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Autore: Witch_Hazel    31/07/2010    2 recensioni
Mi chiamo Ivy, ho vent’anni e sono incinta. E in questo preciso istante, alle 3.26 del mattino, mi sono svegliata perché ho voglia di cozze. E comincio a domandarmi cosa ho fatto di male nella vita per meritarmi questo tipo di voglie fuori da ogni schema logico
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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voglia di cozze

Saranno almeno 10 minuti che continuo a rigirarmi nel letto, cosa che ormai, date le mie condizioni, è diventata un’impresa. Mi decido a premere il pulsantino sulla sveglia che mi abbaglia con una luce azzurrognola segnalandomi che al momento sono le 3.26 del mattino.

"Cristo d’un Dio…"

Sì, lo so, non va bene imprecare. Mia zia continua a dire che se non la smetterò a breve mi uscirà un bambino blasfemo. Ma tanto lei non mi sente.

Ah, non l’avevo detto? Mi chiamo Ivy, ho vent’anni e sono incinta. E in questo preciso istante, alle 3.26 del mattino, mi sono svegliata perché ho voglia di cozze. E comincio a domandarmi cosa ho fatto di male nella vita per meritarmi questo tipo di voglie fuori da ogni schema logico: insomma, ho sempre sentito parlare di fragole, ciliegie, cioccolato e simili, ma non ho mai sentito nessuno a cui sia venuta voglia di impepata di cozze. Forse è capitato che  qualcuno qualche volta abbia avuto voglia di peperoni, ma decisamente le cozze superano qualsiasi cosa.

Ora, la prassi direbbe che io dovrei svegliare il mio compagno, nonché futuro padre del pargolo che or ora mi impedisce di vedermi i piedi come qualsiasi persona normale (e sarebbe una gran cosa riuscire a vederli, perché mi fanno un male cane per la maggior parte della giornata) a causa delle dimensioni stratosferiche della mia pancia che dubitavo potesse umanamente raggiungere: non posso fare nemmeno questo. Colui che ha avuto la (s)fortuna di riprodursi mediante me, in questo momento sarà in giro per il mondo a spargere ulteriormente il proprio seme. Spero vivamente che tutte quelle che cadranno e sono cadute ai suoi piedi siano un attimo più attente di me. Non perché non voglia il bambino…certo, non era in cima alla mia lista delle cose da fare, ma insomma alla prima ecografia non sono più riuscita più a considerare altre soluzioni oltre a tenerlo. Mentre lui, l’amicone, appena ha ricevuto la notizia, ha pensato bene di essere troppo giovane e di volere ancora la sua libertà, che un figlio l’avrebbe castrato e bla, bla, bla… Sinceramente penso che il bambino non lo castrerebbe (spero che venga a conoscenza delle torture medievali abbastanza tardi), ma io ne sarei certo in grado e credo che un buon numero di gentili donzelle, gravide e non, mi darebbero volentieri una mano.

Ma sto divagando. Il punto è che è notte fonda e ho voglia di cozze. Se abitassi in un paese di mare potrei andare al porto e attendere i pescatori, vista l’ora. Visto però il caso che abito in un una città dove il mare non si vede nemmeno dal punto più alto e che il pesce definito “fresco” è crepato da almeno tre giorni (e non ci si chiede con quali metodi viene conservato per non soffrire ulteriormente) non credo sia un’idea attuabile. L’unica cosa che riesco a pensare è che vorrei dormire fino a domani mattina con buona pace di tutti e sto per tentare anche di farlo, ma nella mia mente si fa spazio lentamente una domanda: come sarà una voglia di cozza?

Rimango attonita per qualche secondo poi accendo la luce e schizzo in bagno inorridita. Ora, parliamone un attimo: non so come potrebbe essere fatta una voglia di cozza, ma sono sicura che non voglio che il mio bambino nasca con una chiazza nerastra che gli copre metà faccia. Quindi dimentico momentaneamente il mal di schiena e le mie gambe gonfie che protestano decisamente e comincio a cercare qualche vestito. Infilo un tuta premaman di un colore che in condizioni normali aborrirei e prendo la borsa.

