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Autore: BigMistake    23/07/2010    2 recensioni
Dal Prologo: "Un nano ed un elfo, in groppa allo stesso destriero. Definire tale cosa rara, sarebbe soltanto blasfemia. Eppure successe alla fine della Terza Era, quando la Quarta albeggiava altisonante sulle teste della Terra di Mezzo. [...] Proprio in quel viaggio conobbero, a caro prezzo un popolo nascosto, Gwath - Ombre, venivano chiamate, e si mostravano come spettri nella notte. Mai avevano agito al di fuori delle loro terre, ma i tumulti che avevano scosso Mordor e tutti gli abitanti delle Terre dell’Est, ovviamente le avevano costrette a “cacciare”, se così possiamo definire la loro una caccia, ben oltre il loro piccolo recinto fatto di alberi e oscurità." Sarìin, il bardo racconta una storia agl'avventori di una taverna, i cui protagonisti presero parte alla Compagnia che salvò la Terra di Mezzo da un'imminente fine. Grazie per la vostra attenzione e buona lettura!
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gimli, Legolas, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO XVII: Deporre le armi.

  

“Che follia è questa, Anrond? Da quando non ho il permesso di entrare nelle stalle?” Quella discussione vivace si prolungava nel tempo, di certo Tirinîr non era dotata di grande pazienza soprattutto da quando ultimamente c’era la tendenza a nasconderle qualsiasi cosa. Si vedeva quasi sempre circondata da sotterfugi, intrighi e questo non le piaceva. Riaffioravano con quell'alone di mistero gli orribili ricordi di un'Ombra, come se vi fosse ancora.

“Non potete entrare, mi dispiace è un ordine a cui non posso sottrarmi!” il giovane elfo era fermo immobile, muovendosi in sincronia con i passi della fanciulla. Se lei spostava un piede a destra per superarlo, lui lo spostava a sinistra impedendole il passaggio. Sembrava un gioco effettuato di fronte ad una lastra specchiata, in cui i due riflessi non combaciavano alla perfezione se non per i movimenti a scatti. Seduta sulla balaustra vi era Ruin, che osservava incuriosita la scena ciondolando le sue gambe impaziente. Tirinîr voleva approfittare degl’impegni di Raja con Legolas e Thranduil per portare la bambina in una gita nel bosco, anche se lo scopo primario rimaneva far impazzire un po’ Anrond che si sarebbe ritrovato con ben due Ombre da guidare una più petulante dell’altra, invece secondo un ordine di chissà chi non poteva nemmeno entrare nelle stalle. 

“Vuoi avere almeno la compiacenza di dirmi chi ha impartito questo assurdo ordine?” Anrond sapeva che ormai il limite era raggiunto, tutto lo sforzo della Principessa nel mantenere la calma si stava esaurendo come la polvere che sollevava, ma non poteva permettersi in alcun modo di sottrarsi al suo dovere di non permetterle l’accesso alle stalle con ogni mezzo possibile. E doveva anche tacere quel nome, cosa che avrebbe mandato su tutte le furie quella che in fondo era una sua amica.

“Non posso!” ribatté in maniera impassibile, alzando le mani di fronte a lui come a discolparsi.

“Ah!” urlò Tirinîr esasperata e completamente furiosa, voltando le spalle al ragazzo che abbassò le braccia vedendola cedere. Mai grido di vittoria fu detto tanto presto: con uno scatto la fanciulla si gettò alla sua destra e, prima che potesse afferrarla, lei sgusciò via sulla sinistra riuscendo addirittura a porre le mani sul battente delle stalle. Impresse tutte le sue forze nell’aprirla senza sortire nessun risultato, le porte del Reame Boscoso erano chiuse con parole e segreti ancora a lei sconosciuti. Quando si avvisò di ciò percepì un tonfo sordo contro il terreno e la risata cristallina di Ruin librarsi nell’aeree. Tornò a guardare Anrond non incontrando i suoi occhi all’altezza cui era solita, bensì più in basso e coperti dal muro corvino imposto dai capelli. Egli era quasi completamente sdraiato al suolo e contrapponeva le braccia per sollevarsi con il capo chino, sempre più umiliato da quella ragazza che era troppo vivace per un giovane come lui. Non era mai stato goffo e maldestro prima d’incontrarla, anzi si poteva vantare di possedere un’eleganza unica. Anche l’albero più solido però può incrinarsi ad una violenta tempesta e Tirinîr possedeva tutte le caratteristiche di una delle più crude bufere invernali. “Oh, povero  Anrond!” esclamò dispiaciuta, se per dispiacere intendiamo il nascondere il divertimento in malo modo. Afferrò il suo braccio pulendo la giacca sulle spalle, sfilando poi un pagliericcio dai sui capelli. “Raggiungiamo un accordo: io non provo ad entrare nelle stalle se tu mi dici chi ha impartito l’ordine.”

 

Legolas sentì bisbigliare prima ancora di uscire con Raja dalla biblioteca in cui era appena avvenuta la riunione con il Re e la Storica. Era iniziata come la spiegazione di ciò che sarebbe avvenuto l'indomani, ma la curiosità di Thranduil nel conoscere quel popolo nascosto e sconosciuto affiorò quasi immediatamente. Raja si era trovata a spiegare come erano nate e i loro metodi di sopravvivenza, omettendo i particolari che avrebbero potuto compromettere il nascondiglio della sua Chillah. Infatti quando il Re aveva offerto il suo eventuale aiuto a quella che era stata la casata della futura sposa del proprio figlio, la donna aveva da subito imposto dei limiti dovuti alla sicurezza della Guaritrice e fu allora che il Re chiese il perchè di quell'epipeto suggerito persino dal figlio. Scoprì quindi del dono latente di Tirinîr, la sua capacità di alleviare le sofferenze fisiche e morali e di quello che era riuscita a fare con Raja e la figlia, comprendendo anche la visione lucente di Aurehen sulla ragazza. Da quella conversazione congiunse molti tasselli tra passato e presente, finalmente ebbe l'impressione di conoscere a sufficienza la misteriosa fanciulla figlia di Helluin. Quando i due aprirono la porta, lasciando il Re a sistemare gli ultimi preparativi della cerimonia, trovarono Ruin e Tirinîr ad aspettarli, entrambe con le braccia conserte e lo stesso amabile broncio disegnato sul viso. Quegli stessi atteggiamenti infantili provocrono una debole risata, la quale venne subito zittita da un versetto seccato della bambina.

“Ho fatto qualcosa per meritarmi questa accoglienza?” chiese Legolas.

“Io …” disse spavalda la bambina. “… volevo visitare il bosco con Chillah, ma non possiamo prendere i cavalli per colpa tua!” Raja spalancò gli occhi quando sua figlia aveva preso ad agitare il ditino verso l’alto in direzione del Principe con fare inquisitorio, rivolgendosi per altro dandogli del tu.

