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Autore: Akemichan    25/09/2005    2 recensioni
Un triangolo a tre fra una famosa regina, il suo più fedele servitore e una pittrice... Ai tempi dell'antico Egitto!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Antichità
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Tuthmosis respirò profondamente l

 

Tuthmosis respirò profondamente l’alito di Shu che gli entrava nei polmoni, così forte e così caldo, sulle rocce aguzze che sormontavano la Grande Prateria. Da quando era stato incoronato, non era mai venuto in quei luoghi, e non era mai rimasto così solo. Aveva preferito restare a palazzo ed imparare almeno le procedure amministrative che sorvegliavano l’Egitto da secoli. In quegli anni si era impegnato molto e, se non era ancora riuscito ad imparare totalmente cosa significasse essere Horus e Seth, almeno sarebbe stato un monarca con una buona capacità burocratica.

Quel giorno, nel quale ricorreva l’anniversario della liberazione dagli Hyksos, a palazzo era stata organizzata una grande battuta di caccia e lui, che avrebbe dovuto capitanare una squadra, ne aveva invece approfittato per liberarsi un po’ dagli impegni che, per quanto potesse sforzarsi, sembravano insormontabili per le sue spalle ancora troppo deboli.

La valle dei Re gli piaceva, perché si sentiva a contatto con i sovrani passati, che avevano provato le sue stesse sensazioni. Camminando in quei luoghi, si sentiva più a casa che nel suo stesso palazzo, e i suoi sentimenti uscivano liberi e scorrevano come il sangue nelle vene, tornando più forti e più dolci, capaci di proteggerlo come una corazza.

Arrivando alla fine del dirupo, potè notare, dall’altra parte della roccia, il tempio funerario di Hatshepsut, che emanava la stessa tranquillità della valle che aveva appena percorso. Pensando che a quell’ora non avrebbe dovuto esserci nessuno a lavorare, decise di entrare per dare una controllata. Il soprannome che aveva l’edificio era certamente dovuto alla sua struttura magnificente, ma Tuthmosis era più interessato ai dipinti sulle pareti: invidiava un poco le persone che erano in grado di creare ciò che volevano con il solo utilizzo di un pennello e un liquido colorato.

La prima scalinata e la porta d’ingresso dovevano essere ancora completate, perciò non si ci soffermò molto, iniziando a camminare circospetto lungo le altre sale. Si vergognava come un profanatore di case d'Eternità, sebbene in quel tempio non ci fosse ancora sepolto nessuno. Era come entrare in un altro mondo, talmente estraneo al suo da apparire soffocante.

«Maestà!»

La sua visita fu disturbata e lui perse tutta l’energia che aveva accumulato fino a quel momento. «Nehesy…» mormorò riconoscendolo. «Che ci fai qui?»

Il visir avrebbe potuto fargli la stessa domanda, ma non poteva, trattandosi del suo sovrano. «Volevo guardare l’affresco che la regina mi ha fatto dedicare per i miei meriti» spiegò, rialzandosi dall’inchino che aveva appena fatto per onorarlo. «Ho pensato che fosse meglio venire quando non c’era nessuno…»

Tuthmosis gli si affiancò. «Ah, giusto, il merito della spedizione a Punt…» disse con leggero sarcasmo, mentre si metteva a guardare l’affresco con occhi annoiati.

«Devo dedurre che l’esito della spedizione non sia stato di tuo gradimento?» Nehesy si sentì leggermente offeso, visto l’impegno che aveva messo in quella missione pericolosa che Hatshepsut aveva voluto affidare a lui solo, ritenendolo l’unico capace.

«Oh, no» rispose Tuthmosis con noncuranza. «Vino, avorio, gemme… Hai portato tante belle cose…» In realtà, sembrava che delle imprese di Nehesy poco gliene importasse. Si interessava maggiormente al disegno, che non lo soddisfava affatto. Non che non fosse bello, o poco proporzionato, eppure non possedeva quell’energia che lui si aspettava di trovarci dentro.

«Non sono state sufficienti?» chiese ancora il visir, che al contrario attribuiva alla sua avventura più importanza che alla sconfitta di Apopi.

