Anime & Manga > Soul Eater
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Autore: Mushroom    29/07/2010    8 recensioni
"Poi guardò la figura davanti a sé, rivolgendole un ringhio sommesso << Almeno hai avuto la decenza di fermarti >> sbottò, mettendo il segnalibro. Lo conosceva, a lui, e non voleva averci niente a che fare.
Il ragazzo ghignò, con aria quasi innocente << Mi assicuravo che non fossi morta… se no sai che casini >>
Gli lanciò il libro in testa << Sai che è proibito venire a scuola in moto? >>
<< Sai che non si dovrebbero lanciare dei tomi così grossi in testa alle persone? >> borbottò, massaggiandosi il capo.
<< E sai che non si dovrebbe cercare di investire la gente? >> ribatté saccente.
Si guardarono in cagnesco per pochi secondi.
A volte Soul Eater si chiedeva perché, uno cool come lui, venisse zittito troppo spesso da una secchiona come lei.
"
Maka Albarn, studentessa modello. Capace di dare forma a qualsiasi materia e di stupire sempre ogni docente, viene spesso chiamata "Shokunin" - l'artigiana
Soul Eater Evans, tutto meno uno studente provetto. Affilato come una falce, popolare e dotato di un forte senso cinico, è conosciuto anche come "Buki" - l'arma.
Lui e Lei. Loro.
Cosa accomuna i due?
[ Alternative Universe; A Tratti OOC ][Titolo provvisorio]
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Maka Albarn, Soul Eater Evans
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hey, Soul Sister ~ Train.
First
Chapter - Introducing: I knew when we
collided
{Sapevo che ci saremmo scontrati

