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Autore: KatNbdwife    26/07/2010    2 recensioni
In "Dopo di te" Lea e Bill si sono conosciuti, amati, lasciati. Ora come vivranno il resto della loro vita lontani?
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La chiamata di Lea raggiunse Sue proprio mentre i suoi occhi scrutavano, intensamente, il cerchietto di metallo che avvolgeva le labbra di Tom, cercando di non farsi notare.
Quando interruppe la comunicazione, in un inglese balbettante, annunciò: “Lea e Bill ci aspettano a casa, cioè a casa vostra” si corresse, guardando Tom “Dicono di raggiungerli”

Si alzarono, pagarono ed uscirono dal locale dirigendosi verso casa dei gemelli. Una volta arrivati di fronte al cancello, Tom estrasse una chiave ed aprì la porta, facendo galantemente passare prima le ragazze per poi scortarle fino all’ingresso.

La villetta era graziosa, immersa in un prato verdissimo, disposta su due piani. A pianterreno, ipotizzarono le ragazze, doveva esserci una taverna o qualcosa di molto simile, forse utilizzata per provare o per dare qualche festa, mentre una scala con il corrimano nero conduceva al secondo piano, il vero centro della casa.

Tom entrò senza bussare, del resto era casa sua, e il gruppetto fu subito investito da un piacevole odore di pavimenti puliti e bucato appena stirato.
L’arredamento era essenziale e giovanile, colori scuri ma ugualmente accoglienti, accessori saggiamente piazzati qua e là, qualche tappeto e qualche quadro alle pareti.

“Bill, siamo qui!” urlò Tom, buttandosi sul divano e facendo segno alle ragazze di accomodarsi. Bill e Lea sbucarono da quella che, intuirono Mandy e Sue, sembrava essere la cucina e si diresse subito verso di loro, salutandole.
“Finalmente ci conosciamo!” esordì Bill “Tu devi essere Sue!”
“Esatto, il piacere è mio!” si strinsero cordialmente la mano dopodiché Bill salutò anche Mandy.
“Hai già fatto la conoscenza di mio fratello” disse Bill, rivolto a Sue “Spero non ti abbia fatto una brutta impressione! Lui è così… come dire… così Tom!”

Le ragazze risero alla battuta di Bill, osservando il suo gemello che storceva la bocca in segno di dissenso. Accoccolati sul divano e sulle due poltrone del salotto, i cinque ragazzi trascorsero quel che restava del pomeriggio chiacchierando di scuola, lavoro, musica e cinema, senza sosta. Ogni tanto, Lea doveva tradurre in tedesco qualche parola che le ragazze non riuscivano a spiegare in inglese, ma l’atmosfera era calda e piacevole, tanto che perfino la tesissima Sue riuscì a mettersi a proprio agio, nonostante la presenza di Tom la lasciasse senza fiato.

“Sono quasi le sette!” disse poi Tom, guardando l’orologio appeso alla parete, sopra al televisore “Ho fame!”
“Pizza?” chiese Bill.
“Non avete nulla in casa? Potrei cucinare io, se vi va” propose Lea.
“Meglio di no!” si intromise Mandy “A meno che non abbiate intenzione di cambiare cucina!”
“Smettila! Ai fornelli sono brava!”
“Sì certo, anche i muffin del mese scorso lo pensano! Bruciati al punto giusto!” rise Mandy, seguita da Sue.
“Capita!” sbuffò Lea “Ma la pasta sono bravissima a cucinarla!”
“Io dico di ordinare una pizza” commentò Tom “Non vorrei morire”
“Mah! Ma sentilo!” sbottò Lea, fingendosi offesa “Eh vada per la pizza! Malfidenti!”

Bill si alzò dal divano e afferrò il cellulare. Compose un numero e dopo pochi secondi lo sentirono ordinare cinque pizze, in tedesco.

“In mezz’ora sono qui” comunicò poi il ragazzo “Scendo di sotto a prendere le birre” e sparì dietro alla porta d’ingresso.
“Ecco cosa c’è sotto! Una distilleria!” sogghignò Mandy.
“Almeno! C’è solo una grande taverna che, ultimamente, usiamo come magazzino. Utile, data la quantità di roba che compra Bill quando fa spesa! Se hai intenzione di sposartelo, compra una casa con magazzino annesso, ti conviene” commentò poi, guardando Lea, che arrossì violentemente. Era la prima volta che Tom parlava di lei e Bill come di una coppia e la ragazza temeva molto il suo giudizio, perché sapeva benissimo quanto fosse importante per Bill.

