai perso. Approfitto ora per dirti che alla notizia del tuo matrimonio il mio cuore ha sussultato dalla gioia, sono molto felice che tu ti sia ricongiunta con quello che doveva essere il tuo mondo da sempre. Sono altresì contenta che Raja abbia deciso di prendere il mio posto portando Ruin con sé. Hai sempre amato quella bambina, dovevano esserci come la madre e la sorella che non hai mai avuto.

Ti sarai sicuramente chiesta cosa significhi il ciondolo che ti ho consegnato, ebbene quello è un regalo per il tuo sposo da parte di nostra madre. Riporta il simbolo della tua vecchia casata e spero ti ricordi almeno l’amore che il popolo ha sempre nutrito per te come nostra madre. In te vedeva il futuro, ci amava anche se non lo dimostrava e sicuramente sarebbe stata felice di vederti accanto al Principe. Avrebbe benedetto la vostra unione come lo sto facendo io. Perdonami se interrompo bruscamente questo fiume di pensieri, avrei ancora altro da dirti, ma ora ho bisogno di riposo.

Spero solo un giorno di poterti riosservare, anche da lontano, con un bel sorriso a rischiarare la tua giornata.

Ti ho amata. Ti amerò sempre.

Tua sorella Callial.

 

Vi lascio ora a riflettere miei amici: Callial ha capito i suoi errori ed ha compreso quelli della madre chiedendo il perdono. La misericordia è un dono divino come divino è il dono dell’amore che sia esso di un compagno, di un famigliare, di un amico.  Seppur la nostalgia possa aver preso il vostro cuore, non dovete rattristarvi. Dì di gioia e di festa seguono la tempesta provocata dalle emozioni di un’Ombra divenuta solida luce, quindi rallegratevi già da adesso e bevete alla salute di due anime che convoleranno a giuste nozze. Perché è all’amore che dobbiamo il canto di Sarìin.

  

 

Note dell'autrice: Bonjour, postino prima di andare al lavoro. Salto nel tempo: per darvi un'idea siamo a circa due anni dopo (nel capitolo c'è il riferimento temporale) la proposta di Legolas. Sarebbe bbastato un anno di fidanzamento ma la sposina voleva una data precisa e quindi si sposerà il 23 settembre. Comunque vi ricordo che alla fine della storia pubblicherò un resoconto degl'anni con gli eventi più importanti anche antecedenti alla storia e collegati con iSdA in modo da capire lo svolgersi temporale della storia. Allur riuscito  l'effetto sorpresa? Non volevo farvi prendere troppi colpi quindi sono stata tenera, devo ammettere che dalla prima stesura si capiva proprio come se si fossero lasciati e Legolas se ne fosse andato per non vederla, questa invece era più morbida. Ho tentato insomma d'insunare il dubbio e basta, senza indizi troppo palesi. Ditemi voi se ho compiuto il mio intento ... ^^.

Questo capitolo è nato con lo scopo di parlare anche delle Gwaith: Legolas era andato a prendere Raja e Ruin come rappresentanza della famiglia di Tirinir e farle una sorpresa. Le Amazzoni sono ancora nella Foresta nascoste, i Variag ovviamente non conoscono l'ubicazione esatta del loro nascondiglio (mi sono dimenticata di dirvi che a differenza dei Signori del Khand - ricordate venivano bendati per portarli nelle terre delle amazzoni - Legolas è scappato ed ha visto la strada per questo le ha trovate) e quindi non potranno attaccarle tanto facilmente. Sorvegliano molto ampliamente la zona e quindi è difficile avvicinarsi a loro. Per darvi qualche notiziola in più stringeranno delle alleanze come ha detto Raja con alcune città della costa ed avranno quindi commerci con loro. Callial si sta riprendendo ma ha delle crisi di astinenza dovute al prolungato uso del veleno per anni. Con il tempo passeranno ma per ora è ancora molto lontana la vera e propria guarigione. La sua lettera doveva sembrare leggermente sconclusionata come se fosse confusa dai suoi stessi pensieri per questo passa da una frase all'altra un po' di fretta, cercando di sbrigarsi prima che la sua mente vacilli.