È una fortuna che non ci sia ancora freddo perché mi sono dimenticata di nuovo di prendere il cappotto.

Ragioniamo: di prendere la macchina non se ne parla. L’unica soluzione è andare a piedi verso il centro e sperare di trovare un supermercato aperto 24 ore su 24. Quindi mi avvio piano sul marciapiedi alla velocità che il pancione può permettere.

Cammino per dieci minuti buoni imprecando contro tutti i supermercati chiusi che ho trovato, rendendomi conto perfettamente del fatto che in effetti sono io, qui, ad essere in torto e che loro non possono certo pensare a tutte le donne incinte che alle tre del mattino vagano per la città a cercare cozze. Anche perché, penso, non credo che ce ne siano molte. E grazie a Dio!

Un clacson.

<< Hey, Ivy! >>

Non ci credo. Non. Ci. Credo. Il mio migliore amico con la macchina. Io amo quest’uomo! So che alla prima battuta scema che farà cambierò idea, ma, ora come ora, mi sembra del tutto simile ad un’apparizione celeste.

"Mark! Non sai quanto sono felice di vederti!"

<< Anche io! – dice sporgendosi dal finestrino – Ma che diavolo ci fai in giro a quest’ora nelle tue condizioni? Devi riposare! >>

<< Cerco un supermercato aperto. >>

Se avessi la digitale non esiterei a immortalarlo ora, la sua faccia meriterebbe di rimanere negli annuari per secoli.

<< Perché? >>

<< Sai se ce n’è uno? >>

<< Sì, ma… >>

Ok, non lo amo già più.

<< Senti, portamici, ti spiego mentre andiamo. >>

Mi fa cenno da salire.

<< Grazie. Non ti so quantificare la gratitudine dei miei piedi. >>

<< Allora, mi dici che ci fai in giro da sola alle tre del mattino? >>

Ingrana la prima e riparte. Non faccio molto caso al percorso, l’importante è che arriviamo a destinazione.

<< Mi sono svegliata perché avevo voglia di cozze… >>

Probabile che sia arrossita fino alla punta dei capelli. Ci conosciamo da anni, così tanti che so per certo che lui di tutto ciò che ruota intorno all’universo femminile – quali mestruazioni, gravidanza, ceretta e chi più ne ha  più ne metta – non capisce un emerito cavolo e sicuramente ora mi darà della cretina. Infatti scoppia in una risata incontrollata.

Sono quasi due minuti che ride e comincio a temere per la nostra incolumità perché vedo che i suoi occhi si sono fatti lucidi e non so con quanta chiarezza veda la strada. L’unica cosa positiva di questo orario antelucano per cercare delle cozze è che non c’è un cane per strada ed ergo nessuna vittima di questo essere che ormai sembra più simile ad una scimmia urlatrice che al mio migliore amico. Quasi quasi era meglio andare a piedi, dolori vari a parte.

<< E tu che diamine ci fai in giro a quest’ora? >>

Smette di ridere: forse c’è ancora qualche speranza di arrivare vivi (o quanto meno vegetanti) da qualche parte.

<< Sono sceso dall’aereo un’ora fa. Abbiamo una pausa di una settimana dal tour. >>

<< Ah, e come stanno andando i concerti? >>

<< Bene. >>

È diventato serio di colpo e la sua consueta logorrea è scomparsa: sa che parlando dei concerti parleremo della band e quindi dell’ipotetico padre di mio figlio, visto che suona con lui. E non vuole che ne parliamo perché pensa che io ci stia ancora male. Che dolce!

<< Guarda che puoi anche parlarne, non c’è problema! >>

<< Ma…io pensavo…pensavo che non volessi neanche sentire parlare di Caleb. >>

Nota informativa: Caleb è lui.

<< Ma figurati! La fase appena-lo-sento-nominare-divento-una-furia è finita. Anche perché rischiavo di sputare un bambino isterico. >> concludo serafica.