Un cellulare suonò improvvisamente e Lea riconobbe la suoneria: “Wish you were here” dei Pink Floyd. Si alzò e, con familiarità, raggiunse la camera di Bill dove poche ore prima aveva lasciato borsa, cappotto e non solo e prese il cellulare. Era Marie.

“Marie?”
“Ciao Lea” esordì Marie, piatta “Tutto bene? Siete arrivate?”
“Sì, da un pezzo. Mi spiace non averti avvisata, ma ho avuto da fare e…”
“Devi tornare a casa, Lea”
“Scusa?”
“Devi tornare a casa” ripeté Marie.
“Cosa è successo, Marie? Stai male? E’ Phil? La mamma?”
“No, si tratta di Edward”

Lea spense il telefono e, con un moto di stizza, lo gettò sul letto di Bill. Si guardò attorno, per imprimersi nella memoria la visuale della sua stanza, il letto sfatto, la scrivania ingombra, i cassetti mezzi aperti. Proprio quando lo aveva ritrovato, era costretta a lasciarlo di nuovo.
Sentì la porta d’ingresso aprirsi e la voce calda di Bill che diceva “ecco qui birra e coca” per poi aggiungere “ma Lea dov’è?”
Sentì Tom rispondergli, ma non capì le parole, così si affacciò alla porta della camera da letto e disse: “Bill, sono in camera tua. Ti spiace venire qui un attimo?”

Udì i suoi passi raggiungerla e lo vide entrare in stanza, sorridente. Sorriso che si spense non appena notò il volto tirato di Lea.

“Cosa succede?”
“Devo tornare a casa”
“Perché? Lea non dirmi che stai ancora pensando alla storia della distanza, non potrei accettarlo”
“No, non si tratta di quello. Si tratta di Edward, mio padre” mormorò Lea, le labbra strette in una smorfia di rabbia.
“Gli è successo qualcosa?”
“No, lui…”

How I wish, how I wish you were here
We’re just two lost souls swimming in a fish ball
Year after year

La melodia del cellulare la interruppe e il pensiero di Lea volò subito a quella canzone, che rispecchiava così drammaticamente la realtà: anche lei e Bill erano due anime perse, che nuotavano in una fottuta boccia per pesci, anno dopo anno. E proprio quando il futuro pareva sorrider loro, si era intromesso suo padre, quell’uomo che, con la scusa di aver contribuito alla sua venuta sulla Terra, pensava di poterla condizionare a vita.
Lea cercò con lo sguardo il cellulare e lo individuò fra le pieghe delle lenzuola.

“Sì?”
“Lea, sono mamma”
“Mi ha già chiamato Marie, so tutto” rispose Lea, dura.
“Non sei costretta a tornare a casa, anche se immagino che tua sorella te l’abbia chiesto. Io sto bene”
“Ma Marie no! E so che ha bisogno di me, altrimenti non mi avrebbe mai chiamata! Peccato che tu ed Edward abbiate le fette di salame sugli occhi! Sono stata una stupida a fidarmi di te, a raccontarti di me, del mio rapporto con Edward e di quanto mi sia mancato. Avrei dovuto saperlo, sei uguale a lui” poi scoppiò in singhiozzi “Adesso lasciami in pace. Domani ne riparleremo di persona”

Bill, in piedi accanto a lei, non aveva capito nulla, a parte i nomi “Marie” ed “Edward” che gli avevano permesso di intuire che si trattasse di una questione familiare. Lea gli dava le spalle, scosse dai singhiozzi. Il ragazzo si avvicinò piano e le circondò la vita con le braccia, facendo aderire il suo petto alla schiena di Lea. Poi prese a cullarla.

“Lea, guardami” Lea si voltò piano, ma non lo guardò. Affondò il viso nel suo petto e continuò a piangere, disperata. Dopo minuti che parvero ore, si decise a parlare.
“Pensavo che fosse una storia chiusa, credevo che mio padre non ci avrebbe più creato problemi e invece…”
“Cos’ha fatto?”
“E’ tornato. Lui è semplicemente tornato. Mi ha chiamato mia sorella, prima, dicendomi che poche ore dopo la mia partenza, si è presentato a Roma, piangendo miseria e chiedendo a mia madre di riaccoglierlo in casa” Lea faticava a parlare, la voce era un sussurro “Dice che sua moglie, quella che ha sposato qualche mese fa, l’ha piantato e gli ha fregato tutti i soldi. Così ha chiesto a mia madre aiuto. Ah, dimenticavo” continuò, facendo una risatina nervosa “dice che in tutto questo tempo, ha capito di amare solo lei”
“Fammi capire” commentò Bill “in pratica vuole tornare con tua madre?”
“Esatto. Tu non capisci… io… lui non ama mia madre, non gliene frega nulla di lei, se ne sta solo approfittando! Ma lei… lei non lo capisce, quella stupida!” urlò, in preda ad una rabbia cieca.
“Lea, scusami se te lo chiedo, ma perché devi tornare a casa? Non pensi che sarebbe meglio se la risolvessero loro?”
“Non torno per loro, torno per mia sorella. Lei ha sofferto il doppio di me dopo che quel bastardo se ne è andato e adesso so come si sente. Se mi ha chiesto di tornare, è perché ha seriamente bisogno di me. Sapeva quanto fosse importante, per me, ritrovarti e non mi avrebbe mai chiesto di rinunciare se non fosse seriamente in difficoltà”

