Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Segui la storia  |       
Autore: KatNbdwife    27/07/2010    2 recensioni
In "Dopo di te" Lea e Bill si sono conosciuti, amati, lasciati. Ora come vivranno il resto della loro vita lontani?
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Lea arrivò a casa della madre in tempo per assistere ad una patetica scenetta: suo padre che portava fuori la spazzatura, con un largo sorriso sul viso e l’espressione di chi ha ottenuto esattamente quello che voleva. Senza salutarlo, gli passò accanto ed entrò in casa. Sua madre era in cucina, la ragazza poteva sentirla canticchiare allegramente.

“Mamma” la chiamò, raggiungendola. La donna si voltò e sorrise alla figlia. Indossava una maglietta rossa, leggermente scollata, che le aderiva perfettamente al petto e un paio di pantaloni neri, stretti in vita e molli sulle cosce. Un filo di trucco la rendeva ancora più bella di come non lo fosse appena sveglia. Lea intuì subito la faccenda: era innamorata.

“Ciao tesoro” rispose la donna, andandole incontro “Non era il caso che tornassi”
“Lo era, invece” Lea gettò la borsa sul tavolo della cucina e si tolse il giubbotto, poggiandolo sulla sedia “Spero vorrai spiegarmi”
In quel mentre, anche Edward rientrò e raggiunse le due donne, esordendo con un trillante “Ciao Lea”, al quale la ragazza non rispose.
“Tuo padre ti ha salutato” la rimproverò Marta, sua madre.
“Spero vorrai spiegarmi cosa cazzo succede” Lea parlò guardando sua madre in faccia, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un istante.
“Che razza di tono sarebbe questo?” si intromise Edward, avvicinandosi a Marta “Se non vuoi parlare con me, almeno porta rispetto a tua mamma”
“Rispetto?” sbraitò Lea, spostando gli occhi verso il padre “Proprio tu parli di rispetto? Te ne sei andato di nascosto, come un ladro, per poi tornare dieci anni dopo nella nostra vita! E mi vieni a parlare di rispetto? Fossi in te, starei zitto”
“Lea!” sua madre mutò espressione, passando dal sorpreso all’iracondo “Lui è tuo padre, che ti piaccia o meno! Inoltre, questa è una cosa che non ti riguarda! Ne abbiamo discusso a lungo, papà ha capito di avere sbagliato e io sono disposta a perdonarlo”
“Ma fammi il piacere!” urlò Lea, di rimando “Non è una cosa che mi riguarda? Si da il caso che quell’uomo ha distrutto la nostra vita già una volta! Come puoi essere così stupida da permettergli di farlo di nuovo?”

Un sonoro ceffone si posò sulla guancia di Lea che, inebetita, rimase per un istante in silenzio, una mano sulla guancia dolorante.

“Non permetterti mai più di dire una cosa simile a tua madre” tuonò Edward “Non mi importa quanti anni hai, sono pronto a riempirti di ceffoni se ti azzardi ancora a parlarle in quel tono”
“Sei patetico” sibilò Lea, lanciandogli uno sguardo di sfida “Lo sei sempre stato. Pensi solo a te stesso, non ti importa nulla di lei, di noi. Sei tornato solo perché sei nella merda ma quando questa situazione si sbloccherà, sparirai di nuovo, perché è l’unica cosa che sai fare”
“Lea smettila! Se sei venuta qui per criticare, puoi anche tornartene a casa” Marta parlò con autorità.
“Non pensi a Marie?” chiese Lea, squadrando sua madre “Lo sai quanto ha sofferto, tu c’eri a differenza sua” e nel dirlo, indicò Edward “Sai cosa ha passato a causa della sua assenza”
“Se tua sorella ha deciso di investire il suo futuro basandosi su scelte sbagliate, non puoi dare la colpa a me” sentenziò Edward.
“Non parlare di mia sorella” lo minacciò Lea “Non permetterti nemmeno di nominarla, sono stata chiara? Non mi farò mettere sotto da te, che non sai nemmeno quand’è il giorno del mio compleanno!”
“Questa storia sta diventando grottesca” commentò Marta “E i vicini penseranno che ci stiamo ammazzando, quindi abbassate il tono”
“Me ne fotto dei vicini! E sinceramente, me ne fotto anche di voi! Ma soprattutto, me ne fotto di te, Edward” e pronunciò quel nome con disprezzo, come se si stesse riferendo ad un criminale. Poi girò sui tacchi, afferrò gli indumenti che aveva posato sulla sedia ed uscì di casa, sbattendo la porta con violenza.

