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Autore: MrEvilside    29/07/2010    4 recensioni
Prima di sfondare la dura parete costituita dal Tamigi, scorgo un’unica parola sulla tua bocca: bugiardo – non te lo aspettavi, vero?
I demoni non mentono; gli umani, sì, e non avresti dovuto dimenticarlo.

[spoiler! sul ventiquattresimo episodio]
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ciel Phantomhive, Sebastian Michaelis
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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In Deus Nomine
(colonna sonora: The Dark Crow Smiles)

In nome del Padre,
Del Figlio,
Dello Spirito Santo.

Mi hai chiesto di tenere gli occhi chiusi sino a che non mi avessi permesso di fare altrimenti ed io ti ho obbedito: non ho intenzione di vedere anticipatamente gli esseri che abitano il luogo dove andrò una volta concluso il Contratto.
Disteso a terra, sono scivolato sul bordo dell’impalcatura ed ho allungato debolmente una mano per afferrarlo prima di venire inghiottito dalle acque del Tamigi, sotto di noi. Per un doloroso istante, il mio corpo si è teso a mezz’aria sin quasi a spezzarsi e poi si è rilassato, urtando violentemente contro il legno duro della struttura portante superiore del ponte – ho sentito il sangue sulla lingua come mai prima.
E adesso mi trovo qui, sull’orlo del precipizio, come sono sempre stato soltanto figurativamente, ad attendere che il mio maggiordomo mi salvi.
Ti sto aspettando, Sebastian: aspetto che tu venga a reclamare il mio spirito, come da accordo.
Dalle tenebre dietro le mie palpebre, quelle che mi hai proibito di vedere, mi giunge la tua voce, differente, spietata, deformata in qualcosa di così disumano e crudele che non sono in grado di definirlo: mi fai una seconda richiesta – non esagerare, servitore: sai perfettamente che dovrebbe essere il padrone a domandare ed il servo ad eseguire e non il contrario; non abusare delle mie concessioni.
Ricorda qual è il tuo posto, Sebastian.
Vuoi che io resti in vita sino a quando non avrai contato sino a zero, a partire dal dieci.
Obbedisco, sebbene, costretto in una simile posizione, avverta sempre più insopportabile il dolore al petto fasciato, dove mi hanno sparato, e la mano abbia iniziato a perdere sensibilità.
Tu cominci a contare e, ad ogni nuovo numero, odo un nuovo grido di quell’angelo malato.
Soffre mille e mille volte in più di quanto lui abbia fatto soffrire te – perché tu restituisci sempre decuplicata ogni umiliazione subita, giusto, Sebastian? È ciò che stai aspettando di poter fare anche con me, dopotutto, quando non avrai più obblighi nei miei confronti se non quello di divorarmi.
Ti accusa d’essere una bestia – affondi i tuoi artigli nella sua carne.
Dice che sei ripugnante, impuro, disgustoso – graffi, portando via con le tue unghie frammenti di pelle, lo fai sanguinare.
Urla, invoca il Cielo di salvarlo, di distruggerti – gli strappi le ali bianche, e grida.
Non avevo mai sentito un grido simile, così lacerante, così struggente, così penetrante ed acuto, di pura ed intollerabile sofferenza, tanto che provoca un tremito lungo la mia spina dorsale. Ho gli occhi chiusi, eppure lo so, so che hai afferrato la base delle sue candide ali, laddove si trovano le scapole, e hai tirato – gli hai sottratto l’integrità del suo essere, la sua identità di angelo.
Questa è la sua punizione, il castigo divino di un Dio insano che gli ha permesso di rubare le anime agli uomini per costruire un ponte di pace menzognera sul sangue e sui cadaveri d’un’Era di fiamme che oramai va spegnendosi, lasciando dietro di sé soltanto braci e carne bruciata.
Una luce intensa si insinua sotto le mie palpebre e per un momento temo che il calore possa incenerirmi e questo bagliore accecarmi, mentre il Cielo reclama quel che rimane del suo folle apostolo per ripulire la terra dei suoi rivoltanti peccati – ma questo non riporterà indietro chi è morto questa notte, non salverà gli spiriti condannati ad edificare il ponte, e ci sono persone che non lo dimenticheranno; come ti farai perdonare da noi, Signore?
Come potrai mai perdonarci?
Infine apro gli occhi ed incontro il tuo sguardo: ti ergi sopra di me, fregiandoti nuovamente della forma di mio perfetto maggiordomo, con i vestiti stracciati ed un moncherino al posto del braccio sinistro – ed il mio occhio destro arde, come se fossi stato privato d’esso come è accaduto al tuo arto.
Increspi le labbra in un sorriso che potrebbe essere quasi dolce, quasi gentile, se non ti conoscessi a sufficienza per scorgervi del compiacimento.
Anche io sorrido debolmente – hai visto? Ti ho obbedito, sono ancora vivo.
E poi mi lascio cadere.
In un effimero istante, quanto basta perché batta le palpebre, sono già lontano da te; adesso, tuttavia, il tempo sembra essere rallentato, tanto che il vento non sferza più il mio corpo e posso distinguere chiaramente il tuo volto attraverso i viticci luminosi di pellicole che stillano dal mio stomaco, dove percepisco un calore più dolce del precedente, più affettuoso, più accogliente, come l’abbraccio di una madre.
