«Treno in arrivo sul secondo
binario, allontanarsi dal secondo binario» annunciarono dagl’altoparlanti.
Andai incontro al treno sperando
di poter diminuire la durata del viaggio
il più possibile anche se di poco, un portello si aprì proprio di fronte a me
ed io, senza esitare un attimo, mi ci fiondai dentro. Occupai un’intera cabina
sapendo che Sharon e Felix avrebbero voluto parlarmi, o meglio, analizzarmi.
Mi sedetti vicino al
finestrino con lo scopo di osservare la meta avvicinarsi e la partenza
allontanarsi secondo per secondo, loro invece si appollaiarono silenziosamente
sul sedile guardandomi con compassione.
Non sapevo perché mi
squadrassero in quel modo, infondo non era possibile che conoscessero il motivo
di tanta frustrazione così, incuriosita da quelle occhiate, chiesi loro:
-
“ Perché mi
fissate in quel modo? Ho qualcosa in faccia per caso?”
dissi ironicamente alzando lo
sguardo su Felix come per fargli notare che avessi ripetuto di proposito le sue
identiche parole solo con un falso tono interrogativo.
Mi scrutarono da cima a fondo
a caccia di ogni mio minimo movimento per esaminarlo e, purtroppo per loro,
senza ricavarne nulla: non battevo ciglio, non trovavo neanche un errore nella
mia espressione, una svista che potesse tradirmi, niente.
Immediatamente mi meravigliai
della mia sconosciuta dote di attrice che in quel momento mi aveva salvata.
Si voltarono l’uno verso l’altro e decisero che a parlare sarebbe stata Sharon.
Cosa speravano di fare? Gli
sembravo per caso il loro paziente da visitare? Ero una malattia tutta da
diagnosticare? Credevano di poter ottenere qualcosa dalla mia mente contorta?
I nervi cominciarono a farsi
sentire, li ignorai e continuavo a contemplare fuori dal finestrino, dove tutto
sembrava non avere limiti e nemmeno distanza.
- “
C’è una causa particolare a scatenare la tua rabbia oppure è semplicemente un
giorno con la luna storta?” chiese cauta temendo ogni mia possibile reazione.
- “
Ho dormito male tutto qui, niente di particolare o preoccupante. Tranquilli, non si ripeterà questa scenata a
scuola se è questo che temete, non attirerò l’attenzione...”.
Quest’
ultima frase uscì dalla mia bocca quasi come un ringhio soffocato tra i denti,
eccolo lì, il segno che aspettavano, la scintilla che avrebbe fatto scatenare
un putiferio nel mio stomaco, un putiferio chiamato terrore.
Avrei
risposto con aggressività lo sapevo, ci sarebbero rimasti malissimo e non mi
andava giù.
Dovevo
rimanere calma, afferrare le redini di quella assurda situazione e tirarle con
forza verso di me, rallentare per poi fermarmi.
Volsero
i loro occhi verso i piedi cercando una risposta nel silenzio che era calato
tra di noi come un velo di
quasi trasparente ma robustissimo, quella che non comportasse alcun
responso negativo, avevo capito: non volevano farmi agitare ancora di più,
ormai era finita, avevano percepito un’ aria diversa, avrebbero fatto domande,
avrebbero preteso delle risposte e la mia giornata si sarebbe conclusa ancora
prima di cominciare… Non me la sentivo… Non era il momento adatto, non l’ultimo
giorno di scuola e non in quel modo. Sviare il discorso era inutile, tacere era
ancora peggio, l’unica mia speranza era mentire ma sapevo cosa avrebbe
comportato in futuro quel sacco di bugie che ero pronta a svuotargli addosso:
dolore. Solo più dolore del solito, più di tutte quelle lacrime previste, più
di ogni addio che avrei dovuto patire quel giorno.
Perchè
avrei dovuto provocare tutto questo solo per qualche giorno di vantaggio in più?
Non aveva senso!
Ero
combattuta tra me stessa: dire la verità in quel momento e sperare in una
comprensione compassionevole oppure aspettare e scatenare più dolore? Non avevo
molto tempo, dovevo pensare in fretta.
