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Autore: BigMistake    04/08/2010    1 recensioni
Dal Prologo: "Un nano ed un elfo, in groppa allo stesso destriero. Definire tale cosa rara, sarebbe soltanto blasfemia. Eppure successe alla fine della Terza Era, quando la Quarta albeggiava altisonante sulle teste della Terra di Mezzo. [...] Proprio in quel viaggio conobbero, a caro prezzo un popolo nascosto, Gwath - Ombre, venivano chiamate, e si mostravano come spettri nella notte. Mai avevano agito al di fuori delle loro terre, ma i tumulti che avevano scosso Mordor e tutti gli abitanti delle Terre dell’Est, ovviamente le avevano costrette a “cacciare”, se così possiamo definire la loro una caccia, ben oltre il loro piccolo recinto fatto di alberi e oscurità." Sarìin, il bardo racconta una storia agl'avventori di una taverna, i cui protagonisti presero parte alla Compagnia che salvò la Terra di Mezzo da un'imminente fine. Grazie per la vostra attenzione e buona lettura!
Genere: Romantico, Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gimli, Legolas, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO XIX: Signori dell’Ithilien.

Se fosse stato possibile avrebbe invocato una delle Aquile di Manwë per volare e raggiungere la sua Tirinîr nel minor tempo, ma fu costretto ad adattarsi al primo destriero che incontrò, senza curarsi del suo padrone né tantomeno di essere accusato di furto. Potevano rinchiuderlo perfino in una delle celle rimaste in piedi di  Barad-dûr se era il prezzo per abbracciare nuovamente il suo Fiore d’inverno.

Intanto Tirinîr e la colonna ordinata di elfi procedeva a passo d’uomo, intonando un canto consacrato ad Elbereth e alle stelle intessute dalle sue mani (nda. Rif – “Il Signore degli Anelli” – La Compagnia dell’Anello – Libro I Capitolo III  “In tre si è in compagnia” – Inno elfico a Elbereth Gilthoniel 1 ). La Guaritrice non si univa al coro, la testa le pareva scoppiare per quanto doleva pulsando con insistenza sulle tempie e gli occhi, arrossati e gonfi, necessitavano di ristoro. Aveva persino perso il conto dall’ultima volta che aveva chiesto ad Anrond di cavalcare con lei per permetterle di dormire almeno un po’, quel minimo consentito in groppa ad un cavallo. Si sentiva sempre più stanca eppure non chiese mai di fermarsi, il dimostrarsi la più debole non le sembrava opportuno. Se l’orgoglio fosse stato acqua lei ne avrebbe traboccato.

“Mia Signora Tirinîr!” esclamò Anrond affiancando il destriero della fanciulla. “Le colline degli Emyn Arnen sono distinte e delineate! La loro forma è netta! Sarete felice di sapere che dopo tanto migrare siamo quasi giunti a destinazione!” la sua allegria era coinvolgente, tanto che la ragazza si trovò a sorridere come ultimamente esitava a fare.

“Diolithar aen Valar! | S – Che siano ringraziati i Valar! | ” sospirò sollevata. “Gli ultimi passi sono sempre i più interminabili! Andiamo Anrond, percorri con me l’ultima distanza!” propose riprendendo vita a quell’annuncio. Camminarono ancora per qualche tempo affiancati senza parlarsi lieti, quando apparve un destriero che alzava polvere all'orizzonte. La galoppata perfino non celava l'impazienza di raggiungerli del suo cavaliere.

“Arweamin, ma quello non è …”

“Legolas!” rispose prima d’incitare Aratoamin e lanciarlo al galoppo. “Noro lim, mellon nîn! Noro i gwaew manen! | S – Corri velocemente, amico mio! Corri come il vento! | ” ripeteva sussurrando all’orecchio del suo amico. Ogni cosa di quel viaggio la stanchezza, il sonno perduto, la fame e le strane sensazioni avvertite, sparirono come un soffio sulla fiamma di una candela. Non le importava più nulla in quel momento, quando i suoi occhi avevano avvistato Legolas correrle incontro aveva ripreso a respirare. Si liberò della sua posizione e del suo rango, ritornò ad essere la ragazza semplice ed innamorata che aveva realizzato il suo sogno d’amore, un sogno che le stava correndo incontro con altrettanta premura e fretta.

