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Autore: Sten__Merry    27/07/2010    1 recensioni
Una lite tra Bones e Booth, un nuovo caso che li avvicinerà di nuovo o li dividerà definitivamente.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Seeley Booth, Temperance Brennan, Zack Addy
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Ecco il primo capitolo.
Enjoy,
Baci. Sten



CAPITOLO 1




Appoggiai delicatamente la paletta sul cumulo di terra smossa che odorava di umido e morte, allungai la mano destra e sollevai lentamente il cranio che avevo appena dissotterrato tenendolo con sacrale delicatezza solo con pollice, indice e medio.
Prima di concentrarmi sull’osservazione, chiusi gli occhi qualche secondo, la diga che impediva all’aria di entrare nelle mie narici cadde e mi trovai completamente circondata dall’ormai familiare fetore dolciastro della putrefazione, li riaprii di scatto sperando irrazionalmente di poterlo in questo modo scacciare, ma non potei far altro che constatare che ormai aveva pervaso ogni parte di me.
I tessuti molli erano quasi totalmente decomposti, vi era ancora qualche brandello di pelle sullo scalpo da cui spuntavano dei lunghi capelli corvini e un occhio rientrato quasi completamente nell’orbita.
Controllai la presenza di adipocera del terreno e per qualche secondo mi si raggelò il sangue.
Sosipirai.
“Bones, tutto bene?” mi girai lentamente verso il mio partner, l’agente Seeley Booth; Accovacciata sulle ginocchia fui costretta a piegare il collo verso l’alto al limite del possibile per guardarlo in volto, mi morsi il ladro scuotendo la testa
“qui non c’è il corpo.” Affermai, si inginocchiò accanto a me e avvicinando il volto al mio orecchio osservò la scena da più vicino, si ritrasse immediatamente quando l’odore gli scese nella gola
“Booth, che bisogno c’è di controllare?” borbottai seccata, lui si alzò di scatto.
“faccio mandare tutto al Jeffersonian” disse, poi girò lentamente sui tacchi e, badando bene a non salutare, salì sul suo SUV e se ne andò.
Io finii di imbustaree classificare i campioni di terriccio e gli insetti poi mi diressi a bordo della mia vettura sportiva verso il laboratorio.
Sulla mia scrivania avevo una pila di curricula di possibili assistenti di Zack, ma, benché fossero passati più di tre mesi da quando lui si era rivelato essere l’assistente di Gormogon, ancora non avevo trovato qualcuno all’altezza.
Zack.
Spesso mi capitava di ripensare a lui con tenerezza quasi materna ricordando i primi tempi in cui aveva lavorato per me, sogghignando leggermente per gli indomabili capelli da teenager che portava con noncuranza, rivivevo tutti i passaggi della sua permanenza al Jeffersionian Institute: dal giorno in cui il ragazzino capelluto aveva abbandonato la propria tesi per avere la garanzia di poter continuare a lavorare al mio fianco il più a lungo possibile, a quello in cui aveva ricevuto il dottorato in antropologia, al suo ritorno dall’ Iraq, fino ad arrivare al suo più grande errore: offrire la sua malleabile mente ad uno psicotico che divorava esseri umani. Eppure non riuscivo ad avercela con lui, avrei dovuto, certo, ma non riuscivo.
Zack, come avrei potuto sostituirlo? Zack era unico e geniale.
Non sono una persona sentimentale, ma non potevo che ammettere che mi mancava. Mi sentivo in colpa, avrei dovuto capire qualcosa: lavoravamo gomito a gomito per 10 ore al giorno, come ho potuto non accorgermi che qualcosa era cambiato?
Immersa nei miei pensieri non percepii la presenza leggera della mia collega e amica Angela Montenegro che stava appoggiata allo stipite della porta avvolta nel suo camice blu
