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Autore: kenjina    01/08/2010    2 recensioni
La situazione peggiorò quando trovarono un tavolo da biliardo libero e pronto solo per loro e, ovviamente, finì invischiato in un due contro due in coppia con la sua manager - almeno quella era una piccola fortuna in mezzo a tanta sfiga, si disse per farsi forza. Non avrebbe saputo di che morte morire, se avesse dovuto scegliere tra il Porcospino e la Scimmia; per non parlare della nuotatrice che, grazie a Buddha, non aveva mai giocato a biliardo e non sapeva neanche da che parte iniziare.
«Ehi, guarda che hai le palle piene tu, intesi?», gli fece Hanamichi, puntandogli la stecca contro.
Rukawa sollevò gli occhi al cielo. «Scimmia, non c'era bisogno di dirmelo. Che ho le palle piene di te lo sapevo da tempo».
(Tratto dal capitolo 17)
I ragazzi selvaggi son tornati, più selvaggi di prima... Ne vedremo delle belle!
Storia revisionata nell'Agosto 2016
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hisashi Mitsui, Kaede Rukawa, Nobunaga Kiyota, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wild Boys'
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Ni-hao a tutti

Capitolo 7, parte seconda.

Cioccolata con panna e scaglie di cocco.

 

 

 

«E sai cosa? Mi sono rotta le palle di tutto e di tutti, ecco!», biascicò una più che brilla Kiyo a un perfetto sconosciuto che si era erroneamente seduto accanto a lei. «Voglio dire, che colpa ne ho io se non lo amo più? Per non parlare del fatto che il mio allenatore vuole farmi raddoppiare le vasche da fare in allenamento. Io non ne ho bisogno... ahahaha!».

Sana, che aveva appena finito di servire degli aperitivi, spalancò gli occhi nell'avvistare quel bel teatrino. Kiyo ubriaca era l'ultima cosa che avrebbe pensato di vedere in vita sua... un po' come lei, effettivamente. E dire che le aveva dato solo un mezzo bicchiere di birra per mangiare la pizza! Beh, lei almeno ha bevuto, io mi ubriaco solo a sentirne l'odore, notò saggiamente la ragazzetta, che si avvicinò cauta all'amica. «Kiyo?».

Lo sguardo terrorizzato del tizio accanto era tutto un programma, segno evidente che il discorso senza capo né coda della bionda ossigenata non doveva essere un granché.

«Oh, Sana-ko! Ti presento Hi-ro-shi», le disse, scoppiando a ridere subito dopo.

«In realtà sarebbe Hironobu, piacere», rispose l'altro, sorridendo mestamente. «È una tua amica?».

Sana annuì. «Sì, ma... non l'avevo ancora vista in queste condizioni e speravo che mi avrebbe risparmiato lo spettacolo per molto ancora».

«Ahaha! Sanako è così simpatica... sai che studia anche nella pausa pranzo? È pazza, sì. Deeecisamente pazza... Ahahaha!».

Hisashi Mitsui tornò dalla sua ultima consegna proprio in quel momento. Appena la vide brilla non seppe se scoppiare a ridere fino a farsi male o preoccuparsi sul serio.

«Ehi, che diavolo sta facendo?», chiese, avvicinandosi alla sua collega.

«Non lo so e non lo voglio sapere!», esclamò lei, tappandosi gli occhi per non guardare. Kiyo, infatti, aveva preso il suo bicchiere fortunatamente vuoto e l'aveva alzato al cielo per brindare. «Agli stupidi ex che non capiscono un no! E a me, che sono taaanto furba!», gridò ridendo, catturando l'attenzione di tutti e i successivi applausi di supporto di tutto il bar.

Sana, rossa in viso manco si trovasse lei in precario bilico sulla sedia, cercò di farla calmare portandole del caffè, mentre Hisashi, senza troppe cerimonie, l'aveva afferrata per un polso e trascinata giù. Ci mancò poco che le rovinasse addosso.

«Vuoi darti una calmata?», esclamò la guardia dello Shohoku, scrollandola per le spalle.

Lei strinse gli occhi cercando di focalizzare la persona che aveva di fronte e, appena lo riconobbe, sgusciò via con uno strattone. «Tu... non osare toccarmi!».

Hisashi sospirò pesantemente, incrociando le braccia. «E tu piantala di renderti ridicola».

«Io non sono ridicola!», strillò lei, puntandogli un dito contro. «State sempre giudicando, voialtri! Fatevi un esame di coscienza e poi ne riparliamo!». Kiyo barcollò un poco e si passò una mano sulla fronte. Forse, forse aveva esagerato un po'. Forse.

