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Autore: Hanairoh    22/07/2010    6 recensioni
Ambientato durante New Moon. Dopo il college, Bella avvia una brillante carriera musicale assieme ad alcuni nuovi amici, ognuno coi propri segreti inconfessabili. Ma non sanno che il più grande e terribile di tutti è proprio quello di Bella, più decisa che mai a nasconderlo a tutti...o quasi.
Genere: Romantico, Triste, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Eeeeeeeeeeeeeeeeed eccomi qua finalmente! Vi siete abbronzate, mie dolci pulzelle? Io parecchio...forse troppo =_= ho scoperto che non bisogna mai mandare a quel paese la mamma quando dice "non esporti troppo al sole, mettiti la crema, indossa il cappellino" e che non bisogna MAI addormentarsi sulla prua di una barca sotto il sole dell'una. La mia schiena può confermarlo, ci potete cuocere una frittata tant'è rossa! In più oggi ho avuto un incontro ravvicinato col marciapiede mentre correvo e vi sto scrivendo con le mani, le ginocchia e i gomiti fasciati ^^'' Passando alla ff, ho notato che s'è leato un coro di protesta che dice "ma quand'è che entrano in scena i Cullen?". CI TENGO A PRECISARE UNA COSA: gran parte della ff è dedicata a Bella e ai suoi amici e che i nostri vampiri non ci saranno per MOLTO tempo. Fino al, uhm, 20esimo capitolo? Poi da lì ci sarà un POV di Edward e POI torneranno i Cullen. Spero che questo non vi scoraggi e che continuiate a seguirmi <3 un'ultima cosa. La Immortal Records non ha niente a che fare con i Volturi, che in questa ff non sono neanche nominati. E' una casa di produzione americana realmente esistente ed anche molto famosa. Chi ascolta i Korn e i 30 Seconds To Mars mi capisce ;) 
Purtroppo oggi non ho tempo di rispondere a tutte le recensioni, quindi ringrazio __cory__, elys, kandy_angel, Chanellina94 e valli per i loro commenti. Siete fantastici, ragazze (scusate se ci sono maschi ^^).
Buona lettura!
 
 
 