<< Il ché, conoscendoti – occhiata in tralice carica di significato – è già abbastanza probabile >>.

Lo guardo allibita spalancando la bocca:

<< Certo che sei proprio uno str****! >>

E non riesco a trattenermi dal dargli uno schiaffo sul braccio.

<< Ehi, non bisogna disturbare il conducente! >>

<< Non siamo su un autobus. E comunque ho tutto il diritto di farlo se il conducente mi offende! >>

<< Non ti ho offesa. Ho solo detto la verità! >>.

Fingo di essermi arrabbiata e taccio per il resto del tragitto mentre lui sogghigna sotto i baffi. Lo sapevo che sarebbe andata a finire così, succede ogni volta.

<< Siamo arrivati, sweetie. >>.

Scendo sbattendo la portiera con tutta la forza che ho in corpo (cioè pochissima).

<< Sei fortunato che la mia vita dipende da questo supermercato, altrimenti ti avrei ucciso prima! >>

Ride di nuovo sguaiatamente mentre entriamo. Io corro come una fucilata verso il banco frigo e agguanto una confezione di cozze surgelate.

<< Bene, ora siamo salvi dall’apocalisse. Andiamo alla cassa. >>

Detto questo parto alla massima velocità tirandolo per la manica, sperando di riuscire a tornare a dormire nel minor tempo possibile.

<< Ehi! Aspetta un secondo! >>

Mi fermo di botto e alzo gli occhi al cielo.

<< Che c’è adesso? >>

Ho quasi ringhiato…mi sa che aveva ragione lui riguardo all’isteria e compagnia bella.

<< Ma non è che…insomma…cioè… >>

Sbatto un piede per terra facendo più danni a me stessa che altro.

<< Dannazione, mi vuoi dire che problema c’è? >>

Dall’alto del suo metro e ottanta sembra rimpicciolirsi. E chi ha detto che il matriarcato è morto?

<< E se ti venisse voglia di qualcos’altro? Voglio dire, ora sono le cozze..ma se tra due ore ti svegli e ti viene voglia, che so, di pasta col pesto? >>

Non ricordavo male: lui non è assolutamente avvezzo alle donne incinte con le voglie. Anzi, non è avvezzo alle donne incinte. Va bene, non è avvezzo alle donne in generale.

<< Mark, io non posso sapere di cosa avrò voglia in futuro. Effettivamente non posso nemmeno sapere se avrò ancora voglie universalmente parlando. Non posso comprare la roba a casaccio! >>

<< Prendi l’essenziale allora. >> aggiunge con una nota di ovvietà nella voce.

Alzo un sopracciglio mentre il mio piede continua a battere sul pavimento ad un ritmo sempre più frenetico.

<< E non credi che potrei comprarlo domani, l’essenziale? >>

<< E se ti viene voglia di panna e fragole tra un’ora? Dovremmo tornare qui a comprarle di nuovo! >>

Decido di non opporre resistenza e di tralasciare quella prima persona plurale che ha usato segno che per la preoccupazione resterà con me almeno fino alla fine dell’impepata di cozze: la constatazione che probabilmente non riuscirò a tornare a dormire troppo in fretta arriva fulminea e decisamente irritante. Ma vederlo impazzire per le corsie del supermercato che lancia nel carrello qualsiasi genere è una scena che non vorrei perdermi nemmeno se fossi sul letto di morte.

Spero solo che paghi tutto lui.

 

Finita la spesa (che fortunatamente ha fornito Mark) che avrebbe sfamato senza troppi problemi l’intera popolazione della Danimarca, Mark mi riporta a casa premurandosi di fornirmi una brochure verbale di raccomandazioni sulla gravidanza totalmente fuori da ogni schema e logica, tipo “lavarsi i denti con dentifrici alla fragola”, “non vestirsi troppo di nero perché altrimenti il bambino ne risente” e, dulcis in fundo, “non mangiare cibi che iniziano per M”.

<< Senti, ma con cosa ha tagliato la roba il tuo spacciatore di fiducia questo giro? >>

Lui mi guarda inorridendo.