Visto che parliamo di Callial passo al matrimonio: il ciondolo che regala a Legolas come regalo della madre è un usanza Noldor, compare anche nel iSdA quando Galadriel regala ad Aragorn l'Elessar compiendo le veci della madre di Arwen (lei è la nonna). Un'altra usanza è quella che i due sposi si scambino 2 anelli d'argento durante un banchetto in cui ufficializzano il loro fidanzamento (da questo i due anelli che indossano i nostri dolci piccioncini). Comunque vi consiglio questo saggio molto competente sulle usanze degl'eldar da cui io ho preso le mie info. E' praticamente un resoconto su Leggi e costumi degli Eldar tratto dall'History of Middle Heart (dovrebbe essere il decimo libro se non mi sbaglio) una raccolta a cura di Christopher Tolkien di alcuni scritti del padre postumi e mai pubblicati (in italiano non sono editi quindi ci accontentiamo della versione in inglese). Comunque in questo sito ho trovato tanti saggi interessanti quindi ve lo consiglio vivamente indicizzandovi a quello a cui mi riferisco:

http://www.eldalie.com/saggi/UsiEldar.html

So che sono una rompina con questi link però mi piace rendervi partecipi della mia ricerca per costruire la storia (e poi sbaglio come è successo con i nomi sob =_='')

Passiamo alle recensioni:

Elfa: Nuuuuuu! Ho fatto di nuovo confusione con le virgole!!! Che pizza ora che sembravamo giunti ad un compromesso!!!Maledette traditrici! Non è colpa mia sono loro che mi tradiscono spuntando come funghi dopo la pioggia!!!Scherzi a parte!!! Vado subito a ricontrollare il capitolo cercando di mettere ancora più attenzione, mi dispiace che magari rovino un buon lavoro con questo genere di errori cretini sai quando si dice che una cosa non ti si vuole infilare in testa (pensa che ho ripreso i miei vecchi libri di grammatica per aiutarmi ma niente è più forte di me, ma tanto chi l'ha dura la vince sì sì!). Detto questo: grazieeeeee! Cioè il tuo sfogo iniziale incitando la gente a commentare mi ha commossa! Comunque posso dirti con certezza che tu e Thiliol siete delle grandi recensioniste molto attente e mi piace avere a che fare con persone che ti spingono a migliorare anche in una passione come questa. Sono strafelice che la mia storia abbia comunque attirato persone "competenti" e che non sia disprezzata come temevo. In fondo sapevo di rivolgermi a quello che può essere definito un pubblico difficile e molto attento, quindi anche il silenzio può essere una buon cosa. Ti ringrazio infinitamente per il tuo appoggio. E ti prego non tirarmi i pomodori per l'inizio del capitolo. Mi piace usare un po' di molesta suspence ^^.

Thiliol: Lo sapevo! Lo sapevo che Aurehen ti sarebbe piaciuta, evviva!!!^^ Bhè comunque da amante del buon vino non potevo tralasciare il dettaglio al caso, insomma il capitolo della guardia elfa che si ubriaca è stato uno dei miei preferiti nel Lo Hobbit (ghghgh!!!). Ok ammetto che mi sono ingarbugliata con i nomi < Mally sbatte la testa al muro per non averci capito un piffero > quindi ti chiedo un aiutino come al solito: rileggendo più attentamente l'articolo di Wikipedia (che docet ma io apprendo male) sarebbe più corretto - > Helluiniell = nome paterno (in wiki riporta l'esempio Gilgor Inglorion) Tirinir = nome materno (a quel punto diverrebbe come una sorta di riferimento ad Adamante visto che significa diamante e per loro erano le lacrime brillanti quindi ci potrebbe stare) ed Envinyatarë = epessë. Così dovrebbe essere giusto in teoria. Non so, mi rimetto al tuo giudizio e cambierò le info sull'altro capitolo. Grazie per la tua assistenza non so davvero come farei senza di te (tiè beccate sta sviolinata ^^) !!! Un bacione.

RINGRAZIO SEMPRE TUTTI COME MIO SOLITO!!!

Sempre vostrissima Mally!

   
 
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