La Vita Nova.
Capitolo II - Parte
II
Erik non si era allontanato molto, da quando aveva lasciato il mulino
di quella zingara. Non perché volesse tornare indietro per spiarla o per farle
pagare la poca gentilezza che aveva mostrato una volta scoperta la sua identità.
Non voleva spaventarla, tanto meno farle del male. Aveva notato dei movimenti
tra i bassi arbusti ed i cespugli della campagna, come
se ci fosse qualcuno appostato, in attesa di qualcosa. Si era avvicinato
maggiormente alla fonte di quei movimenti, senza un suono, senza un fiato.
Proprio come un fantasma.
E li aveva visti, quei due uomini sporchi, dallo sguardo vispo e per
niente amichevole; osservavano il mulino con interesse, parlottando tra di loro
a voce bassissima, che essi stessi a stento riuscivano a sentire. Ma aveva capito, anche senza il bisogno di ascoltare i loro
discorsi, che quel piccolo rudere con chi ci stava dentro era nei loro prossimi
interessi. Phénix abitava sola, indifesa, senza
nessuno accanto: un ottimo obiettivo, il loro. Avrebbero approfittato di lei? O
si sarebbero limitati a rubare i soldi che le aveva
lasciato, senza alzare un dito?
Non poteva permettere che quella ragazza, così gentile ed ospitale con lui, potesse essere oggetto del divertimento
e dei giochi di persone come quelle. Non dopo aver scoperto chi fosse, non dopo
aver deciso che, per quanto piccolo fosse il suo contributo, l'avrebbe aiutata
a sistemarsi.
Era rimasto nascosto dietro un folto cespuglio per tutto il giorno,
immobile come una bellissima statua, aspettando che Phénix rientrasse a casa e
che quei due balordi si facessero vivi. Uno si era allontanato quando lei aveva
lasciato il mulino, prima di pranzo; l'altro era rimasto nei dintorni, senza
uscire troppo allo scoperto. Quando l'aveva vista sulla via del ritorno e si
era reso conto che quei due la stavano veramente
puntando, dovette ricorrere a tutto il sangue freddo di cui disponeva pur di
non saltargli addosso e di ammazzarli nel giro di due secondi. Ma aveva fatto male i calcoli, forse: non aveva pensato che
la giovane potesse ribellarsi con tanto fervore. Avrebbe dovuto capire che avesse
un carattere infuocato, proprio come i suoi capelli.
Un calcio, una piccola fuga, l'altro uomo che le era piombato addosso
per bloccarla, trascinata dentro senza che potesse ribellarsi.
Erik prese un bel respiro, prima di uscire dal suo nascondiglio e di
avvicinarsi a passi felpati e silenziosi verso il mulino. Aveva tolto fuori il
suo lasso, fedele compagno in qualsiasi situazione del genere, e aveva
aspettato il momento migliore, guardando da una fessura nel legno. Fu quando
vide la ragazza perdere i sensi, che la calma che aveva ostentato fino ad un secondo prima scemò in un istante.
Il Fantasma dell'Opera era tornato, splendente e terribile come non
mai.
Con un calcio atterrò la porta, facendo imprecare i due per lo
spavento. Fu un duro colpo per loro trovarsi un uomo imponente come lui,
spaventoso avvolto nel nero del suo mantello, con quella maschera inquietante
che gli conferiva un aspetto ancor più terrificante e quegli occhi ridotti ad una fessura, carichi di una rabbia che ribolliva come la
lava di un vulcano.
Il primo brigante che gli fu addosso fu quello che aveva scoperto il
denaro, ma non poteva nemmeno immaginare con chi avesse a che fare. Erik gli
lanciò la corda del lasso alle gambe e, una volta che questa fece un paio di
giri su di esse, la tirò con forza, facendolo cadere prima ancora che potesse
raggiungerlo.
L'uomo, nella foga, riuscì a tirare fuori un coltello e provò subito ad usarlo contro il suo aggressore. Il primo colpo andò a
vuoto, dato che Erik si accorse all'ultimo momento del
pericolo e gli bloccò il polso, spezzandoglielo con un movimento secco della
mano.