**

Lo avrebbe voluto accanto in quel momento. Avrebbe avuto voglia di vedere i suoi occhi, così comprensivi, di sentire la sua voce, così pacata, di avvertire la sua presenza, così rassicurante. Ma lui non c’era. Pensò di chiamarlo, di nuovo, solo per poter sentire la sua voce, ma temendo di disturbarlo, evitò. Non era ancora entrata nell’ottica della “coppia”, faceva fatica a pensare che da quel momento, avrebbero potuto dividere qualsiasi gioia e qualsiasi dolore.
Vagò per Roma, in auto, pensando a cosa sarebbe successo adesso che Edward era tornato, adesso che nulla sarebbe più stato come prima. E poi pensò a Marie, a quanto aveva patito a causa di quell’uomo che si ostinava a farsi chiamare “papà”, quando in realtà era poco più di uno sconosciuto.
Rincasò dopo mezz’ora di giri incessanti per la città e trovò Marie ai fornelli, intenta a prepararsi un caffè.

“Sei già sveglia?” chiese Lea, posando cappotto e sciarpa sul tavolo.
“Sì, non riuscivo a dormire. Ci hai parlato?”
“Parlato non è il termine esatto. A dire il vero ho urlato e Edward mi ha anche tirato uno schiaffo” concluse Lea, con una risata di scherno.

Il rumore di un pezzo di ferro sbattuto a terra riecheggiò fra le mura della cucina.

“Cosa?” chiese Marie. Lea si voltò e notò la caffettiera a terra e il viso di Marie, rosso e arrabbiato “Ti ha tirato uno schiaffo?”
“Sì, per difendere mamma. Patetico”
“Io lo ammazzo, Lea” si pulì le mani nel canovaccio appeso al muro e fece per uscire dalla cucina.
“Dove vai?” Lea la fermò, prendendola per un braccio “Stai qui”
“No! Come si permette? Cosa vuole dimostrare? Di essere un buon padre? Doveva farlo prima, adesso è tardi!” urlò “Vado da lui”
“No” sentenziò Lea “Tu non fai nulla. Non permettergli di renderti ancora più debole. Domani, con calma, parlerò di nuovo con mamma, anche se mi sono congedata in maniera drastica. Capirà e lo manderà via” e poi pensò “E io tornerò a Berlino”

Ma Berlino, adesso, era lontana. Troppo lontana.

**

Bill sfogliava, pigramente,un giornale trovato per casa senza leggere gli articoli, senza nemmeno vedere le figure, la mente troppo occupata a pensare alle parole del fratello.
Era possibile che Lea, la sincera Lea, quella che gli aveva aperto il suo cuore totalmente, lo stesse prendendo in giro?
Del resto, per quale motivo Tom avrebbe dovuto insinuargli un simile dubbio nel cervello se non ci fosse stato almeno un fondo di verità?
Alzò gli occhi dalla rivista e afferrò il cellulare, selezionò il numero della ragazza dalla rubrica e inoltrò la chiamata.
Al secondo squillo, Lea rispose.

