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Autore: SissiCuddles    22/07/2010    2 recensioni
Ho ufficialmente deciso di autocondannarmi a morte. Ebbene sì, questa è la terza fanfiction che scrivo in questo periodo. Questa fanfic però è diversa dalle altre. La sto scrivendo con più calma e tranquillità. Spero vi possa piacere. Vi avviso di nuovo: non è una delle mie classiche fanfiction a mio parere. Ridico che contiene spoiler riguardanti il prossimo finale di stragione. Io ve l'ho detto due volte ora tocca a voi. Ah, dimentivavo: il titolo è "The Bitter End" in quanto la fine sarà amara, ciò significa, niente lieto fine.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Greg House, Lisa Cuddy
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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The Bitter End

Capitolo 4: Help Me Parte II

Luogo del crollo. Ore 22:00
Cuddy e House rimasero a fissare i soccorsi per quasi un’ora, in completo silenzio. Nessun rumore si era sentito da sotto le macerie, nemmeno quel frastuono di metallo contro metallo, che prima aveva svegliato loro due da quei pensieri.

“Qui sotto non c’è nessuno, mi dispiace.”
“Non siamo idioti, abbiamo sentito dei rumori”
“Mi dispiace ma qui…”

Tam Tam Tam.

“Ci credete degli idioti?”

La squadra di soccorso cominciò a scavare le macerie sotto gli occhi attenti di House. Poco dopo quando un piccolo varco era stato aperto, lui si girò verso Cuddy.

“Lì sotto tu non ci vai. Torna ad aiutare dall’altra parte dell’edificio”
“No.”
“Cuddy, non voglio discutere”
“Nessuno dei due metterà piede lì sotto. Lasciamo che i soccorsi facciano la loro parte, poi potremo curare chiunque si trovi là sotto.”

House annuì leggermente e tornò ad osservare i soccorritori. Tutto d’un tratto un urlo straziante coprì ogni rumore circostante. In gruppo i soccorritori cominciarono a radunarsi verso la donna che giaceva sotto le macerie. Cuddy corse verso la donna mentre House dietro di lei camminava il più velocemente possibile. Osservò la donna man mano che si avvicinava. La parte superiore del suo corpo era libera dalle macerie, ma le sue gambe erano bloccate sotto un enorme blocco di cemento.

“Fermi, non tentate nemmeno di levarla da lì.”
“Che diavolo dice? Dottoressa Cuddy, dobbiamo tirarla fuori da lì”
“No… La pressione del cemento sulla gamba blocca la circolazione. Estrarla dalle macerie potrebbe portare a scompensi che ne causerebbero la morte. O riuscite a diminuire gradualmente la massa sovrastante o dovremo amputare.”

Cuddy si girò verso House. Lo sguardo del diagnosta seguiva il movimento del peto della paziente sdraiata al suolo. Fece allontanare i soccorritori e si sedette in parte a lei.

“Come ti chiami?”
“Hannah”
“Sai dove ti trovi?”
“Morirò?”
“Rispondi alla mia domanda sai dove sei?”
“Credo di sì…”
“Dimmelo…”
“Trenton…”
“Quanti anni gai?”
“38”

House osservò Cuddy mentre esaminava la paziente. Tremava leggermente ed era pallida in volto, chiuse gli occhi quando una fitta la costrinse a portarsi una mano al capo.

“Cuddy, ti senti bene?”
“Ho un po’ d’influenza, niente di che”
“Alzati e seguimi”
“Dobbiamo finire con la paziente!”
“Non possiamo fare nient’altro finchè la squadra non toglie il cemento dalla sua gamba…”

House camminò verso l’ambulanza che li aveva raggiunti in quel punto dell’edificio. Cuddy lo seguiva lentamente.

“Sali…”

House fece un passo verso di lei e le afferrò la mano in modo da aiutarla nel salire. Cuddy gli prese la mano e si sedette.

“House, sto bene…”
“Tu non stai bene…”
“E’ solo influenza…”
“E da quando l’influenza dura più di 4 settimane?”

Cuddy rimase zitta. Dopo provato la pressione e aver fatto i soliti esami di routine, House inarcò il collo e appoggiò la testa alla parete della vettura. E quando chiuse gli occhi, cominciò a parlare.

“Cuddy, credo che tu sia incinta…”

Il decano rimase ad osservarlo criticamente, mentre nascondeva la testa tra le mani.

“Non è possibile…”

“Ti vedo ogni mattina in ospedale. Ogni volta che ti alzi da una sedia lo fai lentamente e afferri il tavolo o la scrivania. Quando entri in caffetteria l’odore del caffè ti disgusta. Passi metà mattina a fare avanti e indietro dalla scrivania al bagno. Tu sei decisamente incinta”

“Tu ti stai sbagliando. E’ solo influenza.”

“Credi a quello che vuoi.”

Detto questo uscì dall’ambulanza lasciandola sola. Camminò lentamente verso la paziente e vi si sedette a lato.

“Ti ricordi ancora come ti chiami?”
“Hannah”
“Anni?”
“38. Come mai queste domande?”
“Non m’interessa la tua vita privata, sia chiaro. Sono domande standard per casi di trauma ecc…”
“Ok…Che cosa è successo alla sua ragazza?”
“Cuddy? Non è la mia ragazza…”
“Oh, scusa…”
“Ha un po’ d’influenza…”
“E’ ancora seduta sull’ambulanza…”

Hannah osservò a lungo Cuddy, mentre lentamente si avvicinava a loro. La terra sotto i loro piedi tremò di nuovo provocando l’ennesimo urlo di dolore della donna.

“La prego salvi il mio bambino”

Cuddy era ormai al loro fianco, si piegò in avanti e afferrò la mano della donna distesa sotto le macerie, con l’altra mano accarezzò la sua fronte spostando i capelli che le pizzicavano gli occhi. Hannah osservò i suoi gesti premurosi, mentre con lo sguardo percorreva i lineamenti dei due medici di fronte a lei in cerca di una risposta vera.

“Faremo tutto il possibile”

Il diagnosta osservò lei confortare Hannah. Perfino Cuddy aveva perso la speranza nel riuscire ad estrarla dalle macerie. Sicuramente lui non avrebbe lasciato che le amputassero la gamba, ma ora che la paziente aveva confessato di essere incinta, qualcosa nella sua mente gli diceva che avrebbe veramente dovuto dare il suo consenso come medico ad un operazione così rischiosa. Doveva salvare Hannah e il suo bambino, non riusciva ancora a capirne la vera e pura ragione, ma qualcosa lo spingeva verso di lei.

“Hannah, credo che l’amputazione ora sia l’unica opzione rimasta pur di salvarti.”

Hannah non disse nulla, rimase immobile in silenzio. Una singola lacrima scese dai suoi occhi sbarrati dal dolore. Strinse con più forza la mano di Cuddy che ormai aveva chiuso gli occhi. Quando sentì la stretta farsi più forte, alzò il suo sguardo verso l’uomo che la stava osservando.

“Vado a chiamare il Dottor…”

“No. Lo farò io…”

 

   
 
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