Non si curò delle grida di dolore
dell'individuo riverso a terra, bensì si voltò contro l'altro che aveva osato
picchiare Phénix. Le lanciò un'occhiata e la vide a terra, come addormentata.
«Chi diavolo sei, mostro!», esclamò tremante
il balordo, alzandosi per fronteggiarlo. «Vuoi
divertirti anche tu? Bastava chiederlo!»
Senza una parola di più, Erik ritirò il lasso dalle gambe dell'altro
malcapitato, e sorrise al compagno dell'aggressore con un ghigno per niente rassicurante.
«Ehi, amico. Che intenzioni hai? Ce ne andiamo, ok? Ce ne stiamo
andando, vero Nicolas?», continuò quello, ora veramente
spaventato dall'uomo in nero che si avvicinava a piccoli e lenti passi
verso di lui, inesorabile come la morte. «Su,
deficiente, alzati che leviamo le tende! Ti lasciamo solo con la tua
sgualdrinella, tranquillo!»
Quello fu troppo per lui.
Keep your hands
at the level of your eyes!
Con un movimento fluido e talmente veloce che neanche se ne accorse,
l'uomo si ritrovò il collo stretto da un cappio micidiale, sdraiato a terra nel
vano tentativo di fermare la furia omicida che ora lo stava sovrastando e
guardando con l'espressione di un folle. Invano tentò di liberarsi da quella
violenta morsa, da quella corda che sempre più gli si stringeva attorno al
collo, soffocandolo lentamente. Poi, più nulla.
Erik rimase immobile a guardare la sua vittima – un'altra – che lo
guardava con occhi ciechi, ma totalmente spalancati per il terrore della morte.
Purtroppo per lui si accorse troppo tardi dell'altro uomo che, preso il coltello con la mano sana, gli si avventò contro e
lo ferì profondamente sul braccio. Erik si morsicò la lingua con forza, pur di
non gridare dal dolore, e, accecato dalla rabbia e dall'affronto, lo atterrò
con un pugno, che gli fece sbattere violentemente la testa contro un'asse
piegata del pavimento in legno. Pochi secondi dopo lo
vide sanguinare copiosamente, immobile riverso a
terra.
Con il respiro affannato, Erik si lasciò cadere per terra, cercando di
riprendersi un poco. La ferita al braccio stava perdendo molto sangue – ed era
stato fortunato che quel coltello non avesse colpito il fianco, che era il vero
obiettivo dell'uomo – ma non gli importava. Ciò che gli faceva più male, ora,
era vedere cosa avesse appena fatto. Aveva nuovamente ucciso, con una ferocia e
un'impassibilità tale che lui stesso rabbrividì al solo pensiero.
Solo per difenderla, solo per difenderla...
Chiuse gli occhi e sospirò profondamente, prima di riaprirli, alzarsi
e portare via di peso i cadaveri di quei due stolti, per nasconderli da qualche
parte nella campagna. Quando tornò nel mulino, si avvicinò a Phénix e si
accorse che anche lei era ferita, in fronte. La prese in braccio e la adagiò
sul letto di paglia, con delicatezza. Dante la
raggiunse subito, accoccolandosi accanto a lei per starle vicino.
In tutta la sua vita, non aveva mai dovuto curare le ferite di qualcun
altro, e cercando tra le erbe medicinali e gli unguenti che la ragazza aveva si trovò spiazzato, rendendosi conto che non aveva la
più pallida idea su cosa potesse usare per disinfettarle la ferita. Aveva letto
numerosi libri di medicina, quando era un ragazzo, ma niente sull'uso di erbe
come quelle. Fortuna che trovò un vasetto in vetro contenente una pomata di
aloe e, con cura, gliene spalmò una noce sulla ferita in fronte e sulle mani
sbucciate.
Quella fu l'occasione per osservarla bene senza metterla a disagio,
come la notte precedente. La fronte era alta, coperta solo da qualche ciuffo
ribelle, rosso come il fuoco, che scappava alla treccia; quegli occhi verde
smeraldo, che ora erano chiusi, avevano una graffiante
forma affilata, contornati da lunghe ciglia ramate; le labbra erano socchiuse,
carnose e sanguigne, e poco sopra spuntava un nasino impertinente, delizioso.