«Andavi meglio prima quando non parlavi così tanto», borbottò Hisashi, cercando Sanako che nel frattempo era tornata con il caffè. Glielo fecero bere per forza - e grazie al cielo riuscì a non rigettare il panettone di dieci anni prima.

«Senti, Tsukiyama, ti dispiace se la riaccompagno a casa?».

Sana sorrise, scuotendo il capo. «Tranquillo, se non dovessi trovare un passaggio torno a piedi, non è la prima volta.» Ma il sorriso le morì in gola quando entrò l'ennesimo cliente.

Mitsui non si accorse del suo repentino cambio d'umore, troppo occupato a caricarsi in spalla come un sacco di patate quella disgraziata di una Kobayashi.

Riassunto del suo primo giorno lavorativo: aveva rischiato una rissa con un tizio che solo a guardarlo in viso avrebbe fatto drizzare i capelli a tutti, era stato relegato a guardia del corpo di una ragazzina che più scontrosa e lunatica non c'era e aveva dovuto recuperare suddetta ragazzina prima che finisse in coma etilico, dato lo stato di ubriachezza in cui gravava. Che avrebbe dovuto fare ancora? Rimboccarle le coperte?

«Ci vediamo domani a scuola, buona notte». Hisashi salutò tutti, senza badare troppo alla ragazza che scalciava e gli tirava pugni alla schiena intimandogli di farla scendere. Arrivato davanti alla moto le porse il secondo casco e lei fece una smorfia.

«Non sono ubriaca», gli disse, afferrando il copricapo protettivo.

«No, certo». Hisashi mise in moto e aspettò che lei salisse. «Vedi di non cadere strada facendo, non ho voglia di raccoglierti».

Kiyo neanche rispose, stringendosi alla sua schiena e chiudendo gli occhi. Il mal di testa stava per farsi sentire, così come la sonnolenza. Prima di lasciarsi abbracciare da Morfeo l'unica cosa che pensò fu che quel Mitsui avesse proprio un buon profumo.

Al primo semaforo rosso Hisashi voltò il capo, per vedere in che condizioni vertesse quella disgraziata.

«Che palle», constatò nel rendersi conto che fosse già bella che addormentata. Arrivati davanti alla sua casa, la prima cosa che fece fu di guardarsi intorno per vedere se ci fossero brutti ceffi. Cercando di non farla cadere, ma non preoccupandosi tanto di svegliarla o meno, le tolse il casco. La mossa successiva lo vedeva fare l'equilibrista: prenderla in braccio e suonare contemporaneamente il campanello di casa, nella speranza che ci fosse qualcuno. Ma si soffermò un po' troppo, per i suoi gusti, a osservarla. L'espressione perennemente imbronciata non le mancava neanche nel sonno. Sorrise nel pensare che il giorno dopo sarebbe stata incavolata come una iena nel rendersi conto dello spettacolo che aveva dato.

Fortunatamente i genitori erano appena rientrati dalla cena con gli amici e si spaventarono non poco appena videro la figlia completamente addormentata tra le braccia di quel ragazzo dal viso poco raccomandabile.

«È crollata dal sonno», la giustificò Hisashi. Non poteva certo dire loro che la figlia si fosse ubriacata per bene.

La madre, una bella donna alta e snella, gli rivolse uno sguardo insospettito, ma non aggiunse altro, se non un: «Vieni, la portiamo in camera».

Appena Hisashi entrò in quel suo piccolo regno non poté non provare rispetto per quella ragazzina impertinente. C'erano medaglie e premi vinti a molteplici competizioni di nuoto e tuffi, e numerose foto che la ritraevano nei vari tornei, appese un po' ovunque. Doveva amare il suo sporto proprio come lui amava il basket.

«Grazie per averla riaccompagnata a casa... nome?».

Il numero quattordici dello Shohoku si voltò verso la donna. «Hisashi Mitsui, signora. È stato un piacere».

Quella sorrise, stringendogli la mano. «Sei il suo ragazzo?», gli chiese, chiudendo la porta della stanza.

Per poco non gli venne un infarto a quelle parole. «No, sono solo un amico». Conoscente, meglio.

...E guardia del corpo, e accompagnatore, e colui che si becca più insulti da lei che da tutti i suoi amici!

 

*

 

Sana guardò il padre, fermo a pochi metri da lei con un berretto tra le mani, o quello che ormai ne rimaneva, dato che per il nervosismo lo aveva strapazzato per bene alla stregua di uno straccio.

«Ciao», le disse, abbozzando un timido sorriso.

Lei non rispose, impietrita. Come aveva fatto a sapere dove lavorava? L'aveva seguita? E perché non se n'era ancora andato? Perché? Perché?

