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Autore: Nicolessa    22/07/2010    0 recensioni
Mi macava qualcosa, quel qualcosa che ogni giorno mi permetteva di respirare, quel qualcosa che mi faceva vivere giorno per giorno... e non c'era più. Cosa potevo fare? Non potevo non respirare, non potevo non vivere, dovevo trovare una soluzione e in fretta.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bastano 20 minuti

«Treno in arrivo sul secondo binario, allontanarsi dal secondo binario» annunciarono dagl’altoparlanti.

Andai incontro al treno sperando di poter diminuire  la durata del viaggio il più possibile anche se di poco, un portello si aprì proprio di fronte a me ed io, senza esitare un attimo, mi ci fiondai dentro. Occupai un’intera cabina sapendo che Sharon e Felix avrebbero voluto parlarmi, o meglio, analizzarmi.

Mi sedetti vicino al finestrino con lo scopo di osservare la meta avvicinarsi e la partenza allontanarsi secondo per secondo, loro invece si appollaiarono silenziosamente sul sedile guardandomi con compassione.

Non sapevo perché mi squadrassero in quel modo, infondo non era possibile che conoscessero il motivo di tanta frustrazione così, incuriosita da quelle occhiate, chiesi loro:

-         “ Perché mi fissate in quel modo? Ho qualcosa in faccia per caso?”

dissi ironicamente alzando lo sguardo su Felix come per fargli notare che avessi ripetuto di proposito le sue identiche parole solo con un falso tono interrogativo.

Mi scrutarono da cima a fondo a caccia di ogni mio minimo movimento per esaminarlo e, purtroppo per loro, senza ricavarne nulla: non battevo ciglio, non trovavo neanche un errore nella mia espressione, una svista che potesse tradirmi, niente.

Immediatamente mi meravigliai della mia sconosciuta dote di attrice che in quel momento mi aveva salvata.
Si voltarono l’uno verso l’altro e decisero che a parlare sarebbe stata Sharon.

Cosa speravano di fare? Gli sembravo per caso il loro paziente da visitare? Ero una malattia tutta da diagnosticare? Credevano di poter ottenere qualcosa dalla mia mente contorta?

I nervi cominciarono a farsi sentire, li ignorai e continuavo a contemplare fuori dal finestrino, dove tutto sembrava non avere limiti e nemmeno distanza.

    -   “ C’è una causa particolare a scatenare la tua rabbia oppure è semplicemente un giorno con la luna storta?” chiese cauta temendo ogni mia possibile reazione.

    -   “ Ho dormito male tutto qui, niente di particolare o preoccupante.  Tranquilli, non si ripeterà questa scenata a scuola se è questo che temete, non attirerò l’attenzione...”.

Quest’ ultima frase uscì dalla mia bocca quasi come un ringhio soffocato tra i denti, eccolo lì, il segno che aspettavano, la scintilla che avrebbe fatto scatenare un putiferio nel mio stomaco, un putiferio chiamato terrore.

Avrei risposto con aggressività lo sapevo, ci sarebbero rimasti malissimo e non mi andava giù.

Dovevo rimanere calma, afferrare le redini di quella assurda situazione e tirarle con forza verso di me, rallentare per poi fermarmi.

Volsero i loro occhi verso i piedi cercando una risposta nel silenzio che era calato tra di noi come un velo di           quasi trasparente ma robustissimo, quella che non comportasse alcun responso negativo, avevo capito: non volevano farmi agitare ancora di più, ormai era finita, avevano percepito un’ aria diversa, avrebbero fatto domande, avrebbero preteso delle risposte e la mia giornata si sarebbe conclusa ancora prima di cominciare… Non me la sentivo… Non era il momento adatto, non l’ultimo giorno di scuola e non in quel modo. Sviare il discorso era inutile, tacere era ancora peggio, l’unica mia speranza era mentire ma sapevo cosa avrebbe comportato in futuro quel sacco di bugie che ero pronta a svuotargli addosso: dolore. Solo più dolore del solito, più di tutte quelle lacrime previste, più di ogni addio che avrei dovuto patire quel giorno.