Di fisico non era altissima, anzi: era almeno una ventina di centimetri più
bassa di lui; ed era magra, tremendamente magra che
temeva potesse spezzarsi da un momento all'altro, per lo stile di vita che
aveva fatto fino a quel momento.
Erik si stupì non poco nel scoprirsi così intento a studiarla. Non
poteva biasimarsi, certo: era bella, su quello non poteva azzardarsi a dire il
contrario. Ma il solo fatto di formulare un pensiero
del genere lo mise in forte disagio.
Christine...
Perché? Perché non poteva semplicemente dimenticarla? Perché si
sentiva in colpa per aver formulato un pensiero che considerava oggettivo?
Lei non era sua, non era mai stata sua. Eppure lui aveva sperato, fino
all'ultimo: era convinto che con quell'opera sensuale e provocante la sua dolce
musa gli si sarebbe finalmente abbandonata, rinnegando
quel damerino del Visconte e scegliendo lui, che l’amava fino alla follia.
E invece no, niente di quello che aveva sperato ed
immaginato era andato così, neanche in minima parte. Sarebbe mai riuscito a
dimenticare tutto quel dolore? Sarebbe mai riuscito a dimenticare quella voce
soave, quegli occhi castani e grandi, innocenti come quelli di una bambina?
Christine I love you...
Distolse lo sguardo bagnato dalle lacrime dalla giovane zingara e
strinse forte i pugni, per cercare di darsi una calmata. Si era ripromesso che
sarebbe diventato una statua di ghiaccio, insensibile ai sentimenti, insensibile al dolore... Eppure non ci riusciva, neanche con
tutta la sua buona forza di volontà.
Per fortuna che i mugolii di dolore di Phénix, che lentamente si stava
risvegliando, lo richiamarono al presente. Si asciugò
velocemente gli occhi e concentrò tutta la sua attenzione sulla ragazza.
Phénix corrugò la fronte per il dolore, quando iniziò a rendersi conto
che la testa le pulsava malamente. Alzò debolmente un braccio, per portarsi una
mano alla fronte, ma si bloccò subito quando sentì l'odore dell'aloe profumarle
le narici. Fu solo allora che si accorse di una presenza, seduta al suo fianco
sul letto di paglia. Se ne avesse avuto le forze
sarebbe saltata dallo spavento, nel ritrovarselo a fianco, così vicino; e lui
capì il suo stato d'animo solo guardandola negli occhi.
«Tu... Cosa ci fai…», provò a dire, a fatica.
«Non sforzatevi, siete debole.» Erik la spinse delicatamente contro il
letto, quando questa fece per mettersi a sedere.
«Dove sono... Quei due…» Un brivido le percorse la
schiena vedendo l'occhiata eloquente che l'uomo le riservò. E capì tutto quando
vide, per terra, una macchia scura di sangue che bagnava il legno del
pavimento. «Oddio…», mugolò, nascondendosi il viso tra le mani. «Li hai
uccisi…»
«Sì, solo per difesa.», tagliò corto lui, deciso nel non volerci
pensare più.
«Tu non sai chi sono... Chi erano…», disse
debolmente, tremando.
«Due che non meritavano di continuare a vivere,
mademoiselle Phénix.»
La zingara si passò le mani sul viso, guardando con aria persa il
soffitto. «Mi hanno... Ecco, loro mi hanno…»
Erik le coprì la bocca con una mano guantata di pelle nera,
intimandole il silenzio. «Basta domande, siete stanca.
Comunque no, sono arrivato prima.»
La giovane si lasciò sfuggire un sospiro di
sollievo. «Grazie.»
Lui non rispose, intento a coccolare il gattino. «Quando vi sarete ripresa me ne andrò, state tranquilla.», la rassicurò, senza
guardarla. «Piuttosto, dovreste tornare dai vostri
compagni, se volete evitare altre situazioni di questo genere. Io non ci sarò
sempre.»
Phénix, a quelle parole, si crucciò, girandosi su un fianco e
rannicchiandosi su sé stessa. «Non
posso. Mi avevano avvertito che se li avessi lasciati, poi, non sarei potuta
tornare indietro. E' una legge.»