«Si, invece» Ecco, il paesaggio dipinto sulla parete non era Punt. E non era neppure l’immagine che il disegnatore aveva di Punt. Consisteva di più in una via di mezzo fra le due cose e il risultato era veramente scadente. «Solo che io non avrei perso tempo per una spedizione del genere…» Se l’akh di Sinuhe fosse capitato in quel luogo, avrebbe probabilmente preferito essere divorato da Ammit, piuttosto che sopravvivere assieme ad un oggetto del genere. L’affresco avrebbe dovuto dare l’idea di essere a Punt, invece lasciava l’osservatore nello stesso posto devo si trovava. «…specie quando i nostri confini sono minacciati»

Nehesy si accigliò. «Vuoi forse insinuare che gli ordini di sua maestà sono sbagliati?»

Tuthmosis fece un respiro profondo: odiava parlare con persone che amavano, nel vero senso della parola, così tanto Hatshepsut da fraintendere ogni sua singola parola come un insulto personale. «No, dico solo che bisognerebbe pensare anche un po’ alla guerra, e non solo alla pace» cercò di spiegarsi. Sapeva il motivo che aveva spinto la regina a non intraprendere nessuna azione militare, e lo aveva capito, ma continuava a non condividerlo. «I principi degli stati cuscinetto si stanno facendo troppo indipendenti, ultimamente… Bisognerebbe dar loro una lezione sulla potenza dell’Egitto»

«Sua maestà Hatshepsut ha voluto solo il bene dell’Egitto!» iniziò a strillare Nehesy, che continuava a fraintendere le sue parole, nonostante si trovasse davanti al suo sovrano. «Era da prima degli Hyksos che le Due Terre non avevano un periodo di pace e prosperità come questo! E le terre che abbiamo perso sono niente al confronto!» Riprese fiato, cercando di moderare la voce, trovandosi comunque di fronte al suo sovrano. «Puoi andarci tu in guerra, Faraone…» Ed marcò questa parola, per ricordare al giovane che, in realtà, non comandava affatto.

«Che Seth ti porti!» esclamò arrabbiato Tuthmosis. «Vai immediatamente fuori di qui!» E senza aspettare che obbedisse, passò nella camera successiva, e in quella dopo ancora, cercando di calmasi, finchè non giunse in fondo all’edificio. Non sopportava Nehesy, che si dava arie da gran guerriero ed esploratore, mentre probabilmente non aveva mai combattuto, nemmeno con una banda di beduini. Ma gli avrebbe dimostrato quanto si sbagliava: gli augurò di non morire prima di vederlo andare sul campo di battaglia, alla testa delle sue due divisioni, e sconfiggere il nemico.

Tirando un respiro profondo, si guardò finalmente intorno e sentì il suo cuore accelerare i battiti come mai gli era capitato prima d’ora. I disegni su quelle pareti erano… vivi! Guardando l’immagine di Amon, che presentava Hatshepsut all’assemblea, gli sembrava di sentire la voce del dio risuonargli nelle orecchie, e le immagini tremolavano davanti ai suoi occhi come se si muovessero. Percepì di essere diventato lui un affresco dipinto sulla parete, che osservava quella scena immobile e impossibilitato a farlo. Lentamente, alzò una mano per accertarsi che non fosse proprio così.

«Per favore, non toccare» lo interruppe una voce. «E’ ancora fresco» Una donna era entrata nella stanza dall’altra porta, e adesso lo stava guardando, ma senza rimprovero alcuno. Tuthmosis obbedì, perché mai avrebbe voluto rovinare quella scena. Rimase quindi ad osservarla, posando lo sguardo sui suoi capelli ricci e lunghi e sul suo vestito leggero, che nascondeva un corpo ancora snello. La mano sottile teneva ancora stretto nel pugno un pennello sottile, che gocciolava di rosso come se fosse stato sangue. Bastava la sua sola presenza, infatti, a rendere vivo il colore.