Percorrere la strada che la separava dalla scuola leggendo un libro - non necessariamente buono - era una delle peculiarità di Maka Albarn. Lo era anche quel suo passo marziale, che dettava una certa autorità alla sua figura così minuta.
A volte l’aspetto ingannava, e quello era il suo caso.
Maka poteva essere una bella ragazza, sempre se non si fosse troppo fissati con i seni.
La giovane aveva litigato con le sue forme fin dalla prima adolescenza, quando aveva iniziato a rendersi conto del suo aspetto e del suo corpo. Si era ben presto ritrovata sommersa tra ragazze nel fiore degli anni, da forme sempre più prosperose e ormoni a dir poco in subbuglio, mentre il suo corpo rimaneva sempre quello di una bambina.
Per anni il suo massimo era stato agognare a una terza scarsa e – alla fine – l’aveva avuta vinta.
Certo, lei, l’artigiana, vinceva sempre. Se no non sarebbe stata la prima della classe.
Aveva lunghe gambe, sinuose ed eleganti, ma dall’andatura poco aggraziata, simile a quella di un cadetto.
I capelli Biondi, tendenti al color senape, le incorniciavano il viso magro e dai bei lineamenti, valorizzato da due forti occhi verdi.
A volte si tendeva a dimenticargli gli occhi, e a guardarne solo la superficie. Ma, se si era capaci di scavare un po’ più a fondo, si vedeva il coraggio, la determinazione e la forza della giovane donna.
E, guardando ancora un po’, si riuscivano a cogliere i tratti di quel suo carattere un po’ aggressivo e orgoglioso.
Quella mattina era uscita con una certa fretta, sicura di essere in ritardo ma – come sempre – in perfetto orario. Aveva sistemato velocemente la cucina, riponendo il materiale della colazione al suo posto, e salutando – quasi automaticamente – il vuoto della casa “io esco!”.
A volte si dimenticava di vivere da sola. Beh, proprio sola sola no, ma col padre sì. Questo, praticamente, era come condividere la casa con un fantasma.
Col tempo aveva imparato a memoria ogni punto di riferimento presente in quella strada, perché camminare con gli occhi incollati alle pagine poteva essere difficoltoso. In quei tre anni era quasi stata investita un paio di volte e aveva preso in faccia un numero indefinito di lampioni. Ma ora, alla veneranda età di diciassette anni, non aveva più quegli impicci.
Inoltre, quella strada del suo quartiere era poco trafficata. Però quelle macchine, ambedue le volte, l’avevano quasi presa in pieno – le strade strette e la disattenzione portano anche a quello.
Al massimo passava qualche bicicletta, al cavallo della quale stavano sempre degli studenti.
E poi…
Una moto le sfrecciò affianco, facendole perdere l’equilibrio. Il libro volò dalle sue mani, atterrando a qualche centimetro di distanza da lei. Chiuse gli occhi, preparandosi all’impatto. Se avesse avuto un po’ di preavviso, forse avrebbe potuto attutire la caduta. Forse, eh.
Alzò gli occhi, riaprendoli piano piano, e andando in contatto visivo con una Kawasaki. Conosceva quel veicolo e – naturalmente – la persona che aveva l’ardore di guidarlo.
Scattò in piedi, facendo attenzione alla gonna e raccogliendo il libro.
Poi guardò la figura davanti a sé, rivolgendole un ringhio sommesso << Almeno hai avuto la decenza di fermarti >> sbottò, mettendo il segnalibro. Lo conosceva, a lui, e non voleva averci niente a che fare.
Il ragazzo ghignò, con aria quasi innocente << Mi assicuravo che non fossi morta… se no sai che casini >>
Gli lanciò il libro in testa << Sai che è proibito venire a scuola in moto? >>
<< Sai che non si dovrebbero lanciare dei tomi così grossi in testa alle persone? >> borbottò, massaggiandosi il capo.
<< E sai che non si dovrebbe cercare di investire la gente? >> ribatté saccente.
Si guardarono in cagnesco per pochi secondi.
A volte Soul Eater si chiedeva perché, uno cool come lui, venisse zittito troppo spesso da una secchiona come lei. Tutta colpa dell’estate, che con i sui ritmi canzonatori l’aveva fatto quasi rammollire.
Maka si riprese il libro, intenzionata a usarlo come arma in caso di necessità contro il suo fastidioso compagno. Soul Eater Evans era un ragazzo che, per sua sfortuna, condivideva con lei la classe.
Ed era anche un bel ragazzo, a dirla tutta. Almeno, c’era chi diceva così.
Eppure essa aveva trovato i suoi occhi - di quel color rosso – inquietanti più di una volta. Per non parlare dei capelli, di un assurdo colore-non-colore. Tendevano all’argenteo, ma neanche lei sapeva dir come.
Si parlavano poco e, quelle poche volte, riuscivano sempre a litigare.
Soul era un tipo assurdo e del tutto incompatibile con il carattere della ragazza.
Era irresponsabile e pieno di sé, due caratteristiche che Maka non sopportava.
Poi quel mezzo ghigno, che aveva sempre stampato in faccia… no, non le andava proprio a genio.
<< Vattene, Evans. Vattene prima che decida di querelarti per tentato omicidio >>
<< Anche oggi gentilissima! >> le disse con una certa ironia, prima di riaccendere la moto e salutarla con un lieve cenno della mano.
Maka sbuffò e si sistemò per bene la gonna, tentando di spolverarla un poco.
La giornata non poteva iniziare meglio.
<< Buongiorno Maka >> questa si voltò, sorridendo all’amica, che ricambiò con un timido sorriso.
Uno di quelli dolci e comprensivi.
In fondo, Tsubaki era proprio come quei suoi sorrisi. Almeno, finché nessuno la faceva arrabbiare. Sapeva essere paziente e tollerante, ma aveva anch’essa i suoi limiti. Era una forte, lei, più di quanto potesse credere. E Maka, crescendoci, l’aveva capito più di una volta.
Essa le si avvicinò, sistemando un ciuffo scuro dietro all’orecchio.
<< ‘Giorno Tsubaki >> le rispose la bionda, rivolgendole un radiante sorriso. Per Maka, Tsubaki – nel corso della crescita – era stata fonte di mille perplessità. Era alta e aggraziata, con un fisico decisamente invidiabile. Il viso carino e disegnato, gli occhi scuri, profondi, colorati da impercettibili sfumature blu scuro. Questa e tante altre componenti erano frutto, per lei, di attenzioni maschili non richieste.
L’amica, qualche volta, si chiedeva perché Tsubaki allontanasse tutti i possibili corteggiatori. A volte lo trovava quasi uno spreco, anche se sapeva benissimo che gli uomini erano tutti uguali: maniaci in preda agli ormoni, per questo ancora più propensi al tradimento.
Sbuffò, cambiando immediatamente onda di pensiero.
<< Maka, Tsubaki >> le chiamò una terza voce, una voce impastata di chi si è appena svegliato. Si voltarono e Elizabeth “Liz” Thompson raggiunse le due.
Lei era una di quelle ragazze che si notavano subito, sia per l’aspetto sia per il carattere. Inoltre, la sua figura spiccava spesso a scuola; fin dal primo anno, quando litigava con gli insegnanti per la divisa scolastica, ostinandosi a venire a scuola in Jeans e maglietta. Alla fine l’aveva vinta lei, ma solo per personale disperazione di tutto il corpo docenti.
Aveva i capelli biondi, accesi, quasi luminosi, e una figura slanciata.
Sì, Maka – in fatto d’amicizie – era un po’ masochista: e poi si chiedeva da dove arrivassero i complessi di inferiorità.
<< Buongiorno >> risposero in coro, con diversi livelli d’entusiasmo.
Maka guardò sofferente il suo libro ammaccato << Oggi niente lettura? >> le chiese la bionda, osservando perplessa l’espressione dell’amica.
<< Sì e no >> borbottò << Leggevo, ma al passato. Leggevo prima che quell’idiota di Soul Eater mi venisse addosso con la moto >>.
<< Eh? >> Tsubaki le rivolse uno sguardo confuso << Ti sei fatta male, Maka? >>
<< Certo che una cosa simile non è normale. Ma è stato un incidente? >> chiese l’altra.
Maka digrignò i denti << No – il cretino mi è venuto addosso >>
<< Leggevi? >>
Maka annuì.
<< E non eri attenta… >>
A suo malgrado, annuì.
<< Incidente >> decretarono in coro.
<< Aspettate: la vostra migliore amica viene quasi investita e voi non dite niente? >> protestò
<< Né, Liz. E Patty? >>
<< Mi ignorate, per caso? >>
Liz sospirò, iniziando a parlare della sorella minore. Frequentava ancora le medie, ma era perspicace e vivace, anche se un po’ infantile. Spesso si univa a loro, la mattina, mentre andavano a scuola. Le medie si trovavano nello stesso istituto della scuola superiore. Della Shibusen << Patty sta a casa. Ha la varicella >>.
Maka sbuffò, riponendo il libro nella cartella.
Dopotutto, era solo l’ennesima giornata scolastica.