“Ciao” balbettò Bill. Non erano ancora arrivati alla fase in cui, quando la tua compagna risponde al telefono, viene spontaneo ribattere con un “ciao tesoro” o “ciao amore”. Era forse ancora troppo presto.
“Ciao Bill” mormorò Lea, mesta “E’ successo qualcosa?” anche per lei non era ancora giunta quella particolare fase per la quale è normale che il tuo compagno ti telefoni solo per sapere come ti senti, specie se dista da te centinaia di chilometri.
“No, nulla. Volevo solo sapere come stai, anche se ci siamo sentiti questa mattina”
“Ho parlato con i miei genitori, anzi, ci ho litigato. Ma domani vedrò di sistemare tutto, voglio tornare a Berlino il prima possibile” lo rassicurò.
“Perché non mi hai permesso di accompagnarti?” Bill buttò lì la domanda, con apparente noncuranza, come se facesse parte del discorso.
“Perché non era il caso, Bill. Ti avrei fatto perdere solo del tempo”

Il ragazzo non rispose, ma una spia nella sua testa prese a pulsare, come l’allarme di una macchina. Perdere del tempo? Non sarebbe stato tempo sprecato, se l’avessero trascorso insieme. Era questo il punto della questione.

“Bill? Sei ancora in linea?”
“Sì, scusa. Non mi avresti fatto perdere del tempo, comunque. L’avrei fatto volentieri”
“Lo so, ma è una questione che non ti riguarda, non voglio ammorbarti con i miei problemi famigliari”

Di nuovo Bill tacque. Una questione che non lo riguardava? Aveva sempre pensato che, nel momento in cui avesse avuto la fortuna di incontrare la ragazza giusta, avrebbe condiviso con lei tutto, senza esclusione. Ogni suo problema sarebbe diventato un unico problema da dividere in due, in modo tale che il peso da reggere fosse stato meno pesante. Ma, evidentemente, per Lea non era lo stesso.

“Mi sembri strano” disse quindi la ragazza.
“No, non ho niente. Sto bene. Ci sentiamo domani”

Lea non fece nemmeno in tempo a salutarlo, perché il ragazzo interruppe la comunicazione velocemente. Indispettita, gettò il cellulare sul letto e sbuffò: adesso cosa diamine gli stava capitando?

**

Marie uscì di casa di nascosto. Aveva sentito Lea parlare al telefono e ne approfittò per sgattaiolare fuori e raggiungere la casa di sua madre.
Nel vialetto, riconobbe l’auto del padre e le venne un conato di vomito. Inspirò profondamente, scese dalla sua macchina ed entrò senza bussare.
Trovò i suoi genitori in salotto, seduti sul divano, vicini e sorridenti.

“Marie! Che sorpresa” esordì la madre, alzandosi.
“Non sono venuta per farti una sorpresa, mamma. Sono qui per chiederti di mandarlo via, adesso”

Edward non si scompose, con il suo solito sorriso di plastica guardò la figlia e parlò con calma: “Ciao Marie. Vedo che anche tu, come tua sorella, non hai perso tempo. Pazzesco pensare che le mie figlie non mi vogliano”
“Non sono più tua figlia, Edward. Ho smesso di esserlo da tanto tempo”
“Oh andiamo, è ora di finirla con questa storia, Marie! Se hai compiuto scelte sbagliate nella vita, non puoi colpevolizzarmi! Non ero io a spingerti nel letto di uno sconosciuto diverso ogni sera”

Marie sentì una rabbia sorda impossessarsi di lei, strinse in pugni fino a che le nocche divennero bianche e represse la voglia di saltargli al collo.

“Tu non sai cosa ha significato, per me, la tua scomparsa. Ho passato notti intere a chiedermi per quale motivo mi avessi abbandonata. Ero solo una bambina, ti adoravo, ero così orgogliosa di te”
“Non ti ho abbandonata”
“Lo hai fatto! Sei sparito come un vigliacco, non ti sei fatto vivo per anni! Quando ci siamo trasferite in Italia ho sempre sperato di vederti tornare, di sentire il rumore della tua auto che parcheggiava davanti a casa nostra, di ricevere almeno una tua telefonata, una lettera, qualsiasi cosa! Invece solo silenzio… Se non fosse stato per la mamma e per Lea, sarei impazzita. Poi è arrivato Philip e, come una stupida, l’ho chiamato come tuo padre, perché volevo mantenere vivo il ricordo, volevo che ci fosse ancora qualcosa che mi legasse a te. Sono stata una sciocca. Tu non ci hai mai voluto bene”
“Marie, non dire così” Marta parlò piano, le parole della figlia l’avevano svuotata, facendola per un attimo ripiombare nell’incubo di quegli anni, del loro trasferimento in Italia, delle difficoltà che avevano affrontato per ricostruirsi una “nuova” vita che permettesse loro di ricominciare da capo, senza Edward.
“Sai che sto dicendo la verità, mamma!” tuonò Marie “Lo sai. E non capisco come tu possa permettergli di starsene qui, seduto sul TUO divano, non il VOSTRO. Quel divano è tuo, questa casa è tua! Ti ricordi che culo ti sei fatta per ricominciare qui? O te lo sei dimenticato?”