«E allora è una legge stupida.», ribatté Erik, alzando lo sguardo su
di lei.
«E quei due…», continuò imperterrita lei. «Quei
due erano i cugini di uno degli uomini più influenti del nostro gruppo. Non
immagini quanto potente sia. Non posso tornare da loro, ora.»
«Allora converrete con me che qui non siete al sicuro. Quanti sanno che
abitate qui?»
Lo sguardo della ragazza gli fece capire la risposta. Il pericolo
c'era, e anche parecchio, a quanto pareva. I soldati, poi, avrebbero anche
potuto accusarla di omicidio…
Come i suoi genitori, sempre a causa
sua…
No, non poteva permetterlo. Non doveva accadere di nuovo. L'avrebbe
presa sotto la sua protezione, e nessuno gli avrebbe fatto cambiare idea.
Prese un bel respiro profondo, guardandola intensamente e facendole
capire che non avrebbe ascoltato alcuna obiezione. «Credo
che sarebbe meglio se voi veniste con me, una volta ripresa. Vi porterò al
sicuro.»
Phénix credette di aver sentito male. Andare con lui? Era ammattito? «Non ci penso nemmeno. Ti ringrazio per l'offerta, ma so
badare a me stessa.» La ragazza si pentì subito di
aver detto quelle parole, quando gli lesse un'espressione sarcastica,
ma risentita, in viso.
«Mi fa piacere sentirvelo dire, mademoiselle. Devo dedurre che
l'incidente di prima me lo son sognato?»
Phénix si morse un labbro, conscia di essere
in torto marcio. Come si sarebbe potuta difendere in quelle condizioni? Se non
fosse stato per lui, quella sera... Non voleva nemmeno
pensarci. Ma lei non avrebbe seguito un assassino, non
lo avrebbe fatto! Sarebbe scappata, avrebbe cercato di difendersi da possibili
accuse, ma non avrebbe dato la sua vita nelle mani di
un folle, anche se questo stesso folle l'aveva salvata. «Non
verrò con te, punto e basta. Non puoi obbligarmi.»,
disse a denti stretti, mettendosi a sedere sul letto e vedendo tutto intorno a
se girare vorticosamente. Venne spinta nuovamente
contro il letto, questa volta con più decisione, e gli rifilò un'occhiataccia
gelida in cambio.
«Statemi bene a sentire, Phénix: non amo ripetermi su questioni
che considero già chiuse e vi sarei grato se la smetteste di fare la bambina
capricciosa. Non vi si addice.», le mormorò seriamente
Erik, facendola arrossire per l'affronto.
Gli avrebbe voluto gridare dietro di non permettersi mai più di
rivolgersi a lei con quel tono, di non osare nemmeno pensare di dettare regole
e obbligarla a fare ciò che più gli piaceva... Ma non ne ebbe la forza fisica, dato che il dolore alla fronte tornò a pulsarle forte. E
poi, come avrebbe potuto ribattere a quelle parole pronunciate così duramente?
A quello sguardo duro e severo che sembrava schiacciarla con forza?
«Ora, ascoltatemi.», riprese il Fantasma, con un tono più calmo e
apparentemente comprensivo. «So che avete paura di me,
non posso biasimarvi. Ma credetemi sulla parola di
uomo d'onore che sono, che non ho intenzione di portarvi guai. Voglio solo
aiutarvi.»
Phénix non si lasciò abbindolare da tutte quelle belle parole. Voleva
studiarlo ancora un po'. «Non mi serve il tuo aiuto. E
non mi servono nemmeno i soldi che mi hai lasciato.»
L'uomo tentò a stento di reprimere la rabbia che stava affiorando in
lui, contro quella ragazzina priva di gratitudine per l'aiuto che le aveva dato
e che le stava offrendo. Possibile che dovesse rispondergli in modo così
maleducato? Possibile che non capisse che fosse sincero?
Si alzò di scatto da dove era seduto, stringendo i pugni. Era questo,
dunque, l'effetto che faceva? Timore e diffidenza in chiunque incontrasse? Perché nessuno si accorgeva del suo dolore?
Della sua voglia di ricominciare nuovamente? Perché nessuno vedeva l'uomo
dietro il mostro?
