_Cap. 6
Ragione
“Ma è Edward Cullen!!” esclamò Jessica non riuscendo a mascherare l’interesse che nutriva per lui poi, si zittì notando lo sguardo di disapprovazione di Mike.
“Sta venendo qua!” continuò in un sussurro entusiasta, era totalmente incapace di nascondere l’impazienza.
Edward si avvicinava a noi con passo lento, quasi felino, il volto un po’ tirato e il braccio sinistro irrigidito dalla fasciatura alla spalla. Era di una bellezza mozzafiato, i capelli castano-ramati, in perenne disordine, rilucevano come bronzo fuso sotto uno smunto sole autunnale, i suoi occhi verdi risplendevano vivaci sul suo viso ancora pallido. Mi persi in quella visione.
“Bella, Edward Cullen sta guardando te” la voce di Jess mi riportò alla realtà, riemersi come da un sogno e incrociai il suo sguardo. Edward mi fissava con un leggero sorrido sulle labbra, con un dito mi fece cenno di raggiungerlo e, poiché rimanevo ferma, mi strizzò l’occhio.
“Penso che voglia parlarti, perché non lo raggiungi?” cara Angela, sempre le parole giuste al momento giusto... inoltre con il suo avallo nemmeno Jess aggiunse altro.
Mi alzai lentamente per accertarmi di essere ben salda sulle gambe e salutai i miei amici ma, prima di raggiungerlo feci in tempo a notare lo sguardo furente di Mike, quello traboccante desiderio e invidia di Jess, quelli felici di Ben e Angela.
“Bella... ” esordì. La sua voce era caldissima e sensuale. Deglutii.
“Ciao Edward” mi tremava la voce. Non lo vedevo da una settimana da quando era stato dimesso, mi era mancato, dovevo ammetterlo. Lo sognavo spesso, e nei miei sogni, era dolce, tenero, tremendamente sensuale mentre, nella realtà, Edward si mostrava scontroso, lunatico, tremendamente sensuale. Perciò l’invito a cena che mi aveva fatto mi aveva lasciato di stucco... “... E così, con il tuo invito hai sancito che possiamo essere amici?” Volevo accertarmi che l’idea fosse sua e non, per esempio, di Alice, o di Rosalie. Rimase in silenzio sorridendo appena e invitandomi a continuare; lo sguardo fino ad allora caloroso era tornato a farsi distante. Continuai ignorando le sue reazioni.
“Ci sarai anche tu sabato?” Il suo sguardo tornò su di me e una fitta di sofferenza gli attraversò il volto.
“Stai bene?” dissi, improvvisamente preoccupata per la sua salute.
“Credevo dovessi stare a riposo fino alla fine della settimana”. Lui annui senza rispondere poi mi fece cenno di seguirlo.
Ci allontanammo dal gruppetto dei miei amici per andare a sederci nel posto preferito della famiglia Cullen, il pezzo di prato sotto un tiglio.
“Perché metti in dubbio la mia presenza a cena?” disse non appena ci accomodammo. “Non ti avrei invitata se non avessi avuto intenzione di esserci!” Mi guardò serio ma io non ero intenzionata a soprassedere su quell’argomento; già una volta aveva fatto una promessa e non l’aveva mantenuta. Avrei potuto fidarmi di lui?
“Dopo quel pomeriggio in biblioteca... mi avevi promesso che ci saremmo visti invece mi hai accuratamente evitata. Beh, fino all’incidente”lo guardai dritto in faccia e continuai cercando di non lasciarmi incatenare dalla profondità dei suoi occhi.
“Giacché c’è un precedente, posso mettere in dubbio la tua parola, ne ho tutti i diritti!” Edward osservò il mio fiero cipiglio e per un attimo sembrò in bilico tra il confuso e il divertito. Poi una nuova consapevolezza gli si dipinse in volto. Aveva capito cosa intendevo dire.
“... avevo anche detto che non avremmo dovuto lavorare assieme!” sorrise.
“E poi... ” disse indicando in braccio immobilizzato “sono stato impegnato in un difficile salvataggio!” una luce ironica gli apparve sul volto e, per la prima volta mi abbagliò con un sorriso luminoso. I suoi occhi erano smeraldi ardenti.
“... come vedi sono qui, tutto può cambiare!” sorrise ancora di fronte alla mia espressione esterrefatta.