Lea chiuse gli occhi e tornò indietro con la mente.
Marie aveva vissuto male l’abbandono del padre. E aveva vissuto anche peggio gli anni che erano seguiti. Era solo una bambina di dieci anni, quando Edward aveva deciso di andarsene ed era cresciuta con la consapevolezza di non avere una figura maschile accanto.
Si era imbarcata in amori sbagliati, con uomini molto più grandi, che non le avevano mai dato quello che cercava, perché c’era solo una persona in grado di farlo: Edward.
Ma lui non era più tornato e la ragazza aveva sviluppato un forte odio nei suoi confronti, al punto tale da non volerlo nemmeno sentir nominare.
A ventisette anni si era innamorata di un ragazzo della sua età.
Lea ricordava ancora lo sguardo sognante della sorella, la sua voglia di vederlo, l’emozione che trapelava dai suoi occhi quando ne parlava. L’anno successivo era rimasta incinta e lui aveva pensato bene di andarsene. Gambe in spalla e via.
Quello era stato l’ennesimo scherzo che il destino aveva giocato alla sorella e ora Edward tornava, tornava a farle rivivere i fantasmi del passato, tornava con la sua bella faccia tosta a ricordarle che tutto era successo a causa del suo disinteresse, della sua noncuranza.

“A cosa pensi?” le chiese Bill, non sentendola parlare.
“Stavo pensando a Marie, a tutto quello che ha passato. Devo tornare da lei, Bill. Anche solo per un giorno, ma devo tornare”
“Anche io lo farei per Tom” mormorò lui.
“Sapevo che mi avresti capita, ne ero certa. Ma vorrei tanto che non fosse mai tornato, vorrei tanto restare qui con te per tutta la settimana. Mancano solo dieci giorni a Natale, dopodiché tu tornerai a girare per il mondo e chissà quando ci rivedremo”
“Vengo con te a Roma” disse lui, tutto d’un fiato.
“No, Bill. Non se ne parla! Sei impazzito?”
“Perché?”
“Non puoi andartene in giro come una persona qualunque! Tu non sei più un ragazzo normale!”
“So camuffarmi egregiamente” ridacchiò lui.
“Le tue fan ti riconoscerebbero lontano un miglio, credimi. E Roma è piena di tue fan! Starò via solo un giorno, te lo prometto. Se vuoi, posso chiedere a Sue e Mandy se se la sentono di essere prese in ostaggio”
“Non scherziamo, tu da sola a Roma non torni! O vengo io o vengono loro”
“Ehi, guarda che non ho due anni! So cavarmela!” lo rimbeccò Lea. Poi si avvicinò alle sue labbra e lo baciò, piano “Aspettami, ti giuro che torno”

**

Informare le amiche, che la aspettavano in salotto con Tom dell’imminente partenza, fu facile. Difficile fu vedere gli occhi di Bill, che la osservavano mentre radunava le poche cose che aveva fatto in tempo a posare.
I gemelli decisero di evitare alle ragazze un viaggio in taxi e le scortarono all’aeroporto, con l’Escalade di Tom. Nessuno si accorse della loro presenza; quando giravano in auto senza fermarsi troppo a lungo nei luoghi affollati, tornavano ad essere due ragazzi normali.
Tom e Sue sedevano davanti, in silenzio. Dallo specchietto retrovisore, Tom controllava i movimenti del fratello e vedeva benissimo la sua mano stretta in quella di Lea, mentre i suoi occhi fissavano il paesaggio fuori dal finestrino.

Giunti all’aeroporto, Sue e Mandy salutarono i ragazzi con una stretta di mano e scesero, cominciando a scaricare le valige e dando tempo a Lea di salutare meglio il cantante. Tom, per non rischiare di essere riconosciuto, scese dall’auto ma tenne aperta la portiera, in modo da esserne parzialmente nascosto.