-
“ Non volevo
dire… “ mi fermai per sospirare, respirai profondamente e ripresi. Non era poi
così tremendo dopotutto, sentivo ancora
-
“ Non so. Sul
serio ragazzi, non so neanche io quello che volevo dire solo che oggi sono
facilmente irascibile… scusatemi” dissi pronunciando le mie scuse con la testa
bassa.
-
“ Non devi
preoccuparti, abbiamo capito. È come se avessi affitto sulla fronte «Allontanarsi,
pericolo di esplosione» aggiunse Felix allegramente come se non fosse successo
nulla.
Mi
sentii sollevata, avevo i miei amici dalla mia parte in qualche modo, non mi
avrebbero disturbata quel giorno, ormai gli era chiaro: sarebbe stato meglio
per chiunque non avvicinarsi a me quella mattina.
Mi
conoscevano fin troppo bene, più di quanto io conoscessi me stessa. Da un certo
punto di vista questo era inquietante ma anch’io conoscevo loro e sapevo che
non mi avrebbero perdonata. No, non avrebbero perdonato qualcuno che gli avesse
mentito per più di due mesi. Forse avrei potuto
avere qualche speranza se gli avessi detto che i miei mi stavano
minacciando ma purtroppo per me, conoscevano anche loro, non avrebbero mai
fatto una cosa del genere, una bassezza di quel livello. No, non avrebbero mai
potuto.
L’unica
soluzione: dirgli tutto dalla A alla Z e senza bugie, in quell’istante: niente
lacrime, niente rimpianti, niente suppliche, il più totale niente.
Avevo
già riferito loro che stavo bene, sganciare una bomba del genere mi sembrava
incoerente, andava contro il mio essere ma dopotutto gli avevo già mentito…
Questo
invece non era contro il mio io? Mi era del tutto normale mentire? Quel talento
di attrice cominciava a spaventarmi. Sarebbe diventato normale per me recitare
la mia vita invece di viverla come solitamente si dovrebbe? Il mio oscuro e
misterioso destino sarebbe diventato solo un mucchio di pagine con delle
battute da seguire alla lettera?
-
“ Capita anche a
me qualche volta” proferì Sharon
-
“ In realtà
capita a tutti ma c’è chi lo nasconde meglio rispetto agli altri” concluse
velocemente come per correggersi.
-
“ Si lo so, ma io
non so recitare, non posso tenermi dentro quello che sento”.
No, non ci credo… sto mentendo… ancora!
Sono capace eccome! Devo fermarmi, basta! Basta, basta, basta!! Tappati quella
dannata bocca, non devi più parlare!
Usai
l’imperativo su me stessa, dovevo tacere ad ogni costo.
Con
sorpresa mi accorsi che la mia mano si era affiancata alla mia bocca impedendo
alla voce di uscire inutilmente dalla mia gola che in quel momento sembrava
stesse bramando contro di me.
Il
gesto fu veloce, il palmo premette contro le labbra con forza.
Preoccupati,
azzardarono uno scatto verso di me in preda al panico.
-
“ Stai bene? Devi
vomitare?” chiese ansiosa Sharon
-
“ Hai la febbre?
Hai mangiato niente di strano a colazione?” continuò Felix come per completare
la frase precedente
-
“ Hai visto la
data di scadenza dei biscotti? Oppure hai controllato la pressione sanguigna?”
domandò la testina bionda guardandosi intorno e posando la mano tremolante sulla mia fronte.
Non
capivo più niente, mi avevano fatto agitare e non ero a conoscenza dell’esatto
motivo, poi infine ci arrivai e all’improvviso risposi interrompendoli:
-
“ No no, fermi
sto bene, sto benissimo, ho solo… il singhiozz…”
non
mi fece finire di parlare, ritrovai il mio corpo a stretto contatto con quello
di Felix, mi guardai tra le sue possenti e atletiche braccia come quando lo
sposo prende in braccio la sposa prima di entrare per la prima volta nella casa
in cui avrebbero passato tutta la loro vita .