---

Soul sistemò la moto nel retro della scuola. Una noiosissima regola scritta su un manuale che non avrebbe mai aperto, diceva che – agli studenti – era proibito l’accesso all’istituto scolastico con macchine e motociclette. Non che qualcuno avesse mai realmente rispettato quella norma. E, probabilmente, lui non ne sarebbe mai entrato a conoscenza se non fosse stato per quella secchiona di Maka Albarn. Ligia alle regole com’era, sarebbe andata direttamente dal preside solo per far rispettare una qualche minuzia caduta in prescrizione secoli prima. Una volta l’aveva fatto davvero, di andare dal preside. Tutto per via della sua moto molto cool. Fortunatamente, avevano dato ragione a lui.
Il ragazzo sbuffò, mettendosi le mani in tasca e dirigendosi con poca convinzione verso l’istituto scolastico. Nello stato del Nevada – il grande forno americano – la seconda settimana di ottobre pareva l’ultima di giugno. Lo sbalzo stagionale, lì, era veramente radicale. Il freddo sarebbe arrivato pungente da un momento all’altro, e non in modo graduale come succedeva in altri paralleli. Quando era andato a trovare i suoi, lo scorso anno, si era quasi sorpreso di trovare una certa brezza fredda in Marzo.
Questo spiegava perché la scuola spendesse tanto in condizionamento.
Gran parte del merito - riguardo quell’immensa impresa quale era stata convince i docenti a installare dei condizionatori - era di quel damerino del figlio del preside.
Con quella sua aria perfetta, quel suo atteggiamento perfetto e quei suoi voti perfetti, a Soul aveva urtato l’umore più di una volta. E quella sua mania per la simmetria, poi! Degna di un sociopatico.
A dir la verità, aveva pensato di picchiarlo più di una volta.
Poi, chissà come, erano diventati amici. Però la voglia di picchiarlo – o in alternativa, metterlo sotto con la moto – certe volte ritornava prepotente, soprattutto quando insisteva col dire che i suoi capelli erano asimmetrici.
Echecacchio! Erano così, e basta. Aveva provato per anni a sistemarli, con scarsi risultati. E no, non aveva intensione di cospargerci litri di gel per farli sembrare appiccicati al cranio, come leccati da qualche animale. L’idea – e l’immagine - era rivoltante.
Almeno lui non era complessato. Non di certo da cose come i capelli poco ordinati.
E eccolo, il sopraccitato. Lo salutò con un cenno del capo, mentre Soul trascinava i piedi verso di lui.
Lo squadrò di sbieco, poi volse gli occhi verso la moto.
<< Soul? >>
Questo alzò un sopracciglio, non sapendo se interpretare il nome e quella bizzarra espressione come un saluto. Va beh che era strano, ma non così tanto dal corrugare la fronte e indicare davanti a sé come un ossesso senza un motivo. Ancora poco, e forse l’avrebbe udito urlare “Terra! Terra!”.
Di certo – uno come Kid – sarebbe stato utile al Titanic. Con lui non sarebbe affondato per due motivi: primo, non avrebbe mai progettato qualcosa di asimmetrico; secondo, avrebbe urlato “Iceberg! Iceberg!” a chilometri di distanza.
Non si doveva mai deturpare la perfezione del mare con un Iceberg. Mai. Soprattutto con Kid in zona.
<< È un’ammaccatura, quella sulla tua moto? >>
Soul lo guardò sorpreso, non sapendo come interpretare quella frase. Non era scemo, né rincoglionito, e neppure ritardato, ma non poteva aver detto una cosa simile, perché non c’era nessuna ammaccatura sulla sua bellissima moto.
Prima non c’era. E se ora – controllando – l’avesse trovata, la colpa sarebbe stata di una sola persona. E quella l’avrebbe pagata cara. Molto cara.
Si avvicinò al veicolo, accompagnato dall’amico, che blaterava qualcosa sull’alterarsi di qualcos’altro. Insomma: alle solite. Ormai aveva imparato a disintonizzarsi dalla stazione “Buongiorno simmetria”. Bastava andare su FM.
<< Cacchio! >> borbottò, percorrendo con le dita un difetto che – prima di quella mattina – non c’era.
Eppure compariva. Era nel punto esatto in cui era rimbalzato quel fottuto libro dopo che era stato lanciato sulla sua testa. Qualcosa gli disse che l’aveva fatto apposta, quella ragazza, in modo da irritarlo ancora di più. Sapeva che era sgraziata, mascolina e violenta, ma il dotata-di-forza-sovraumana non rientrava nella lista.
<< Indovino >> azzardò l’amico, studiando la forma del colpo << Ennesimo Maka-chop >>
La dura, triste realtà era che lui, Soul Eater, tipo cool, ricercato e famoso per troppe risse; lui, l’arma, veniva continuamente preso a libri in faccia dalla sua compagna di fisica. La secchiona del laboratorio con la quale aveva deciso di far coppia nel vano, illusorio tentativo di copiare qualcosa.
Ma la secchiona non era solo incorruttibile, ma anche non abbindolabile.
A conti fatti, i suoi voti in fisica erano ancora pessimi.
Il proprietario del veicolo sbuffò, trattenendo un moto di rabbia. Si sarebbe vendicato in modo lento e doloroso. Eh, sì.
<< Esatto >> riluttante, diede ragione al corvino << Quella non è normale >>
Death the Kid ghignò << Vedila così: anche se ha i codini asimmetrici, vedervi litigare è dannatamente divertente >>
<< Questa me la segno, Kid >> ringhiò, alzandosi dal capezzale della sua Kawasaki.
<< È la verità >>
<< D’ora in poi, tienila per te >> ribatté stizzito.
<< Né, e Black☆Star? >> chiese Kid. Cambiare argomento era la strategia migliore. Soul si alterava sempre troppo quando si parlava della sua moto. O di Maka Albarn.
<< Diamine, e chi sono? La sua balia? Arriverà quando arriverà >>