“Ruin che maniere sono queste? Non ci si rivolge così poco educatamente …” intervenne cercando di limitare i danni.

“No, Raja!Non avrei saputo chiederlo in modo migliore!” disse Tirinîr in difesa della bambina, guadagnandosi gli sguardi sorpresi dei presenti. “L’ho autorizzata io, voglio sapere proprio come si giustificherà per l’impedimento che mi è stato mosso oggi di entrare nelle stalle.” la sua voce era piatta, non c’era divertimento nonostante la situazione lo richiedesse. La sua determinazione si manifestava inoltre con lo sguardo truce che stava riservando a Legolas, ma era soprattutto la delusione a fare da padrona nel suo cuore. “A quanto pare io non sono più libera di poter fare una passeggiata fuori con un cavallo!”

“Non è questo …” cercò di ribattere l’elfo senza riuscirci, perché a quel punto Tirinîr strinse i pugni in un gesto furente, serrando la mascella con uno schiocco stridente. “Potete scusarci?” la sua promessa non si era mostrata così in collera con lui, c’era qualcosa di più recondito rispetto al semplice divieto d’ingresso alle stalle. Quando si rivolse gentilmente alle sue ospiti Raja rispose prendendo in braccio la bambina, ordinandole di tacere al principio della sua protesta per rimanere ad aiutare Chillah. Si sbracciò per un po’ prima di acquietarsi definitivamente, quando fu la stessa Tirinîr ad invitarla ad andare con un sorriso. Sorriso che venne cancellato appena i suoi occhi si posarono su quelli dell’elfo.

“Quale sarà il prossimo ordine? Il non potermi allontanare da te per nessuna ragione?” la battaglia era iniziata, il filo tagliente delle parole della fanciulla colpì Legolas con dolore. Lo stava apertamente accusando di costringerla a far qualcosa, mai e poi mai avrebbe anche solo  pensato una cosa simile. Nessuna catena le avrebbe più stretto le caviglie, persino dalle Aule di Mandos sarebbe tornato per garantirle il suo diritto alla libertà.

“Non so assolutamente di cosa tu stia parlando Tirinîr.” Rispose freddo, mascherando con destrezza le ferite che gli venivano inflitte dalla rabbia ingiustificata che gli stava mostrando con sprezzo.

“Da quando sei così abile nelle menzogne?” le sue richieste erano sputate fra i denti, gli occhi sfavillarono iridescenti colmando il suo sguardo iracondo di veleno. Non era solo l’imposizione ad andarle stretta, non gli aveva mai perdonato del tutto la sua sortita. Aveva mascherato bene il suo rancore riuscendo in qualche modo a soprassedere, ma nel momento in cui si era sentita imprigionata da lui riaffiorò come un cadavere putrescente ed inquinante delle acque, infine sfociando in una reazione esagerata.

“Anche se domani diverrai mia moglie non ti consento di offendermi con tali insinuazioni!” avanzò di un passo sovrastando con la sua altezza l’elfo che non cedette mai lo sguardo. Eppure anche arrabbiata, con le guance arrossate e le mani sbiancate per il troppo stringere, era infinitamente bella. In quell’istante, quando lo spirito combattente delle Ombre avanzava verso di lui, la fierezza della ragazza lo scosse e l’indomita figura di fronte a Legolas l’intrappolava per una seconda volta. E anche se si stavano rivolgendo sguardi algidi e parole ferree come lame di coltelli, dimostravano di amarsi e venivano calamitati l’uno dall’altra. Tirinîr sentiva il peso opprimente dell’elfo spingerla a cadere, con quel suo portamento regale e gli occhi glaciali ed ingrigiti dall'offesa mentre la scrutavano. L’autunno che soccombeva all’inverno.

“Io non posso offenderti, ma tu sei libero di vietarmi di uscire?” la sua protesta era diventato un soffio data la vicinanza. Si sollevò sulla punta dei piedi cercando di raggiungere infruttuosamente la sua altezza per sfidarlo.

“Non ti ho vietato d’uscire, chiunque avrebbe potuto prenderti un cavallo. Non potevi solamente entrare nelle stalle!” la sorpresa che lesse nei suoi occhi fu la risposta che cercava. Tirinîr cadde sui talloni, non centrando il baricentro fu costretta ad indietreggiare di un passo per trovare l’equilibrio. “Vedo che hai raggiunto le tue supposizioni senza approfondire. Bene l’hai voluto tu!”

Legolas afferrò con forza la sua mano e la trascinò fino alle stalle dove Anrond se ne stava a far da guardia seguendo l’ordine del suo Principe. Appena li vide si destò dalla sua posizione accennando ad un inchino. “Anrond apri le stalle!” ordinò serio l’elfo dimostrandosi all’apparenza duro, con il cuore in realtà lambito dalle fiamme. Quanto ancora doveva lottare per conquistare la sua fiducia? Il giovane elfo si pose in silenziosa obbedienza, apprestandosi a compiere il suo dovere pronunciando alcune parole alla porta per permettervi l'accesso. Come se fossero animati, i battenti scricchiolarono muovendosi verso l’interno, lasciando un cigolio ad accompagnare il rude scuotere del terreno. Legolas trascinò Tirinîr lungo tutto il corridoio costellato da nicchie dove i cavalli vi trovavano ristoro, svoltando a destra dove vi era il retro più interno. “Questo era il motivo per cui non volevo che entrassi, il tuo regalo di nozze!”

“Aratoamin!” sussurrò la Guaritrice in preda alla confusione, non sapeva se riservare la sua gratitudine a Legolas o correre a salutare il suo amico.  Si trovava lì accanto a loro con le gambe snelle, il fisico slanciato della sua razza e il suo manto chiazzato unico. Aveva emesso solo un debole nitrito protraendosi oltre la transenna per posare il muso tra le mani della sua padrona. Tirinîr era sempre più stordita e tremava nell’accarezzare il dosso dell’allungata nuca dell’equino. “Ma come … dove … ” disse sollevando lo sguardo disorientato verso Legolas.

“Volevo farti un dono per le nostre nozze e volevo che fosse qualcosa di significativo. Non so cosa ha fatto incontrare le nostre strade, ma io l’ho interpretato come un segno.” spiegò asciutto e piatto nei toni, senza l’ombra di un sorriso. Di tutti i modi in cui aveva immaginato quel momento, non era stato contemplato il litigio a precederlo. “Ci ha seguiti per tutto il tragitto, ci ha trovati e mansueto è venuto con noi senza essere costretto. È sempre stato molto intelligente evidentemente mi ha riconosciuto. Non si è imbizzarrito nemmeno quando è stato chiuso nelle stalle … ” quello che avrebbe voluto era uno baule racchiuso di emozione e gratitudine ed invece si era ritrovato a combattere con testardaggine ed orgoglio ferito.

“Oh Aratoamin, mellon nîn!”