Fear can turn
to love - you'll learn to see, to find the man behind the monster...
«E' troppo chiedervi di darmi fiducia?», le domandò, stanco. «Una
volta, una volta sola: almeno voi, potete darmi fiducia?»
Sentì lo sguardo della giovane contro la schiena, ma non osò voltarsi
per guardarla in viso. Temeva quello che avrebbe potuto
vedere: paura, sgomento... Peggio ancora: pietà.
«Ti sei mai domandato perché nessuno si fidi di te?», gli chiese
Phénix, mettendosi nuovamente a sedere, questa volta con lentezza, per non
muoversi troppo bruscamente e avere altri cali visivi. «E'
vero, non ti conosco e posso dire che ieri sei stato una brava persona che ho
aiutato con piacere. Secondo te perché ora che so chi tu sia provo solo diffidenza?»
Erik sospirò, conscio che le parole della zingara erano tristemente
vere. Tutti, anche chi non lo conosceva direttamente o non aveva avuto a che
fare con lui, lo temevano; poteva fargliene una colpa?
Certo che no. Non poteva sperare che neanche lei potesse aver paura di lui, e
lei non voleva avere problemi con la giustizia; del resto, molti avrebbero
trovato quasi ovvio che il Figlio del Diavolo si fosse rivolto ad una strega.
Phénix strinse gli occhi, studiandolo bene. Sentiva di potersi fidare
di quell'uomo: era sincero, in quel momento, glielo poteva leggere
perfettamente in quegli occhi ora verdi, ora grigi; lo
sguardo di chi aveva sofferto tanto, di chi aveva visto troppo dalla vita, di
chi invece non avrebbe voluto vedere. Ma aveva paura, una folle paura che accettando il suo aiuto qualcosa potesse andare storta.
«Sentiamo, dove vorresti portarmi al sicuro?», gli chiese,
temporeggiando.
Erik riuscì a nascondere un sospiro, capendo che la giovane stava
lentamente cedendo. «Da una persona che deve farsi perdonare il suo
comportamento scorretto nei miei confronti.»
La giovane inclinò il capo, curiosa. «Perché?»
«Ha tradito la mia fiducia nel momento in cui avevo maggior bisogno di
lei. E' sufficiente?» Mosse qualche passo verso di
lei. «Allora?»
Phénix si strinse nelle spalle. «Un'ultima cosa vorrei
sapere da te: perché vuoi aiutarmi così tanto? Neanche ci conosciamo.»
Erik si lasciò sfuggire un amaro sorriso. Cosa avrebbe potuto dirle? Che voleva rimediare a ciò che
aveva fatto in passato? Bel modo sarebbe stato per guadagnarsi la sua fiducia! «Perché se non posso trovare pace io, non vedo perché non
possiate voi. Siete stata gentile con me ieri, l'unica
persona che non mi abbia cacciato come un animale. E
io ho i mezzi per aiutarvi. E' una buona ragione?»
Phénix si arrese, sospirando. «D'accordo, ti
seguirò. Però a due condizioni.» Erik incrociò le
braccia, curioso di sapere. «Mi darai del tu
come faccio io con te. Mi sembra ridicolo che utilizzi tutta questa galanteria
per una poveraccia come me.», iniziò ad elencare
contando con le dita. «E ti farai curare quel braccio, sanguina in modo
spaventoso.», concluse, alzandosi con lenta debolezza
per recuperare i medicinali alle erbe.
Erik gioì intimamente per quella piccola vittoria ed
acconsentì a farsi medicare la ferita. Non si preoccupò
delle mani sapienti della giovane che gli massaggiavano il braccio, né del
fatto che fosse con mezza camicia aperta per facilitarle l'operazione,
lasciando scoperto un petto scolpito e quasi del tutto privo di peluria. Era
troppo occupato a pensare ad un modo per aiutarla a
dovere, per curarsene.
Lei, invece, se ne preoccupò, eccome: il fisico di quell'uomo era
pressoché perfetto, tranne per il fatto che fosse un
po' sciupato per il poco cibo che aveva mangiato in quegli ultimi tempi.
«Erik…», sussurrò Phénix, facendogli alzare lo sguardo su di lei.