Marta non rispose. Era stato difficile, tremendamente difficile. Sebbene fosse italiana, aveva seguito Edward in Inghilterra dopo averlo conosciuto e ci era rimasta per più di dieci anni. Aveva deciso di tornare in patria solo quando il marito se ne era andato, pochi mesi dopo la nascita di Lea, lasciandole sola con una bambina di dieci anni e una neonata.
Ma quando l’aveva visto tornare, aveva pensato che le sue preghiere fossero state esaudite, senza fermarsi a riflettere su cosa avrebbe significato, quel ritorno improvviso, per Marie e Lea. Ma soprattutto per Marie.
E c’era ancora qualcosa che doveva dire alla figlia, qualcosa di cui lei e il “marito” avevano parlato poche ore prima.

“Marie, tutti sbagliano, anche tuo padre. E ora è tornato, mi ha chiesto scusa,ha capito. E vorrebbe che tornassi in Inghilterra con lui”

Marie squadrò la madre con gli occhi spalancati, come se si trovasse di fronte una perfetta sconosciuta.

“Dice che anche Philip potrebbe venire con noi, almeno un paio di mesi, così da imparare la lingua” aggiunse Marta, con un filo di voce, temendo la reazione della figlia.
“Scusa?” sbraitò Marie “Phil non si muove da qui! Non pensateci nemmeno!”
“Sarebbe una grande occasione per lui” si intromise Edward “L’anno prossimo inizierà le scuole elementari e potrebbe frequentarle a Londra”
“Vaffanculo!” Marie lo urlò con tutta la forza possibile “Vaffanculo! Me ne fotto delle scuole elementari londinesi e della lingua! Mio figlio non si muove da Roma! E tu, mamma” continuò, puntandole un dito contro il petto “faresti bene a pensarci. Se te ne vai in Inghilterra con lui, non azzardarti a tornare piagnucolando!”

E, come aveva fatto Lea poche ore prima, girò sui tacchi ed uscì da quella casa, con la sensazione che nulla sarebbe finito, che l’incubo stava ricominciando.

**

Mandy subodorava guai e Mandy era infallibile su questo. Il suo sesto senso era marcatissimo e finiva sempre per avere ragione così, nonostante non sentisse Lea dalle cinque e mezza di quel mattino, cioè da quando erano sbarcate, si diresse a casa sua.
Suonò il campanello e la ragazza le aprì poco dopo, sul viso i segni di una giornata cominciata male.