“Avrei voluto portarti qui domani, dopo la cerimonia, ma non mi è stato possibile perché tu non hai abbastanza fiducia in me.” Tutto quello che provava in quel momento non riusciva ad arginarlo. Era una fiume di pece, nero ed acre, che s’infrangeva attraverso i flutti più oscuri, rincalzando la risacca impetuosa contro gli scogli. Non riusciva a calmarsi vedendo come ancora si sentisse sotto scacco, con lui a cercare di tenerla in giogo. 

“Non è così, Legolas!” cercò di giustificarsi, ma l’elfo si stava già dirigendo a grandi falcate verso l’uscita. Tirinîr era tentata di seguirlo, quasi intraprese la corsa sui suoi passi, ma si bloccò con le mani sollevate a mezz’aria. Il nitrito di Aratoamin attirò l’attenzione della ragazza su di sé, cercava di consolarla vedendola sorridere triste. “Man im echannen, mellon nîn? | S – Cosa [ho] fatto, amico mio? | ” il cavallo sbuffò facendo vibrare le sue labbra, emettendo versi piacevoli quando Tirinîr prese ad accarezzargli nuovamente il muso e a baciarlo come un tempo. “Sei tornato da me Aratoamin, questo mi rende felice. Spero solo di potertelo dimostrare, mellon nîn!”

 

Il rumore dell’asta della freccia incoccata contro l’impugnatura era rapido ed intenso, un ticchettio continuo seguito da un fischio e dallo schianto della punta penetrata  nel bersaglio. Il dardo sfrecciava veloce fendendo l’aria per parecchi metri prima di scontrarsi con violenza, mancando il centro di almeno una spanna. Sentire lo scorrere del sottile cilindro contro le proprie dita riparate da uno speciale guanto a forma di ‘V’, dava la sensazione che lo sfogo fosse appena iniziato. Le frecce rimanevano conficcate giusto il tempo di finire i colpi e svuotare la faretra, camminava dunque verso il bersaglio per riprenderle e ricominciare a lanciarle. Raja osservava in silenzio, seduta alle sue spalle a debita distanza. Ruin aveva tanto insistito per rimanere che aveva finito per addormentarsi fra le sue braccia, cullata dalla madre amorevole che la teneva coperta con il proprio mantello. Lo indossava quasi costantemente in quel posto così freddo rispetto al Rhûn ed ora vi aveva rinunciato con piacere per tenere al caldo la sua Fiamma Rossa, con quei capelli dalle lingue di fuoco color del rame unica eredità di quel padre che non avrebbe mai conosciuto. Forse le apparteneva anche la sfrontatezza e l’irriverenza di quel soldato che l’aveva trovata durante il rituale. Non le era mai importato sapeva essere il suo destino perché questo la madre prima di lei aveva compiuto, non vi era malizia ed impudicizia solo l’aggiudicarsi la continuazione del proprio sangue in un erede degno del proprio nome.

“Da quanto continua così?” la voce sopraggiunse da dietro, sussurrando appena per non svegliare la bambina ormai preda dei sogni più lieti esternati da un sorriso dolce, appena accennato nel profondo torpore in cui era piombata.

“Tanto che la piccolina tra le mie braccia si addormentasse, Principe!” Raja dondolava e cantilenava, stringendo al suo petto quel fagotto informe da cui spuntavano delle adorabili spirali e la pelle olivastra della manina posata sulla vesta ocra della donna. Era così pacifica e dolce quando era addormentata, proprio come la sua Tirinîr. E pensare a quante notti sotto le stelle l’aveva tenuta fra le sue braccia, cullandola come stava facendo Raja con Ruin. L’aveva protetta e amata, aveva cercato di darle il meglio andando anche contro il proprio padre. “Sta bene ora, è difficile persino riconoscerla. Vi sono grata per esservi preso cura di lei.” L’elfo sospirò andandosi ad accomodare accanto alla donna.

“Ma non è mai abbastanza.” Disse sconsolato guardando in direzione della ragazza, che non si accorse della conversazione che stava avvenendo a poca distanza troppo presa da quello sfogo che aveva assunto. I sibili delle frecce erano acuti come le grida di un animale ferito, vibravano tra le parole dei due ad ogni stoccata.

“O forse è quello che pensate voi, Principe.” Disse sistemando la bambina, che si era mossa cercando una posizione più comoda. “Avete mai provato a rincorrere il vento, mio signore? Egli traspare ai nostri occhi e veloce si porta via ciò che più gli aggrada. Nessuno lo può afferrare e chiudere in un barattolo e vano è il tentativo d’ingraziarselo con lusinghe e doni. Può giungere inaspettato come un guerriero devastatore, dissipando i raccolti e le sementi portando seco pioggia e tempesta. Oppure può donarti piacevoli sensazioni di frescura quando le torride giornate estive tolgono fiato e respiro. Mio signore, non necessitate di rincorrere il vento per averlo, vi ha scelto.”

“Perché ancora dubita di me?” quelle erano le stesse domande ripetute alla sua coscienza. Se non fosse stata per la presenza di Raja si poteva benissimo pensare che stesse parlando con sé stesso.

“Conoscendo la fanciulla in questione non penso che dubiti di voi, forse teme di fallire. Non posso biasimarla, per anni hanno minato la sua sicurezza, troppo ne è uscita vittoriosa con ancora quel briciolo di amor proprio che le è rimasto. Ma chissà se un amore diverso possa farle recuperare quello perduto?” la Storica guardò l’elfo sempre più assorto.  Un brivido di freddo la colse al calar del sole, tremando per un istante. “Sarà meglio che rientriamo, io e Ruin non siamo abituate a questo clima e domani sarà una giornata importante.” Quando la donna si alzò faticando a sorreggere entrambi i pesi, l’elfo accorse in suoi aiuto sostenendolo quel tanto che bastava a farla ergere sulle sue gambe. Raja si affrettò nel ringraziarlo e a fermarlo dall’accompagnarla nei suoi alloggi. “Avrò una gamba offesa mio signore, ma le braccia sono ancora forti e l’altra gamba ha sempre lavorato per due. Vi ringrazio comunque della vostra gentilezza, con permesso.” Disse allora prima di allontanarsi per raggiungere il palazzo.

Tirinîr non aveva ancora smesso di tirare con l’arco, tendeva la corda quasi a volerla spezzare e la rilasciava con altrettanta violenza. Non aveva mai preso il centro, solo un paio di volte era riuscita a sfiorarlo. Se con la spada sapeva difendersi con l’arco non  riusciva a rimanere sufficientemente concentrata per adoperarlo. Non era un’arma amata dalle Gwaith, nonostante fosse a distanza e permettesse di restare ben nascoste alla vista del nemico, preferivano piccole balestre, le armi bianche o da botta e pochi arcieri vi erano tra le file dell’esercito, ancor meno maestre capaci di insegnarle bene come usarlo. Legolas si accostò alla sua schiena mentre ancora teneva l’arco ben teso per scagliare l’ennesima freccia, era agitata e nervosa lo si poteva avvertire anche a distanza.