Perchè avrei dovuto provocare tutto questo solo per qualche giorno di vantaggio in più? Non aveva senso!

Ero combattuta tra me stessa: dire la verità in quel momento e sperare in una comprensione compassionevole oppure aspettare e scatenare più dolore? Non avevo molto tempo, dovevo pensare in fretta.

-   “ Non volevo dire… “ mi fermai per sospirare, respirai profondamente e ripresi. Non era poi così tremendo dopotutto, sentivo ancora la Terra sotto i piedi.

-   “ Non so. Sul serio ragazzi, non so neanche io quello che volevo dire solo che oggi sono facilmente irascibile… scusatemi” dissi pronunciando le mie scuse con la testa bassa.

-   “ Non devi preoccuparti, abbiamo capito. È come se avessi affitto sulla fronte «Allontanarsi, pericolo di esplosione» aggiunse Felix allegramente come se non fosse successo nulla.

Mi sentii sollevata, avevo i miei amici dalla mia parte in qualche modo, non mi avrebbero disturbata quel giorno, ormai gli era chiaro: sarebbe stato meglio per chiunque non avvicinarsi a me quella mattina.

Mi conoscevano fin troppo bene, più di quanto io conoscessi me stessa. Da un certo punto di vista questo era inquietante ma anch’io conoscevo loro e sapevo che non mi avrebbero perdonata. No, non avrebbero perdonato qualcuno che gli avesse mentito per più di due mesi. Forse avrei potuto  avere qualche speranza se gli avessi detto che i miei mi stavano minacciando ma purtroppo per me, conoscevano anche loro, non avrebbero mai fatto una cosa del genere, una bassezza di quel livello. No, non avrebbero mai potuto.

L’unica soluzione: dirgli tutto dalla A alla Z e senza bugie, in quell’istante: niente lacrime, niente rimpianti, niente suppliche, il più totale niente.

Avevo già riferito loro che stavo bene, sganciare una bomba del genere mi sembrava incoerente, andava contro il mio essere ma dopotutto gli avevo già mentito…

Questo invece non era contro il mio io? Mi era del tutto normale mentire? Quel talento di attrice cominciava a spaventarmi. Sarebbe diventato normale per me recitare la mia vita invece di viverla come solitamente si dovrebbe? Il mio oscuro e misterioso destino sarebbe diventato solo un mucchio di pagine con delle battute da seguire alla lettera?

-   “ Capita anche a me qualche volta” proferì Sharon

-   “ In realtà capita a tutti ma c’è chi lo nasconde meglio rispetto agli altri” concluse velocemente come per correggersi.

-   “ Si lo so, ma io non so recitare, non posso tenermi dentro quello che sento”.

No, non ci credo… sto mentendo… ancora! Sono capace eccome! Devo fermarmi, basta! Basta, basta, basta!! Tappati quella dannata bocca, non devi più parlare!

Usai l’imperativo su me stessa, dovevo tacere ad ogni costo.

Con sorpresa mi accorsi che la mia mano si era affiancata alla mia bocca impedendo alla voce di uscire inutilmente dalla mia gola che in quel momento sembrava stesse bramando contro di me.

Il gesto fu veloce, il palmo premette contro le labbra con forza.

Preoccupati, azzardarono uno scatto verso di me in preda al panico.

-   “ Stai bene? Devi vomitare?” chiese ansiosa Sharon

-   “ Hai la febbre? Hai mangiato niente di strano a colazione?” continuò Felix come per completare la frase precedente

-   “ Hai visto la data di scadenza dei biscotti? Oppure hai controllato la pressione sanguigna?” domandò la testina bionda guardandosi intorno e posando la  mano tremolante sulla mia fronte.

