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Autore: Beatrix_    24/07/2010    10 recensioni
Il duca di Gramont sembrava una persona davvero importante; trattava chiunque con maniere spicciole, guardando tutti dall’alto in basso. Ricordo subito ciò che pensai la prima volta che lo vidi: “è la persona più antipatica del mondo, speriamo davvero che se ne vada presto!”
Un nuovo personaggio arriverà a sconvolgere le vite, ancora giovani, di Oscar e Andrè e li obbligherà a fare i conti con se stessi e con il loro rapporto.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Villa Jarjayes – 2 Maggio 1774

 

ANDRE’: Il primo a muoversi fu il generale. Uscì dalla stanza come una furia, ordinando, secco, di chiamare un medico: presto, prestissimo!

Il dottor Lassonne fu in effetti molto veloce: arrivò in fretta, ma non potè far molto. Entrò nella stanza, dove io ero rimasto, immobile, incapace di allontanarmi, e tastò il polso di mio nonno. Poi gli aprì la giacca e la camicia e gli ascoltò il cuore. Dopo cinque minuti di visita si rialzò con sguardo grave, e si rivolse al generale, che lo aveva fatto chiamare: “Mi dispiace molto, signor conte ma... tutto quello che posso fare è constatare la morte di quest’uomo. Il decesso è stato provocato da un attacco di cuore, sarebbe stato impossibile per me salvarlo anche se mi fossi trovato qui nel momento in cui è avvenuto, sono desolato”.

Il generale accompagnò il medico alla porta, mentre il marito di Ophélie dava ordine ai domestici di ricomporre il corpo di colui che era stato mio nonno nella sua stanza da letto.

Io rimasi in piedi, nel centro della stanza, incapace di fare o dire alcunchè, ma nessuno badava a me. Morto. Il duca di Gramont che mi ero ormai abituato a considerare mio nonno era morto.

Non avevo mai provato affetto per lui, non provavo dolore ora. Era piuttosto una curiosa sensazione. Mi sforzai di cercare, nel mio cuore un briciolo di dispiacere ma non c’era; non poteva esserci. Ed ero libero. Finalmente libero.

Entrò in quel momento, quasi correndo, Ophélie: “Oh, Andrè, non stare così impalato in mezzo alla stanza! Nelle stanze del duca stanno allestendo la camera mortuaria, dovresti andare anche tu... Oh! Questa non ci voleva, eh? Mi dispiace tantissimo!”

Io aprii il viso in un sorriso, forse il primo sorriso vero da quando avevo assistito a quella patetica messa in scena della contessina d’Abeille.

Ophélie ne fu meravigliata: “Andrè, ma cosa...” scossi la testa: “Ma non capisci Ophélie? Non mi è mai importato nulla di quell’uomo, non può importarmene nulla ora che è morto!” Ophélie non  riuscì a sorridere. Forse perché era una donna, le notizie di morte la devastavano e rendevano infelice, chiunque fosse la vittima. Si passò una mano sul volto, poi mi prese per mano e mi condusse nella stanza che era stata di mio nonno, dove gran parte della servitù si dava da fare per sistemare le ultime cose: le tende tirate, le candele accese e i fiori che sarebbero arrivati in poco tempo.

Già dalla sera avremmo cominciato a ricevere visite: nei pochi giorni in cui il duca aveva frequentato Versailles aveva intrecciato molte relazioni di amicizia e soprattutto di cortesia, ed i visitatori sarebbero stati numerosi. Io, naturalmente, avrei ricevuto le condoglianze di tutti quanti, e mi aspettavano delle giornate piuttosto stressanti. Questo, era l’unico pensiero che riuscii a formulare su questa morte tanto improvvisa e inaspettata.

Ophélie rimase nell’anticamera, con le mani giunte e lo sguardo basso. Alexandre era lì, vicino a lei, ma non pensò nemmeno per un attimo di stringerla o almeno di rivolgerle la parola. Era, a suo modo, anche lui costernato, ma cercava di non darlo a vedere dirigendo la servitù: rimproverando quello e lodando quell’altro per il lavoro che stavano facendo. Io rimasi vicino ad Ophélie, senza sapere bene che dire o che fare, in uno stato di incertezza che mi creava disagio.