---

Fissando con ardore la bacheca, i corridoi della Shibusen iniziarono man mano a ripopolarsi.
C’era chi correva, con l’acqua alla gola per il ritardo; chi si fermava a chiacchierare, con un certo menefreghismo verso l’orario. Chi, ancora come lei, non aveva deciso che materie scegliere.
Perché quell’anno, per accedere agli esami, le mancava un credito.
Aveva scelto le solite materie, come tutte le volte: chimica, fisica, algebra, matematica e scienze. E gliene mancava ancora una.
Spagnolo era fuori discussione: aveva già frequentato l’anno precedente, e voleva che sul suo curriculum scolastico comparissero diverse materie. Più era vario, meglio era. Soprattutto se voleva accedere a un buon college.
Poi c’era educazione fisica, ma lì lei era una schiappa.
Il francese sarebbe stato inutile, lo parlava correntemente, mentre del corso di teatro non se ne voleva sapere. Biologia era pieno, così come informatica e educazione civile.
Non aveva voglia di iscriversi a storia, o geografia, tanto meno a filosofia. Non solo i corsi erano zeppi, ma lei era poco portata per le materie umanistiche.
Infine, c’era un ultimo corso. Erano rimasti solo due posti, e uno di quelli doveva essere occupato per forza da lei.
Maka non capiva perché si sentisse così titubante nel scrivere il suo nome tra la lista degli iscritti.
Era solo il corso base di letteratura inglese. Con tutto quello che leggeva, sarebbe dovuto essere una passeggiata. Il programma, quell’anno, da quanto aveva potuto sbirciare in segreteria, prevedeva la lettura di alcuni romanzi che non le sarebbero andati per niente giù, soprattutto al livello d’analisi critica.
Non avrebbe mai saputo spiegare la relazione tra Mr. Darcy e Elizabeth Bennett, e tanto meno quella tra Heathcliff e Catherine Earnshaw/Linton. Un po’ a malincuore, si iscrisse, sperando anche nella lettura di qualche bel thriller psicologico o di un libro d’attualità.
Guardò velocemente l’orologio: mancava ancora un quarto d’ora all’inizio della lezione.
Sarebbe passata in segreteria. Doveva chiedere il programma di letteratura, e informarsi per i dormitori.
Sapeva che la Shibusen era una scuola abbastanza rinomata, ma non così tanto dal non avere una stanza libera nei dormitori scolastici.
Voleva andarsene da quell’appartamento da troppo tempo, e questa volta ci sarebbe riuscita.