Trasalii
alla visione di quella scena che vagava nella mia mente, cercai di guardarmi
intorno ma improvvisamente percepii una fitta allo stomaco o forse un po’ più
in su e lasciai cadere la testa sul suo petto.
Era
sicuro: non capivo più nulla.
Mi
vide mentre mi accasciavo e decise di intervenire:
-
“ Chiama Antony,
avvisalo che la porto in ospedale poi cerca Axel, avvertilo, rimani con lui e
andate a scuola, vi chiamo io più tardi”
sentii
la sua voce rimbombare nell’orecchio posato all’altezza del suo cuore.
-
“ Ok” rispose
velocemente, incamminandosi alla ricerca di mio fratello.
-
“Tranquilla, alla
prima fermata scendiamo e ti porto in ospedale, con qualsiasi mezzo” mi riferì
togliendomi i capelli dal viso.
Mi
contemplava preoccupato, era impaziente, voleva portarmi in ospedale il più
presto possibile ma il treno non si fermava.
Lo
conoscevo, in quel momento stava seriamente pensando di saltare fuori dal
finestrino ma sapeva benissimo che ci avrebbe ammazzati tutti e due così,
iniziò a borbottare tra sé e sé alzando gli occhi al cielo.
«Bip
Bip» squillò il suo cellulare.
Lo
estrasse dalla tasca destra e lesse il messaggio: era Sharon.
«Ho
avvertito Antony, gli ho spiegato tutto e quando ho detto che era con te credo
che si sia tranquillizzato almeno un po’, ho trovato Axel e dice che vedendomi
così ho bisogno di lui più io che lei.
Ti
raggiungo dopo la scuola. Lascio il cellulare acceso, chiamami se ci sono
novità» concluse.
Fel
finì di leggere e ripose l’oggetto in tasca tenendomi stretta con un braccio
solo: quanta forza aveva.
Il
treno finalmente si fermò e prima che aprissero tutti i portelloni, mi sussurrò
all’orecchio:
-
“ Scusami in
anticipo Ell, so che non ami essere al centro del palcoscenico ma lo faccio per
te”.
Lo
fissavo dritto nei suoi occhini verdi smeraldo. Volevo fermarlo, picchiarlo e
ringraziarlo tutto contemporaneamente ma la mia gola emetteva solo grugniti,
niente di più e niente di meno.
Si
aprirono i portelloni e si scagliò verso l’uscita e chiamò con la mano un taxi.
Chiusi
le palpebre e riaprendole vidi me e Felix nel veicolo. La mia testa era
poggiata sulle sua gambe e lui era chino su di me sussurrandomi parole
incoraggianti:
-
“ Dai, sei solo
un po’ pallidoccia, hai le labbra secche, le mani congelate, le ginocchia
tremolanti e poi… da quando hai anche le occhiaie?!?”.
Ogni
parola che pronunciava era carica di tensione, stavo male ma non riuscivo a
ricordare l’inizio di tutto, da quale esatto momento ho iniziato a non avere
neanche la forza di alzare la testa?
Non
mi accorsi di niente, ero in quelle condizioni e non ne sapevo nulla. Cercai di
tirarlo un po’ su parlandogli:
-
“ Grazie mille
Fel, mi hai descritta peggio di una zombie. Tu sì che sai fare bei bellissimi
complimenti alle donne”.
Emisi
un lamento non previsto che rovinò la mia battuta me mi riscattai ostentando un
sorrisetto.
-
“ Beh mi conosci,
la sincerità prima di tutto” sogghignò.
-
“ Si… si vero,
sei proprio così”.
Alzò
lo sguardo verso l’autista e chiese provocandolo:
-
“ Potrebbe andare
più veloce? Sa com’ è, vorrei arrivare prima di quella tartaruga laggiù”.
Gli
diedi un colpetto sulla gamba come per rimproverarlo ma, viste le mie forze,
non ero convinta che lo avesse percepito: ma
che diavolo di situazione!