«Il bar chiude tra un quarto d'ora», fu tutto quello che riuscì a dire, con la voce più roca che avesse mai avuto.

«Oh». L'uomo chinò il capo e lei ne approfittò per rifugiarsi nelle cucine. Si poggiò contro un muro e iniziò a respirare profondamente per trovare un po' di calma. Non doveva piangere ancora, basta lacrime per quell'uomo!

«Sanako, ti senti bene?», le chiese il signor Watanabe, preoccupato.

Lei annuì, lanciando un'occhiata all'uomo che ora si era seduto davanti al bancone e si guardava intorno, un po' spaesato.

«Quel tipo ti ha importunata? Lo devo mandare via?».

«No, va tutto bene, davvero». Sana deglutì a fatica, come per ingoiare meglio le parole che stava per pronunciare. «È mio padre».

Il signor Watanabe strabuzzò gli occhi, osservando quel signore quasi insignificante, ma tremendamente simile alla ragazzina che aveva di fronte. Per quanto poco sapesse della sua dipendente non aveva mai conosciuto il padre, tanto da pensare che non lo avesse mai avuto. «Se hai problemi dimmelo, ok?».

Lei annuì, sorridendogli grata. Poi prese un bel respiro e tornò al suo posto, al bancone. «Cosa posso portarle? Dopo le undici non serviamo più alcolici».

L'uomo si strinse nelle spalle. «Ti prego... te l'ho chiesto, non darmi del lei».

«Appena ha deciso mi chiami».

Sanako si fiondò su un tavolo per ritirare le bottiglie e i bicchieri, stupendosi lei stessa della freddezza e della voce ferma che era riuscita a tenere. Doveva farsi forza, per una volta. Doveva riuscire a superare le sue paure e le sue speranze, da sola. Quando tornò a sciacquare alcune stoviglie, il padre tornò a parlare.

«Una cioccolata con panna andrà bene, grazie. Sai, è la mia preferita», le disse, cercando lo sguardo della figlia che però non trovò così facilmente.

Cioccolata con panna... È anche la mia preferita.

«Ma è buona anche con la mousse al cocco...».

...E le scagliette di cioccolato sopra.

Sana alzò finalmente lo sguardo sull'uomo, troppo scioccata per aver pensato la stessa frase che lui, invece, aveva pronunciato a voce alta. «La facciamo... qui la facciamo, se la vuole così».

Il padre si lasciò andare ad un sorriso sincero e annuì. «D'accordo, allora».

Il bar si stava velocemente svuotando, dato che erano già le undici e mezza e l'ora della chiusura si avvicinava. Era strano che tra i pochi clienti rimasti ci fosse anche lui. Suo padre. Kami, non sapeva neanche come si chiamasse! Aveva più volte provato a chiederlo alla madre e alla zia, in quegli anni, ma non aveva mai ottenuto risposta. Possibile che quella situazione fosse così assurda?

«Salve a tutti!», esordì una voce fin troppo familiare.

Sana guardò Akira con sollievo, rivolgendogli un sorriso solare. Cosa che non sfuggi al padre.

«Akira!», lo salutò, andandogli incontro e abbracciandolo.

Il ragazzo rimase un po' sorpreso dall'audace gesto per una tipa timida come lei che arrossiva ad ogni gesto gentile. Ma capì subito che qualcosa non andava quando sentì le sue braccia stringerlo con troppa forza.

«Ehi, tutto bene?», le chiese, allontanandola un poco per guardarla negli occhi. Stava per scoppiare.

Lei scosse la testa, ma sorrise ugualmente. «C'è papà», gli sussurrò, tanto che per capire quello che aveva detto Akira dovette leggerle il labiale. Alzò lo sguardo sulle poche persone presenti e noto subito l'uomo, che li stava osservando con amarezza.

Akira le diede un pizzicotto sulla guancia, strizzandole un occhio. «Tranquilla, ok?».

«Sì... Come mai sei qui?», gli chiese, alzando un po' il tono di voce per ritrovare la calma.

«Hisashi mi ha chiamato dicendomi che non ti poteva riaccompagnare a casa, così mi ha chiesto il favore di farlo per lui». L'ex numero sette le sorrise come solo lui sapeva fare e Sanako per un attimo dimenticò il padre a pochi metri. «Sembrava un po' strano al telefono, che ha combinato?».

«Oh lui niente, è stato bravissimo. È che ha dovuto portare a casa Kiyo perché era un po'... ecco, un po' su di giri».

«Kiyo ubriaca?». Akira scoppiò a ridere. «Che scena, avrei voluto esserci!».

«Non era un bello spettacolo, lasciatelo dire» Sana si fece rubare dalle mani il vassoio di bicchieri che stava ritirando e Akira le fece l'ennesimo occhiolino. «Così finisci in fretta e ti riaccompagno a casa».