Kuolema Tekee Taiteilijan
 
-la morte crea l'artista-
 
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Avevamo vari motivi per cui essere nervosi, quella sera. Primo fra tutti, l’improvviso arrivo dei produttori della I.R. a Detroit: perdere una simile opportunità significava perderne qualunque altra per farci conoscere oltreoceano. La nostra carriera dipendeva quasi totalmente da come saremmo andati quella sera, e ciò comportava tantissimo stress. Soprattutto per me, dato che, come Robert amava ripetermi, la maggior parte delle responsabilità gravavano su di me.
“Osa sbagliare la seconda strofa dell’introduzione e ti taglio la gola”, mi sibilava ogni volta che mi ritrovavo a dover ripetere tutto daccapo. Evitavo di dirgli che la colpa era anche sua, che aveva scelto un pezzo difficilissimo come brano di apertura. Era il genere di canzone che eseguivamo solo ogni tanto, per evitare che la mia voce ne risentisse troppo ma Rob s’era intestardito e a nulla erano valse le mie preghiere.
 Il secondo motivo per cui rischiavamo di farci esplodere la testa era Mischa; si era fissata con i vestiti e gli accessori di scena e aveva insistito per sceglierci dei vestiti di persona. Situazione davvero poco piacevole, a dirla tutta.
“Non credevo che un giorno mi sarei fatto convincere ad indossare questa roba”, disse mesto Brian contemplando la sua immagine allo specchio: Mischa lo aveva letteralmente infilato in un paio di pantaloni di pelle aderenti  e pieni di borchie sulle tasche. La maglia, poi, era..come dire, insolita. Una specie di barca nera con la scritta rossa LET THERE BE THE GUITAR che riprendevano forme e caratteri antichi; Matt era conciato più o meno allo stesso modo salvo per la maglietta, la cui scritta era verde.
“Potrei denunciarti, lo sai?”.
“Taci o dovrai denunciarmi per ben altro. Ecco, abbinateci questi anfibi e siete a posto”.
Li sentii imprecare per un po’ e poi zittirsi. Poverini, potevo capirli. Anche io ero stata costretta nel più ridicolo dei vestiti che avessi mai indossato. Vero, spesso avevo messo abiti di pizzo più o meno lunghi e corpetti strettissimi, ma quello li batteva tutti: era nero, lucido e pieno di pizzi e fiocchi rosa. Rosa confetto! Che orrore.
“Che accidenti mi hai dato?”, urlai verso la porta. Lei la spalancò improvvisamente e mi affrettai a coprirmi con la maglia, dato che ero quasi del tutto nuda. Cercavo con tutte le mie forze di non guardarmi nello specchio.
“Mmh?”, fece con aria innocente.
“Non lo metterò mai e poi mai. Dovrai prima spararmi!”.
Si batté una mano sulla fronte e spalancò gli occhi. “Porca miseria, mi sono dimenticata…! Aspettami, torno subito”. Neanche il tempo di protestare ed era sparita.
Tornò dopo dieci secondi scarsi e mi scaraventò addosso un paio di pantaloni neri .
“Mettiteli sotto assieme agli stivali che trovi qua fuori e poi mettiti qualche collanina non troppo appariscente, o finirai per assomigliare ad Amber Lynn. Ah, e mi raccomando, usa una mascherina nera!”.
Discutere con Mischa era il novantanove per cento delle volte tempo perso. Meglio star zitti e ubbidire. Per prima cosa infilai la biancheria adatta quel tipo di abbigliamento –almeno quella potevo deciderla io!-  ed i pantaloni; sentivo la pelle sintetica strusciarsi contro le mie gambe, mi dava fastidio. Qualcuno bussò alla porta facendomi trasalire.
“Hai finito?”, disse la voce di Brian. Sembrava vagamente nervoso, chissà se per la faccenda di Mischa o per la serata che si prospettava…Probabilmente entrambe le cose. “Tra dieci minuti Robert ci vuole dietro il palco”.
“Vengo subito”, borbottai piano e finii di vestirmi. Senza troppe cerimonie infilai cappotto e scarpe perdendo il poco tempo che mi restava a districare i fiocchi e ad infilami qualche catenina al volo.
“Oh cielo!”, esclamò Mischa quando uscii in corridoio. “Tesoro, hai una faccia e dei capelli orribili!”.
La guardai alzando un sopracciglio. Orribile, a me? Evitai di fare commenti sulla sua mise –completamente nera, tranne per la maglietta con un immagine bianca stampata- e mi abbandonai alle sua mani che cercavano di aggiustarmi i capelli ed il viso.
Non c’era molto da fare: erano così intricati da poterli solo raccogliere. Fece due codini e li fermò sulla nuca con due nastri. Erano talmente lunghi da sfiorarmi la vita.
“Perché non te li tagli?”, suggerì lei.
“Perché tu non te li fai crescere?”, ribattei con un sorriso. Arrossì e tirò indietro una ciocca di capelli fin dietro l’orecchio; l’altra ricadeva fino alla clavicola, mentre dietro…be’, dietro erano cortissimi, per cui non c’era molto da pettinare.
Solo allora notai come era conciato il suo orecchio sinistro.
“Mischa”, esclamai, colpita. “Dove lo hai preso? È stupendo!”.
“Questo?”, chiese sfiorandosi l’orecchino. Era d’argento massiccio e si arrampicava per tutta la lunghezza della cartilagine tra complicati intrecci e pietruzze color sangue.
“Me lo hanno regalato”, rispose ancora rossa.
Non ci voleva un genio per capire a chi si riferisse. Le sorrisi contenta. Significava che anche Brian non le era del tutto indifferente, né lei lo era a lui.
“Siete due coglioni”, borbottai a mezza voce. Ma non riuscii a dire altro perché lei cominciò a passarmi il rossetto sulle labbra con molta più foga del necessario; riuscì quasi a strozzarmi col girocollo che mi aveva persuaso a provare.
 
 
“Robert, risparmiaci questo cazzo di discorso”, iniziò Brian prima che il diretto interessato potesse aprire bocca. “Sappiamo già cosa vuoi dirci: state calmi, non siate nervosi e fate del vostro meglio per stupire quelli della casa”.
“E che se Bella osa sbagliare l’introduzione gliela farà pagare cara”, aggiunse il fratello guardandomi malizioso.
Mi venne naturale arrossire. Però dovevo ammettere che cominciavo ad essere tesa anch’io, e non solo per ciò che ci aspettava a meno di dieci metri di distanza. Avevo la sensazione che quella sera sarebbe successo qualcos’altro ma non sapevo cosa. Forse aveva ragione Robert, eravamo solo preoccupati per quello che sarebbe successo nell’ipotesi in cui  non fosse andata bene.
Per questo eravamo tutti col cuore in gola quando ci ritrovammo sul palco davanti a centinaia di persone che evitavamo accuratamente di guardare per timore di vedere qualche completo di giacca e cravatta dall’aria importante. Prendemmo posto dove prestabilito e aspettammo la battuta di entrata che non tardò ad arrivare.
 