Anche lei lo osservava, traendo le sue conclusioni personali. Era un bel ragazzo, giunto probabilmente alla sua diciottesima Inondazione, con i lineamenti delicati, che dimostravano da quanto poco tempo avesse lasciato l’infanzia alle spalle, e gli occhi neri, ma scintillanti come il cielo stellato. Benché non lo avesse più visto dal funerale di Tuthmosis II, lei non fece fatica a capire di chi si trattava. Poi, con una leggera alzata di spalle, ritornò nella stanza da dove era venuta e si rimise al lavoro. Tuthmosis non poté resistere alla tentazione di seguirla per ammirarla all’opera. Anche le nuove pareti, sebbene ancora incomplete, davano già una sensazione di vita e spazio aperto.

«Hai disegnato tu il racconto della spedizione a Punt?» le chiese, sapendo già la risposta.

«No, è stata Hebi»

Tuthmosis sorrise soddisfatto. «Sappi che quello là non si merita affatto i tuoi disegni, visto poi il lavoro che fa…» Dato che lei non gli rispondeva, continuò: «non credi anche tu che sia inutile vantarsi delle proprie imprese quando i principi confinati dichiarano guerra?»

«Direi di si…»

«Allora sei d’accordo con me!» esclamò soddisfatto il ragazzo.

«Però bisogna dire che Nehesy è stato abile a riportare così tante merci a poco prezzo da Punt e, inoltre, i territori persi non sono di capitale importanza»

«Quindi?» Tuthmosis batté leggermente un piede a terra. «Sei d’accordo con me oppure no?»

Lei si limitò ad alzare le spalle. «Io devo solo obbedire agli ordini di Ptah»

«Ma non hai un’idea tua?» Lui inarcò un sopracciglio, mentre le guardava la schiena, sperando che si voltasse. La trovava veramente strana. Forse perché era abituato ad essere circondato da persone che avevano fin troppe opinioni personali e cercavano in convincerlo che fosse giusto solo come la pensavano loro.

Finalmente, si girò a guardarlo «No» Involontariamente, il suo sguardo si abbassò sul suo petto nudo, muscoloso, ricoperto da lividi per i duri allenamenti a cui si sottoponeva. Se ne vergognò, e subito dopo si vergognò per essersene vergognata. Era stato un semplice movimento, di cui lui non si era nemmeno accorto. Niente di imbarazzante. «Ma se pensi che la tua idea sia corretta, seguila» Si voltò, incapace di reggere un minuto di più lo sguardo di quel ragazzo, che parlava di cose ancora troppo grandi per lui, e tornò a dipingere.

Solo allora, Tuthmosis si ricordò di una persona che aveva sentito nominare da Hatshepsut stessa, in tono molto malinconico, e che corrispondeva alla donna che aveva davanti. «Ho capito chi sei…» mormorò allora, senza preoccuparsi di infastidirla. «Tu sei Teti, quella che ha dipinto la tomba di mio padre…»

«Così mi hanno chiamata mio padre e mia madre» rispose semplicemente lei, simile ad una pietra sotto la pioggia dirompente. Eppure, in fondo al cuore si sentì un poco orgogliosa che addirittura lui la conoscesse.

«Dicono che tu sia una grande amica della reggente e del suo amante, Senmut…» continuò Tuthmosis imperterrito, nonostante questa fosse solo un’illazione che si era sparsa a palazzo, solo perchè lei era stata scelta come caposquadra al posto di Hebi, la moglie di Nehesy, che godeva di maggior considerazione grazie al suo carattere solare. «Hatshepsut non ha mai confermato…» Ed era vero, a parte quell’unica volta in cui l’aveva nominata, e solo a lui, quasi in segreto.

Perché le persone continuavano a ricordarle la loro amicizia infranta? Un tempo, quand’era ancora giovane e ingenua, aveva creduto all’illusione che qualcosa potesse durare per sempre. Adesso, invece, sapeva che nulla era eterno, tranne gli dei. E gli dei, per Teti, non erano meno deboli degli uomini, nelle loro passioni. Ed erano, perciò, infinitamente più tristi dei mortali, perché non vi era via d’uscita dai sentimenti. Per questo aveva scelto la strada meno semplice, ma più sicura: la totale indifferenza da qualunque cosa. Ma era solo un’illusione che si stava creando, e che non la faceva affatto soffrire di meno, ricordando ciò che era successo. «Dicono male» Teti iniziava ad essere seccata da quell’atteggiamento. Curioso, lei aveva una pazienza infinita a sopportare i seccatori. Perché quel ragazzo la irritava tanto? Era il Faraone, a maggior ragione avrebbe dovuto tollerarlo. Si chinò, cercando di ristabilire la sua solita espressione indifferente, e inizio a mescolare l’ocra rossa nella ciotola di porcellana.