Nessuno dei due diede il tempo al cavallo di fermarsi, entrambi travolti dall’irresistibile spinta del desiderio proseguirono l’avanzata con grandi falcate. Quando l’abbraccio li congiunse fu come assistere all’onda che s’infrange contro il pendio della scogliera, con impeto e con forza. Senza smuovere il muro di roccia la spuma risale e colora la pietra grigia, si volta e si smuove, ma esita su di essa scivolando solo in un secondo momento. Legolas aveva afferrato la vita della ragazza per stringerla possessivo contro di sé. Non esitò nemmeno un attimo a prendere il sapore di miele che custodiva tra quei dolci petali rosei, tenendo la sua nuca deciso s’appropriò di ciò che era suo di diritto. La passione l’aveva accecato ed insordito, tanto che non si accorse del silenzio che aveva colto tutta la colonna di elfi ammutoliti dall’episodio. In quel momento poteva anche presentarsi Morghot in persona e lui non vi avrebbe badato, tanta era la gaiezza che aveva catturato il suo cuore. Sorrideva fra le labbra non discostando mai le sue, mentre il sale delle lacrime di gioia versate dalla fanciulla si mescolava con l’ambrosia della sua bocca. Lo scalpitio di un cavallo ed un colpo di tosse fecero riemergere entrambi da quel vortice che li avevano coinvolti.

“Credo che non stiamo dando il buon esempio, melamin!” bisbigliò la fanciulla con il respiro affannato.

“Credo che ora che ti ho qui tutto ha assunto un’importanza relativa, sono felice …” rispose Legolas sfiorando nuovamente le sue labbra a firma di ciò che aveva detto. Non gli interessava in alcun modo se stesse dando spettacolo, con la sua smania di riavere seco la propria moglie aveva semplicemente seguito l’istinto e, anche se il suo ruolo gli imponeva un certo contegno, aveva preso in piena coscienza la decisione di abbandonare per una volta le buone maniere e lasciarsi trasportare dalle emozioni.

“Miei signori, non vorrei disturbarvi, ma attendiamo soltanto voi …” Anrond era sceso da cavallo e se ne stava con il busto inclinato in avanti ed una mano sul cuore. Tirinîr non era abituata a vedere quei formalismi eccessivi da parte sua nei suoi confronti. Fino a quel momento non si era resa pienamente conto del ruolo che avrebbe assunto fra gli elfi dell’Ithilien. Apparteneva alla discendenza di una Regina Amazzone, una nobile tra gli elfi silvani del Reame Boscoso ed altrettanto fra i resti dei Laiquendi, ma mai nella sua vita poteva dirsi una Signora responsabile della propria gente. Deglutì a vuoto poi, alzando gli occhi, vide altri abbassarli deferenti ed ossequiosi verso una fanciulla molto più giovane di loro. Persino Anrond possedeva un’età superiore alla sua e per la prima volta sentì la giovinezza gravarle sulla coscienza. Vero, il suo fardello era appesantito dal dolore e dalla sofferenza, tuttavia ciò mostrava semplicemente un aspetto più maturo non l’animo. Si sentiva insignificante e impreparata a ciò che sembrava attenderla.

A quel pensiero la paura iniziò ad impadronirsi del suo cuore, ogni timore riaffiorò con facilità e si scoprì indebolita ancor di più, tanto che le gambe cedettero facendole perdere l’equilibrio. Se non fosse stato per la morsa inspessita delle braccia dell’elfo probabilmente sarebbe caduta in terra. Anche Anrond, accortosi dell’accaduto, si avvicinò per offrire il suo aiuto. Fra Legolas ed il giovane elfi vi fu una fugace intesa, che si eclissò nel momento in cui lo sguardo vacuo della fanciulla ammonì lo stalliere. Le sue labbra mimarono debolmente un ‘no’ e Anrond serrò la mascella furente. Voleva proteggere Legolas, ma cosa avrebbe protetto lei?

“Tirinîr, cosa succede?” chiese apprensivo l’elfo.

“Nulla melamin, troppe emozioni unite alla spossatezza mi hanno provata. Non ho la stessa resistenza degl’elfi, ma non ho voluto pesare e sono giorni lunghi ed interminabili di cammino che mi hanno condotta a te! L’importante è essere qui, esattamente dove mi trovo ora …” rizzò quindi le ginocchia e sorrise prendendo fra le sue mani il viso di Legolas cercando di rassicurarlo.

“Anrond!” disse allora rivolto al giovane, che severo e con rabbia guardava quella messinscena improntata. Le doti drammatiche della fanciulla non erano evidentemente apprezzate dal suo amico. Non sollevò nemmeno lo sguardo quando Legolas lo interpellò, continuava a fissare con i suoi algidi occhi grigi la ragazza che, per nulla intimidita, lo fronteggiava minacciandolo con sguardi altrettanto irati. Era una lotta alla resistenza. “Anrond, perché non l’hai convinta a chiedere una sosta?” alle sue parole rivolse quindi l’attenzione al Principe che studiava attentamente quello strano scambio silenzioso appena avvenuto. Non era uno sprovveduto ed aveva capito che vi era motivo di una forte tensione tra i due.