La segreteria era il solito edificio poco affollato, afoso in ogni mese dell’anno e dotato di un design alquanto bizzarro. I colori sembravano essere stati scelti con lo scopo o di spaventare li studenti, o di mischiare tonalità del tutto incompatibili tra di loro. Tempo addietro, Maka le aveva dato il titolo di stanza più bizzarra.
Poi si era ritrovata a cospetto del preside, nella death room, e aveva dovuto cambiare idea.
Beh, se si era ritrovata in quella stanza la colpa era solo e esclusivamente del suo compagno di laboratorio, l’idiota sulla moto, che aveva fatto quasi esplodere l’esperimento. Come, non l’aveva ancora capito. In ogni caso, si era ripromessa di stargli lontano all’ora di chimica. Non voleva sapere cosa poteva combinare con degli elementi in mano, se riusciva a far saltare in aria un semplice e banale test sulle leve.
Quello era stato un vero e proprio insulto alla sua intelligenza.
Si avvicinò alla segretaria con passo deciso. Questa le sorrise, quasi operosa, dandole il programma richiesto,
Poi Maka passò alle note dolenti. Sapeva che, la signora dietro al bancone, non ne poteva più delle sue continue lamentele. Però – purtroppo per l’addetta – era un suo compito, quello di raccogliere proteste e richieste.
<< Mi scusi >> proferì la ragazza << C’è disponibilità per quella stanza che avevo richiesto al dormitorio? >>.
La donna sistemò alcune carte, guardandola solo si striscio << Uhm… >> borbottò << Dovrei controllare nel pc. Torna più tardi >>
Maka si sporse verso di lei. Si stava irritando, diamine. Il pc non era solo acceso, ma anche davanti al naso dell’impiegata, che sprecava il suo tempo su un social network. Doveva essere Facebook, o Twitter: Maka non lo riconobbe. La sua visuale era limitata, e vedeva semplicemente un logo azzurro che non era quello della Shibusen.
<< Senta >> la pregò << Tra poco ho lezione, e capisco che lei sia molto occupata, ma potrebbe dare solo un’occhiata alla disponibilità? >>
La segretaria sbuffò. In quel preciso momento, Maka capì che non sarebbe stata un’impresa facile. << Te l’ho già detto, passa più tardi – digitò qualcosa sulla tastiera – non ho tempo da perdere dietro a te >>
<< Invece ce l’ha >> ribatté saccente la ragazza << È il suo lavoro, e che diamine >>
<< Sta per iniziare la lezione >> con un certo livello di indifferenza, continuando a picchiettare sui tasti del computer, la donna cercò invano di liberarsi della bionda.
<< Lo so >>
<< Allora vai >> suggerì.
<< Non le sto chiedendo un’impresa titanica, semplicemente di vedere se il dormitorio, quest’anno… >>
<< Perché, invece di fare richiesta per una camera, non ne parli con tuo padre, dato che non ne sa niente? >> con quel suo tono stizzito, la segretaria segnò l’ora della sua morte. L’unico essere innominabile alle orecchie di Maka era proprio Spirit Albarn, suo padre. In fondo, avrebbe dovuto sospettare del suo zampino. Quando mai la scuola non offriva alloggio alla sua migliore studentessa?
La rabbia montò nelle sue vene, tant’è che il desiderio di afferrare quell’impiegata scadente e impicciona si fece davvero prepotente.
<< Questi non sono affari che la riguardino. Ora, la stanza >>
Con un colpo secco di mouse, la donna si rassegnò << C’è ne solo una >> disse sbrigativa << Nel dormitorio misto, è… >>
<< Va bene qualunque cosa >> affermò Maka, raccogliendo velocemente le chiavi che le stava porgendo e un foglio fresco di stampa.
<< Come vuoi tu, ragazzina. Poi non lamentarti >>.
Ma lo disse al vento.
Maka era già corsa fuori. Era terribilmente in ritardo, e tutto per colpa di quella donna poco professionale. Avrebbe posto reclamo.
Intanto, al suono preciso della campanella, si sistemò nell’aula di algebra.
Sì, appena in tempo.