Il tuo sorriso è svanito, sostituito da un’espressione incredula che non ho mai visto sul tuo viso – tu che non ti sei scomposto mai, qualsiasi cosa potessi fare per costringerti a manifestare una qualche emozione.
Era sufficiente che morissi per riuscire nel mio intento?
Non riesco a sentire la tua voce, ma vedo le tue labbra muoversi. « Non oserete morire, signorino… » sussurrano, contorcendosi in quella che so essere indignazione.
Il mio sorriso, al contrario, si amplia, tingendosi di divertimento e soddisfazione.
« Oh, sì, » sillabo « oso ».
Prima di sfondare la dura parete costituita dal Tamigi, scorgo un’unica parola sulla tua bocca: bugiardo – non te lo aspettavi, vero?
I demoni non mentono; gli umani, sì, e non avresti dovuto dimenticarlo.
L’acqua è così fredda: a contatto con essa, il calore che mi accarezza il ventre svanisce. Il fiume mi trascina a fondo, nelle profondità del suo utero, come fossi suo figlio, il proibito, impuro frutto nato dall’unione tra Cielo ed Inferno, colui che più d’ogni altro quell’angelo desiderava sterminare.
Il gelo mi soffoca, mi toglie ogni energia, ogni più piccolo frammento di un desiderio di vivere che non esiste più – ho compiuto la mia vendetta: non c’è altro, oramai.
Di Ciel Phantomhive non è rimasto nulla.
Socchiudo gli occhi, improvvisamente sonnolento, quando la tua voce m’impedisce di assopirmi.
Non la voce del demone: la voce cortese, falsamente umana, di Sebastian Michaelis, quella voce che mi ha sempre irritato e che persino adesso mi infastidisce – non vuoi nemmeno lasciarmi morire in pace, vero?
« Siete un bugiardo, signorino » affermi in tono pacato – niente ira, niente irritazione, niente sdegno: sai che mi compiacerebbero ed è per questo che me li nascondi, per canzonarmi, un’ennesima volta, con la serenità del tuo comportamento. « Avevate promesso che sareste rimasto in vita ».
« Sì, » ammetto con semplice onestà « io… ho mentito ».
Le menzogne, oramai, non servono più a nulla: tu sei venuto a prendermi, sei venuto perché non potessi venir meno ai termini del patto, sei venuto a strapparmi alla pace eterna.
Sei venuto da me, anche se questa volta non avevo chiamato il tuo nome.
Stringi con l’unico braccio rimasto il mio corpo morente, nuoti verso l’alto, verso la superficie, verso l’unica e vera fine che mi spetta, ed io non mi oppongo, non tento più di vincere questa partita; tu sorridi, consapevole di aver fatto scacco matto.
« Sebastian, posso chiederti una cosa? » voglio sapere in un mormorio flebile.
« Che cosa? »
« Che cosa sei, ora? »
Non ti vedo bene, non posso sapere se sei ancora Sebastian Michaelis o se sei divenuto la creatura dell’Inferno che brama il mio spirito.
Ma so che tu non mentirai.
« Per voi, quale che sia l’occasione, io sarò sempre soltanto un maggiordomo ».
« Capisco » sussurro, permettendo infine che le palpebre – appesantite dalle tante sofferenze vissute, che sembrano volermi accompagnare sulla strada che conduce alla morte – calino sui miei occhi stanchi. « Allora, obbedisci al mio ordine… »
Distinguo una nota di sottile sorpresa nella tua voce quando replichi: « Sì, mio signore? »
Ma è troppo tardi.
Non avverto più la tua presenza accanto a me, non odo più lo sciabordare del Tamigi, non percepisco più il gelo delle sue acque che penetra nelle mie ossa. La mia coscienza ha abbandonato il mio corpo, ed ora non c’è nient’altro che una profonda oscurità.
E, tuttavia, sono consapevole che è semplicemente la quiete che anticipa la fine d’ogni cosa.
Presto mi risveglierai un’ultima volta.
Di me non lascerai davvero niente.
Lo so, Sebastian, lo so perfettamente che non è a questa dolce serenità che mi scorterai.
Io ti sto aspettando, ancora una volta, perché è così che deve essere.
Ascolta il mio ultimo ordine, sebbene non abbia avuto tempo di dartelo: tu, che vivrai più a lungo di chiunque altro, non dovrai mai dimenticare il mio nome.
« Yes, my Lord ».

Amen.




( Questa è una delle fanfictions più sentite che abbia mai scritto - e non yaoi, né shounen-ai [ che palle, è così complicato vederli semplicemente come "duo psicologico"? ].
In realtà non so nemmeno perché, o meglio, non lo so con certezza: so che dovevo scriverla, che dovevo creare un qualche tributo per l'ultimo episodio della prima stagione -
perché, truth be told, ho pianto mezz'ora.
La maggior parte dei dialoghi è presa, appunto, dalla ventiquattresima puntata, forse talvolta leggermente modificati - ma sono quelli, neh.
E poi... poi.
Poi, a dir il vero, non lo so - anzi, lo so: il titolo e la preghiera che si accompagna al segno della croce c'entrano qualcosa solo se ce lo vedete voi... Boh, io inizialmente avevo pensato ad una specie di cosa che dovesse riferirsi a Sebastian anziché a Dio, ma poi... poi ci siete voi che, se vi va, recensite e mi dite che ne pensate, ecco.
Mi fareste un grande piacere.
'til next time, chu. )
  
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