“Conoscete la sua caparbietà. Voleva dimostrare più a sé stessa che ad altri di non essere debole, uscendone distrutta.” Replicò con una punta di acredine e con i denti stretti, dimostrando la durezza che gli scaturiva quella situazione.

“O forse non volevo attardare la moltitudine per un semplice caso di stanchezza!” rispose prontamente la fanciulla. Tra i due aveva iniziato a scorrere acrimonia. Legolas conosceva bene la sua sposa, sapeva che quell’atteggiamento non avrebbe ottenuto capo con Tirinîr.

“Anrond, sarà meglio che porti Aratoamin e Faroth con te. Io e Tirinîr cavalcheremo lo stesso cavallo fino ai vicini Emyn Arnen.” La sua voce era inflessibile, un ordine dato con astuzia verso quel ragazzo troppo impulsivo. Talvolta non è arguto buttarsi in campo aperto contro un nemico con una potenza maggiore, meglio attenderlo al di là della gola tra due montagne in piccole dosi in modo da sfoltire le sue guarnigioni.

Quel breve tratto di strada che li separava dalla dimora del Principe Faramir ed Èowyn Dama di Rohan e dell’Ithilien, la fanciulla lo passò tenendo fisso l’orecchio poggiato sul petto di Legolas, il quale cavalcava adagio seguendo il passo d’uomo della piccola porzione del suo popolo. Il volto della ragazza appariva finalmente in pace: nascosta sotto il collo del suo amato teneva gli occhi socchiusi ad assaporare ogni altro senso e la bocca che accoglieva l’illibato fiore del fresco respiro del vento, nella più completa beatitudine. Solo quel momento sarebbe bastato per ripagarla delle fatiche del viaggio, dalle arrabbiature con il suo amico e dai suoi lunatici ed incomprensibili comportamenti. Era contento del rapporto tra i due elfi, la giovane età di Anrond consentiva a Tirinîr di vivere ciò che aveva perduto con spensieratezza, arroganza ed un pizzico di sfrontatezza che donava quell’aspetto gioioso ed infantile al suo carattere. Lo stalliere invece sembrava veramente affezionato alla propria Signora e la sua sincerità di cuore lo rendeva il perfetto ‘compagno di giochi’ di una bambina forse un po’ troppo cresciuta. Questa sua apprensione resa evidente insospettiva Legolas, rendendolo in un certo qual modo partecipe del pensiero del giovane. Era palese che quell’episodio non era stato singolo, ma non poteva accusarla apertamente di trascurarsi. La sua reazione sarebbe stata quella di chiudersi a riccio e negare persino l’evidenza. Rassegnato affondò le sue labbra tra i setosi capelli della ragazza, disinteressandosi se veniva visto o meno in quel gesto sconveniente.

 

Le grida di alcuni uomini si levarono incitando all’apertura dei cancelli. In pietra le pareti e le case, costruita a ridosso delle colline degli Emyn Arnen, ergendosi come un gioiello di fine fattura incastonato in quello che veniva considerato il giardino di Gondor. La piccola città nascondeva fra le bianche mura vessilli luminosi di egual colore,  indicando ovunque l’appartenenza alla Casa di Hùrin. Ad essi altri stendardi che immortalavano su di un fondo nero l’Albero Bianco con le sette stelle, simbolo del Regno degli uomini e dell’asservimento che gli prestava. La gente che camminava per le strade mormorava dell’ultimo gruppo di elfi e di come ogni principato degli uomini avrebbe beneficiato a pieno della loro magia. I bambini guardavano con ammirazione la marcia degl’Eldar, come se le favole raccontate la sera dai genitori stessero prendendo vita. Uomini ed elfi uniti sotto lo stesso cielo, avrebbero camminato affiancati come un tempo. In guerra ed in pace stavano onorando la loro alleanza, l’amicizia dei figli di Ilùvatar avrebbe lasciato rischiarare i giorni oscuri sempre più lontani, in una terra che fino a poco prima era sotto l’influenza crudele della malvagità del vassallo di Belgûr, Oscuro Signore della sterile terra oltre gli Ephel Dùath.

Il viaggio era stato lungo e stancante, ma quelle ultime leghe passarono così velocemente che Tirinîr non se ne rese conto. Ad attenderli fuori dalle mura del piccolo castello vi erano i signori dell’Ithilien. Gli occhi grigi e saggi di sire Faramir scrutavano di lontano la minuta figura rannicchiata contro il petto dell’elfo suo amico, Èowyn lo affiancava con un dolce sorriso sul viso e tanta impazienza che raggiungessero quel luogo. I racconti di Legolas l’avevano incuriosita, il sapere che una donna battagliera e dallo spirito affine al suo sarebbe giunta l’attraeva alquanto. Legolas fu il primo a smontare e aiutò la sua amata prendendola per la vita, piccola premura non necessaria ma che non si sarebbe mai risparmiato.