In un attimo, Tuthmosis si gettò sopra di lei, immobilizzandola a terra per i polsi, come, molte Inondazioni prima, aveva fatto anche Senmut. Non era vero e lo aveva capito, perché quella frase aveva lo stesso tono della regina, quando le aveva raccontato della pittrice dalle mani di Ptah. «Che direbbe Hatshepsut, se adesso ti violentassi?» Era solo un’ipotesi. Sapeva bene che lo stupro, in Egitto, era punito con la pena di morte: aveva voglia di spaventarla e di farla reagire. Non sopportava l’indifferenza che dimostrava, specialmente nei confronti della sua matrigna, che, invece, gli era parsa molto triste.

Il cuore di Teti accelerò all’improvviso, sconvolgendola. Era il suo fiato, il fiato di Tuthmosis, che le attraversava leggermente il collo, ciò che la imbarazzava, ciò che le faceva tremare ogni singola fibra. Non erano le sue parole, le quali, semplicemente, avevano attraversato la sua mente veloci come il veleno di uno scorpione. «Niente» mormorò lei, cercando di mantenere sul volto un’espressione totalmente indifferente. «Ma tu fa ciò che devi» Non che Teti non avesse paura di essere violentata, semplicemente aveva cercato di autoconvincersi che nulla, all’esterno, fosse capace di ferirla. Un autoinganno, peggiore di qualsiasi altra cosa.

Tuthmosis allentò la presa sui polsi di lei, sorpreso che nemmeno quello avesse funzionato. «Sembra che non ti importi nulla…» sussurrò lievemente. «Niente di ciò che ti accade intorno»

«Ho smesso di farci attenzione» rispose Teti, con il calore che le aumentava fino al viso. «Ho perso troppo per desiderare qualcos’altro»

«O, forse, non hai mai avuto nulla…» Tuthmosis si chinò dolcemente, fino a sfiorare le sue labbra con un bacio così lieve che sembrava un soffio di vento sulla pelle. Quant’era diverso da quello di Senmut! Questo era così… Così… Teti chiuse gli occhi, cercando di assaporare ogni momento. Lui, senza nemmeno rendersene conto, premette un poco più forte, non per farle male, ma per prolungare quel piacere, tanto che far penetrare la lingua fu quasi un gesto naturale.

Durò finchè entrambi non furono costretti a prendere fiato. A quel punto, un leggero rumore di passi si sentì provenire lungo il corridoio. Tuthmosis, di scatto, si alzò. Poggiò una mano sulle labbra, sconvolto. «Io… Io… S-scusa…»

«Un Faraone non deve chiedere scusa…» Teti si rialzò tremando. Che cosa stava facendo? Le lacrime le uscirono da sole, senza che lei riuscisse in alcun modo a controllarle. Era terribile. Dopo aver passato così tanto tempo a cercare di essere indifferente a tutto e a tutti… Il sentimento che provava in quel momento era tale da farle scordare ogni cosa. Il battito, accelerato, le ronzava nelle orecchie, pulsando dolorosamente nelle tempie. Allorché i passi lontani divennero più nitidi, Tuthmosis scappò via, lasciandola in lacrime.

«Teti, che Iside ti conceda una buona giornata!» Il viso sereno di Senmut, segnato sulla fronte da leggere rughe che lo rendevano più maturo, comparve sulla porta.