“Raja è rientrata?” chiese interrompendo quel silenzio ed alzando il capo chino a prendere la mira. Teneva chiuso un occhio acuendo l’altro verso il centro del bersaglio.

“Sì.” Rispose semplicemente l’elfo. La mano della Guaritrice rilasciò la corda rimanendo contratta e lontana dal viso, la freccia corse veloce colpendo a malapena il bersaglio. Subito prese un secondo dardo e lo lasciò scorrere troppo rapidamente lungo l’impugnatura. “Aspetta.” Le disse Legolas posando le sue mani su quelle di Tirinîr. Percepì il suo cuore bussare con prepotenza quando le labbra dell’elfo si accostarono al lobo del suo orecchio con un soffio leggero. Era dal momento in cui avevano discusso che desiderava un abbraccio e quella voce arrochita dalla posizione incurvata la faceva fremere. Certo non era proprio ciò che immaginava, ma le bastava quel contatto per farle affannare il respiro. “Alza il gomito e metti solo l’indice sopra la cocca …” mentre spiegava posizionava le sue mani con naturalezza come se quella che stesse toccando non fosse la persona a lui più cara,  ma dentro di sé sentiva il suo sangue ribollire. Era geloso di quella corda che sfiorava la sua guancia, avrebbe voluto baciarla fino a rapire i petali rosei delle sue labbra e il non sapere se sarebbe stato gradito lo rendeva triste. Amava quella ragazza in maniera irrazionale, non le avrebbe mai fatto del male eppure il suo orgoglio gli impediva di chiederle scusa e passare oltre a ciò che era accaduto. Forse perché, in cuor suo, sapeva che il torto non era completamente dalla sua parte. “Cerca di essere il più naturale possibile. Rilassa le spalle …” lasciò scorrere le dita lungo le braccia per giungere al punto indicato con carezze leggere, il corpo di Tirinîr rispondeva a quei dolci sfioramenti docilmente, con ubbidienza. Appena avvertì le mani risalire fino a posarsi nella conca tra il collo e la clavicola ebbe un brivido che la scosse impercettibilmente. Lasciò poi una scia di fuoco quando scesero lungo la schiena, era come se riuscisse ad emanare calore nonostante non vi fosse contatto fra di loro. Arrivò all’altezza del ventre ed esitò nel poggiarsi sopra per schiacciarla contro di lui imprimendo così la propria postura.

Tirinîr non disse nulla faticava anche solo a pensare, piacevolmente sopraffatta dalla situazione così intima e ravvicinata. Non era quello che si soleva dire un atteggiamento consono l’abbandonarsi ad effusioni troppo passionali anche se si era fidanzati ufficialmente. “Divarica i piedi …” a quell’ordine la ragazza spostò il tallone che andò ad incontrare la punta dello stivale dell’elfo. “Si vede meglio con due occhi, aprili entrambi. Concentrati sul bersaglio ed inspira profondamente, dovrai espirare solo quando rilasci la freccia …” lentamente l’elfo sganciò le sue mani dal corpo di Tirinîr e compì un passo all’indietro lasciandola libera di muoversi. “Vai scocca!” una ciocca di capelli della ragazza si mosse assieme alla freccia che finalmente trapassò il centro del bersaglio, lasciando la ragazza stupita. “Con un po’ di allenamento diverresti un ottimo arciere.”

“Avo theling ad daug! | S – Non voglio [essere] ancora un soldato!  |” affermò decisa, chiudendo fortemente il pugno sull’arco che ancora teneva fra le mani.

“An sen avo maetha, awartha i auth. Leitho le o Adamante.| S – Per questo non combattere, abbandona la guerra. Liberati di Adamante | ” Tirinîr non aveva il coraggio di voltarsi tanto la colpa le appesantisse lo spirito, quell’ultima frase ne era l’emblema. Un punto insignificante di un elenco di soldati. Questo era sempre stata e questo aveva sempre odiato, ma Legolas non era un suo commilitone. Egli era colui che l’indomani l’avrebbe presa in moglie e ne avrebbe fatto la sua sposa. Era giunta l’ora che l’Ombra tornasse nell’oblio da cui era stata generata.

“Im erin ad i veleth cîn? | S – Ho ancora il tuo amore? |”

“Ui! | S – Sempre! |” l’arco lungo ricadde a terra, mentre la Guaritrice si avventava al collo dell’amato con talmente tanta veemenza che l’elfo quasi perse la stabilità. Non c’era una parola migliore per esprimere quello che per lui significava quell’abbraccio, era pazienza, dolore e gioia tutto racchiuso in quel semplice gesto prodotto dallo slancio passionale di una ragazza verso chi l’aveva fatta rinascere lontana da guerra e sofferenza.

 “Avevo anch’io un regalo da farti, melamin.” Si sciolse allora da quell’abbraccio abbassandosi per estrarre il pugnale di Helluin che portava ancora nello stivale, abitudine mai persa, mai voluta abbandonare veramente. Tese le braccia mostrando la lama e l’impugnatura parallele al terreno a favore dell’elfo. Gli stava donando la sua arma, si stava liberando del suo soldato. “So che la Dama di Lòrien ti donò un pugnale, ma questo ha un significato ben più profondo di quello che può essere una buona lama.”

“Non posso accettarlo era di tuo padre, non posso separartene.” disse incredulo Legolas.

“Non ne ho più bisogno. Depongo le armi Legolas, ho terminato la mia guerra e ne esco vittoriosa. Ora questo è tuo, heruamin. Che ti sia di aiuto come lo è stato per me!” s’inchinò nell’offrirlo all’elfo ancora titubante. Nimril la fiamma bianca di Helluin, la fiamma bianca di Tirinîr. “Accettalo come pegno del mio amore.”

“Anna le glass? | S – Ti rende felice? [lett. Ti dona gioia? ] |” Tirinîr sollevò lo sguardo, annuendo alla domanda dell’elfo che impugnò l’arma esaminandola.  La lama affilata baluginò alla luce soffusa del sole morente, come ad invitarlo a prendere quel pugnale dal traverso inciso con due foglie dalla lamina ovale e liscia, descritte con minuzia nelle venature da sembrare intinte nel metallo e l’impugnatura fatta da petali allungati di un boccio. Tre niphredil vi erano scolpiti a piramide indicando la via per il cordolo e per l’intaglio dove urlava il proprio nome. “Accetto il tuo dono, mia signora. Possa esso donare la pace al tuo soldato.”

“Che riposi per sempre e giaccia sotto una coltre di polvere, sangue e terra ...” quella fu la definitiva resa di Adamante scomparsa con la nascita di Tirinîr e con un bacio a suggellare tale capitolazione. Il Vespro determinò la promessa di non impugnare mai più un'arma e l'abbandono definitivo della guerra, ora vi era un semplice mezzelfo che aveva scelto di appartenere al Popolo delle Stelle per sempre.