---

Soul, quel giorno, entrò in classe con propositi omicidi. Gli aveva avuti tante volte, ma solitamente verso professori o ragazze troppo insistenti. Anche quella volta si trattava di un’esponente del sesso femminile, ma decisamente meno propensa agli atteggiamenti appiccicosi-mielosi delle sue coetanee.
Pensare che l’ora di algebra gli piaceva, anche.
Una delle materie dove riusciva a andare bene senza sforzarsi troppo.
Incurante della professoressa che entrava appena dopo di lui, percorse la classe fino a trovare il banco della ragazza in questione. La secchiona che aveva osato rovinargli la moto.
Non si accorse neanche della sua presenza, presa com’era nella lettura del libro di testo. L’osservò per qualche secondo, mentre corrugava la fronte e storceva il naso, cercando di capire chissà quale esercizio impossibile. Poi il suo volto si illuminò, Maka annuì tra sé e sé e girò pagina.
Fantastico! Pensò ironicamente il ragazzo l’assassina di moto ha anche un lato quasi carino.
Spostò rumorosamente la sedia del banco affianco al suo, in modo dal farsi notare.
Le uniche aule normali della scuola erano quella di matematica e di algebra. Le altre, più che stanze di un liceo, somigliavano a reparti universitari, in cui li studenti si ritrovavano sopraelevati alla lavagna, al professore e alla stanza stessa.
Maka alzò velocemente lo sguardo, poi tornò sul suo libro.
Soul si sentì irritato. Lo stava ignorando, per caso?
<< Perché ti sei seduto qui? >> domandò infine, fitta fitta sul quel tomo che la nascondeva il viso.
Il ragazzo ghignò: no, non lo stava ignorando.
<< Oggi ho deciso di renderti la vita impossibile >> disse candido.
Lei non parve scomporsi, mormorando un “Ah”. Che facesse quello che voleva: quel giorno era già riuscito a innervosirla a causa del quasi-incidente, ma era anche vero che – finalmente – aveva ottenuto il suo alloggio. E niente sarebbe stato più irritante della vecchia segretaria - Niente.
Neppure quello sbruffone che stava seduto al suo fianco.
La professoressa iniziò la lezione. Essendo ancora a inizio anno, erano nozioni semplici e di base. Era più un ripasso che uno studio vero e proprio, ma Maka prese comunque appunti. O, almeno, cercò di prendere appunti.
<< Cos’era quel “ah”? >> domandò irritato << Io ti minaccio, e tu dici “ah”? >> continuò.
La ragazza tentò di ignorarlo, ma con scarso successo. Si reputava una persona matura, ma quando c’era in ballo lui ogni buon proposito veniva distrutto, dando spazio all’irrazionale voglia di prenderlo a schiaffi.
<< Non era il tono di una minaccia >>
<< Se avessi visto l’ammaccatura che hai fatto alla mia moto, sapresti che io – quando minaccio – lo faccio sempre seriamente >> ribatté accigliato e anche irritato. Non essere presi in considerazione era decisamente poco cool, e non poteva permetterselo. Soprattutto, non poteva permettere a quella ragazzina di ignorarlo.
Frequentavano entrambi la Shibusen dalle scuole medie, ma non erano mai stati affini o semplicemente amici. Si scontravano, di tanto in tanto, e basta. Poi, in quell’ultimo periodo, erano arrivati a incontrarsi più spesso, e a litigare in un modo direttamente proporzionale.
Maka sbatté due volte le ciglia, poi guardò davanti a sé: appena la docente si voltò verso la lavagna, scaraventò il dorso del libro d’algebra in faccia al ragazzo.
<< DAN... nnazione! >> il suo tono cambiò appena arrivò la consapevolezza di essere in classe e di non poter ribattere con un’esclamazione. Prima o poi, ne era sicuro, sarebbero finiti a fare a botte.
Benché fosse bravo, guardandola, si ritrovava a dubitare della sua vittoria in un eventuale scontro.
In ogni caso – per quanto potesse essere sessista – non avrebbe mai picchiato una ragazza.
<< Questo per cosa era, sentiamo! >> di lagnò.
<< Per aver detto eresie sul mio conto! >>
<< Mi hai ammaccato la moto, è vero >> ringhiò, questa volta fregandosene del tono.
<< Mi hai quasi investito: sai quanto mi importa della tua moto! >>
Si guardarono nuovamente in cagnesco, in quel modo che poteva sembrare quasi innocente. In quel momento esatto, entrambi isolarono l’ambiente circostante, tenendo conto solo l’uno dell’altra.
Poco importava la sede della loro discussione: avrebbero continuato finché uno dei due non avrebbe avuto ragione – ossia per sempre.
<< Regola numero uno della via dell’assassino: confondersi nelle tenebre, celare il proprio respiro, attendere che l’obbiettivo abbassi la guardia >> sussurrò una voce inconfondibile.
Soul e Maka si voltarono, rimandando silenziosamente il dibattito.
Ecco, c’erano di nuovo.
<< Regola numero due della via dell’assassino: sintonizzarsi con l’obbiettivo e dedurre i suoi pensieri e le sue azioni >> il tono si fece più grave.
I due sbuffarono. << Professoressa, sta arrivando Black☆Star >> l’avvertì uno dei compagni.
<< Regola numero tre della via dell’assassino: abbattere l’obbiettivo prima che si accorga di voi! >>
Soul sbuffò, estrasse il cellulare e inviò velocemente un messaggio a Kid. Bene, ora sapeva dov’era BlackStar.
Appena in tempo per vederlo piombare in classe, distruggendo i vetri di una finestra e atterrando sulla cattedra << Yahooo! Il celeberrimo illustre sottoscritto si dichiara presente! >> esclamò, con quel suo sorriso da ragazzino e quei capelli celesti. Lui era il capostipite di una vecchia famiglia di assassini, della quale si ostinava a prendere le redini. Nessuno aveva ancora capito che famiglia fosse, in realtà.
Black☆Star non aveva contato due piccoli dettagli: non solo la lezione era iniziata da mezz’ora, ma avrebbe anche dovuto ripagare il vetro alla scuola.
La professoressa e i compagni stessi non avrebbero mai potuto abituarsi a quella sua esuberanza.
Tranne Maka e Soul, che osservavano la scena con assoluto disinteresse << E quando inizierebbe la tua opera per rendermi la vita impossibile? >>
<< Forse quando ti crescerà il seno >>
L’unica cosa che coprì i vari insulti, sicuramente poco femminili, che la ragazza rivolse al suo compagno, fu l’urlo della professoressa che inveiva contro il suo alunno un po’ troppo egocentrico.
Già, perché lui sarebbe diventato il nuovo dio.

---

Tsubaki sbuffò, osservando la scena che le si presentava davanti.
Era appena la prima ora e quei due già litigavano?
La campanella era appena suonata, decretando l’entrata della seconda ora, che aveva in comune con l’amica. Era la lezione di scienze, la prossima, quella con il professor Stein. Solitamente, Maka scalpitava di gioia, trascinandola a gran passo verso l’aula. Quella mattina, invece, inveiva contro Soul Eater, lanciandogli qualche libro di tanto in tanto.
<< Se te lo stai chiedendo: sì, sono così dall’inizio della lezione >> la ragazza si voltò, sorridendo a Black☆Star. Anche lui osservava la scena, con due secchi d’acqua rispettivamente alla sua destra e alla sua sinistra.
<< E pensare che non li hanno neanche buttati fuori dall’aula >> disse << L’illustre sottoscritto, invece, è stato punito per aver semplicemente sfondato la finestra >> annuì tra sé e sé, con sguardo convinto.
Tsubaki si chiese se si rendesse conto delle sue parole.
Aveva sfondato un vetro? E come diavolo… ?
<< Ma un giorno, quella prof, si inchinerà al mio cospetto! >> rise, facendo dubitare della sua sanità mentale alla ragazza. Prima o poi, avrebbe voluto sapere cosa faceva di così assurdo in classe.
<< Ti ho detto cinque volte che non ho fatto niente! Sei tu quello in torto! >> urlò dall’altra parte Maka.
<< Guardati le spalle, Albarn >> ribatté quell’altro.
Maka lo guardò male, adocchiando Tsubaki. Ah, la salvezza.
<< Vaffanculo, Evans! >> detto questo, girò i tacchi, prendendo per un braccio la ragazza.
<< Scusa >> si giustificò, sorridendo a lei e al suo intrattenitore << Andiamo, c’è la lezione di scienze >>
<< Maka? >> domandò, mentre si allontanavano dall’aula di matematica << Che è successo a Black☆Star? >>
<< È entrato – non so come, visto che siamo al secondo piano – saltando dalla finestra. Ha rotto un vetro, atterrando sulla cattedra della prof >> alzò le spalle, come se fosse una cosa normalissima.
Sì, una cosa normale.