-
“ Siamo arrivati
Mr Simpatia” sputò il signore basso e pelato.
-
“ Grazie al
cielo! Le lascio i soldi qui dietro e tenga la mancia anche se non la merita!”
esclamò seccato.
Non
aspettò neanche una sua risposta, mi riprese tra le braccia e incominciò a
correre verso l’entrata del tanto atteso ospedale.
Decise
di non aspettare l’ascensore e così arrivammo al pronto soccorso in un attimo.
Si guardava intorno esasperato, non sapeva cosa fare, con chi parlare, a chi
chiedere cosa poteva fare o con chi parlare.
Era
vicino all’esaurimento nervoso.
-
“ Domanda a
quell’infermiera laggiù” suggerii tentando di aiutarlo.
-
“ Scusi, dove
posso portarla?”
-
“ La può posare
sulla barella, faremo tutto noi. Lei deve solo compilare questi moduli” gli
disse porgendogli dei fogli di carta.
Mi
posò sul lettino, mi stampò un bacio sulla fronte e prese i fogli in mano
sforzandosi di capire quello che ci fosse scritto sopra. Anche lui era agitato
come me anzi, forse anche di più.
-
“ Lei è un
parente?” chiese mentre poneva una mascherina sulla mia bocca.
-
“ No, ehm… si,
diciamo si e no, no no, credo di no” balbettò incerto.
-
“ Ok si calmi
ora, chiami un parente e si accomodi in sala d’attesa, prende un caffé o una
camomilla e si rilassi, non vorrà far preoccupare ancora di più la fidanzata
vero?” disse rivolgendosi a Felix come se fosse un bambino.
Aspetta un momento… NO! Fidanzata? Io?
Con lui? No! C’è un errore! Che casino! No, non posso agitarmi ancora, non
importa, che pensi ciò che vuole!
-
“ Si, ha
perfettamente ragione, vado subito” la accontentò.
-
“ Io sono qui se
ti servo ok? Lancia un urlo e sarò lì da te in un attimo, anche di meno se sarò
veloce. Promesso”.
-
“ Ok” risposi con
un sorriso compiaciuto.
Mi
portarono via, Felix sparì dietro una porta di vetro ed io pensavo a tutto,
come 20 minuti fa fossi ancora nel treno a pensare al mio futuro, alla
catastrofe, a come i miei amici tenessero a me e, francamente, pensai anche a
come sarebbe stato essere davvero la sua fidanzata.
Trasalii…
sarebbe esattamente la stessa cosa. Mi avrebbe portata all’ospedale nello
stesso modo, l’unico dettaglio che sarebbe cambiato era il bacio sulla fronte
che si sarebbe spostato solo di qualche centimetro più in giù.
Arrossii
ma anche in quel modo ero pallida. Non dovevo pensarci, anche se ero stupita
dal fatto che fosse ancora single nonostante il suo carattere dolcissimo e
affettuoso, il suo fisico degno di una statua di marmo perfetta e
indistruttibile, la sua voce che risuonava come la canzone più soave del mondo…
Smettila! Mi rimproverai. È così punto e a capo, non sono affari miei!
Per
svagarmi osservavo tutti i dottori che passavano da una stanza all’altra.
Trasportavano
siringhe, bende, flebo, cerotti, garze e tutto l’arsenale; ogni volta che
vedevo qualcuno speravo con tutto il cuore che non stesse per avvicinarsi a me
con qualche strana macchina che emetteva rumori altrettanto strani.
Dove
diavolo mi trovo? Che ci faccio io qui?
Continuavo
a respirare ossigeno puro e finalmente un’infermiera mi trasportò in una
stanza, puntò la luce sul mio volto, estrasse la siringa dalla tasca dal camice
e la conficcò nel mio braccio.
Vidi tutto a puntini colorati, il viso della donna si contorceva come un quadro astratto e perdevo sensibilità alle dita poi, il buio.
No dai non si può lasciare una ragazza in questa condizioni! giuro di farvi avere sue notizie al più presto =) lasciate recensioni grazie mille! =)