 

Non fu la dolce allodola a risvegliare la fanciulla quella mattina, ne la rossa aurora che tingeva con calore le timide gocce di rugiada depositate dalla notte sulle foglie del Regno. Un profumo intenso di fiori e frutta invadeva la stanza. Concentrandosi si poteva sentire il melograno e l’uva mescolare le proprie fragranze con gigli, orchidee e rose. Altri effluvi danzavano con essi ed un aroma zuccheroso spiccava, del miele di castagno forse, del lembas appena sfornato. Assieme vi era l’odore di legno di faggio essiccato bruciare e lo scalpitio delle fiamme. L’alba era appena spuntata nel dì di festa per il Reame Boscoso, ma la silenziosità e il rispetto degl’elfi non era pari al lor formicolare tra le vie, affaccendati in quelli che riguardavano gli ultimi preparativi. Appena le palpebre della ragazza si dischiusero gli occhi incontrarono la tiepida luce del primo sole, un buongiorno che le indicava la sua strada da percorrere. Scostò le coperte lasciando cadere i piedi nudi sul pavimento, li ritirò in un primo momento alla percezione del freddo lambirle le piante, ma poi li fece abituare per poter accedere all’anticamera. La leggera veste di lino che le ricopriva il corpo non le permetteva di ripararsi al meglio, troppa però era la curiosità di ciò che l’aspettava nell’altra stanza. Si soffermò alla tenda impaziente scostandone il lembo con il dorso della mano per poter sbirciare. Mai vi era stato tanto ordine nelle sue camere, i libri erano stati riposti in ordine sulle scaffalature della libreria e la scrivania era stata adibita a vano per la colazione ricoperta da una sottile tovaglia ricamata di bianco e oro. Su di essa cesti di frutta, lembas ed altre leccornie erano state poste come una composizione da ritrarre in un quadro. Al focolaio acceso vi era un bollitore contenete dell’acqua i cui vapori spandevano una dolce fragranza all'essenza di fresie. Ogni angolo era stato adornato con mazzi variopinti di fiori, vivacizzando l’ambiente solitamente più asettico. Intanto tre giovani ancelle si affaccendavano nel riempire una vasca ovale in metallo lucido, probabilmente destinata al suo bagno che pareva distenderle i muscoli tesi persino a quella distanza.

“Arweamin, mae cuivannen! | S – Mia signora, ben svegliata!| ” disse una di loro accennando ad una riverenza in direzione di Tirinîr. “Le ricamatrici saranno qui con il vostro abito fra poco.” Le bastò battere leggera le mani, quasi fossero le morbide ali di una farfalla, che le altre due si mossero verso la ragazza accerchiandola minacciose più di un nemico. Di certo non era intenzione di Tirinîr essere considerata una bambola da imbellettare e quando afferrarono i lembi della camiciola da notte per farla scorrere sul suo corpo imbarazzata le bloccò, lasciando le due a osservare la terza come a chiederle cosa dovevano fare. “C’è qualcosa che vi turba Arweamin?” chiese notando le sue gote avvampare come un tizzone in brace.

“Co – Cosa state facendo?” la voce le tremava per il freddo e per l’imbarazzo. Una delle due ancelle, appese ancora ai pizzi della maglia, ridacchiò e quella che doveva essere la governante le lanciò uno sguardo di ammonimento che spaventò persino la Principessa.

“Non vorrete fare il bagno vestita?” disse seccata per esser stata impedita nel suo lavoro, troppo zelante per tradire la tabella di marcia imposta.

“Io so lavarmi da sola!” tentò in tutte le maniere di divincolarsi dalle fanciulle elfiche, strattonando a più riprese la sua veste mantenuta ben salda tra le loro esili mani.

“Suvvia non siate sciocca, Hirie | S – Principessa |, la Regina ci ha ordinato di servirvi in tutta la vostra preparazione e non abbiamo alcuna intenzione di contrariare Aurehen. ” detto questo Tirinîr pose fine alle obiezioni e si lasciò denudare cercando di coprire le sue pudenda al meglio prima di entrare nella vasca profumata. Una volta immersa completamente sentì il suo corpo trarne gli immediati benefici. Le ancelle continuarono a curare la loro Signora, lavandole la schiena e i capelli e cospargendo il pelo dell’acqua calda dei fiori odorosi che ne caratterizzavano la fragranza. Le porsero poi della frutta da cui spiluccò qualche acino di uva e nulla più, lo stomaco in subbuglio non le permetteva di introdurvi altro. Venne fatta alzare ed avvolta in un candido panno di lino per asciugare la pelle del suo corpo.

“Permettetemi di chiedervi cosa vi fa ridere mia Signora.” Tirinîr sorrideva fissata nel vuoto da un po’, con le difese ormai a zero comportandosi come la marionetta con il suo padrone mentre le veniva fatta indossare una pregiata sottoveste di seta bianca. Pensava a Legolas probabilmente molto meno a suo agio in quell’assurda situazione. Avrebbe dovuto essere nervosa ed infastidita, eppure non sentiva ombra di disagio nel farsi vezzeggiare dalle premure che apponevano nella cura del suo aspetto. Nonostante la vanità non fosse un suo peccato, voleva possedere per quell'occasione una bellezza almeno pari al suo futuro marito. Marito. Una Gwaith non saperva cos'era un matrimonio, i doveri e gli impegni presi tra due coniugi. Che visione distorta donava la Storia di quel gioco di amore e compromessi che aveva dovuto affrontare in quel percorso appena al suo principio. Comprendere gli aspetti di reciproco rispetto era in fondo stato inculcato in quello che era una comunità, perchè allora non applicarla anche ad una società ristretta di due persone? Era questo quindi quello a cui si doveva rifare per cercare di essere la miglior moglie possibile per Legolas? Al rispetto e la comunione di anima e corpo?

 

“Chillah sembri una vera Principessa!” Ruin le era corsa incontro. L’abito verde chiaro come i germogli primaverili le scendeva morbido lungo il suo fisico sottile, rimarcando le curve di un corpo che da poco aveva lasciato le forme acerbe della prima giovinezza. Ricami d’argento e perle di fiume decoravano il corpetto d’organza e lunghi drappeggi di seta le adornavano le maniche che raggiungevano gli anelli sulle dita mediane. I capelli intrecciati con fili d’argento che pendevano da una corona posta sulla sua fronte, erano lasciati ricadere flessuosi sulla schiena. Anche Raja e Ruin erano splendenti nelle loro vesti da cerimonia, con monili importanti sulla fronte l’uno di giada e l’altro di rubino.

