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Autore: Sten__Merry    02/08/2010    1 recensioni
Una lite tra Bones e Booth, un nuovo caso che li avvicinerà di nuovo o li dividerà definitivamente.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Seeley Booth, Temperance Brennan, Zack Addy
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Ecco il nuovo capitolo!
I commenti sono mooooolto graditi!
BACI! 
Sten


CAPITOLO 4

Erano passati mesi dall’ultima volta che mi ero seduta nella macchina di Booth ed ero quasi riuscita a dimenticare la sua guida nervosa.
“Booth” lo chiamai “che ne dici di mettere il piede anche sul freno, qualche volta? Non abbiamo nessuna fretta” lui mi lanciò un sorriso malizioso e schiacciò ulteriormente l’acceleratore, sbuffai e scoppiai a ridere.
Sembravamo due bambini che avevano tacitamente deciso che tutto era tornato a posto. Poi d’un tratto
“Bones” mancai un battito sentendomi di nuovo chiamare così “mi dispiace, ho sbagliato. Non avrei dovuto farti pressione in quel modo, non so cosa volessi farti dire. Scusa.” mi girai leggermente verso di lui sorridendo
“tranquillo, ti posso capire. Ti ho portato all’esasperazione, mi stavo comportando come se fossi stata il centro del mondo.” Mi sorpresi delle mie stesse parole, quasi fossero dettate da un implicita necessità di tornare al nostro solito rapporto “ho avuto un atteggiamento completamente irrazionale. Ho sorpreso anche me stessa. Non preoccuparti, ho esagerato” terminai con un leggero rossore che si faceva largo sulle mie guance, lo attribuii all’adrenalina per l’imminente scoperta.
Per un attimo mi sembrò che l’angolo destro delle sue labbra si alzasse impercettibilmente mentre il suo sguardo scorreva fugace e improvviso sul mio viso insolitamente colorito.
Poi, immediatamente, cambiò espressione, l’occhio dapprima socchiuso in una distesa espressione sollevata si aprì, grande e profondo, a scrutare il paesaggio attorno a noi; le labbra si strinsero in un impercettibile linea sottile.
Non fu necessario che seguire il suo sguardo per scoprire le radici di quel suo nervosismo: il centro di cura patologie vertebrali degenerative per cui tanto avevamo esultato quasi un’ ora prima sembrava essere abbandonato: nessun movimento al di la’ delle finestre, nessun rumore se non quelli dell’aperta campagna che ci circondava, il giardino con l’erba incolta che probabilmente non veniva tagliata da mesi.
Ci scambiammo un occhiata prima che lui estraesse la pistola.
“il solito, Bones” mi avvertì mentre scendeva dalla macchina, lo imitai
“perché per stavolta non lasci entrare me per prima, questo posto pare abbandonato non dovrei correre particolari rischi, inoltre ormai sono diventata un ottima tiratrice” protestai in un sussurro sperando che mi consegnasse un’ arma mentre continuavamo a camminare verso la casa
“un uomo quasi morto e una pallottola nella mia gamba non fan di te quel che l’FBI definirebbe una tiratrice provetta” aprii nuovamente la bocca per ribattere ma mi precedette “ e ricorda Brennan, sul campo comando io” alzai un sopracciglio in segno di disapprovazione mentre lui iniziava a forzare la porta d’ingresso dell’edificio
“Oh, guarda Booth” dissi una volta che ebbe finito “ la porta è aperta” sorrise velocemente, per poi tornare di nuovo allo stato di assoluta concentrazione che aveva caratterizzato i momenti precedenti
“FBI, stiamo entrando!” urlò mentre con un calcio ben assestato spalancò la porta.
“c’è qualcuno?” chiese entrando, lo seguii
“Booth, non so se qui ci sia o meno qualcuno” dissi allarmata “ma quel che so è che qui ci sono dei cadaveri”
“Esci Bones! Chi mai ti ha detto di entrare? torna all’esterno e controlla le uscite” obbedii, il mio quoziente intellettivo straordinariamente alto sapeva che per quella volta lui era davvero il capo.
Pochi minuti più tardi un Booth innaturalmente pallido uscì dall’abitazione in legno bianco
“Bones, avevi ragione. C’è bisogno di te qua dentro, prendi l’attrezzatura da Squint e entra. Preparati, sembra di stare in un macello” risparmiai di ricordargli che avevo lavorato all’identificazione delle vittime di genocidi in tutto il mondo e che, in qualche modo, mi ero giù fatta le ossa e rafforzata lo stomaco.
Entrai con passo leggero, quasi per non violentare quel silenzio pressoché sacrale, mi chinai sul primo cadavere, aveva un braccio semi mozzato mentre gli altri arti erano stati rimossi con perizia chirurgica
“Donna. Presupponendo una patologia simile a quella del nostro John Doe numero uno, al momento del decesso doveva avere 32 anni.” Mi fermai per prendere fiato tramite la mascherina, Booth mi aspettava sulla porta
“come lo sapevi?”
“come sapevo cosa?” chiesi
“che avremmo trovato questo” spiegò con un filo di voce mentre deglutiva
“l’odore. Vedi Booth, l’olfatto di ognuno di noi è più sensibile a certi odori piuttosto che ad altri. Io conosco meglio i cadaveri degli essermi umani, lavoro con loro per più di 13 ore al giorno, li respiro costantemente.
La morte ha un odore diverso da qualsiasi altro, è inconfondibile. Impregna debolmente l’aria, ma lo fa in una maniera innegabile. Il suo odore dolciastro si trasforma rapidamente in fetore non appena riconosciuto, una volta che colleghi l’odore a ciò a cui realmente corrisponde. Il definitivo degrado della vita” raramente mi concedevo a lunghe chiacchiere mentre esaminavo i cadaveri, quella volta però era diverso, per la prima volta vidi Booth, l’ex cecchino dell’esercito che aveva sparato ad un uomo alla festa di compleanno del figlio, completamente scosso.
“qui dentro fa caldo, l’odore è insopportabile. Esco, chiamo l’FBI e la tua squadra del Jeffersonian” annuii e passai ad analizzare il secondo cadavere.
Prima ancora che arrivassero i rinforzi avevo determinato i parametri generali di sei corpi semi mutilati e semi scheletrizzati.
“Booth, qui è successo qualcosa di grosso” dissi allarmata uscendo dalla porta per una pausa “ Nessuno dei cadaveri che ho analizzato oggi può avere la data di morte in comune con un altro: sono stati uccisi e mutilati a distanza di giorni” sussurrai quasi.
Mi sedetti sui gradini della veranda attendendo il resto della squadra, tolti i guanti mi passai le mani sul viso facendole poi scorrere tra i capelli. Tutta questa morte era troppa anche per me, aveva ragione Booth, lì dentro sembrava un macello.
Rimasi lì un po’, immobile. Io. Booth. Un braccio sicuro attorno alle mie spalle.
   
 
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