Non capivo più niente, mi avevano fatto agitare e non ero a conoscenza dell’esatto motivo, poi infine ci arrivai e all’improvviso risposi interrompendoli:

-   “ No no, fermi sto bene, sto benissimo, ho solo… il singhiozz…”

non mi fece finire di parlare, ritrovai il mio corpo a stretto contatto con quello di Felix, mi guardai tra le sue possenti e atletiche braccia come quando lo sposo prende in braccio la sposa prima di entrare per la prima volta nella casa in cui avrebbero passato tutta la loro vita .

Trasalii alla visione di quella scena che vagava nella mia mente, cercai di guardarmi intorno ma improvvisamente percepii una fitta allo stomaco o forse un po’ più in su e lasciai cadere la testa sul suo petto.

Era sicuro: non capivo più nulla.

Mi vide mentre mi accasciavo e decise di intervenire:

-   “ Chiama Antony, avvisalo che la porto in ospedale poi cerca Axel, avvertilo, rimani con lui e andate a scuola, vi chiamo io più tardi”

sentii la sua voce rimbombare nell’orecchio posato all’altezza del suo cuore.

-   “ Ok” rispose velocemente, incamminandosi alla ricerca di mio fratello.

-   “Tranquilla, alla prima fermata scendiamo e ti porto in ospedale, con qualsiasi mezzo” mi riferì togliendomi i capelli dal viso.

Mi contemplava preoccupato, era impaziente, voleva portarmi in ospedale il più presto possibile ma il treno non si fermava.

Lo conoscevo, in quel momento stava seriamente pensando di saltare fuori dal finestrino ma sapeva benissimo che ci avrebbe ammazzati tutti e due così, iniziò a borbottare tra sé e sé alzando gli occhi al cielo.

«Bip Bip» squillò il suo cellulare.

Lo estrasse dalla tasca destra e lesse il messaggio: era Sharon.

«Ho avvertito Antony, gli ho spiegato tutto e quando ho detto che era con te credo che si sia tranquillizzato almeno un po’, ho trovato Axel e dice che vedendomi così ho bisogno di lui più io che lei.

Ti raggiungo dopo la scuola. Lascio il cellulare acceso, chiamami se ci sono novità» concluse.

Fel finì di leggere e ripose l’oggetto in tasca tenendomi stretta con un braccio solo: quanta forza aveva.

Il treno finalmente si fermò e prima che aprissero tutti i portelloni, mi sussurrò all’orecchio:

-   “ Scusami in anticipo Ell, so che non ami essere al centro del palcoscenico ma lo faccio per te”.

Lo fissavo dritto nei suoi occhini verdi smeraldo. Volevo fermarlo, picchiarlo e ringraziarlo tutto contemporaneamente ma la mia gola emetteva solo grugniti, niente di più e niente di meno.

Si aprirono i portelloni e si scagliò verso l’uscita e chiamò con la mano un taxi.

Chiusi le palpebre e riaprendole vidi me e Felix nel veicolo. La mia testa era poggiata sulle sua gambe e lui era chino su di me sussurrandomi parole incoraggianti:

-   “ Dai, sei solo un po’ pallidoccia, hai le labbra secche, le mani congelate, le ginocchia tremolanti e poi… da quando hai anche le occhiaie?!?”.

Ogni parola che pronunciava era carica di tensione, stavo male ma non riuscivo a ricordare l’inizio di tutto, da quale esatto momento ho iniziato a non avere neanche la forza di alzare la testa?

Non mi accorsi di niente, ero in quelle condizioni e non ne sapevo nulla. Cercai di tirarlo un po’ su parlandogli:

-   “ Grazie mille Fel, mi hai descritta peggio di una zombie. Tu sì che sai fare bei bellissimi complimenti alle donne”.

Emisi un lamento non previsto che rovinò la mia battuta me mi riscattai ostentando un sorrisetto.

-   “ Beh mi conosci, la sincerità prima di tutto” sogghignò.

-   “ Si… si vero, sei proprio così”.

Alzò lo sguardo verso l’autista e chiese provocandolo:

-   “ Potrebbe andare più veloce? Sa com’ è, vorrei arrivare prima di quella tartaruga laggiù”.

Gli diedi un colpetto sulla gamba come per rimproverarlo ma, viste le mie forze, non ero convinta che lo avesse percepito: ma che diavolo di situazione!