Qualche ora più tardi ci raggiunse il generale. Dimenticati tutti i conflitti, tutte le rivendicazioni e gli odi, c’era solo la commiserazione per quest’uomo che aveva, così di colpo, terminato i suoi giorni.

Mentre Ophélie continuava a vegliare mio nonno, suo padre mi chiamò da parte, ed uscimmo dalla stanza, la cui atmosfera stava diventando opprimente.

“Mi sono permesso” esordì in una conversazione, che sia per la circostanza che per il luogo, voleva essere molto informale “di sistemare alcuni affari di tuo nonno al posto tuo. Ho mandato uno a recuperare il suo testamento...” ed ebbe un attimo di esitazione “io spero davvero, per te, che in quel pezzo di carta tu sia riconosciuto suo erede, perché, in caso contrario...” e qui si fermò, senza saper bene come continuare.

Io scrollai le spalle: “In caso contrario non mi riprendereste a lavorare per voi, eh?” chiesi tra il serio e il faceto, ma lui mi ignorò e proseguì. “Ho inoltre mandato un messaggio alla reggia. Capisco bene come questi giorni siano segnati dalla profonda angoscia per la dolorosa malattia del nostro sovrano, ma ritengo che la morte di un tale eminente personaggio richieda almeno una visita di cortesia. Credo che questa sera dovrai incontrare gran parte della reggia...” io rimasi in silenzio; non c’era molto da aggiungere, ed aveva fatto un ottimo lavoro.

Stavo per ringraziarlo quando riprese a parlare: “Quanto a mia figlia...” “Sua figlia?!” chiesi io, interrompendolo: cosa poteva entrarci ora Oscar? “Mia figlia sarà qui questa sera e potrai parlarle...” “Perdonatemi ma non capisco...” chiesi sinceramente. Lui fece un mezzo sorriso, piuttosto enigmatico: “Ora non sei più costretto a sposare Monique D’Abeille, e se il testamento del duca sarà in tuo favore...” una serie di pensieri mi affollarono la mente, pensieri di lei, dei momenti in cui eravamo insieme e di quando eravamo stati felici “Oh, no generale, io non posso, cioè, sua figlia....” balbettai, ma lui si era già allontanato, ed io non ebbi nemmeno il tempo di ringraziarlo.

 

OSCAR: La notizia della morte del duca di Gramont mi raggiunse a Versailles, quando già era il tramonto. Una tragedia terribile, mi riferirono. Un attacco di cuore l’aveva colto nel primo pomeriggio, mentre discuteva amabilmente col nipote e col conte Jarjayes e non c’era stato più nulla da fare. Sapevo bene che avrei dovuto tornare a casa immediatamente, senza temporeggiare.

Non avevo voglia di sentire rimproveri da parte di mio padre così mi congedai in fretta e prima che fosse calata la sera ero a palazzo. La casa però, era già invasa dai numerosi ospiti, che avevano ritenuto opportuno venire a porgere l’estremo saluto al duca.

Sapevo anche che avrei dovuto parlare ad Andrè: non avrei potuto evitarlo. Lasciai Cesar nelle mani di uno stalliere e, prima di entrare in casa, tirai tre respiri profondi, preparandomi ad affrontare la situazione. Nell’atrio regnava il caos. Era perfino peggio della reggia di Versailles, il giorno che Luigi XV era caduto ammalato.

La servitù correva per le scale e nei corridoi, affaccendandosi in qualcosa che doveva essere molto importante ma di cui mi sfuggiva completamente il senso. Una piccola porzione di società mondana si trovava riunita nell’ingresso, e tutti si dirigevano verso le stanze del duca. Mi ci recai anch’io, cercando di passare inosservata, ma dovetti salutare più di una persona e stringere più di una mano prima di riuscire ad arrivare a quello che ormai sembrava un santuario.

Dento l’odore di chiuso, il fumo delle candele e l’olezzo appestante dei fiori non permettevano di respirare. L’ambiente era relativamente silenzioso, riempito solo di bisbiglii, conversazioni sotterranee di cui potei cogliere solo sporadici frammenti: “Sa com’è morto, duchessa?” “Certo dev’essere terribile, per il nipote, voglio dire...” “Povero duca, ma alla sua età, era inevitabile...”