Il padre di Sana osservò il ragazzo sparire nelle cucine, mentre salutava tutti con quel suo sorriso contagioso. Poi guardò la figlia, un po' rossa in viso. «È alto il tuo ragazzo».

Lei spalancò gli occhi, diventando ancora più rossa. «A-Akira non è il mio... ragazzo».

«Oh... scusami, non volevo metterti in imbarazzo». L'uomo corrugò la fronte, giocando con la tazza di cioccolata. Gli sembrava quasi surreale che stesse chiacchierando con la figlia. «Quindi ti riaccompagna a casa».

«Sì, lui è... sempre gentile e carino con me», mormorò Sana, forse non rendendosi conto dell'uomo con cui stava parlando. Suo padre... stava parlando di Akira a suo padre.

L'uomo piegò il capo, incuriosito dalla strana espressione della figlia. Chissà cosa stava pensando? «Un giorno posso riaccompagnarti io, se vuoi».

Akira, poggiato contro il muro, rimase ad ascoltare, in attesa di una risposta. Non aveva mai visto Sana così giù di morale e terrorizzata - sì, terrorizzata era la parola migliore.

«Sparirai di nuovo?», gli chiese, gli occhi lucidi.

«Permettimi di recuperare un po' del tempo che ho perso». Il padre si passò le mani tra i capelli, teso. «Darei la mia vita per tornare indietro per non rifare quello che ho fatto».

Sanako strinse un panno tra le mani, quasi trattenendo il respiro. Le parole che pronunciò dopo neanche si rese conto di averle dette. «Domani ho un'ora buca prima di lavorare».

Il neo capitano del Ryonan sorrise insieme al padre della ragazza, e tornò in cucina ad aiutare lo zio. Sana era fatta così: infinitamente buona, forse anche troppo viste le circostanze. Lui non sapeva se avrebbe potuto dargli un'altra possibilità. Per quanto tranquillo e buono fosse, quando veniva ferito una volta difficilmente faceva in modo che accadesse nuovamente. Ma lei no, lei forse era troppo ingenua, o troppo speranzosa. Probabilmente ora si stava maledicendo in aramaico per quella frase, forse voleva solo pensarla e non dirla a voce alta. Ma era fatta così, parlava prima di pensare alle conseguenze. Ed era per questo che spesso e volentieri faceva delle figuracce memorabili.

Ed era per questo che gli piaceva da morire.

 

*

 

Qualche ora prima due belle ragazze, una mora e l'altra rossa, stavano passeggiando allegramente per le vie di Kanagawa. O almeno, la rossa aveva costretto la mora a uscire, così non sarebbe potuta sfuggire al suo terzo, micidiale grado.

«Allora, Aya-chan! Che mi racconti? Perché sicuramente devi raccontarmi qualcosa. E hai tutta la serata davanti», fece Hime, aggrappandosi al braccio dell'amica e sbattendo gli occhi per intenerirla.

Ayako arrossì, in una delle sue rare volte. «E che dovrei raccontarti? Che mi devo comprare una maglietta nuova per gli allenamenti. E ne ho vista una carina anche per te».

«Non provare a cambiare discorso!».

«Quale discorso? Non ne abbiamo iniziato nessuno».

Hime gonfiò le guance, ma non si arrese. «Ok, vuol dire che sarò più diretta: che combinate tu e il Capitano? E inizierai a parlare proprio da quella notte in ritiro!».

Ayako alzò gli occhi al cielo, probabilmente sperando che un fulmine la colpisse in pieno per levarla da quell'imbarazzante situazione. «Sei insopportabile a volte».

«Oh, grazie Aya-chan! È il complimento migliore che potessi farmi!», rispose quella, schioccandole un sonoro bacio sulla guancia. «Allora?».

La prima manager la trascinò dentro un negozio di abbigliamento prima di parlare. «Beh, ecco... mi ha fatto un discorso».

«Uhm... Hai intenzione di dirmelo o devo togliertelo di bocca con le pinze?».

«Uffa!». Ayako le tirò in viso la maglietta carina che le aveva anticipato poco prima, mentre quella demente rideva.

«Avevi ragione, è proprio carina! E poi è arancione!».

«Secondo te perché sapevo che ti sarebbe piaciuta? Sei fissata con quel colore».

Hime le trotterello accanto. «È solare e allegro, degno di una Sakuragi».

Un Kaede qualunque le avrebbe biascicato un'invasata coi fiocchi, ma Ayako si limitò a scuotere il capo. «Comunque, Ryota mi ha confessato di essere... innamorato di me».