-   “ Siamo arrivati Mr Simpatia” sputò il signore basso e pelato.

-   “ Grazie al cielo! Le lascio i soldi qui dietro e tenga la mancia anche se non la merita!” esclamò seccato.

Non aspettò neanche una sua risposta, mi riprese tra le braccia e incominciò a correre verso l’entrata del tanto atteso ospedale.

Decise di non aspettare l’ascensore e così arrivammo al pronto soccorso in un attimo. Si guardava intorno esasperato, non sapeva cosa fare, con chi parlare, a chi chiedere cosa poteva fare o con chi parlare.

Era vicino all’esaurimento nervoso.

-   “ Domanda a quell’infermiera laggiù” suggerii tentando di aiutarlo.

-   “ Scusi, dove posso portarla?”

-   “ La può posare sulla barella, faremo tutto noi. Lei deve solo compilare questi moduli” gli disse porgendogli dei fogli di carta.

Mi posò sul lettino, mi stampò un bacio sulla fronte e prese i fogli in mano sforzandosi di capire quello che ci fosse scritto sopra. Anche lui era agitato come me anzi, forse anche di più.

-   “ Lei è un parente?” chiese mentre poneva una mascherina sulla mia bocca.

-   “ No, ehm… si, diciamo si e no, no no, credo di no” balbettò incerto.

-   “ Ok si calmi ora, chiami un parente e si accomodi in sala d’attesa, prende un caffé o una camomilla e si rilassi, non vorrà far preoccupare ancora di più la fidanzata vero?” disse rivolgendosi a Felix come se fosse un bambino.

Aspetta un momento… NO! Fidanzata? Io? Con lui? No! C’è un errore! Che casino! No, non posso agitarmi ancora, non importa, che pensi ciò che vuole!

-   “ Si, ha perfettamente ragione, vado subito” la accontentò.

-   “ Io sono qui se ti servo ok? Lancia un urlo e sarò lì da te in un attimo, anche di meno se sarò veloce. Promesso”.

-   “ Ok” risposi con un sorriso compiaciuto.

Mi portarono via, Felix sparì dietro una porta di vetro ed io pensavo a tutto, come 20 minuti fa fossi ancora nel treno a pensare al mio futuro, alla catastrofe, a come i miei amici tenessero a me e, francamente, pensai anche a come sarebbe stato essere davvero la sua fidanzata.

Trasalii… sarebbe esattamente la stessa cosa. Mi avrebbe portata all’ospedale nello stesso modo, l’unico dettaglio che sarebbe cambiato era il bacio sulla fronte che si sarebbe spostato solo di qualche centimetro più in giù.

Arrossii ma anche in quel modo ero pallida. Non dovevo pensarci, anche se ero stupita dal fatto che fosse ancora single nonostante il suo carattere dolcissimo e affettuoso, il suo fisico degno di una statua di marmo perfetta e indistruttibile, la sua voce che risuonava come la canzone più soave del mondo… Smettila! Mi rimproverai. È così punto e a capo, non sono affari miei!

Per svagarmi osservavo tutti i dottori che passavano da una stanza all’altra.

Trasportavano siringhe, bende, flebo, cerotti, garze e tutto l’arsenale; ogni volta che vedevo qualcuno speravo con tutto il cuore che non stesse per avvicinarsi a me con qualche strana macchina che emetteva rumori altrettanto strani.

Dove diavolo mi trovo? Che ci faccio io qui?

Continuavo a respirare ossigeno puro e finalmente un’infermiera mi trasportò in una stanza, puntò la luce sul mio volto, estrasse la siringa dalla tasca dal camice e la conficcò nel mio braccio.

Vidi tutto a puntini colorati, il viso della donna si contorceva come un quadro astratto e perdevo sensibilità alle dita poi, il buio.

No dai non si può lasciare una ragazza in questa condizioni! giuro di farvi avere sue notizie al più presto =) lasciate recensioni grazie mille! =)

  
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