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Autore: KatNbdwife    24/07/2010    3 recensioni
In "Dopo di te" Lea e Bill si sono conosciuti, amati, lasciati. Ora come vivranno il resto della loro vita lontani?
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Chiuse nella stanza di Sue, armate di caffè caldo e pasticcini, le tre ragazze iniziarono a programmare il loro viaggio alla ricerca di Bill.

“La cosa più importante” iniziò Sue, sistemandosi di fronte al computer “è cercare un volo, sperando di trovarne uno al pomeriggio”
“Anche al mattino va bene” si intromise Lea “Le valigie le possiamo preparare stanotte”
“Va bene, ma ho una domanda” continuò Sue, mentre si dava da fare sul sito di Alitalia “Hai idea di quanto è grande Berlino?”
“Parecchio, direi” rispose Lea, sorseggiando del caffè.
“Aspetta” la fermò Sue, cliccando su una pagina web “Berlino ha 3.415.742 abitanti, sparsi per una superficie di 891,95 kmq! Mi dici come faremo a trovarlo se non possediamo nemmeno un indirizzo o un punto dal quale partire?”
“Mi sembrava strano che non ti fossi ancora fatta avanti con le tue teorie precise fino all’osso!” ironizzò Mandy “Ma tranquilla, ho io la soluzione: leggiamo i campanelli!”

Lea scoppiò a ridere, rischiando di strozzarsi con un pasticcino e la faccia buffa di Mandy fece capitolare anche Sue, che si portò le mani allo stomaco e si lasciò andare ad una fragorosa risata.

Ripresasi dallo scoppio di ilarità, Sue proseguì: “Seriamente, ragazze. Dobbiamo avere almeno un punto di riferimento, altrimenti sarebbe come cercare un ago in un pagliaio”
“Non voglio chiamarlo, deve essere una sorpresa” spiegò Lea, testarda “Voglio capitare lì all’improvviso”
“Sicura? Sei pronta a trovarti di fronte a qualsiasi cosa?” chiese Sue, insinuando nella mente di Lea un dubbio atroce.
“Di cosa parli?”
“Potrebbe non essere solo, Lea”

Un moto di stizza le attraversò lo stomaco, al pensiero di Bill con un’altra. Più volte lo aveva immaginato accanto ad un’altra ragazza, ma aveva sempre scacciato l’idea, come si scaccia una mosca che ronza intorno al viso. Solo che adesso, di fronte all’eventualità di bussare alla sua porta e trovarselo in dolce compagnia, si sentiva molto meno spavalda e sicura di sé. Come avrebbe reagito? Sarebbe stato semplice fingere indifferenza e voltargli le spalle? Del resto, era stata lei a lasciarlo e non poteva biasimarlo nel caso in cui l’avesse già sostituita.

“Lea?” la voce di Sue la riportò alla realtà.
“Sì, ci sono. Va bene lo stesso. Se ci sarà qualcun altro con lui ne prenderò atto”
“Perché non chiamiamo Georg?”

Due paia di occhi si spostarono su Mandy.
“Chiamare Georg?” ripeté Sue “Aspetta, quel Georg? Il ragazzo con i capelli lisci e lunghi? Quello che suona il basso?”
“Sì, ne conosci altri?” rise Mandy.
“Hai ancora il numero?”
“Certo. L’ho anche sentito un paio di volte, in questi mesi. Qualche messaggio, nulla di più”

Di nuovo, gli occhi di Lea e quelli di Sue si focalizzarono su Mandy.

“Cosa?” chiese Lea “Non ce ne hai mai parlato!”
“Lea, non volevo dirtelo, temevo ti desse fastidio. Indirettamente, avresti pensato a Bill e non sapevo se fosse la cosa giusta” rispose.
“Ti ha parlato di lui?” chiese Lea, con un filo di voce.
“No. Solo una volta gli ho chiesto qualcosa, ma ha risposto in maniera evasiva, dicendomi che stavano tutti bene, senza dirmi nulla di preciso”
“Potresti chiedere a lui l’indirizzo” propose Sue “Ovviamente, spiegandogli la faccenda”
“Sei d’accordo?” chiese Mandy, rivolgendosi a Lea che ora guardava un punto non definito della stanza di Sue.
“Credo sia l’unica soluzione, a questo punto”

Mandy si alzò, afferrò la borsa e ne estrasse il cellulare. Cercò il nome del bassista nella rubrica e inoltrò la chiamata. Dopo innumerevoli squilli, il ragazzo rispose: “Sì?”
“Georg? Ciao, sono Mandy” esordì la ragazza, parlando in inglese.
“Mandy! Ciao, che piacere sentirti! Come stai?”
“Bene, e tu?”
“Tutto bene! Stavo giusto per uscire”
“Ah davvero? Serata di svago?” chiese Mandy.
“Un paio di birre con Tom, nulla di più” ridacchiò Georg. Lea, nel frattempo, si era avvicinata all’amica, tendendo l’orecchio “Ma dimmi” proseguì il bassista “avevi bisogno?”
“A dire il vero, sì” Mandy si schiarì la voce e continuò “Sei solo?”
“Sì” rispose Georg, insospettendosi.
“Ho bisogno di sapere dove posso trovare Bill”
“Vuoi il suo numero?”
“No, voglio l’indirizzo di casa sua” proferì Mandy “E’ importante”
“Cosa succede?” chiese quindi Georg.
“Domani saremo a Berlino. C’è qualcuno che ha un disperato bisogno di vedere Bill, capiscimi”