«Hai capito il nanerottolo intraprendente!». Tipica frase che avrebbe invece detto Hanamichi, ma dato che si trattava della sorella andava bene ugualmente.

«Solo che mi ha anche detto che non può aspettare in eterno».

L'altra manager sorrise. «E ha anche ragione, Ayako. Spero te ne sia resa conto anche tu. Ryota è sempre stato innamorato di te, ma devi anche prendere una decisione prima o poi».

«Lo so, non posso lasciarlo così, ma ho paura». La ragazza guardò l'amica, che non capì. «Vedi, siamo sempre stati buoni amici e ho sempre notato che lui cercava qualcosa in più dal nostro rapporto. Ma mi dicevo: se non dovessi dargli alcuna speranza, magari smetterebbe. Non voglio rinunciare alla sua amicizia, capisci?».

Hime annuì. «Ti capisco eccome, Aya. Ma questo gliel'hai detto?».

«Solo quella famosa notte», le confessò, sospirando. «Lui mi ha detto che se anche dovessi rifiutare i suoi tentativi di approccio non lo avrei perso, ma che certo per un po' di tempo avrebbe voluto tenere le distanze».

«Quindi?».

Ayako rimise a posto una maglietta blu che aveva adocchiato, ma di cui non aveva trovato taglia. «Quindi mi ha chiesto di dargli una possibilità. Solo una».

«E deduco che tu gliel'abbia data».

L'altra annuì, lasciandosi sfuggire un sorriso. «Ryota è sempre stato dolce e protettivo nei miei confronti, ma non pensavo che avendomi tutta per sé avrebbe avuto occhi solo per me».

«Oh, è così romantico!», esclamò Hime, nascondendosi le guance tra le mani in un'espressione sognante.

Ayako scoppiò a ridere. «Appena abbiamo un po' di tempo libero usciamo. Mi porta al mare, in centro. E viene a prendermi ogni giorno per andare a scuola con quel motorino scassato che ha!».

Hime immaginò la scena, contenta per l'amica. Se solo Nobunaga fosse stato nella sua stessa scuola, forse si sarebbero potuti vedere più spesso, pensò un po' giù. Ma proprio del Kainan doveva trovarselo? E pure più pazzo di un cavallo!

«Comunque credo che mi piaccia. E anche tanto». Ayako sparì dietro alcuni abiti appesi per sfuggire allo sguardo stupito e felice dell'amica, che le comparve davanti due secondi dopo, facendole prendere un colpo.

«Diglielo, Aya-chan. Se non lo hai ancora fatto diglielo». Hime fece una pausa, pensierosa. «Anche perché lo renderesti l'uomo più felice sulla terra e i ragazzi potrebbero giovarne durante gli allenamenti».

Le due si misero a ridere, proseguendo con gli acquisti.

«Mi capisci, però, quando ti dico che ho paura di perderlo, vero? È il migliore amico che abbia mai avuto. È come se Kaede s'innamorasse di te, tu che faresti?».

Hime rimase interdetta da quell'esempio, completamente presa alla sprovvista. Ma non fece in tempo a rispondere, perché Ayako aveva ripreso a parlare.

«Voglio dire, potrebbe anche essere, dato che vi conoscete da sempre e sei l'unica ragazza con cui ha un rapporto, me esclusa. E sai bene come sia lui con le ragazze». Quando la prima manager si voltò a guardarla non si aspettava di certo di trovarla più rossa dei suoi capelli. «Ho detto qualcosa di sbagliato?».

«N-no, è che... mi fa strano pensare a me e Kaede come coppia».

Ayako la guardò con un'espressione maliziosa. «Non mi dire che non ci hai mai fatto un pensierino, eh?».

«Ehi! Sono una ragazza felicemente fidanzata!», strillò imbarazzata l'altra.

«Stavo solo scherzando, non c'è bisogno di innervosirti!», rispose Ayako, ridendo.

«Tu fai troppe congetture insensate, per i miei gusti», borbottò la Sakuragi. Perché diavolo la stava prendendo così male, ora?

Ayako scosse la testa, guardandola mentre spariva verso la cassa. «Il più delle volte giuste, mia cara», mormorò divertita. La raggiunse per pagare i suoi acquisti e quando uscirono nuovamente all'aria aperta la rossa s'inforcò i suoi enormi occhiali da sole. «Comunque, stasera che fate tu e Hanamichi?».

Non poté vederla, ma le sembrò che roteasse gli occhi. «Abbiamo intenzione di fare una capatina da Ede». Vedendo lo sguardo furbetto dell'altra si affrettò a mettere le mani avanti. «E non dire niente, per favore! Lo facciamo sempre per prenderlo alla sprovvista. Si rompe sempre le scatole quando non lo avvisiamo».