Cercai, a fatica, Andrè, ed infine lo trovai, intento a scambiare convenevoli con la famiglia della d’Abeille. Una fitta mi trapassò il cuore. Me n’ero dimenticata. Come avevo potuto essere sciocca! Certo che ci sarebbero stati anche loro! In fondo erano quasi parenti, non avrebbero potuto esimersi da una tale visita!

Scappai, districandomi tra la folla che assediava la stanza, ma sulla porta fui afferrata per un braccio da Ophélie: “Oscar! Sei arrivata finalmente, è tutto il pomeriggio che ti aspettiamo” mi sussurrò uscendo fuori dalle due camere successive, per poter parlare a voce leggermente più alta.

“Sì, scusa Ophélie, ma ho saputo la notizia solo molto tardi e... nostro padre dov’è?” chiesi, tanto per sviare il discorso.

“Si occupa di sistemare gli ultimi affari del duca, volevi parlargli?” “No, no, io credo che andrò in camera mia... sai, sono molto stanca...”

“Oscar, ma cosa dici? Sei almeno andata a porgere le condoglianze ad Andrè? Che tragedia terribile....” “Io... sì, certo, ci sono andata” mentii spudoratamente “ed è proprio una tragedia terribile.... se vuoi scusarmi...” dissi cercando di divincolarmi dalla sua stretta e allontanandomi in fretta.

Percorsi a passo svelto molti corridoi, cercando solo di allontanarmi da quel luogo, e da tutta la società che da Versailles si era improvvisamente trasferita in casa nostra, scappai, ed infine arrivai nei pressi della stanza da lavoro di nanny. Decisi di entrare.

Nanny era intenta a cucire, come se nulla avesse intaccato l’ordine della casa, o sconvolto gli animi; come se non ci fossero decine e decine di persone di cui occuparsi. “Nanny...” quasi una domanda. “Oh, bambina cara, vieni, entra pure!” mi invitò lei, con un gesto della mano.

Io rimasi in piedi, facendo però qualche passo verso di lei. “Non sei con Andrè...” constatai, quasi chiedendogliene la ragione.

“No, no, che Dio me ne liberi! Certo che no! Non ho alcuna intenzione di commemorare un uomo simile, io!” Esclamò convinta.

Io annuii: non potevo capirla, ma con uno sforzo, potevo benissimo immaginare il suo poco rispetto per questo morto in particolare.

“E tu?” mi chiese “Sei andata a dare l’estremo saluto al duca?” “Io... sì, ci sono andata ma... non ho... avuto occasione di parlare con Andrè...” risposi cercando di non apparire troppo nervosa, cercando di controlarmi e di smettere di tormentare l’orlo della manica della camicia. Nanny annuì; sperai che avesse capito.

Io presi una sedia e mi ci raggomitolai sopra, riflettendo per la prima volta su come questo decesso avrebbe cambiato, nuovamente, la vita di tutti. “Sai, nanny...” pensai ad alta voce “io non credo che Andrè sia così dispiaciuto per la morte di suo nonno...” ma poi, temendo di averlo accusato di insensibilità, rettificai “Cioè, voglio dire, lo conosceva da poco ed inoltre...”

“Gli stava antipatico” commentò, lapidaria, nanny. Io sorrisi debolmente “Sì, ecco, appunto... Però stava antipatico anche a te perciò...” nanny mi fissò un attimo, togliendosi gli occhiali. “Vedremo” mi rispose, riprendendo subito il suo lavoro.

“Vedremo cosa?” chiesi io. “Se seguirò mio nipote al castello dei Gramont ora che il duca è morto, non era questo quello che volevi sapere?”.

Io scesi dalla sedia: avevo un piede addormentato e cominciai a passeggiare per l’angusto ambiente cercando di recuperare le mie facoltà motorie. “Sì, anche questo... tu... gli hai già parlato ad Andrè?” “Non ne ho avuto ancora occasione, perché?” mi rispose lei.