“È qui che ti sbagli figlia mia, lei è una Principessa. La nostra Principessa.” La Storica si avvicinò alla ragazza, cercando di scavare con lo sguardo quello della sua Chillah per vedere in lei la fulgida bellezza di spirito di cui era sempre stata dotata. Ripercorreva quella vita fatta di rinunzie e vedeva con che cosa la stava ripagando. Le prese il viso fra le mani per posarle delicate le labbra poco sopra la base del naso. “Sei bellissima, Chillah!” le sussurrò prendendola poi fra le sue braccia.

“Sono così felice di avervi con me Raja.” Il sorriso che si scambiarono le due fu complice, gli occhi lucidi, persi e felici. Ruin le aveva afferrato la mano tenendola stretta con la sua più piccola, ma dalla forza propria di un’Ombra. Bussarono alla porta ed una delle ancelle ancora in opera nelle stanze andò ad aprire. Tutte si bloccarono inchinandosi a chi aveva appena superato l’uscio. Re Thranduil con la sua consorte Aurehen erano giunti a salutare Tirinîr prima di presenziare alla cerimonia, maestosi e belli come divinità lontane, racchiudevano in loro tutto lo splendore del Popolo delle Stelle. La prima ad avvicinarsi fu la Sovrana, che prese ad accarezzarle il viso affettuosa.

“Annag men glasson, Tirinîr iell nîn! | S – Ci fai dono di una grande gioia, figlia mia! | ” la voce della Regina risuonava come la più esperta melodia fra le mani di un suonatore d’arpa. Dolce il suo sguardo posato su quella fanciulla che aveva consentito a Legolas l’ebbrezza del vero amore. Era sincera nella sua graditudine dimostrata in un lieve inchino del capo, fermamente convinta che Tirinîr fosse da sempre scritta nel loro Destino. Era giusto che quella stesse per diventare sua figlia e che non fosse sua nipote, i sentieri del Fato a loro non erano dati conoscere e di certo quello così oscuro e misterioso, nato nell'ombra di un popolo maledetto da sé stesso, aveva prodotto il più grande dono che ella potesse auspicare. La felicità del proprio figlio.

“El o aglario, hervimin! | S – Voi di un grande onore, miei Signori! | ” Thranduil rimaneva poco dietro la sua sposa in silenzio aspettando che ella finisse. Le sistemò una ciocca di capelli, come una madre amorevole può fare con una figlia, per poi baciarle fronte e guance. Avrebbe voluto dirle tante altre cose, assisterla in quegl'ultimi istanti da singola entità che si stava plasmando e congiungendo con il suo doppio, ma sapeva che c'era qualcun'altro che aveva bisogno di parlarle. Evitò quindi di lasciarsi troppo trasportare dall'emozione e si volse in direzione delle due umane, allungando una mano specialmente alla bambina. Il terzo occhio di cui era fornita Aurehen le aveva consentito di avvicinarsi a Ruin con estrema facilità, era felice poi di pote godere dello spirito puro ed essenziale di una giovanissima vita, così libera dalle angustie da rendere libera anche chi percepisce il dolore degl'altri. Sperò che presto non fosse semplicemente una bambina ospite momentanea a calcare con i suoi leggiadri piedini la terra del Reame Boscoso, ma il sangue del proprio sangue anche solo per il breve tempo in cui i due sposini avrebbero abitato con loro.

“Ruin, Raja sarà bene raggiungere gli ospiti. Vi va di accompagnarmi?” la bambina, dapprima restia a lasciare la mano della sua Chillah, si convinse afferrando quella della Regina ed, assieme alle ancelle, si accomiatarono. Raja diede un'ultima carezza a Tirinîr  prima di accodarsi al piccolo drappello creatosi, la Guaritrice seguì i loro passi con lo sguardo fino a che scomparvero da dietro la porta.

“È già giunto questo giorno, il tempo non sembra mai abbastanza quando si vede sfilare con così tanta celerità, nevvero Tirinîr?” interruppe il silenzio il Sovrano. “Sei così cresciuta ragazza mia, lo vedo nel tuo sguardo, lo vedo in quello di Aurehen e lo vedo in quello di Legolas. Ma se osservo con attenzione lo specchio nel mio c’è molto di più: c’è la fierezza di aver superato le mie stesse imposizioni, quei vincoli dettati da quella caparbietà che hai trovato in mio figlio. Sono orgoglioso di essere stato anch’io partecipe alla tua rinascita Tirinîr.” Fin quando Thranduil non si mosse per dirigersi verso la scrivania, Tirinîr non si era accorta del piccolo scrigno d’argento che teneva fra le mani. Lo adagiò mantenendo le spalle alla ragazza, che poté solo udire lo scatto della serratura aprirsi e vedere le mani del Re armeggiare con il suo contenuto. Quando sollevò il misterioso oggetto, la fanciulla vide uno splendido gioiello brillare. “Questo è Nieniquë, lacrima bianca, il primo fiore a sbucare sotto il gelido manto dell’inverno, Bucaneve lo chiamano gli uomini ed è simbolo di speranza e vita. Sarebbe un privilegio che diventi anche il simbolo della vostra unione, l’amore nato dalle avversità, un fiore primaverile spuntato dal ghiaccio invernale.” Il Re si avvicinò alla ragazza invitandola a voltarsi a favore dello specchio. Tirinîr scostò la grande massa di capelli dal collo lasciando che Thranduil vi legasse la sottile catenina. Era di un metallo molto più luminoso dell’argento quasi bianco, i petali del fiore si stendevano sul suo petto aggraziati come se vi fossero scolpiti in rilievo e un diamante , in onore del suo vecchio nome, vi era incastonato tra le fini cesellature.

“Non so come ringraziarvi, Heruamin …”  con le dita andò ad accarezzare il sottile monile, mai si sarebbe immaginata di indossare un oggetto così prezioso e di certo non se ne sarebbe separata tanto facilmente.