Georg intuì perfettamente il nodo della questione e, senza far aspettare troppo la ragazza, le dettò l’indirizzo. Si fidava di lei, nonostante non la conoscesse molto. Sapeva che dietro a quella richiesta, inoltre, c’era Lea, la ragazza che aveva spezzato il cuore di Bill e che occupava, tutt’ora, buona parte dei pensieri dell’amico.

“Ti ringrazio! Mi hai salvata da una caccia all’uomo per tutta Berlino” rise Mandy “Ovviamente, questa cosa dovrebbe rimanere fra noi, almeno fino a quando non saremo arrivate”
“Certo” annuì Georg “Sarò muto come un pesce. Ah Mandy” aggiunse, prima di salutarla “questo è il regalo di Natale più bello che la tua amica possa fargli”
Mandy sorrise “Immagino. Grazie ancora e buona serata”

Interrompendo la comunicazione, Mandy guardò Lea che aveva iniziato a torturarsi un dito con i denti.

“Hai sentito?” Lea annuì, così Mandy riprese a parlare “Sue, prenota il volo, subito. Io vado a casa a preparare la valigia, per l’albergo ci penseremo quando saremo a Berlino. Lea, tu fai lo stesso. Ci sentiamo più tardi”

Sue si rimise al lavoro mentre Mandy e Lea uscivano dalla sua stanza, dirigendosi verso l’ingresso e poi verso l’auto.
Berlino non era mai stata così vicina.

**

Poco prima di mezzanotte, un messaggio di Sue raggiunse i cellulari di Lea e Mandy per comunicare loro i dettagli del volo. Sarebbero partite alle dieci, direzione Berlino. Nessuno scalo, volo diretto. Check in alle otto. Una comunicazione veloce, sbrigativa e sintetica, in puro “stile Sue”.

Era ormai l’una e Lea non aveva ancora comunicato a Marie la sua decisione. Era rientrata da un’ora, insolito per lei dato che avrebbe dovuto finire il turno non prima dell’una, ma Phil e Marie dormivano e non si erano accorti del suo arrivo.
In punta di piedi, per non svegliare il nipote, raggiunse la camera della sorella ed entrò. Si avvicinò a lei e le tocco una spalla, gentilmente. La ragazza emise un grugnito che fece sogghignare Lea, ma al secondo tocco si svegliò e accese la luce.

“Lea” borbottò “Ma che cosa succede? Che ore sono?” poi, senza aspettare risposta, guardò la radiosveglia e aggiunse “Ma è solo mezzanotte, che ci fai a casa?”
“Sono uscita prima da lavoro, perché ho preso una decisione importante”

Marie si passò una mano fra i capelli e si mise a sedere sul letto, squadrando la sorella con un’espressione che oscillava fra la preoccupazione e la curiosità.

“Cosa?” chiese, poi.
“Domani mattina vado a Berlino, non so quando torno”
“Scusa?”
“Hai capito, Marie. L’ho deciso stasera e… grazie”
“Grazie? Lea, non capisco nulla”
“Sai il libro che mi hai regalato? Leggendolo, ho capito di avere sbagliato tutto, con lui”
“Mi riesce difficile seguirti” rispose Marie.
“Lo so, ma fidati di me. Vado da Bill” disse, pronunciando per la prima volta, dopo mesi, il suo nome. Poi la strinse in un lungo abbraccio e le diede un bacio sulla guancia, prima di sgattaiolare via.
“Lea” la chiamò Marie, quando la ragazza era ormai fuori dalla stanza. Lea tornò indietro e si affacciò all’uscio “Buona fortuna, piccola”

**

Berlino in inverno è molto simile a qualsiasi altra città che faccia parte del medesimo emisfero, ma secondo la percezione di Lea, qualcosa la rendeva più speciale di tante altre. Non sapeva dire cosa fosse con esattezza, né se sarebbe mai stata in grado di scoprirlo, ma un piacevole senso di eccitazione l’aveva pervasa, facendola sentire libera come mai si era sentita prima.
Secondo Mandy, l’inguaribile romantica, il merito era di Bill che, per Lea, era molto simile al Principe Azzurro che faceva assomigliare quella metropoli ad un regno delle fiabe. Sue e Lea avevano riso quando l’amica aveva esposto la sua teoria ma forse non era poi così sbagliato il suo pensiero.