«Io non ho detto assolutamente nulla!», tentò di discolparsi Ayako, facendola arrabbiare ancora di più.

«Ehi, ti ho chiesto di uscire così sarei stata io quella col coltello dalla parte del manico, disgraziata».

Ayako la scimmiottò proprio come aveva fatto la rossa prima, appendendosi al suo braccio. «Mia cara, stai facendo tutto da sola».

«Farò gli incubi, stanotte, per colpa tua», borbottò Hime, sgusciando via dalla presa della ragazza e cominciando a correre, ridendo.

 

*

 

Quando Kaede se li ritrovò sull'uscio della porta, armati di patatine e delle più nere intenzioni di casini, pensò che doveva esser stato una persona veramente orribile nell'altra vita per meritarsi quei due. Insomma, se li sorbiva da sedici anni, mattina, sera e a volte anche notte: quella doveva essere per forza una punizione divina.

«Ehilà Kit! Facci entrare che tra poco inizia la partita!», esordì Hanamichi, entrando senza troppi complimenti nella Volpaia, come la chiamava lui.

Kaede guardò mestamente l'amica, ancora ferma sulla porta. «Vuoi rimanere fuori, tu?».

Quella sembrò risvegliarsi da chissà quali pensieri - dannata Ayako, gliel'avrebbe fatta pagare! - ed entrò, salutandolo come faceva di solito. Quella volta, però, si sentì a disagio a baciare quella guancia liscia. Il numero undici la osservò a lungo mentre andava a salutare allegramente il padre, sempre felicissimo di trovarseli tra i piedi. Che diavolo era quello sguardo? Ora si metteva anche lei a fare la misteriosa?

«Che piacere vedervi, ragazzi!», disse il signor Rukawa, abbracciandoli entrambi. «Come state? Hanamichi, la tua schiena?».

«Tutto bene, Kanbe-san! Sono più in forma di prima! Ahaha!».

Kanbe Rukawa - curiosamente anche il suo nome iniziava con la K, vecchia tradizione di famiglia probabilmente - gli batté una mano sulla spalla, contento dall'allegria che i due Sakuragi portavano sempre in casa. «Non avevo dubbi, Hanamichi, sei sempre stato un ragazzo forte».

«Ehi, Kit! Hai sentito che ha detto tuo padre? Guarda e impara dal Tensai!».

Kaede alzò gli occhi al cielo, rubandogli le patatine dalle mani per travasarle in un vassoio. «Non ci tengo a diventare un Do'aho».

Kanbe-san ridacchiò, recuperando cappotto e ventiquattrore. «Io vado, ragazzi. Oggi ho il turno di notte».

«Buon lavoro, Kanbe-san!», dissero in coro i gemelli, mentre il figlio lo salutava con il suo consueto 'ao.

«Hicchaaan! Che diavolo di maglia hai messo?!», strillò Hanamichi vedendo cosa indossava sotto il cappotto e facendo scendere un coccolone al padrone di casa, che era tornato in salotto per vedere la scena del rossino che indicava freneticamente la sorella.

«Come che maglia è? È quella che volevo da anni e che non mi hai mai comprato!», si difese lei, abbracciandosi. «L'ho presa oggi con Ayako, non è bellissima?».

«Ma sembra del Kainan!», continuò quello con gli occhi fuori dalle orbite.

«È dei Lakers, scemo di un fratello! Ed è il numero 8!*», rispose trionfante, facendo il segno della vittoria.

«Fissata con Bryant».

Hime guardò l'amico, facendogli una linguaccia. «Sei solo geloso».

«Ci mancherebbe solo quello!», fece Kaede, tirandole un buffetto sulla testa.

I tre si sedettero sul comodo divano davanti alla televisione, aspettando l'inizio della partita. Poi Hime schiocco le dita. «Ordiniamo le pizze da Sana? Così viene Mitchi a portarcele!».

«Sì, sì! Ho voglia di sfotterlo un po'!».

«Do'aho, almeno lui si dà da fare».

«Parli proprio tu?!».

«Ohi! Silenzio che non sento!», si lamentò Hime, che aveva già recuperato il telefono. Inutile dire che i due continuarono a battibeccare imperterriti, tanto che la ragazza dovette allontanarsi da quel casino.

Quando Hisashi arrivò con le pizze venne accolto dai gemelli neanche fosse la regina d'Inghilterra.

«Ehi, Mitchi! Spero siano ancora calde!».

«La tua testa è calda, Sakuragi».

Hisashi consegnò il cibo alla ragazza, che pagò per tutti e tre. Sbirciò dietro le sue spalle, scorgendo Kaede che salutò con un cenno del capo. «Non ero mai venuto a casa di Rukawa».