«Grazie per tutto.»
Rimase particolarmente colpito dalla serietà e dal riconoscimento con
cui lo guardò: nessuno l'aveva mai ringraziato. Si lasciò andare ad un timido sorriso, il primo che le regalò, e lei sperò
che non fosse nemmeno l'ultimo, perché mai aveva visto il volto di un uomo
diventare così dolce ed innocente come quello di un bambino, per un semplice
gesto come quello.
«Ecco, così dovrebbe cicatrizzarsi velocemente e non dovrebbe darti troppo fastidio.», gli comunicò, coprendogli
il braccio con un ultimo giro di rozza benda.
«Grazie, Phénix.» Erik si ricoprì con la camicia logora e la giacca,
lasciando il mantello piegato ai piedi del letto. «Ora, se non ti dispiace, ti
preparerei qualcosa da mangiare.»
Phénix stava per ribattere, ma l'occhiata autoritaria dell'uomo la
fece desistere. Accidenti, metteva i brividi quando la guardava così!
Dante le si accoccolò sulle gambe,
reclamando cibo con un miagolio affamato. «Shh, ora si mangia.», gli sussurrò,
accarezzandogli la testolina pelosa. Alzò lo sguardo sull'uomo che era intento
a mettere insieme un po' di frutta con qualche pomodoro tagliato a spicchi, con
pane e acqua, e non poté fare a meno di sorridere. «Posso farti una domanda?»,
gli chiese.
Lui la guardò un attimo, poi riprese ciò che
si era offerto di fare. «Dipende dalla domanda.»
Phénix ci pensò su un po', prima di parlare. «Se ti senti tanto in
colpa per quello che è successo all'Opera, perché non finanzi i lavori di
restauro con i soldi che hai, anzi che aiutare una zingara come me?»
Erik alzò un sopracciglio. «E cosa ti fa pensare che io mi senta in
colpa?»
La giovane lo guardò bonaria. «E' palese, te lo leggo negli occhi.»
Lui non rispose subito, preferendo lasciar passare qualche secondo di
silenzio. «Il fatto che sono un ricercato ti suggerisce qualcosa?»
«Potresti incaricare qualcuno.», gli rispose prontamente lei,
facendolo sospirare.
«Non credere che non ci abbia già pensato.»
«Quindi?»
Erik si mise le mani sui fianchi, guardandola quasi esasperato. «Tu
fai troppe domande.»
«Posso pensarci io, se la cosa non ti preoccupa.», continuò lei,
impertinente.
«Mi ascolti quando parlo?»
Phénix gli lanciò un'occhiata birichina,
sorridendo maliziosa.
Ed Erik pensò che avrebbe fatto bene a controllare la sua pazienza,
altrimenti avrebbe fatto qualcosa di sconsiderato contro quella
giovane: quel sorriso e quell'espressione di chi la sapeva lunga erano in grado
di spiazzarlo ed irritarlo nel giro di pochi istanti, e lui questo non poteva
accettarlo. Così come non poteva accettare che una perfetta sconosciuta gli
leggesse in faccia tutto il suo dolore.
Le ficcò in mano la sua cena e prese il piccolo Dante in braccio,
occupandosi di lui pur di non doverla guardare.
Cenarono in silenzio, ognuno intento a ragionare su quello che era
successo e stava succedendo. Entrambi erano coscienti
che le loro vite stavano prendendo una svolta proprio quella notte. Tutto
sarebbe cambiato, niente come prima.
Phénix ripensò alle parole profetiche della nonna.
Il Cambiamento sta per avvenire e tu devi essere forte e pronta per
affrontarlo al meglio.
Sì, lei era pronta per affrontarlo, ne era sicura.
Quella stessa notte Erik disse alla giovane zingara di prendere i suoi
effetti, gatto compreso, e di prepararsi all'eminente trasloco.
«Hai carta e penna?», le chiese.
Lei lo guardò stralunata, scuotendo la testa. «No, non ho cose di
questo genere.»
Erik sospirò. «Allora dovrò andare a
procurarmele. Aspettami qui.»