“Lea, ho un sospetto. E dalla tua faccia, credo di non sbagliarmi”
“Mi chiedevo quando saresti arrivata, infatti” rispose Lea, facendola entrare e dirigendosi verso la sala. La casa era vuota, Marie non c’era e Philip era ancora all’asilo.
“Sei sola?” chiese Mandy.
“A quanto pare… Marie è sparita e penso di sapere dove sia”
“Cosa succede?”
“Ho parlato con mia madre e con Edward. Risultato: ho rimediato uno schiaffo e un gran mal di stomaco. Ora credo che Marie sia da loro”
“Hai sentito Bill?”
“Non parlarmene. Mi ha praticamente sbattuto il telefono in faccia!”
“Per quale motivo?” chiese Mandy, dubbiosa. Per come lo conosceva, non si sarebbe mai aspettata un simile comportamento a meno che non ci fosse stato un motivo ben preciso.
“Mi ha chiesto perché non ho voluto che venisse a Roma ed io gli ho semplicemente detto che non volevo che sprecasse tempo per i miei problemi, che è una questione che non lo riguarda. Dopodiché, mi ha salutata in malo modo e ha interrotto la comunicazione. Ci mancava solo lui”
“Lo sapevo…” sbuffò Mandy “Lo sapevo!”
“Cosa? Cosa sapevi?”
“Capisco che è la tua prima relazione importante, ma…”
“La prima in tutti i sensi” la corresse Lea.
“Ecco, appunto. E dicevo, capisco che questa sia la tua prima relazione importante, ma non è un’attenuante, Lea. Anche se non hai esperienza in questo campo, dovresti essere più malleabile, dovresti renderti conto che in amore si divide tutto, anche i problemi” sentenziò Mandy, con aria da vera esperta.
“Non credo di seguirti… o forse sì. Stai forse dicendo che è colpa mia?”
“In parte sì. Lui voleva starti accanto e tu, invece, l’hai rimesso al suo posto, come fosse un amico impiccione. Lui non è un tuo amico, è il tuo ragazzo, capisci la differenza?”
“A scapito di essere presa per superficiale, credo che la differenza stia nel semplice fatto che con lui condivido anche l’intimità, mentre con un amico no” mormorò Lea, quasi imbarazzata.
“Ecco dove sta l’errore!” proruppe Mandy “Tu credi che Bill sia un amico con il quale vai a letto, ma in realtà è molto di più! Lui dovrebbe essere la tua spalla, quello a cui raccontare i tuoi dispiaceri, le tue paure, quello a cui fare riferimento quando il mondo ti volta le spalle”
“Per questo ci siete tu e Sue, le mie migliori amiche”
“Certo Lea, ma ora c’è anche lui. E la differenza fra noi è Bill sta nel fatto che noi ti vogliamo bene, come se fossi nostra sorella, ma lui ti ama”
“Non capisco, Mandy. Che differenza fa? Anche voi mi amate, sebbene in modo diverso” disse Lea, cominciando a sentirsi vagamente in colpa.
“L’hai detto tu stessa: in modo diverso. Io, per quanto ti voglia bene, non avverto la necessità di averti accanto costantemente e, con questo, non fraintendermi Lea”
“Ho sbagliato a non permettergli di venire a Roma?” chiese Lea, in un sussurro “Lui è pur sempre Bill Kaulitz, fatico a pensare che sia semplicemente Bill. O meglio, lo penso quando siamo soli, ma in mezzo alla gente… non lo so”
“Capisco Lea, ma ora, prima di essere Bill Kaulitz, sarà sempre Bill per te. Quando pensi a lui, dovresti immaginartelo come un normalissimo ragazzo di Berlino e non come la rockstar che infiamma le arene”
“Facile dirlo, Mandy! Non potrei mai passeggiare per Roma con lui, ci assalirebbero o meglio, LO assalirebbero in meno di un minuto!”
“Lui non ti ha chiesto di passeggiare per Roma. Sono certa che se ne sarebbe stato in hotel, calmo e tranquillo, ad aspettarti, ma con la consapevolezza di essere nella tua stessa città. Così, invece…” non fece in tempo a finire la frase che la porta di casa si aprì violentemente ed entrò Marie, rossa in volto e tremante.

Lea si alzò di scatto dal divano.

“Sei andata da loro, vero?”
“Vogliono trasferirsi in Inghilterra!” urlò, gettando la borsa per terra e bestemmiando, cosa che non faceva mai.
“Marie calmati” Lea cercò di accarezzarle una guancia ma la sorella si divincolò.
“E sai cosa mi ha detto? Che vorrebbe portare anche Phil a Londra, per fargli studiare l’inglese! Io lo odio, Lea, lo odio!” e senza aspettare risposta, si precipitò verso il bagno e vi si chiuse all’interno.