“Perché non mi fai compagnia oggi?” disse all’improvviso, la voce ridotta quasi a un sussurro. Io ero stupefatta, quello che avevo davanti era un Edward totalmente diverso dal solito. Era come un raggio di sole primaverile, emanava un calore dolce e delicato senza apparire invadente.
“Inoltre ... non ho mai detto di non volerti essere amico... ” poi precisò.
“Sarebbe meglio per te se tu, non fossi mia amica!” il suo tono di voce era talmente basso che faticai a sentirlo, gli occhi erano fissi su di me.
“In ogni caso, sono stanco di costringermi a evitarti Bella!” mi si bloccò il respiro, non riuscivo a credere a quello che lui aveva appena detto. Il cuore iniziò a battermi all’impazzata. Sembrava una dichiarazione d’amore...
Si voltò per un attimo rompendo l’incantesimo che si era creato tra noi e concedendomi di riprendere fiato. Mi riusciva facile parlare con lui quando non era troppo sulla difensiva...
“Credo che i tuoi amici siano arrabbiati con me perché ti ho rapita!”cambiò discorso. Era imbarazzato per quanto si era lasciato sfuggire?
“Sopravvivranno!” volevo dimostrarmi indifferenti ma sentivo i loro sguardi perforarmi la schiena.
“Non è detto che ti restituisca però!” disse all’improvviso rivolgendomi uno sguardo serio. Rimasi in silenzio concentrata sul significato dell’ultima frase. Infine lo guardai, mi tremavano le mani, le strinsi al petto.
“Sembri preoccupata!” disse
“Più che altro sorpresa, a cosa devo tutti questi cambiamenti?” ero sospettosa, lo sapevo, ma lui non mi aiutava in questo, era sempre così criptico...
“Rischiare di morire ti costringe a rivedere i tuoi programmi da diverse prospettive e poi, te l’ho detto, sono stanco di sforzarmi di starti lontano!”
“Nessuno ti ha chiesto di starmi lontano!” a questo punto ero arrabbiata.
“Tutto ciò che hai fatto, è stata una tua scelta!” non riuscivo a capire i suoi repentini cambiamenti d’umore e la sua paura di confrontarsi con me.
“Se tu fossi furba, mi staresti lontana, e se io fossi meno egoista ora, non sarei qui!” disse a voce bassissima, quasi parlando a se stesso. Il volto una maschera di tristezza. Sollevai la mano verso di lui, avevo la voglia disperata di tornare a veder splendere il sorriso sul suo volto, si ritrasse istintivamente, io bloccai all’istante. La mano, ferma a mezz’aria, in attesa di un permesso che non arrivò, si abbassò e rimasi in silenzio, in attesa.
“A cosa stai pensando?” mi chiese spezzando il silenzio. Scelsi la verità.
“Mi chiedevo se ti andrebbe di farmelo sapere la prossima volta che decidi di ignorarmi... per il mio bene. Magari mi preparo!”
“Mi sembra giusto!” alzò gli occhi su di me ed io mi persi nuovamente nel verde. Una lieve brezza scompigliò i suoi capelli in perenne disordine, creando un gioco di chiaro-scuro sul suo volto tormentato. Mi chiesi come sarebbe stato affondare le mani in quella morbida massa incolta.
“Io penso che tu sia migliore di quanto sembri... ” dissi rispondendo alla domanda che mi aveva appena formulato. Un altro cambiamento d’umore.
“Bella” pronunciò il mio nome con voce roca “tu non mi conosci affatto, non sai niente di me. Te lo ripeto, se fossi più furba, eviteresti uno come me!” la sua voce, come lo sguardo, era dura.
“Sei pericoloso?” chiesi, in preda al batticuore intuendo la verità nella mia domanda. Si era pericoloso “ma non cattivo!” continuai, altrettanto certa.
“Ti sbagli” ancora quell’espressione tormentata sul volto bellissimo.
“Non credo!” ribattei fieramente.
Guardai l’orologio, erano le tre, l’ora della lezione di letteratura. Il professor Mason ci attendeva per mettere a punto i termini della presentazione del lavoro di fine semestre.
“E’ tardi, dobbiamo andare, il professor Mason ci attende”.
“Sì, andiamo. Temo che se aspettiamo ancora un po’ Mike Newton deciderà di portarti via con la forza”. Un altro cambio d’umore. Era sollievo.