«Meglio per te. La Volpaia non è un bel posto per uno che non ha gli anticorpi», disse annuendo Hanamichi.

«Puoi anche levarti dalle palle, Do'aho. Nessuno sentirà la tua mancanza», rispose dall'oltretomba il padrone di casa, facendo ridere Hime, che lo raggiunse per poggiare i cartoni sul tavolo.

«Comunque, nel contratto c'era scritto che potevi portarti dietro la ragazza?», chiese Hanamichi, notando che c'era una persona sulla moto.

Hisashi si voltò a guardare la bionda. «È una storia complicata, se ne avrò voglia te lo spiegherò domani. E comunque non è la mia ragazza... non ancora.» Detto quello la guardia dello Shohoku salutò tutti e sparì.

«Hai capito Mitchi? Se la fa con una tipa!».

«Cosa? E chi è?», chiese subito interessata Hime. L'amicizia e l'influenza di Ayako, ogni tanto, si faceva sentire.

«Boh, non mi ha detto niente. Domani vedremo di scassargli le scatole finché non parlerà!».

Kaede poté gustarsi finalmente la partita quando quei due scellerati si riempirono le bocche delle prelibate pizze ipercaloriche che avevano comprato. Non poté, però, esimersi dal buttare giù dalla poltrona il rossino, che aveva deciso bene di poggiare i suoi enormi piedi sul tavolino davanti al divano. Per inciso, ci mancò poco che quello si ammazzasse.

Il casino iniziò quando le pizze finirono e i gemelli iniziarono a inveire e a commentare ogni azione della partita. Guardare un incontro di basket con loro era pressoché impossibile.

«Oh, andiamo! Quello era fallo! Arbitro venduto!», esclamò Hanamichi.

«Perché, quell'entrata in difesa di prima come la chiami? E non ha fischiato!», gli diede man forte la sorella.

Due secondi dopo i gemelli iniziarono a metter su cori da stadio, gridando "Venduto! Venduto!", manco fossero al palazzetto in America.

Kaede, seduto tra i due, resistette poco meno di un minuto, poi passò al contrattacco. Tirò un cuscino in faccia al ragazzo, con la speranza di soffocarlo, mentre tappò con una mano la bocca all'amica seduta accanto a lui. Hanamichi cercò di liberarsi da quel sacco di piume senza troppi risultati, mentre Hime pensò bene di difendersi colpendo il punto debole dell'amico: il fianco. Fu così che dissero addio alla partita, con Hime che tentava di infilzare con un dito Kaede, che doveva ripararsi dai colpi, e Hanamichi che cercava di aiutare la sorella tirandogli cuscinate in testa.

La lotta terminò dieci minuti dopo. Stremati sul divano, i tre si guardarono in cagnesco, poi i gemelli scoppiarono a ridere. Kaede dovette trattenersi per mantenere il suo selfcontrol di cui andava fiero.

«Kami, che male la pancia!», esclamò Hime, asciugandosi le lacrime per le risate.

«Vado a bere un po', mi avete sfiancato.», fece invece Hanamichi, sparendo in cucina per frugare nel frigo alla ricerca di liquidi commestibili, neanche fosse a casa sua. Tornò trionfante con una bottiglia di aranciata e tre bicchieri di plastica. «Chi ne vuole?».

«Fai con comodo, quanto vuoi», disse ironico Kaede, che ormai non si sconvolgeva più di tanto quando quello partiva in quarta per la cucina.

«Già fatto, Kit!», rispose Hanamichi con una strizzatina d'occhio, riprendendo posto. «Ah, Hicchan, domani passo dalla Scimmia che deve darmi alcuni dischi, vieni con me?».

Lei annuì, bevendo la bibita che le porse gentilmente il fratello. «Così saluto Arimi, mi piace quella ragazza».

Kaede corrugò la fronte, perplesso, e lei gli spiegò subito che Arimi era la sorella di Nobunaga.

«A proposito di Ari-chan, che ha alla gamba?», chiese Hanamichi, ora serio.

«Nobu mi ha raccontato che due anni fa ha avuto un incidente. Era sui pattini con alcune amiche e un idiota le è andato addosso con la macchina», iniziò a raccontare la ragazza. «Le hanno dovuto amputare la gamba destra fino al ginocchio perché era in cancrena».

Hanamichi sembrò colpito da quel racconto. «Mamma, chissà che dolore. Non so come farei se mi dovessero tagliare una gamba».

Hime si strinse nelle spalle. «È una ragazza forte, proprio come Nobu. Così forte che in riabilitazione ha deciso di provare delle protesi per tornare a camminare».

