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Autore: Flaminio Bardi    22/07/2010    1 recensioni
Abelardo, druido esiliato dopo aver condotto una caccia alle streghe contro i capi-fazione delle altre città, è tornato sedici anni dopo a capo delle truppe di Loki e dopo aver sottomesso i mondi sotterranei cerca ci conquistare Midgardr per scatenare il Ragnarock. Le truppe della Sacra Loggia, riunite dai druidi per combattere la crescente minaccia e difendere i monoliti ove Odino scolpì la Legge che governa i nove mondi della mitologia nordica, si devono misurare coi giganti di Muspell, gli elfi di Alfheimr e le loro forze si rivelano sin da subito troppo esigue.
Genere: Avventura, Dark, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Prologo

Nella notte illuminata a tratti dall’energico respiro del cielo che si traduce in fulmini e saette, sotto la pioggia sferzante di un inverno ormai giunto al termine, se ne stava un uomo arreso a forze più grandi di lui. La tempe-sta narrava nel vento le ultime ore di un tempo memorabile. Il sangue tingeva la terra con cui il cielo violento se la prendeva, la pioggia turbinava sul promontorio dalle tessere rosse che per l’ultima volta avrebbero ospitato della pace il garante che Odino aveva designato. Sul piazzale di Decordis tra i marmi che pavimentavano il promontorio sorretto da scarlatte piastrelle, quell’uomo si era abbandonato al più efferato delitto contemplato dalle leggi di Odino. Abelardo, padrone dei venti e ormai non più loro signore, aveva immerso la sua spada nel petto del fratello. Il sangue colava caldo e fumante sui marmi, mentre lui in ginocchio aveva tra le braccia la donna che entrambi avevano amato e a cui aveva rinunciato per servire Odino come suo druido. I tuoni portavano la voce di colui che gli aveva donato il potere e che glielo aveva tolto gettando nella polvere gli stessi venti soldati Aesir che gli aveva mandato. Abelardo mugugnava mordendosi le labbra mentre i ricci capelli fradici lasciavano scorrere delle lacrime di pioggia donategli dalla natura che al momento della creazione l’aveva privato di emozioni. Nella notte udiva lontano le voci di quel popolo che aveva tentato di tutelare, chiuso nell’ignorante bambagia delle proprie case, sordo all’ultimo urlo di quella giovane donna frappostasi tra i due fratelli nel suo ultimo gesto d’amore. La disperazione attanagliava il cuore di colui che aveva cercato di imporre la pace e di eliminare ogni fazione, pericolo o sofferenza. Ora sapeva che il bene è l’anticamera del male. Ad un tratto una sagoma avvolta in un purpureo mantello, salita dal promontorio alle sue spalle, dopo aver ansimato più volte a tale vista, sussurrò mostrandogli la bambina che aveva tra le braccia:
"Non rimane più niente, neanche il ricordo, di coloro che guidarono in guerra questi popoli e la loro stirpe si sacrifica a te in questa bambina."
Abelardo si alzò con tra le mani la spada donatagli da Odino per condurre i suoi popoli, la sua lama era divenuta nera come l’anima del suo portatore. L’alzò abbattendola in direzione della bambina tra le braccia del guerriero, ma questi sentendo la vita muoversi tra le sue mani si parò di lato costringendo Abelardo a colpire lui. L’uomo cadde a terra in ginocchio gettando un urlo agghiacciante, dal suo occhio sinistro copioso usciva il liquido scarlatto che cadeva sulla bimba gemente. Abelardo ringhiò violento, ma ritrasse subito la spada che stava per trafiggere l’uomo e la conficco tra i marmi.
"Magari un giorno gli dei avranno la loro vendetta." Sentenziò cupo con una voce tremante.
Prese dalle braccia di lui l’infante e disse:
"Seguirò la strada preparatami da Loki."
E come se avesse pronunziato una formula alchemica, le ombre si addensarono chiudendosi come le dita di una mano e ricadendo subito dopo come pesanti veli di seta: apparve Eir .
La dea vestita di nero cacciò dal mantello uno scudo dorato e lo donò ad Abelardo dicendo:
"Ottima scelta, anche se un po’ costretta dato che non puoi dire “no” a Loki, a meno che tu non sia masochista. Portagli questo con tanti saluti da parte mia." Aggiunse lei porgendogli uno scudo con un sorriso che sapeva di sfrontatezza.
"Cosa devo farci?" Chiese il più pratico Abeardo.
Lei lo guardò con pietà e rispose:
"Se Skuld, la valchiria, non lo riavrà prima del Ragnarock, Odino sarà privato della sua armatura."
Eir fu però interrotta da uno slancio di devota passione del guerriero apparso poco prima di lei a quegli ideali che aveva servito, l’uomo che fino ad allora era rimasto a terra dolente per la ferita infertagli da Abelardo, sguainò la spada e la puntò con grave sforzo verso il traditore. Eir si voltò verso di lui e rise di gusto per quella futile minaccia, gli si avvicinò senza che l’uomo si muovesse e toccatagli la fronte con un dito questi cadde come paralizzato. La dea risollevò lo sguardo ad Abelardo e questi con fare sdegnato la superò strattonandola con la spalla, poi chinatosi sull’uomo in armatura a terra sussurrò:
"Voglio che tu salvi la vita al figlio della donna che amavo, portalo altrove e che non veda mai questi luoghi." Poi si alzò ed uscì di scena.

 

Chiedo scusa se in precendenza, quando ho pubblicato questa storia, i dialoghi non venivano visualizzati. Spero di non commettere questi errori in seguito, ma sono alle prime armi con EFP.

Grazie per l'attenzione.

 

Flaminio Bardi.

 

 

  
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