Il professor Mason si dimostrò comprensivo, aveva saputo dell’ incidente, di cui portavamo ancora i segni; aveva deciso di posticiparci la consegna del primo stato di avanzamento della ricerca di dieci giorni. Ci aspettavano giorni di lavoro intenso, dovevamo iniziare immediatamente. Il mio cuore sussultò all’idea e, il mio stomaco si riempì di farfalle, non vedevo l’ora di stare ancora da sola con lui. Ci dirigemmo insieme verso la biblioteca.
“Bella, Bella Swan”mi sentii chiamare, era una voce che non sentivo da anni ma che riconobbi subito. Jacob Black, alto più di quanto ricordassi, mi venne incontro sorridendo poi, mi abbracciò facendomi fare una mezza piroetta.
“Da quanto tempo! Come stai?” mi disse sorridendo. Il suo sorriso non era cambiato, era luminoso come il sole, lui era il mio sole personale.
“Jacob cosa ci fai qui? Di la verità, mio padre ti ha chiesto di venire ad accertarti che fossi viva?”Ero esterrefatta ma contenta di rivederlo, parlare con Jacob Black era sempre stato facile.
“In effetti, era un po’ preoccupato dopo l’incidente... ed io dovevo passare da queste parti... fece spallucce minimizzando. Improvvisamente mi ricordai di non essere sola.
“Jacob, questo è Edward, il mio salvatore!” mi voltai verso Edward, aveva atteso silenzioso a pochi passi da me, ma era come se fosse distante chilometri, la sua espressione era di nuovo lontana. Jake lo guardò, accorgendosi improvvisamente che non ero sola, e il suo sorriso svanì all’istante sostituito da un ghigno che non gli conoscevo. Un ghigno ostile.
“Ah, Cullen! Che ci fai qui!”
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Mi svegliai presto con il desiderio di muovermi, di uscire, mi sentivo meglio; parlare con Tanya, la sera prima, chiederle scusa per quanto le avevo fatto, mi aveva rasserenato lo spirito. Ora ero pronto per rivedere Bella Swan. Scesi di sotto, mio padre era intento a preparare la colazione per Esme, era un momento di tenerezza che si concedeva ogni volta che poteva. Si sentiva in colpa, i turni in ospedale non gli lasciavano molto spazio per stare in famiglia, e allora cercava di restarci vicino il più possibile quando era in casa. Non ci aveva mai fatto mancare il suo affetto e noi tutti, segnati da un abbandono, lo consideravamo una persona eccezionale. Un vero padre, il padre che non avevo mai avuto... mai veramente.
“Papà, vorrei uscire per andare al campus. Secondo te posso?” nella mia voce c’era una nota supplichevole. Carlisle mi guardò, stupefatto dal mio tono.
“Edward, figliolo, forse faresti meglio a restare a casa ancora un po’, la tua ferita non è certo un graffio”. Soppesò il mio sguardo.
“Carlisle, ti prego, non ce la faccio più a stare chiuso in casa... ” voglio rivedere Bella, urlò la mia mente, ma non ebbi il coraggio di confessarlo a mio padre.
“Starò attento!” dissi invece.
“...se proprio vuoi uscire, allora ti bloccherò la spalla in modo da non permetterle di fare molti movimenti, questo ti permetterà di uscire, ma ti farà male.” Il suo tono era molto professionale
“Non è un problema, riesco a resistere al dolore!” mio padre mi mise una mano sulla spalla sana e poi continuò.
“Lo so Edward, tu sai bene come reprimere, il dolore. Se proprio ci tieni però non ti impedirò di uscire ma, ti prego, non fare sciocchezze... come guidare, ad esempio! Ti accompagneranno Emmett e Rosalie all’università!” acconsentii, Carlisle mi conosceva meglio di chiunque altro, aveva capito che il mio desiderio andava oltre in semplice cambiare aria, riuscivo a fingere con chiunque, persino con Alice, ma non con lui.
Dopo colazione andai nello studio di mio padre, Carlisle mi medicò la ferita, togliendo alcuni punti, dove la pelle si era rimarginata poi, procedette al bendaggio.
“Fa male?” mi chiese a fine lavoro.
“Un po’!” non aveva senso mentire, era un dottore, doveva essere al corrente di tutti i sintomi per poter curare al meglio un paziente...
“Ti darò un antidolorifico ma, ti prego ancora di non fare sforzi, non è il caso che ferita si riapra!”. Annuii e gli sorrisi
“Grazie papà!” gli sorrisi e, dopo averlo salutato, mi diressi verso il garage. Emmett e Rose stavano per uscire, chiesi loro un passaggio.