«Davvero? Wow!».

«Sì, per ora si esercita in ospedale e in casa, ma Nobu mi ha detto che ogni tanto, senza che i genitori lo sappiano, la porta sulla sabbia, per farle trovare più equilibrio».

«Ah! Ogni tanto qualcosa di intelligente la fa anche la Scimmia!».

«A differenza tua».

«E che palle, Kit! Sempre in mezzo!».

Hime ridacchiò, accoccolandosi meglio sul divano per guardare la televisione. Senza neanche rendersene conto si poggiò sul braccio di Kaede che, come sempre per non rischiare di ritrovarsi l'arto completamente addormentato, lo spostò, abbracciandola. Non lo avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura, ma quello era il momento che preferiva di tutta la serata, quando quei due venivano da lui. Hime si addormentava sempre poggiata contro di lui, relegandolo al suo cuscino preferito. E puntualmente Hanamichi s'infervorava, geloso.

Kaede si portò un dito sulle labbra, zittendolo. «Così la svegli, Do'aho».

«E tu la contamini, Kit! Levale quelle zampacce sudice da dosso!».

«Ma fottiti».

Fu l'ultima cosa che Hanamichi sentì dal suo miglior nemico, perché anche lui si addormentò poco dopo. Guardandoli ancora infastidito, però, si accorse di quanto serena fosse la sorella tra le braccia del volpino. Non ricordava di averle mai visto espressione diversa ogni volta che accadeva. Sorrise, divertito, nel pensare che faccia avrebbe fatto quella Scimmia Saltante del Kainan nel vederli così.

Probabilmente avrebbe detto le sue stesse identiche parole!

 

 

 

 

Continua...

 

 

* * *

 

Ehilà! Torno dopo un paio di settimane con questo delirio! Capitolo un po' difficile da scrivere, perché come avrete potuto notare ho buttato alcuni piccoli semi che attecchiranno più in la... Oddio, ma come sto parlando?! XD

Ve gusta il capitolo? Spero di sì, a me soddisfa abbastanza... Non mi esalta, ma mi soddisfa!

Ma passiamo alle recensioni! (AllA recensionE! XD)

Liricchan! *O* Posso chiamarti così? Se non storpio i nomi altrui non son contenta... Forse è un riflesso incondizionato per i molteplici nomignoli che mi hanno affidato i miei amici negli anni, mah! :D Sei stata velocissima, direi! Sono orgogliosa e felice! ^O^ Ci mancherebbe che non ti rispondessi dettagliatamente, tralasciando il fatto che sia una logorroica da paura ci tengo a chiarirvi ogni possibile dubbio. :)

Hai perfettamente ragione, Sana è troppo gentile e ingenua e sono consapevole di ciò. Mi piaceva l'idea di affiancare due personalità così diverse come la sua e quella di Kiyo. Potrebbe ricordare Haruko, cosa che mi fa rabbrividire, ma spero si noti che si discosta parecchio da lei... Motivo numero uno non sbava per Kaede e non sbava neanche senza ritegno per Akira, grazie al cielo! Che mi scenda un fulmine se dovessi creare un personaggio come la Babbuina! XD Spero che acquisti più punti mano a mano che prosegue la storia. ;)

Per citarti: "Quindi io tifo per Kaeduccio, ma sono sicura che qualsiasi idea pazza partorirà il tuo sconfinato genio mi piacerà da matti!!!" Me lo auguro che ti piacerà... Uhuhuh! XD Kaede è un personaggio troppo bello, mi ispira tante nuove idee... E adoro maltrattarlo, proprio come tutti i miei personaggi preferiti. XD Sapere che sia IC mi rende strafelice, grazie! <3

E son così contenta che la scena tra Hisashi e Kiyo ti sia piaciuta! *O* Mi son divertita a scriverla! Spero che anche questa qui sopra sia stata altrettanto di tuo gradimento... Volevo rompere un po' gli schemi e credo che una tipa seria e ligia allo sport che si ubriaca sia stata un'idea diversa e divertente! Non te lo aspettavi, eh? XD

Grazie, veramente grazie mille! E' sempre un piacere leggerti! *O*

Grazie anche a tutti coloro che hanno aggiunto questo delirio tra preferiti, seguite e ricordate! ^-^/

 

Per inciso, il nome del padre di Ede l'ho inventato, mi piaceva il suono e il fatto che iniziasse anch'esso con la K... Deliri kenjiniani, capitemi. :D

Un abbraccio enorme, e ancora grazie!

Marta.

 

PS: se non dovessi aggiornare subito non preoccupatevi, è perché sono andata in vacanza! A presto! ;)

 

 

 

 

 

 

   
 
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