“Questo che sto per dirti devi prenderla come una richiesta umile da parte di un padre, non un ordine del Re.” La fanciulla, che fino ad allora aveva parlato con il riflesso di Thranduil nello specchio, si volse verso quel segreto che veniva confessato al suo orecchio. Gli occhi grigi e magnetici del Re non trasmettevano il solito aspetto altezzoso ed imponente che la sua figura istitueva, ma erano ricoperti di uno strato di dolcezza e amore infinito nei confronti di Legolas. Quanto avrebbe voluto Tirinîr che quello sguardo fosse sul viso di colui che era morto per difenderla, era dura pensare che i suoi genitori non potessero assisterla se non di lontano guardandola di sottecchi, da un posto in cui lei non vi aveva ancora accesso. A quei pensieri si aggiunse una lacrima, lenta percorse il sentiero della sua gota ciondolando poi dal mento per infrangersi contro la pietra al centro del ciondolo che, come nutrita da quel liquido, scintillò quasi in maniera accecante. Thranduil spogliato delle sue vesti regali asciugò quella scia luminosa sul candido viso della ragazza, invitandola ad alzare lo sguardo su di lui. “La riconoscenza più grande sarà quella di vedere i miei figli felici. Perdonami se mi prendo la briga di considerarti come una figlia, il tempo che abbiamo trascorso insieme non è che di pochi granelli in confronto alla vita lunga e prosperosa che abbiamo davanti. Eppure posso affermare con sicurezza che se affrontassi l’intera eternità a cercare di comprendere la tua natura, non finirei di conoscere la vera Tirinîr, la fanciulla mezzelfo forte e tagliente come un diamante e dolce come una tiepida mattina autunnale, colei che con le sue qualità e con i suoi difetti ha conquistato un cuore simile al mio, ma custodito nel petto di mio figlio. Non piangere, figlia mia, oggi è un giorno lieto e di festa.” Disse infine asciugando una seconda goccia salina,che aveva superato tremula la barriera delle fulve ciglia. “Allontaniamo le lacrime al dolore passato e viviamo con un sorriso la felicità del presente. Non indugiamo più sell nîn, lasciamo che oggi sia Nessa ad allietarci con le sue agili danze e non Nienna con il suo canto a colmare il nostro udito. Andiamo dunque, mio figlio attende la sua sposa e non sarò io a farla tardare oltre.” Detto questo porse il suo braccio alla fanciulla che, ancora commossa, lo afferrò sentendo in quella presa tutta la sicurezza trasmessa. Era giunto il momento tanto atteso e tanto temuto.

 

Tirinîr, dopo quella giornata sfiancante, si ritrovava finalmente nelle sue stanze. Il cuscino dello scrigno, quello in cui il Re aveva portato il ciondolo suo dono alla fanciulla, divenne quella sera stessa il custode dell’anello d’argento che segnava la loro promessa di matrimonio. La sua mente vagava a quello che avevano appena vissuto ripercorrendo ogni istante, per paura che i ricordi più lieti si perdessero nei meandri della sua ormai spaziosa mente. Il suo arrivo, i canti e le danze, la tavola imbandita, gli addobbi floreali. Tutto registrato come uno sfondo nulla di più, perché vi era qualcosa di più importante che aveva catturato vista, udito ed olfatto, o meglio qualcuno. Il suo Principe a cui ormai era quasi indissolubilmente legata. Bello, come mai lo aveva visto prima, l’attendeva impaziente ed emozionato sull’uscio. Non la lasciò quasi mai, né con lo sguardo prima che la cerimonia avesse inizio né fisicamente poi, forse temeva che da un momento all’altro avesse qualche ripensamento e fuggisse in sordina dalla porta secondaria.

Eppure Tirinîr non aveva nessuna intenzione di andarsene. Se c’era mai stato un desiderio che lei nutriva era proprio quello di essere ufficialmente la consorte del suo Principe, la coronazione del suo perpetuo sogno d’amore. Molti anni addietro, ancora bambina, aveva chiuso gli occhi una notte abbandonandosi all’immagine di un ragazzo che le veniva incontro. Non ne distingueva le fattezze con precisione, circondato da una luce accecante non riusciva a scorgere troppi dettagli,  ma ne vedeva la fisionomia asciutta e slanciata, con lunghi capelli fin sotto le spalle. Quel sogno si ripeteva quasi ogni mese ed era sempre stata convinta che quello fosse Helluin, il suo vegliare costantemente su di lei ricordandole che ovunque fosse l’avrebbe sempre aspettata. Da quando conobbe Legolas, il ragazzo luminoso non fece più visita ai suoi sogni.

Il cuore della fanciulla perse un battito al ritorno di quella travolgente emozione di quando Raja e Thranduil posarono le loro mani congiunte. Quante volte vi era stato quel gesto apparentemente naturale e quanti significati poteva assumere. Era amore, rabbia quando era stata trascinata fino alle stalle, rispetto ed ora promessa. Promessa di restarsi accanto anche quando si è lontani, promessa di amarsi ed onorarsi per sempre, promessa di appartenenza che si sarebbe colmata quella notte. Il tutto in una semplice stretta di mano. Un patto, un’unione. Due Fëar congiunte nei loro brucianti fardelli, che attendevano le firme dei loro Hröar, miei signori. Vennero invocate persino le Potenze Supreme di Manwë Sùlimo, chiamato dalla voce di Re Thranduil, Varda Elentàri, nome proferito invece da Aurehen, ed Eru in  persona era stato interpellato a testimonianza della loro unione. Raja e Ruin erano state onorate di presenziare a tale rito, nessun appartenente alla linea secondogenita di Ilùvatar aveva mai potuto udire tale formula ed anche volendo ripeterla non vi sarebbero riuscite.

“Man nauthag? | S – [A] cosa pensi? | ” il flusso continuo di pensieri venne interrotto dall’unico che quella notte poteva accedere alle sue stanze. Legolas si trovava alle sue spalle ed allungava il suo braccio per posare anch’egli l’anello d’argento che indossava prima della cerimonia. Ora sui loro anulari destri spiccavano delle sottili vere d’oro, simbolo del loro amoree della loro appartenenza reciproca.

“Ripensavo alla giornata appena passata …” con calma calò il coperchio dello scrigno, facendo scattare la serratura per chiuderlo e riporlo. Quando ruotò con il corpo su sé stessa, si scontrò con il torace ampio e confortevole del suo amato. Le braccia di lui andarono a cingerle i fianchi, la fanciulla voleva soltanto ascoltare il suo cuore battere all’unisono con il suo, chiuse gli occhi e adagiò la guancia sul petto di Legolas.

“Spero con gioia …” disse accennando ad un morigerata ironia.

“Così tanta da non sapere come esternarla.” Rispose allora sorridendo verso l’elfo. Rimase ipnotizzata, incatenata a quegl’occhi che ora l’osservavano con cura e timore nel fare quel passo che avrebbe consolidato la loro unione.

Quando il volto di Tirinîr si sollevò dal petto di Legolas, egli vide le sue labbra tremare e si abbandonò posandovi le sue con piccoli sfioramenti delicati. Non era il loro primo incontro, ma in quell’esplorazione audace vi stava mettendo tutta l’attenzione e la premura che aveva nei confronti della sua novella sposa. La risposta positiva della ragazza, la quale parve assecondare le attenzioni dell’elfo, lo spinse ad azzardare delle carezze lungo la schiena seguendo la spina dorsale in tutta la sua lunghezza gentilmente, stringendo il corpo della fanciulla contro di lui con una pressione crescente. Cercava di essere il più cauto possibile anche se il fuoco della passione era divampato al primo tocco di quel bacio prolungato e inebriante che li stava coinvolgendo. Quando però le sue labbra scesero verso il collo della ragazza, ella ebbe un sussulto e da quelli che dovevano essere gemiti di piacere divennero un grido sommesso di terrore. Fu come un fulmine ad attraversarle il pensiero: sentire delle mani muoversi su di sé, le aveva fatto rinvenire ricordi orribili di altre non cortesi ed attente, ma rudi che prendevano ciò che volevano con forza, obbligandola a sottomettersi ad un volere più grande di lei. Bastò quell’istante in cui la mente sostituì il volto diafano dell’elfo con quello olivastro del Variag, che la fece divincolare dalla sua presa ed arrancare all’indietro per allontanarsi, andando a sbattere contro la scrivania che le bloccò ogni via di fuga.