---

Maka aveva creduto che, quel giorno, sarebbe stato il migliore della sua vita.
Fare i bagagli, abbandonare la propria casa e non salutare suo padre.
Non che si fosse mai veramente sentita a casa, lì, ma il termine più appropriato con il quale descrivere un luogo abitato era quello.
Nella sua equazione – però – non aveva messo in conto la variabile Soul Eater. Già, come poteva calcolarla? Perché li sguardi malvagi delle ragazzine, all’ora di algebra, non erano bastati. Infatti, a quanto sembrava, a un paio di sue compagne non andava a genio il fatto che avesse insultato e picchiato il loro piccolo idolo.
Cavoli loro.
A conti fatti, Maka l’aveva sottovalutato. Tutto per un graffietto insignificante su una dannata motovettura.
Seguire la lezione era stato impossibile, ma qualcosa le diceva che non si sarebbe arreso lì.
Era ottuso ma ostinato: aveva capito che certe strategie non funzionavano, così passava a altre.
Probabilmente, non sé ne sarebbe dovuta preuccupare. Eh, già.
Non sarebbe dovuto essere il suo chiodo fisso, eppure lo era.
Anche ora, mentre cercava – invano – il dormitorio.
Quel ragazzo non aveva fatto nulla di particolare, a conti fatti, ma lei se ne preoccupava ugualmente.
L’inquietava, tutto qua, e sentiva che ne doveva stare alla larga.
Scacciò quel pensiero non appena arrivò di fronte allo stabilimento.
La Shibusen contava tre dormitori: uno femminile, dove alloggiava anche Tsubaki, uno maschile e uno misto. Lei si trovava in quest’ultimo, dove c’era quella fantomatica stanza libera.
Non che le importasse granché, il fatto che fosse misto. Le bastavano un tetto e un letto, il resto sarebbe venuto dopo, in quanto non aveva mai avuto problemi a adattarsi.
I dormitori si trovavano nel quartiere che circondava la scuola, a una distanza non troppo eccessiva. Quello misto, di recente costruzione, era il più lontano.
Non sprecò tempo a osservare il palazzo. Era sicura che, col tempo, avrebbe avuto sicuramente altre occasioni in cui dedicarsi all’architettura dell’edificio.
Aprì il portoncino, ritrovandosi nell’andito, dopodiché chiamò l’ascensore. Con se aveva una borsa contenente i beni essenziali e gli effetti personali, tutto quello che avrebbe mai voluto portarsi appresso dalla sua vecchia abitazione.
Una delle prime novità, che la fece sentire finalmente come Alice nel paese delle meraviglie, fu l’ascensore e la musichetta d’attesa di quest’ultimo.
Ci entrò con un sorriso sulle labbra, premendo il numero cinque. Secondo il foglio e le chiavi, il suo era il quarto appartamento del quinto piano. Con queste informazioni, c’è n’erano anche altre, come i numeri d’emergenza e il numero della scuola, che ormai Maka aveva memorizzato: quarantadue, quarantadue, cinquecentosessantaquattro.
Si sentiva inebriata dalla novità e capace – in quel momento – di far passare per oro ogni cosa che luccicava.
Quasi canticchiando, si avvicinò alla sua stanza. Sì, era la sua stanza, tutta sua. Il suo piccolo mondo senza padri-apprensivi-traditori appresso!
Girò la chiave, aprendo la sua piccola conquista.
Le si presentò davanti una stanza modesta ma grande, dotata di tutti quei mobili che potevano essere utili a uno studente: letto, grande armadio, libreria e scrivania. Affianco a quest’ultima, stava una finestra con un piccolo balcone.
In poche parole: non poteva desiderare di meglio.
Poi – sistemando la roba – se ne accorse.
Si accorse di quella piccola porta, non prevista nei suoi piani. Non contata, ancora una volta, nel suo algoritmo.
Si avvicinò quasi titubante e l’aprì senza pensarci due volte.
Ma cosa…
La porta comunicava con un’altra stanza. Precisamente, comunicava con una cucina.
No, non era semplicemente una cucina: era una sala comune. Il divano stava quasi a ridosso della parete, davanti a una tv. Il mobilio dell’angolo cottura era al completo, tant’è che si chiese se, aprendo il frigo, avrebbe trovato al suo interno dei viveri.
Ed era quasi disordinata. Adocchiò un piatto sporco nel lavello e una chitarra acustica affianco al frigo.
Forse disordinata no si disse ma non dovrebbero esserci comunque, questi due dettagli.
Infine, oltre questa sala, c’era un’altra porta, comunicante con una stanza che doveva essere, a rigor di logica, il bagno.
Certo che quella struttura era strana!
Così l’aprì.
Clack.
E no, non era il bagno.
Quando si trovò davanti la faccia di Soul Eater Evans, capì di essere finita nei guai.
Il sogno era appena finito.