“tesoro” sussurrò “sono arrivate le prove dalla scena del crimine”, parlò con voce talmente bassa che la percepii solo lontanamente ma che fu abbastanza per risvegliarmi dal mio stato di trance emotivo, ricaccia il ricordo di Zack, del mio Zack in fondo a me stessa, ripromettendomi di non pensarci più, almeno non in orario di ufficio.
“Angela, Ciao!” dissi senza alcun particolare entusiasmo
“ciao Bren. Com’è andata in Francia?” sorrise, alzai gli occhi al cielo e ricambiai il sorriso
“al solito, ho dissotterrato ossa in una galleria sotterranea che puzzava d’umidità e orina” si avvicinò e mi accarezzò una guancia
“Chèrie, tu devi imparare a vivere!” annuii, non c’era nulla che potessi replicare.
Mi alzai e la seguii sulla piattaforma del laboratorio dove era stato posizionato il cranio appena prelevato dalla scena del crimine.
Feci una stima approssimativa dell’età, del sesso e della razza della vittima. Femmina, sulla trentina, caucasica.
In seguito lo pulii dai tessuti molli attraverso un attento processo di ebollizione, li consegnai a Cam affinché potesse estrarne il DNA, nel frattempo feci un calco dentale, lo consegnai a Angela cosicché potesse controllare nella banca dati delle persone scomparse e, nel caso in cui non avesse avuto successo, lo consegnasse a Booth perché potesse fare ulteriori controlli esibendo prepotente il suo distintivo federale.
Mi assicurai che Hodgins avesse ricevuto i campioni di terriccio e gli insetti e me ne andai, salutando velocemente i pochi presenti convocati con urgenza nel pomeriggio domenicale.
In meno di mezz’ora arrivai a casa, guardai l’orologio. Le 19.30. Mi stropicciai gli occhi per contrastare la stanchezza, mi fiondai in bagno e optai per una lunga e rilassante doccia calda per togliermi il puzzo della morte dalla pelle e dai capelli.
Quando uscii l’orologio segnava le 20.oo, avvolsi accuratamente il corpo in un asciugamano rosso e lo fissai appena al di sopra della linea del seno.
A seguito di un borbottio del mio stomaco mi diressi in cucina e iniziai a sminuzzare la cipolla per farla soffriggere. Appena assunse un colore dorato aggiunsi del riso e iniziai a farlo stemperare con del brodo vegetale. Mi concentrai totalmente sulla preparazione della cena, cercando di non pensare.
Ma inevitabilmente il campanello suonò. Aprii leggermente la porta e vidi Booth.
“Che ci fai qui?” borbottai, fissandolo negli occhi con aria di sfida
“Devo parlarti”
“Vattene!”
“no, Bones, non me ne vado” rispose contraccambiando lo sguardo
“riguarda il caso?” lui annuì, così mi feci da parte e lo lasciai entrare, solo in quel momento ricordai di indossare nient’altro che un asciugamano che nascondeva a malapena le natiche.
Arrossii e andai in camera dove indossai una lunga vestaglia di seta nera, intanto continuai a parlare
“allora? Chi era la ragazza?” chiesi
“Paulina Harris, figlia di un gommista che vive in Virginia” tornai in salotto, Booth si era accomodato su una poltrona come se fosse a casa sua “suo padre ha confessato l’omicidio, è risultato essere schedato come individuo pericoloso dopo aver violentato quarant’ anni fa un ragazzina che credeva fosse innamorata di lui.” Si fermò e sospirò un secondo, da padre faticava a comprendere come un genitore potessa togliere la vita la proprio figlio. “ aveva sviluppato un attaccamento morboso nei confronti della figlia, e non appena lei aveva deciso di andarsene di casa lui l’aveva uccisa, tenendone il corpo a casa. Pazzesco, vero?” annuii mentre continuavo a far cuocere il riso
“assurdo” confermai. Poi Tacqui.
“Bones…” inziò lui, mi diressi verso la porta
“Booth, è meglio che tu vada” con un velo di delusione si alzò ed uscì, sulla soglia si girò e mi fissò in volto pochi secondi
“Sono mesi che continuamo così, Tempe.” Annuii e chiusi la porta.
Non dopo quella discussione, non potevo perdonarlo.

   
 
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