Mi lasciarono presso i padiglioni della Facoltà di Lettere, loro erano entrambi diretti alla Facoltà di Ingegneria. I miei fratelli erano molto portati per la meccanica, ma era Rose il vero genio. Camminai sul morbido prato all’inglese dirigendomi dove, immaginavo, l’avrei incontrata.
Bella era seduta sull’erba e si godeva il pallido sole autunnale pranzando con i suoi amici. Amava il caldo. Me l’aveva detto quella volta in biblioteca. Jessica Stanley le stava vicino, ciarlando come al solito, ma Bella non sembrava prestarle molta attenzione.
“Ma è Edward Cullen!!” esclamò con un tono di voce troppo alto ed entusiasta guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Mike Newton.
Sapevo di piacere a Jess, nell’ultimo anno di scuola aveva cercato ogni scusa per starmi vicino, per parlare con me, per ottenere le mie attenzioni. Non riuscivo a sopportarla, non mi piaceva il suo modo di essere così superficiale. Per lei, ogni ragazzo conquistato, rappresentava un trofeo da mettere in mostra nella sua collezione privata. Non le avevo mai parlato, avevo cercato deliberatamente di far finta che non esistesse. Impresa difficile, quando si trattava di Jess Stanley. Mi avvicinai al gruppetto di Forks, lentamente, i miei occhi la cercarono e, quando lei alzò lo sguardo, si incatenarono ai suoi. Le sorrisi e, vedendola titubante e timorosa, le feci cenno con un dito di avvicinarsi a me. Lei era immobile, si limitava a fissarmi senza dare segno di nessun’altra reazione. Le feci l’occhiolino.
Si alzò lentamente incoraggiata da qualcosa che le aveva detto Angela e si avvicinò.
“Bella” esordii. Cercai di mantenere il mio tono di voce molto pacato ma, risultò roco e basso alle mie orecchie. Desideravo rivederla più di quanto pensassi
“Ciao Edward” le tremava la voce, forse anche lei era imbarazzata...come me. Poi disse qualcosa che mi sorprese la voce cambiò, si fece sarcastica e sprezzante
“Ci sarai anche tu a cena?” il sorriso che mi sforzavo di mantenere si spense. Rimasi in silenzio, scioccato dalla verità che c’era dietro quelle sue semplici parole. Mi conosceva, mi conosceva più di quanto io conoscessi lei.
Una fitta di dolore mi attraversò, come una pugnalata, la spalla. Avevo bisogno di sedermi.
“Stai bene?” mi chiese. Il tono era cambiato di colpo. Da sarcastico e sprezzante si era fatto dolce e premuroso.
“Credevo dovessi stare a riposo fino alla fine della settimana”. Continuò. Annuii, non riuscivo a rispondere il dolore mi toglieva il fiato, le feci cenno di seguirmi.
Ci sedemmo nel posto preferito dalla mia famiglia, nel prato sotto al tiglio.
Mi aveva turbato l’acume di Bella. Lei riusciva a cogliere tutti quei piccoli dettagli di me che nessuno notava, tutte le piccole e grandi contraddizioni che mi caratterizzavano. Io invece non la conoscevo affatto.
“Perché metti in dubbio la mia presenza a cena?” mi sentivo offeso, non volevo che pensasse che l’idea fosse stata di qualcun altro. Volevo disperatamente che si fidasse di me. Cercai di sembrare indifferente.
“Non ti avrei invitata se non avessi avuto intenzione di esserci!” ero serio. Bella mi ricordò, senza giri di parole, quanto fossi stato scostante con lei, mi fece notare che avevo mancato alla parola data. Volevo farmi perdonare in qualche modo, non volevo che pensasse di non potersi fidare di me.
“Perché non mi fai compagnia oggi?” dissi con voce ridotta quasi a un sussurro. Avevo voglia di stare con lei, una voglia che non avevo mai provato per nessuna donna. Con Tanya, che pure era stata qualcosa di più di un’amica, non avevo mai provato il desiderio di andare oltre l’abbraccio. Con Bella, era tutto paurosamente diverso, che mi stava succedendo?
“Inoltre ... non ho mai detto di non volerti essere amico... ” ecco, l’avevo ammesso. L’espressione di Bella era addolcita dalla meraviglia per la mia affermazione. Mi riscossi, dovevo stare attento, lei doveva capire di avere a che fare con una persona pericolosa, con qualcuno che poteva farle del male. Dovevo metterla in guardia da me stesso!