“Così devo salutarti di nuovo in un aeroporto” mormorò Bill, guardandola per la prima volta da che erano partiti.
“Sarà per poco, te lo prometto. Dammi il tempo di assicurarmi che mia sorella stia bene”
“Riuscirai a tornare prima di Natale?”
“Lo spero. Mancano ancora dieci giorni, dovrei farcela”
“Dovresti?” quello che uscì dalla bocca di Bill fu più un sospiro che un commento vero e proprio.
“Bill, non ho idea di quello che troverò a Roma. Questa volta non è colpa mia” si scusò la ragazza “Adesso devo andare. Ti chiamo appena sono a casa” poi si sporse in avanti e posò le labbra su quelle del cantante, che le cinse la vita con le braccia e la strinse a sé.

Una volta scesa dall’auto, salutò Tom con un abbraccio ma negli occhi del chitarrista lesse qualcosa di molto simile al disprezzo. Abbassò la testa e sgattaiolò via, seguita da Mandy e Sue.

L’attesa fu lunga e snervante, il volo era in ritardo e aveva cominciato a nevicare. Temettero di rimanere bloccate a Berlino, ma la provvidenza corse in loro soccorso.
Giunsero comunque a Roma quando mancavano poche ore all’alba.

**

Lea appoggiò la valigia in corridoio e si buttò sul divano. Decise di non svegliare subito Marie così si lasciò andare ad un sonno agitato.
Alle sette fu Philip a svegliarla: “Zia Lea, sei tornata!”
Poco dopo spuntò anche Marie, che corse dalla sorella e la abbracciò, senza parlare, gli occhi colmi di lacrime e il viso tirato.
“Adesso preparati per la colazione” Lea prese in mano la situazione “poi ti accompagno all’asilo. La mamma oggi deve riposare”
Il piccolo ubbidì alle parole della zia e in pochi minuti si presentò in cucina, pronto per il primo pasto della giornata. Lea gli preparò la sua colazione preferita, cereali al cioccolato con latte caldo e fette biscottate con la marmellata, poi lo aiutò a sistemarsi meglio i vestiti e lo accompagnò all’asilo.
Quando rincasò, Marie era ancora seduta sul divano, nella stessa posizione, con lo stesso sguardo spento.

“Oggi non vai al lavoro, vero?”
“No, anche ieri sono uscita prima, appena ho saputo dell’arrivo di Edward” ma non riuscì a proseguire, le parole le morirono in gola. Lea le strinse forte una mano.
“Mi dispiace tanto averti fatta tornare” riprese Marie “Sono un’egoista, lo so. Solo che ho bisogno di te, adesso. Non posso pensare di riaverlo nella mia vita”
“Tu adesso ti metti a letto, prendi un calmante e dormi. Hai passato la notte in piedi, vero?”
“Posso dirti tutto quello che trasmettono in televisione dalle nove alle tre del mattino. Dopodiché mi sono messa a letto, ma ho preso sonno solo verso le cinque. Tu a che ora sei arrivata?”
“Le cinque e mezza. Ora vai a letto, io devo fare una chiamata e poi vado dalla mamma”

Marie si trascinò fino in camera e Lea cercò il telefonino in borsa. Dopo qualche squillo, Bill rispose: “Ciao”
“Ciao” mormorò Lea “sono a casa. Sono arrivata alle cinque e mezza di stamattina. Non ti ho chiamato, non mi sembrava il caso”
“L’importante è che sei arrivata. Come sta tua sorella?”
“Peggio di quanto pensassi. Adesso vado da mia madre, ti chiamo dopo. Buona giornata”
“Lea…” disse Bill, prima che la ragazza riattaccasse.
“Dimmi…”
“Ti amo” Lea sentì il cuore scoppiarle in petto e, in un sussurro, rispose “Anche io”

**

“Era lei?”

Tom sostava sulla porta della cucina, i rasta sparpagliati sulle spalle, gli occhi ancora pieni di sonno.

“Sì, è arrivata. Ma cos’è quella faccia?”
“Non mi piace questa storia, Bill”
“Che storia?” chiese il cantante, perplesso.
“Arriva, se ne va, torna, se ne va di nuovo. Che razza di comportamento sarebbe questo?”
“Come ti ho spiegato, ha avuto dei problemi in famiglia”
“Balle!” sbraitò Tom “Tutte balle!”
“Cosa stai insinuando?”
“Non mi convince. Ecco cosa sto insinuando. Non può entrare nella tua vita, sconvolgertela e poi sparire di nuovo! Io ci penserei, fossi in te…” poi voltò le spalle al fratello e si diresse verso il bagno. Dopo poco, Bill udì solo lo scrosciare della doccia, mentre un dubbio atroce si faceva strada nella sua testa.

**

Ancora grazie a tutte per i commenti, in particolar modo ad AlienToLove e Splash_BK che commentano sempre! *_*
Grazie, davvero!
Kate
   
 
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