 
Ero già alla seconda bottiglia d’acqua e dei rappresentanti della Immortal Records neanche l’ombra; cominciavo a credere che non sarebbero venuti e anche i ragazzi erano pessimisti. L’unica ad essere un minimo fiduciosa era Mischa.
“In questo cavolo di posto ci saranno almeno duemila persone e voi pretendete di riconoscerne anche solo dieci? Vedrete che alla fine ci contatteranno nel backstage”.
Beata lei, pensai amaramente. Fino ad allora ce n’erano stati pochi, di momenti per pensare: tra il cantare, le urla del pubblico e le luci ipnotiche del palco avevo difficoltà a ragionare. Inoltre, avevo un gran mal di testa e fu proprio a questo che attribuii la scena sconcertante che mi si parò davanti.
Durante i pochi istanti tra un brano e l’altro avevo dato una veloce occhiatina al pubblico delle prime file: la solita massa di ragazzi urlanti che cercava di farsi largo per poter vedere meglio. Chissà perché, ebbi la tentazione fortissima di guardare meglio. Aguzzando la vista, portai lo sguardo nell’angusto spazio tra una ragazzina coi capelli neri e il suo coetaneo biondo e mi sembrò di vedere qualcun altro il cui volto mi era familiare.
Per un attimo incrociai i suoi occhi e la voce mi mancò improvvisamente. Veloce com’era arrivato lo sguardo di quell’estraneo –o forse no?- sparì. Ma non potevo dimenticare il colore singolare delle iridi che erano sembrate intente a scrutarmi l’anima: un castano dorato così chiaro da sembrare oro liquido e la cui bellezza non poteva essere paragonata al colore del miele o a quello del sole.
Per fortuna non stavo cantando, altrimenti avrei fatto una bruttissima figura coi produttori!
“Tutto bene, Bella?”, mi chiese Robert alla mia destra. Aveva ancora la Jackson a tracolla.
Per un attimo fui tentata di dirgli la verità: lui conosceva ogni particolare della mia storia e forse non mi avrebbe biasimata, anche se ciò che vedevo era impossibile. Ma all’ultimo diedi una risposta diversa.
“No, tranquillo. Non è successo nulla”.
 
Merda. Merda. Merda.
Non ci potevo credere. Anzi, non ci potevamo credere. 
Era bastato davvero poco; qualche parola scambiata per cortesia, una stretta di mano, un biglietto da visita e un bel bicchiere di gin tonic. Risultato, un appuntamento per la settimana seguente agli studi di registrazione per ‘discutere sull’eventuale stipulazione di un contratto’. Ma ormai era fatta, e lo sapevamo benissimo. Per cui quella sera, al secondo piano di un confortevole albergo nel centro della città, ci furono grandi festeggiamenti.
“Un altro giro, prego!”, strillò Mischa alzando il suo bicchiere vuoto e sprofondando ancora di più nel morbido divano dell’ingresso. Io e Rob le sedevamo affianco, io coi piedi appoggiati al tavolino e lui mezzo stravaccato sulla moquette color avorio. Tutta la stanza era in legno, dal pavimento fino ai pannelli alle pareti, ed il mobilio era verniciato a creare un effetto di finto invecchiamento. Vari quadri ed una semplice illuminazione completavano il tutto in un perfetto stile country.
Speravo solo che i gemelli non rompessero nessuna delle ceramiche in bella vista nelle vetrine del soggiorno, scatenati com’erano.
“Alt, alt!”, urlò Matt saltando sulla cassapanca e spegnendo lo stereo –che, tra parentesi, stava riproducendo il nostro disco- con il telecomando.
“Siamo qui riuniti per festeggiare la nostra ascesa al potere…”.
“Megalomane”, sbuffò Mischa tracannando vodka.
“…Finalmente domineremo il mondo della musica”, continuò Brian, forse più esaltato del fratello, “e allora altro che Detroit o Rockford, finiremo sui palchi più famosi d’Europa!”.
“Un brindisi!”, finì l’altro alzano il bicchiere.
Andammo avanti così per più o meno tutta la notte. Alla fine, verso le due, qualcuno ci venne a bussare pregandoci di fare meno chiasso. Fummo costretti a spegnere la musica, ma continuammo a bere e a parlottare e ci accorgemmo della luce che entrava dalle persiane sbarrate solo qualche ora più tardi.
“Io sono sfinito”, annunciò Brian mettendo a posto il mazzo di carte con cui avevamo giocato. “Buonanotte, a”, controllò l’orologio, “ad oggi pomeriggio e siate puntuali, che l’autobus parte alle sei”.
Non chiedevamo altro; non avevamo neanche la forza di mettere a posto il casino che avevamo lasciato in soggiorno –bicchieri, bottiglie e piatti vuoti, buste di patatine e di popcorn e cuscini fuori posto. Di sicuro ci saremmo beccati una denuncia da parte della direzione, pensai con un sorrisetto. Ma che importava, ora che finalmente il nostro sogno si stava realizzando?
Avevamo un contratto con una casa d’alto livello, insieme lavoravamo benissimo e, ciliegina sulla torta, avevo una possibilità di guarire. E guarire avrebbe significato varie cose, tra cui una carriera lunga e promettente ed un futuro con un uomo straordinario. Il mio Robert.
Fu a lui che pensai mentre dormivo, e nemmeno per un attimo mi tornò in mente ciò che avevo visto quella sera.
 
******NOTE******
 
 

 IL CORPETTO  E GLI STIVALI DI BELLA 

 

 I VESTITI  E LO STUPENDO ORECCHINO DI MISCHA
  
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