“Sarebbe meglio per te se tu, non fossi mia amica!” la guardai negli occhi, quei meravigliosi e dolcissimi occhi marroni. Poi, pronunciai una frase che mai mi sarei aspettato di dire...
“Sono stanco di costringermi a evitarti Bella!” era quello che davvero sentivo nel cuore. Lei mi guardò stupefatta, senza respirare. Guardai verso i miei concittadini,cercavo una scusa, dovevo staccarmi dall’incantesimo dei suoi occhi.
“Credo che i tuoi amici siano arrabbiati con me perché ti ho rapita!”ero imbarazzato, si capiva dal tono della mia voce e dal fatto che non riuscivo a guardarla
“Sopravvivranno!”
“Non è detto che ti restituisca però!” ancora la verità. Con lei era troppo facile essere me stesso, togliere l’armatura che, tanto saldamente di ero forgiato addosso. Un lungo silenzio accompagnò la mia frase...forse l’avevo spaventata con la mia sincerità. Meglio così, era meglio che lei mi stesse lontana di sua volontà perché io non l’avrei più allontanata.
“Rischiare di morire ti costringe a rivedere i tuoi programmi da diverse prospettive e poi, te l’ho detto, sono stanco di sforzarmi di starti lontano!” dissi in risposta alle sue perplessità
“Nessuno ti ha chiesto di starmi lontano!” quasi urlò, un atteggiamento insolito per lei, sempre così pacata. “Tutto ciò che hai fatto, è stata una tua scelta!”
“Se tu fossi furba, mi staresti lontana, e se io fossi meno egoista ora, non sarei qui!” la mia voce era un sussurro appena udibile. La mano di Bella si sollevò verso di me, voleva accarezzarmi. Mi ritrassi, istintivamente pentendomene all’istante, lei si bloccò abbassò la mano. L’avevo fatta ferita ma lei riuscì a sorprendermi nuovamente.
“Io penso che tu sia migliore di quanto sembri... ” no, non lo ero!
“Bella, tu non mi conosci affatto, non sai niente. Te lo ripeto, se fossi più furba, eviteresti uno come me!” la mia voce era dura, lei doveva capire, doveva allontanarsi dal pericolo, ancora un po’ e sarebbe stato troppo tardi.
“Sei pericoloso?” disse infine dopo un altro, per me, interminabile silenzio “ma non cattivo!” finì.
“Ti sbagli” ero disperato, lei non capiva,
“Non credo!” ribatté fieramente. Quanto avrei voluto che fosse vero.
L’incontro con il professor Mason fu più tranquillo del previsto, ci diede dei giorni di proroga per rimetterci al pari dopo l’incidente. Da quel pomeriggio ci saremmo visti tutti i giorni.
“Bella, Bella Swan” sentii chiamare, era una voce conosciuta, la riconobbi subito. Jacob Black.
Cosa ci faceva a Seattle? Come mai conosceva Bella?
La abbracciò con disinvoltura e lei lasciò fare, felice di stare tra le sue braccia. Per la prima volta nella mia vita, mi sentii pervadere da un sentimento inaspettato. Gelosia? Non lo sapevo, ma ero certo che Jacob Black sarebbe stato per Bella una compagnia più sicura della mia. Volevo andarmene. L’armatura scese a coprirmi nuovamente il cuore ma lei, Bella, la squarciò nuovamente.
“Jacob, questo è Edward, il mio salvatore!” nella voce una dolcezza infinita. Non potevo illudermi, mi voltai verso di lei con un’espressione neutra, lontana, distaccata...
Jacob invece non riuscì a mostrare altrettanta indifferenza. Anche lui ricordava il nostro ultimo incontro sulla spiaggia di La Push.
“Ah, Cullen! Che ci fai qui!”
Non gli risposi, volevo andare via, non volevo vedere l’espressione disgustata di Bella quando le avrebbe raccontato cosa era successo l’estate di due anni prima.
“Ti aspetto in biblioteca!” le dissi, dubitando che mi avrebbe raggiunta.
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chissà.... grazie consu |
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grazie, grazie tante B. |
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in effetti il passato di edward nasconde tante cose e molto difficili da esternare... Grazie per i complimenti. un saluto e goditi questo capitolo B.
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