All’istante, lei si voltò, asciugandosi in fretta le lacrime e iniziò a dipingere, senza rendersi veramente conto di ciò che toccava con le lunghe dita macchiate di rosso. «Ho molto da fare…» riuscì a dire, deglutendo l’ansia che le saliva frettolosamente sulla gola. «E anche tu, immagino»

Lui sbattè le palpebre, stupito. Teti era sempre stata felice di vederlo. Per lo meno, felice nel limite delle possibilità di quella ragazza, che raramente mostrava al pubblico i suoi sentimenti. Dalla morte di Tuthmosis II, poi, quei momenti si erano ridotti al nulla. «Si, in effetti…» mormorò imbarazzato. «Come procedono i lavori?»

«Bene, se mi lasci lavorare» Il suo tono era tremendamente seccato, poiché stava continuando a pensare intensamente: «vattene! Vattene!» Lei, però, non lo faceva per impedire a Senmut di vederla piangere, ma perché, in quel momento, desiderava avere qualcun altro accanto.

«Va bene» acconsentì infine lui, tristemente, mentre si allontanava a piccoli passi dalla stanza, nella speranza che lei lo richiamasse. Speranza vana. Certo, Senmut aveva sempre desiderato che Teti mostrasse apertamente le sue emozioni, ma non che questo avrebbe portato ad una specie di odio verso di lui. In fondo, se lo meritava, ma non credeva così tanto.

Quando lei smise di sentire il soffice rumore dei sandali sul pavimento di pietra, Teti alzò finalmente lo sguardo, per rimirare il suo dipinto. Nella confusione, il viso di Hatshepsut era diventato rosso, come l’ocra che aveva ancora sulle dita. Senza curarsi di ciò che poteva capitare al dipinto, lei vi appoggiò un braccio, sospirando. Cosa le stava accadendo? Perché aveva scacciato in questo modo Senmut? Erano già passate molte lune dal loro ultimo incontro… La realtà era che, per la prima volta in vita sua, lei era felice.

«Teti…»

Il sentire nuovamente la sua voce procurò un ulteriore accelerare del suo cuore, già debilitato, e i brividi si propagarono lungo tutta la spina dorsale, fino a giungere al suo viso caldo. Si voltò verso di lui, che sorrise nel non vedere più un’espressione indifferente. Sembrava ringiovanita. Teti strinse le mani, cercando di resistere ad un impulso improvviso. Fallì. Si avvicinò a lui, appoggiando le mani sulle sue guance, lasciando così due segni rossi. Poiché erano alti uguale, da quella posizione era facile sentire il respiro dell’altro, sentirne i battiti, i brividi, l’ansie e le aspettative. Da quella posizione era facile baciarsi.

«No…» mormorò Teti debolmente, sentendo il sapore delle sue labbra come miele e latte. «Non possiamo!» Si staccò, rimanendo ad osservarlo con evidente dispiacere.

«Perché no?» Il disappunto comparve sul viso di Tuthmosis, mentre si leccava le labbra, cercando di trattenere il gusto che aveva sentito per più tempo possibile. «Insomma… Ci siamo appena conosciuti, lo so… Ma io…» Le parole per descrivere ciò che provava non venivano, poiché non ve ne erano.

«Sono troppo vecchia per certe cose» commentò Teti. «E tu sei sposato»

«Menti» scosse la testa lui. «Non sei certo così fedele alle regole…» Si tolse la semplice parrucca nera che indossava, lasciando libera la testa, dalla quale era stata da poco tagliata la treccia dell’infanzia. «Io non amo mia moglie. Come potrei amare la figlia dell’assassina di mio padre? E per l’età… Horus ama Hathor, benché lei sia nata col sole»

«E’ vero…» sorrise Teti. «Io non ho mai rispettato le regole…» Si strinse nelle spalle. «Forse sbagliamo, e verrà fuori un disastro… Tutti conoscono gli ingredienti dell’amore, ma le dosi le dobbiamo inventare al momento…»

«Io lo voglio più dolce delle focacce al miele…» disse Tuthmosis. «Perché sarà l’unica cosa vera nella mia vita. L’unica mia veramente. L’unica che voglio donare a te, affinché nessuno possa portarmela via»

«Ti amo, Tuthmosis» Teti aveva dovuto aspettare trentatre Inondazioni, prima di capire che ciò che provava per Senmut non era amore. Era solo abitudine.
   
 
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