“Beh, sai, io credo che non l’abbia presa troppo male però... non si sa mai” conclusi con un’alzata di spalle. D’un tratto mi sembrò incredibile. Una persona era morta ed io e nanny ce ne stavamo qui, a chiacchierare dell’avvenimento come se fosse stato l’ultimo ballo di Versailles o l’ultimo vestito indossato da una delle mie sorelle. Sorrisi pensando che, con ogni probabilità, se avesse potuto, Andrè si sarebbe unito a noi. Possibile che quell’uomo non avevesse trovato una sola anima che gli volesse bene realmente? Possibile che non ci fosse nessuno a piangerlo davvero? Sospirai: questo era il destino di molti cortigiani; si passa la vita a chiedere e dare favori e poi puf! La morte ci sorprende e noi non abbiamo trovato nemeno un essere umano che ci voglia bene. Non volevo finire così i miei giorni, non volevo proprio.

“A cosa pensi?” mi chiese dolcemente nanny, ed io, risvegliandomi dai sogni, mi accorsi di essermi incantata in mezzo alla stanza, immobile. Per fortuna, il piede era tornato normale. Giudicai saggio evitare di mettere a parte nanny delle mie riflessioni e risposi invece. “Secondo te, a quest’ora, se ne saranno andati tutti?” nanny guardò l’orologio che possedeva e rispose che sì, pensava proprio non fosse rimasto nessun cortigiano nel palazzo. “Allora io... vado...” a salutare Andrè, avrei voluto aggiungere ma rimasi in silenzio.

“Buonanotte, bambina” mi rispose nanny, ed io fui felice pensando che, per fortuna, qualcuno che teneva a me c’era.

 

ANDRE’: Quando finì la processione era ormai notte fonda.

Tra le tante mani che avevo strette e le tante condoglianze ricevute, c’erano state anche quelle della famiglia D’Abeille. Il padre della ragazza era venuto a sincerarsi di persona che io, dopo la morte di mio nonno, non avessi cambiato idea su questo matrimonio. Io avrei voluto essere ipocrita e dargli tutte le rassicurazioni di cui aveva bisogno, perché non mi sembrava né il luogo né il momento adatto per dire che non ero mai stato d’accordo, e non avevo alcuna intenzione di sposare sua figlia, ma mi resi conto che se avessi ribadito la mia intenzione di sposare Monique, poi non avrei davvero più potuto tirarmi indietro. “Mi dispiace, conte, ma non sono mai stato intenzionato a sposare sua figlia, poiché ho la coscienza tranquilla ed il mio comportamento è sempre stato più che corretto nei vostri riguardi e in quelli di sua figlia, perciò credo proprio che voi possiate considerare sfumate queste nozze” avevo susurrato, poiché eravamo ancora nella camera mortuaria. “Davanti al corpo di suo nonno!” aveva esclamato stizzita la contessa, ma suo marito aveva giudicato saggio non ingaggiare una simile lite in quel posto e si era ritirato insieme al resto della famiglia.

Quando finii di stringere anche l’ultima mano potei finalmente lasciare la stanza, sollevato che fosse finita, almeno per quel giorno.

In giro non c’era più nessuno, i corridoi, data l’ora tarda, erano deserti. Il padre di Oscar si era occupato per tutta la serata delle questioni burocratiche connesse al decesso e io l’avevo tranquillamente lasciato fare. Ophélie si era ritirata presto con suo marito: il dottor Lassonne le aveva prescritto di riposare, ed Oscar non si era fatta vedere.

Uscii dalla stanza e chiusi bene la porta, poi, voltandomi, me la trovai davanti. “Andrè...” mi disse soltanto, e mi si allargò il cuore dalla gioia, solo perché era lì, e mi rivolgeva la parola, dopo quasi dieci giorni! “Ciao” risposi io, in maniera molto poco formale e con voce abbattuta. “I-io non sono venuta prima perché... c’era... troppa gente... Sai, mi dispiace che... insomma...” Io scossi la testa: “No, non ti dispiace esattamente come non dispiace a me...” liquidando brevemente l’argomento condoglianze.

“Ora che farai?” mi chiese mentre ci avviavamo insieme fuori da quel corridoio infernale “vado a mangiare qualcosa, visto che non ho cenato” risposi con un po’ di ironia: stare con lei mi faceva sentire bene, dopotutto; era come tornare a respirare dopo una lunga apnea, era ossigeno puro nei polmoni.

“No, dai smettila! Non dicevo questa sera, dicevo... in generale...” la guardai. Sembrava davvero interessata a ciò che avrei fatto della mia vita.