“No!” gridò quasi istericamente e con la voce spezzata dal fiato trafelato dalla paura. Legolas fu sorpreso dalla reazione della fanciulla, ma la comprese immediatamente quando gli occhi di lei spalancati lo fissarono incredula. In preda alla vergogna abbandonò il viso sul terreno. “Scusami … non …”

“Non devi giustificarti, melamin. Capisco. Non è necessario, abbiamo molto tempo.”  affermò sereno, non trasmettendo lo sconvolgimento interno che aveva subito con il desiderio incalzante che aveva di lei.

“No Legolas, è stata una piccola debolezza. So che mi ami e che non faresti nulla che io non desideri, ma …” rispose prontamente la ragazza accostandosi nuovamente al suo amato, lui ne approfittò per carezzarle i capelli. Passare le dita fra quelle morbide onde gli donavano un immenso piacere tattile, gli occhi di Tirinîr brillarono nel buio e Legolas poté lasciar godere anche la sua vista della presenza della Guaritrice. “Anìron i vereth dîn, Legolas … | S – Desidero [essere] la tua sposa, Legolas | ” abbassò il tono mentre le sue labbra si approcciavano a quelle dell’elfo, disorientato e allo stesso tempo talmente coinvolto da sentire per una volta il suo corpo rispondere alla propria padronanza. Non era il momento di remore e paure, doveva solo amarla e rispettarla come aveva sempre fatto. La lasciò libera di agire secondo i suoi bisogni e quando la sentì completamente abbandonata e priva di ogni barriera l’afferrò tra le sue braccia e la portò su quello che sarebbe stato il loro talamo nuziale.

 

Quella notte fu governata dalle stelle, illuminarono a giorno la stanza che accolse il loro amore e benedì quel matrimonio. Tirinîr visse l’amore in quello Yavieba e seppe finalmente il significato di rispetto di anima e corpo. L’incubo vissuto dalla bella Adamante costretta a diventare il sollazzo di un uomo per garantire la stirpe venne solcato da un fossato, accrescendo ogni notte di parecchie leghe fino a diventare solo nebbia soffiata via dal primo vento. V’invito ad un nuovo brindisi e stavolta lo dedico al rispetto, perché solo con esso siamo capaci di ricostruire intere città. Alla Vostra salute, miei cari commensali. Quando sarete dalle vostre mogli ricordatevi del rispetto dell'amore.

 

 

Note dell'autrice: Buonsalvino a todos ^^! Scusate per il capitolo lunghissimo ma era necessario. Eccoci al matrimonio ... allora che dire ho cercato di infilare un pochino di tutto in questo capitolo: divertimento, amore, tensione e perchè no anche un minimo di eccitazione (nei limiti del rispetto della visione molto ligia di Tolkien) spero solo di non aver deluso nessuno non descrivendo la prima notte di nozze fra i due piccioncini, ma ho voluto mantenere lo stile del professore in questo lasciando semplicemente alludere a quello che sarebbe accaduto.

La cerimonia delle nozze rispetta a grandi linee quella che Tolkien ci ha fornito tra Leggi e costumi degl'Eldar. L'unica incongruenza che potreste riscontrare è che nessun umano aveva mai ascoltato la formula in cui si invocano i Valar e Eru ed invece presenziano Raja e Ruin, umane vero ma sono la sua famiglia quindi viene fatta un'eccezione. In teoria la parte che recita Aurehen dovrebbe essere di Raja nelle veci di madre di Tirinir, ma cede il posto alla Regina più adatta ad invocare i Valar (scusate non me la sono sentita di darli a chi non ne conosceva nemmeno l'esistenza). Spero di non aver offeso nessuno con queste libertà che mi sono presa, ho cercato di rimanere fedele ma ai fini della storia ho dovuto cambiare qualcosina.

C'è da precisare un'altra cosina per chi non ha letto il saggio che ho consigliato: la cerimonia descritta è una cerimonia narrata da Tolkien in realtà non necessaria ai fini del matrimonio. Essa viene celebrata solo ed esclusivamente per rendere le due famiglie partecipi alle nozze a rendere pubblica l'unione (in tempo di pace in realtà viene considerato scortese non effettuarla) . L'unione effettiva avviene solo dopo l'unione carnale e da questa la battuta di  Tirinîr "Desidero essere la tua sposa." (mia riflessione sempre per rendervi partecipi della mia mente povera e malata: si pensa che l'idea di matrimonio non appartenga alla società reale, in realtà è molto più vicina di quello che possiamo pensare. Non tutti sanno che se un matrimonio - parlo di un matrimonio di chiesa - non viene consumato si può annullare -più esattamente si ottiene una dispensa dal Pontefice-  quindi è un'altra parafrasi geniale del professore. Si può dire che io lo adoro!^^)

Bhè spero solo di non avervi annoiato con questo lunghissimo capitolo ma mi serviva per mettrere un po' di nervi a fior di pelle ai due che voglio dire ci stanno nel prima, tanto amore nel durante e tanto sollievo nel dopo. Ed ora arriva una delle parti che mi scervellano dall'inizio perchè tutto sto gran bailam (non so assolutamente come si possa scrivere.) per giungere proprio lì, nella Terra della Luna. E poi vi faccio un paio di regalini:

Anticipazioncina: ci saranno vecchi amici che ricicceranno nei prossimi capitoli, una bella rimpatriata. eh eh se volete metto il toto scommesse (Faramir ed Eowyn sono quelli meno quotati i più scontati insomma l'Ithilien è casa loro ^^).

Poi ho trovato il Pugnale di Helluin cioè è lui l'ho immaginato così, ho solo aggiunto la scritta incisa in caratteri tengwar e dato il bagliore speciale che possiede. Pugnale Helluin

Quando l'ho visto sono rimasta di stucco.

Infine vi volevo far vedere il Bucaneve (non il briscottolo il fiore!!!^^''' anche se un briscottino di quelli mmm gnam! io adoro i bucaneve - pubblicità occulta ghghgh) conosciuto come Niphredil (tra l'altro lo troviamo nel iSdA a Lòrien insieme all'Elanor) o Nieniquë (Quenya). La scelta è ovvia: un fiore che nasce sbucando dalla neve, il Fiore d'inverno, perfetto ed ecco la qualità che ispira il ciondolo:

bucaneve 

Credo di aver detto tutto quindi vi ringrazio sempre di seguirmi e vi mando un bacione grandissimo!!!^^

Mally.

 

   
 
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