Con un taxi, si fecero portare all’indirizzo che Georg aveva dato loro, dopodiché scesero dalla vettura, pagarono la corsa e rimasero in piedi di fronte alla casa dei gemelli senza muoversi.
Era una piccola villetta a due piani, di mattoni a vista, circondata da un cancello di ferro oltre al quale si poteva scorgere un prato ben curato e un albero d’alto fusto. A sinistra, si intravedeva un garage chiuso e nessuna delle tre ragazze seppe dire se ci fosse qualcuno in casa.
Lea si accese una sigaretta mentre pensava al da farsi, quando una porta a pianterreno si aprì e ne uscì una donna di età imprecisata, stretta in un cappotto marrone. La videro armeggiare con i bidoni della spazzatura e gesticolare vistosamente, mentre pronunciava parole che le ragazze non captarono. Poi, così come era comparsa, sparì di nuovo all’interno della villetta.

“E quella chi era?” chiese Mandy.
“La governante?” ipotizzò Sue.
“Magari la madre” continuò Mandy.
“La madre dovrebbe essere bionda” disse infine Lea “Non credo sia lei”
“Ecco, esce di nuovo” Mandy indicò con un dito la signora che, a differenza di poco prima, ora si avvicinava al cancello “Oh cazzo, esce proprio!”
“Fingete indifferenza” ordinò Sue “Io faccio finta di parlare al telefono”

La buffa scenetta messa in piedi da Sue funzionò, poiché la donna passò loro accanto senza degnarle di uno sguardo e si allontanò a piedi, borbottando.

“E’ andata” sospirò Mandy “Queste cose mi mettono l’ansia!”
“Adesso devi entrare, Lea. Vai, tocca a te”
“Se non fosse in casa?”
“Aspetteremo che ritorni, ma almeno prova a suonare”
“E se…”
“Lea vai!” la spinse Mandy, noi andiamo a cercare un bar o qualsiasi cosa che ci somigli e aspettiamo tue notizie, ok?”
“Ok” mormorò la ragazza, tremando “Vado”

**


“Tom!!!”
La voce squillante di Bill raggiunse il fratello, intento a sfogliare un giornale sul divano. Quel tono significava solo una cosa: guai. Ormai conosceva il suo gemello fin troppo bene, del resto erano la stessa persona ma divisa in due. Ma da un paio di giorni a quella parte, Tom cercava di non prendersela troppo per le sue sparate, dato che stranamente sembrava aver ripreso vita.

“Cosa c’è?” urlò, di rimando.
“La maglia nera!!!”
“Che maglia?” chiese il gemello.
“Quella nera con la scritta bianca! Dov’è?”
“Come cazzo faccio a saperlo, Bill?” rispose Tom.
“Era qui e adesso non c’è più! L’hai presa tu?” continuò Bill, comparendo in salotto a petto nudo.
“Primo: non metto le tue maglie. Secondo: è molto probabile che l’abbia presa Rosalie, non credi?”
“Cazzo! Volevo mettere quella!” protestò Bill.
“Hai l’armadio pieno di maglie, scegline un’altra! E sbrigati, ho detto ad Andreas che saremmo stati da lui alle tre!”

Mentre Bill tornava, sbuffando, in camera, il campanello squillò.

“E adesso chi c’è?” protestò Tom.
“Che ne so! Vai ad aprire, io vado a vestirmi. Se è Rosalie, chiedile della maglia!”
“Sì certo, come no” commentò Tom ironico, alzandosi dal divano e raggiungendo il citofono “Sì?” chiese quindi.
“Tom?”

Sul subito, il ragazzo non riconobbe quella voce. Del resto, aveva parlato poche volte con Lea e c’erano dei giorni in cui nemmeno ricordava con esattezza il suo viso. Per quanto fosse bella, non aveva mai posato gli occhi su di lei con troppa attenzione, per rispetto nei confronti del gemello.

“Sì” rispose, stando in guardia. A volte era capitato che qualche ragazza, che chissà come aveva scoperto il loro indirizzo, suonasse alla loro porta in cerca di un autografo.
“Sono Lea”

Tom si immobilizzò. Lea. In un attimo,il suo cervello collegò quel nome a quel viso, per poi unire il tutto in un unico filo conduttore che portava a Bill.

“Chi è?” urlò Bill, dalla stanza. Tom non rispose e sottovoce, disse: “Quella Lea?”
“Ne conosci altre?” chiese la ragazza “Sto cercando tuo fratello”. Il “click” della porticina del cancello fu l’unica risposta che Lea ottenne.

“Tom chi è?”chiese di nuovo Bill, uscendo, questa volta dal bagno, con in bocca lo spazzolino da denti e il dentifricio che gli colava sul mento.
“Pulisciti e mettiti una maglia, cazzo!” lo rimproverò Tom, bonariamente.
“Sei scemo? Piuttosto, chi cavolo era?”
“Il postino” mentì Tom, uscendo dalla porta d’ingresso.
“Il postino?! E dove vai?”
“Aspetta, torno subito”

Bill, perplesso, rimase in piedi in mezzo al corridoio, mentre il dentifricio gli sporcava ulteriormente il mento. Qualche istante dopo, la porta si aprì di nuovo ma Bill non vide il gemello.

**
Quante bestemmie mi state tirando dietro? xD
Ok, ammetto che FORSE far terminare il capitolo in questo modo è un po' da sadomasochisti xD
Kate
   
 
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