Lea chiuse gli occhi. Le sembrava di essere tornata bambina, quando la sorella rincasava ubriaca fradicia e si chiudeva in camera, seguita a ruota da sua madre che le urlava improperi di ogni tipo, salvo poi scoppiare a piangere di fronte ad una figlia che aveva smarrito il senso della sua vita.
Nonostante fosse davvero piccola, capiva perfettamente ogni parola, ogni gesto, ogni sguardo. E quella vita era durata per anni, fino a quando non era nato Philip, in pratica.
Solo allora, forse per senso del dovere, Marie aveva ritrovato la “retta via”, aveva riposto in suo figlio ogni speranza e aveva iniziato a sentirsi meno sola.
Aveva chiuso con le storie sbagliate, con le sbronze serali, con il sesso occasionale ed era diventata una mamma a cinque stelle. Ma dentro, qualcosa continuava a divorarla e quel qualcosa, adesso, era tornato in carne ed ossa.

“Lea, io vado” mormorò Mandy, ancora scossa dalla scena alla quale aveva appena assistito “Ti chiamo domani”
“Sì, scusa Mandy. E grazie” Lea la abbracciò forte.

**

Marie non era ancora uscita dal bagno, Lea la sentiva piangere sommessamente. Era quasi ora di andare a recuperare Phil all’asilo, così informò la sorella dalla porta del bagno e poi si diresse all’asilo.
Quindici minuti dopo, faceva ritorno a casa.

“La mamma?” chiese Philip “Oggi abbiamo fatto dei disegni e ne ho uno per lei e uno per te!” trillò.
“Tesoro, la mamma sta facendo la doccia” mentì Lea “Adesso vai a cambiarti e poi glielo mostri, ok?”

Il bambino annuì e si recò, diligentemente, in camera. Lea lo seguì con lo sguardo, mentre calde lacrime le facevano brillare gli occhi.
D’improvviso, avvertì la necessità di sentire la voce di Bill. E capì perfettamente il discorso di Mandy: era quella la differenza fra lui e un amico. Di lui aveva BISOGNO.

Il primo tentativo di chiamata non andò a buon fine e Lea pensò che il ragazzo fosse ancora arrabbiato. Sul subito, decise di lasciar perdere, ma qualcosa in lei le suggerì di ritentare. Al quarto squillo, uno scontroso Bill rispose.

“Ciao” biascicò.
“Bill… senti, mi dispiace per prima”
“Non importa”
“No, importa invece. Non è che non ti volessi qui, è che devo ancora abituarmi all’idea. Sono… sono una frana in questo senso, lo ammetto”
“Non volevo impicciarmi dei fatti tuoi, Lea. Credevo solo che ti avrebbe fatto piacere avermi lì. So che ci sono le tue amiche, ma è come se tu mi avessi tagliato fuori dalla tua vita. E’ vero” continuò, parlando velocemente “ci conosciamo, tutto sommato, da poco, ma a me sembra di conoscerti da sempre. Chiamami idiota, ma…”
“No, no, Bill! Non sei idiota! Oddio, sono io che… che ti tratto come se fossi un mio amico” e pensando alle parole di Mandy, continuò “ma non lo sei. Sei molto di più”

Bill non disse nulla, Lea sentì solo un sospiro. Era un sospiro di sollievo.

“Ti ricordi di Parigi, all’aeroporto? Mi avevi detto che, se mai avessi sentito la tua mancanza, avrei dovuto chiamarti, in modo da permetterti di raggiungermi ovunque fossi. Ricordi?”
“Certo, come fosse successo ieri”
“Mi manchi” mormorò Lea “E ho bisogno di te”

Lea sentì una risatina dall’altro lato della cornetta, ma non una risata di scherno. Era qualcosa di molto simile ad una risata di gioia.

“Arrivo” fu tutto quello che il ragazzo disse.

**

Oltre a ringraziarvi, come sempre, non so che dire xD
Mi sa che starete tutte quante detestando Lea a più non posso! xD
Kate
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: KatNbdwife