 

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About the fanfic

Hemm... eccomi di nuovo XD
Ovviamente, il capitolo prende il titolo dalla canzone che ha un po' dato il via alla storia stessa. Certo, l'idea è passata sotto varie fasi, prima di essere trascritta, ma è partito tutto dalla canzone. In principio, questo capitolo era un'introduzione, e quello è rimasto. Non è eclatante, non accade chissàchè, ma inizia a chiarire la situazione. Benchè sia un Au, vorrei mantenere certi dettagli, certe parti del manga, e matenerle come sono. Primo tra tutti, la convivenza di Soul e Maka.
Spero non me ne vogliate nè per la lunghezza, nè per aver modificato la moto di Soul. Sinceramente, a me piacciono i veicoli belli, e non ho mai capito il modello della moto dell'arma. Sembra più un vespino che una moto vera e propria -.-"
Poi c'è la questione dei genitori di Maka: lo sappiamo che lei odia il padre, per cui mi sembra quasi normale che cerchi scappatoie per non vederlo. In questo caso, si è trovata alloggio nel dormitorio. Per quanto riguarda la madre-fantasma (perchè, anche se non sono spoilerata sulla serie, non l'ho mai vista nè nell'anime nè nel manga)... beh, non lo so neanche io XD
In proposito, voglio sprecare ancora due parole sul prologo.
Per il precedente capitolo, ho scelto "rock your soul" per una serie di motivi. Primo tra tutti, il significato della parola "rock" che, in italiano, può essere tradotto in varii modi - "tutto quello che voglio è scuotere la tua anima" è solo uno.
Può significare scuotere, così come cullare, avere, vivere e - perchè no - completare. è qualcosa di poetico, quasi, per questo l'ho scelta. è a libera interpretazione e questo mi piace, così come mi piace la totalità di quella parola. Non è definita, non ha barriere. Anche l’immagine di sopra è in riferimento al prologo.
L'aggiornamento della storia non so quando avverrà, perchè la prossima settimana sarà probabilmente occupata (e poi mi hanno rimandato in latino e devo studiare =_=) e -inoltre - devo scrivere anche il capitolo di un'altra storia originale che ho in corso XD
Come ho detto nel prologo: la mia sicurezza su questa cosa è ancora bassa! evviva! (faccio supporto morale!)
Ringrazio tutte le persone che hanno aggiunto la storia tra le seguite e le preferite e - particolarmente - chi mi ha fatto coraggio con una recensione =D
Spero di non avervi annoiato troppo! Scappo.

Recensioni:

Dany92: Ogni volta che leggo una tua recensione, ho voglia di correre a abbracciarti XP mi riempi sempre di complimenti, e io non so mai come rispondere >\\\< sono un po' imbranata in certe cose. Pronta per la vagonata di grazie? perchè, se oltre a lasciarmi recensioni così belle, mi metti anche tra li autori preferiti, io non posso far altro che riempirti di grazie, sai? però non posso riempire tutta la pagina con dei grazie, per cui spero accetterai un grande e sincero GRAZIE in maiuscolo grossetto.
Allora, per il bacio da Soul... beh, se vuoi puoi prendere il numeretto e metterti in fila XD
In realtà, l'idea è nata quando, guardando Soul Eater con una mia amica, si è bloccato megavideo. Non ricordo che episodio fosse, comunque c'era il sotttotitolo con Maka che diceva "Hey, Soul..." e, mentre la mia amica inveiva con i fatitici 72 minuti, ho iniziato a canticchiare "hey soul sister, aint that mister mister on the radio, stereo, the way you move aint fair you know"
Sì, lo so, non è una cosa normale.
Poi ho visto questa fanart --- > http://i27.tinypic.com/ej5dw.png
E il resto è venuto da solo XD
L'ho sentita davvero troppo, quella canzone.XD
scusa se ti ho trattenuta con questa risposta delirante XD a presto!
Ps: anche le mie amiche sono così T.T

Lady Airam: prima di tutto: grazie per la recensione! =) ecco il primo capitolo/introduzione della storia. Ok, ammetto che potrebbe essere noioso e lungo, ma... beh, la storia vera e propria inizia al prossimo XD sono contenta che ti sia piaciuto il prologo =) spero continuerai a seguirmi. Baci
Ps: la mia amica-coscenza è ancora fuori, per cui... XD

Midnight_Rose: *scorge la tua faccia da sotto il buco* oooh! luce! salvatrice! XD
E un mio sommo piacere vederti anche qui! XD mi piacciono le tue recensioni!
Quindi, visto che mi hai salvato, ho portato alla luce il primo capitolo della storia ù.ù l'ho modificato un po' rispetto all'origine, ma eccolo, in tutto il suo (non) splendore.
La mia amica è ancora fuori XD per cui, continuo a scrivere idiozie una dopo l'altra (moltre delle quali, sono rimaste nel mio pc in qualche cartella dispersa ù.ù)
Beh, vogliamo parlare della mia, di fortuna in amore? xD se tu sei una nocciolina, io sono un ameba non identificata xD ok, la smetto, anche io sono in vena di dire fesserie XD
Ora vado! baci!

   
 
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