Sparì velocemente nella notte, lasciandola sola. Non poté nascondere
un certo timore, ora che lui se n'era andato, seppur per poco
tempo. O così le aveva fatto intendere. Si strinse contro la parete in legno del mulino, abbracciando e cercando compagnia nel
piccolo Dante.
Quell'uomo era strano e imprevedibile, ma la sicurezza che provava in
sua compagnia era indescrivibile; così come era
indescrivibile il timore di ricevere nuove visite ora che era ancora più
indifesa di prima.
Erik tornò parecchio tempo dopo, con una lettera sigillata da un
teschio di cera lacca rossa, che metteva i brividi.
«Darai questa lettera alla persona dalla quale sto per portarti; c'è
scritto tutto quello che deve sapere.»
Phénix annuì, prendendo la lettera e guardando il sigillo. «Ma... Questo era necessario?»
L'angolo sinistro del labbro dell'uomo si piegò in un sorriso di
scherno, incredibilmente seducente. «Diciamo che in certe occasioni si è
rivelato un ottimo modo per persuadere.»
Fu così che sotto la luce della luna, la condusse al luogo che lui
considerava più sicuro per lei. Compagni della notte,
scivolarono silenziosamente lungo i viali e le stradine deserte di Parigi.
Erik si muoveva sicuro, invisibile così avvolto nel suo mantello
scuro: Phénix pensò più volte che sembrasse veramente un fantasma. Ogni tanto
si voltava per assicurarsi che lo stesse seguendo, o
per controllare di non essere sotto lo sguardo curioso di qualche indesiderato.
Sembrava pienamente a suo agio nel muoversi furtivo, tra le ombre, come se lui
stesso ne facesse parte. Ma per un uomo che era
cresciuto e aveva vissuto nelle tenebre, quelle strade buie non avevano niente
da invidiare ai cunicoli dell'Opera.
La portò in Cité d'Antin, proprio nei pressi del Teatro, dove i
palazzi erano ben curati ed eleganti, promettendo sontuosità al loro interno,
come ben facevano capire soltanto guardandoli da fuori. Phénix si sentì
elettrizzata all'idea di entrare in uno di quei palazzi: non vi aveva mai messo
piede.
«La porta è quella.», Erik le indicò con lo sguardo un portone di
legno massiccio, a cui si accedeva tramite un paio di
gradini. «Dalle subito la lettera, capirà.»
Phénix lo guardò con apprensione. «E tu?»
«Io?», Erik sorrise tristemente. «Continuerò a nascondermi come ho
sempre fatto.»
Sparì poco dopo, lasciandolo nuovamente sola, nel freddo della notte,
quella volta per davvero. Chissà se l'avrebbe più rivisto?
Si strinse nelle spalle, accarezzando distrattamente Dante,
accovacciato tra le sue braccia e riscaldato dal suo scialle viola, che le
copriva anche il capo. Tirò fuori dalla sacca la lettera che Erik aveva scritto
per assicurarle alloggio e la guardò curiosa. Chissà cosa c'era scritto?
Si avvicinò alla porta, ma prima di bussare, rimase in silenzio,
immobile con una mano bloccata a metà strada. E se l'avessero cacciata? I suoi
capelli ed i suoi occhi non erano certo un valido
biglietto da visita, non lo erano mai stati. Cosa avrebbe
fatto in quell'eventualità?
Scacciò quei pensieri con decisione; odiava essere insicura, era una
delle sue peggiori paure. Batté con forza il pugno contro la porta in legno, sperando che qualcuno là dentro le aprisse. Il
cuore le martellava in petto come impazzito all'idea di quello che stava per
succedere: una porta verso il cambiamento. Ma purtroppo quell'edificio stava
dormendo così come i suoi abitanti, dato che neanche
dopo tanti colpi si era fatta vedere anima viva.
Aveva già perso le speranze, quando una tenue luce tremula illuminò la
finestra accanto alla porta.
E lei sperò vivamente che la persona dietro quelle mura l'accogliesse senza cacciarla; avrebbe fatto di tutto,
allora, pur di aiutare Erik a vivere una nuova vita e a vederlo sorridere
ancora.
Continua...
Grazie mille, leschatnoir!
Questo capitolo è un po' più lungo, spero sia stato di tuo gradimento! ;)
Un saluto!
Marta.