“Che t’importa?” le risposi invece: non le avrei dato la soddisfazione di conoscere questa sera, da me, se avrei sposato o meno la contessina D’Abeille. Tanto più che era ancora convinta chela sua ‘rivale’ aspettasse un bambino, e che il padre fossi io, perciò discutere con lei su questo argomento era inutile; non ci saremmo mai intesi. Lei a quella risposta si rabbuiò: “Niente, chiedevo soltanto” rispose con tono seccato.

“Bene, allora è meglio che io vada a dormire, domani sarà un’altra giornata lunga” si congedò poco dopo ed io mi diedi dello stupido per aver rovinato tutto in quella maniera. “Aspetta...” tentai, visto che eravamo quasi arrivati alle cucine “Hai... hai mangiato questa sera? Possiamo mangiare qualche cosa insieme...” lei mi guardò, tra il dispiaciuto e l’irato. “No, grazie, è proprio meglio che io vada a dormire” mi rispose e si allontanò a passo svelto, lasciandomi lì, senza più nemmeno la fame.

 

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Due cosa prima di tutto: intanto, so bene che il titolo del capitolo sembra comico, anzi grottesco ma giuro che non mi è venuto in mente niente di meglio!xD

Poi: tutte le cose che ho scritto in merito alle questioni di camera mortuaria/funerale/ testamento le ho inventate di sana pianta un po’ perché ero troppo pigra per reperire informazioni un po’ perché dubito che avrei trovato spiegazioni esaurienti. Per dirne una, non sono per nulla sicura che allestissero una sorta di “camera mortuaria” in casa... insomma, se ne sapete di più scrivetemelo perché, ripeto, in questo capitolo l’accuratezza storica è andata a farsi un giro!xD E anche nel prossimo non sarà molto presente...xD

Parlando invece dela morte del duca, beh, all’inizio non era in programma!xD Poi man mano che procedevo nella storia mi sono accorta che... che doveva andare così punto e basta! Anche se ora mi rendo conto che potrebbe apparire come una soluzione scontata per risolvere gran parte dei problemi che avevo accumulato nel corso della storia, ma vi assicuro che non è assolutamente per questo motivo che ho deciso di far prendere questa piega alla storia!

Per il resto: anche di questo capitolo sono abbastanza soddisfatta, non so perché ma è uno dei miei preferiti, però, come al solito, non fatevi problemi a dirmi se non vi è piaciuto/cosa si può migliorare etc.

Grazie mille a quanti hanno letto e soprattutto recensito il capitolo precedente, e se mi lasciate un commentino anche a questo ve ne sarò grata! :D

p.s. Ho inserito un altro disegno, nel capitolo 13 :-)

 

@lady in blue: Sì, lo sapevo che nell’anno in cui si svolgono i fatti Maria Teresa era ancora viva, ho riletto il pezzo e... boh, probabilmente mi sono lasciata prendere la mano: effettivamente il rivolgersi alla madre al passato non aiuta!xD Credo che cambierò il tempo verbale, magari migliora.

 

@ fighterdory: Riguardo al comportamento dei personaggi ne abbiamo discusso molto in tutta la storia. Io ho scoperto che è tremendamente difficile cercare di far muovere i personaggi in situazioni inimmaginabili per l’anime e alla fine ho fornito, ovviamente, una mia interpretazione personale: capisco che tu non possa essere d’accordo ma, come dicevo prima, ho scoperto che ognuno ha una propria opinione sull’IC dei personaggi... Riguardo invece al fatto che ti facciano rabbia posso capirlo, ma se vogliamo, è anche fatto apposta^^ Infine, riguardo al fatto che mi dilungo... beh, è vero, è un bisogno che ho, di analizzare e sviscerare le emozioni dei protagonisti per spiegare etc. questo ha portato appunto a scene e addirittura ad interi capitoli di “scarso interesse”. Ormai, questa storia è andata (è quasi finita!), per tutto quello che scriverò da ora in poi cercherò di tenerne conto!

 

@crissi: Sìsì, come hai visto in questo capitolo era proprio infarto! Non sono così creativa da pensare al vaiolo, anche se all’epoca era frequente!xD Che cretina è vero, non si può chiamarlo Luigi XVI!xDD Ho correto l’errore!

  
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