<< Ivy! Io non mi drogo e lo sai! >>

Mi dipingo un’espressione scettica, studiata per l’occasione, sul volto:

<< Per infilare in un discorso unico una serie di stupidaggini di tale portata e insensatezza devi aver preso qualcosa di veramente forte. Fidati, vanno al di là di qualsiasi idiozia tu abbia mai detto. >>

<< Non le ho inventate, le ho lette. >> aggiunse lui con gravità.

Chiesi dove con una certa curiosità.

<< I n un forum sulla gravidanza. Delle donne incinte si scambiavano consigli. >>

<< devono essere state ingravidate da un alieno…io queste cose non le ho mai sentite!! >>

Esclamo al colmo dello stupore mentre parcheggiamo sotto casa mia e cerco le chiavi.

<< Sei stato carino comunque a preoccuparti per me. >>

Dico aprendo la porta evitando di guardarlo. Non siamo troppo abituati ai discorsi seri, noi due. Nonostante stia fissando con intensità inaudita il pomello scrostato della porta d’entrata riesco comunque a scorgere che sta arrossendo. Non riesco a trattenere un sorriso.

<< Allora – dico aprendo finalmente il dannato uscio – ce la facciamo quest’impepata di cozze? >>

E appena vedo il suo sorriso aprirsi, perché ora ho alzato lo sguardo, comincio a sentire un certo calore in me e penso che questo momento, passato con il mio amico di sempre che ha accettato con me le cose brutte e le cose belle di questa avventura, sia bellissimo.

Penso che sia il migliore momento al mondo.

 

Questi colpi alla porta si ripetono già da un po’, ma non riesco a quantificare dopo quanto sento alzarsi dal materasso la persona al mio fianco per andare ad aprire, svegliandomi così definitivamente. Davanti a me vedo un comodino non mio, di una stanza non mia, in cui riesco a riconoscere solo la mia valigia verde, buttata in un angolo.

Ad un tratto, capisco.

<< Diamine Caleb, il soundcheck inizia tra 20 minuti e tu non ti sei ancora degnato di scendere, ho dovuto inventare delle balle astrali per coprirti! >>

<< Ehi, amico, non ti scaldare, ho fatto le ore piccole! Adesso mi sistemo e scendo! >>

Risponde serafico a Mark, che sta sulla porta decisamente spazientito.

Io mi sollevo a sedere solo dopo aver sentito la porta del bagno richiudersi alle sue spalle. Non so dove sia stato Caleb stanotte, io mi sono addormentata nella speranza che tornasse. Speranza decisamente vana.

Mi massaggio le tempie cercando di mettere in ordine tutti i pensieri ma tutto ciò che riesco a ricavarne è una sensazione di estremo disagio. Tutto mi pare d’un tratto fuori posto, io, la mia valigia, quell’hotel… io non dovrei essere qui. Gli occhi mi pizzicano terribilmente, mentre sprofondo in una tristezza infinita.

Mark si siede sul letto. Decido di ricambiare il suo sguardo con gli occhi già umidi di lacrime.

<< L’hai sognato di nuovo, vero? >> chiede.

<< Sì… >>

E piango.

 

In questa realtà il mio bambino non nascerà mai, perché ho deciso di abortire una settimana dopo aver scoperto la mia gravidanza. Al contrario di ciò che tutti dicono, sì, è stata una scelta facile. Perché è semplice dirsi di essere troppo giovani per avere figli e di non poterli mantenere e di non essere in grado di fare i genitori. Ho scelto la via più facile, e nessuno, come avevo chiesto, mi sta rimproverando per quello che ho fatto, perché la scelta è stata mia e basta. So già che la mia coscienza, però, mi mostrerà ogni notte le vie del sentiero tortuoso, quello più accidentato che io ho deciso di non seguire.

Quando ho scelto di abortire, l’ho fatto per paura della vita che avrei potuto perdere.

Ora, però, vedo solo fantasmi. I fantasmi della vita che non potrò mai avere.

   
 
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