“Finalmente siete giunta nella nostre terre, Tirinîr! Legolas ha così tanto parlato di voi che mi sembra di conoscervi da sempre, permettetemi di dirvi che le sue descrizioni non vi rendevano giustizia!” esclamò Faramir andandole incontro e provocandole un noto rossore. “Che siate benvenuta!” disse inclinando il capo in avanti. La ragazza rispose all’inchino intraprendendo un accurato studio dell’uomo che aveva di fronte. Era la prima volta che vedeva un appartenente alla linea secondogenita diverso dall'idea degli umani che aveva: incarnato chiaro, i capelli corvini ricadevano ordinati sulle spalle e dagl’occhi emergeva saggezza, ma anche un profondo velo di tristezza che ne caratterizzava lo sguardo.

“Grazie, mio signore. Deduco che voi siate il Principe Faramir, vi ringrazio per la vostra ospitalità!” rispose gentilmente.

“Non vi sbagliate, io sono Faramir Principe delle verdi contrade dell’Ithilien e Sovraintendente a Gondor e questa è la mia sposa Èowyn .” Disse mostrando il palmo alla Signora di Rohan che afferrò avanzando di un passo.

“Finalmente c’incontriamo, ero impaziente di conoscervi Tirinîr Envinyatarë. Se non altro non dovrò affidarmi all’immaginazione in futuro! Vi prego di considerare questa come se fosse la vostra casa, anche oltre la semplice ospitalità in attesa che la vostra dimora sia pronta ad accogliervi.” Affermò con emozione.

“Non so proprio come sdebitarmi Arweamin …”

“Non avete nulla di cui sdebitarvi. Credo che sire Faramir convenga con me che sia l’unico modo che conosciamo per dimostrarvi la nostra gratitudine. Se pace e splendore torneranno nei giardini di Gondor sarà solo grazie alla vostra presenza.” Èowyn prese le mani alla fanciulla e le strinse con delicatezza. Forse non si aspettava di sentirle così fredde perché le guardò tra le sue quasi preoccupata. “Mia Signora siete gelata, immagino che il lungo viaggio vi abbia stancata e noi siamo qui a perdere tempo e riposo con parole che possono esser dette in un altro momento.”

“Avete ragione, mia cara. È meglio che vi riposiate perché voglio i Signori dell’Ithilien alla mia  tavola stasera, accetterete il mio invito?” chiese Faramir ad entrambi gli elfi.

“Certo amico mio, non potrei mai rifiutare. Devo solo indicare la restante strada alla mia gente.” Disse Legolas, per poi rivolgersi alla sua amata che si era irrigidita al pensiero di separarsi dall’elfo. “Non temere, tornerò presto!” Tirinîr rispose solo con un cenno.

Finite le presentazioni ed i saluti,  fu condotta assieme ai suoi bagagli personali nelle stanze a lei adibite. Fece un bagno e dormì fino a sera assecondando il suo impellente bisogno di riposo fino a cena, quando era attesa dal suo sposo e dai suoi ospiti. In effetti il ristoro le aveva giovato notevolmente: le guance le avevano preso un colore salubre e gli occhi erano tornati vivaci. Venne guidata fino alla sala da pranzo allestita per l’occasione con un’eleganza sontuosa. I colori si avvicendavano dal rosso e l’oro, accesi e forti. Vigorosi come l’aspetto degli uomini. Diverso dagl’elfi, diverso dalle amazzoni. Le decorazioni esprimevano la potenza e la forza di quel popolo conosciuto solo attraverso i racconti filtrati dai Signori del Khand.

Parlarono di molte avventure degl’uni e degl’altri: il sogno che portò Boromir a Granburrone dopo la vittoria in Osgiliath e la sua successiva caduta sotto l’Ombra di Mordor, il dolore di un fratello che sulle rive dell’Anduin si trovò al cospetto di un guerriero dormiente in una barca grigia, la morte di uno zio padre nei campi del Pelennor dove Èowyn diede prova del coraggio e della forza di una valorosa scudiera di Rohan. Fu allora, al sentire delle prodezze della donna in battaglia, che lo sguardo di Tirinîr si rabbuiò. Tutto quello che la circondava divenne un’eco lontana, la sua mente era impegnata a ricucire la ferita riaperta dopo tanta fatica. Si rivide nelle sue guerre con le mani coperte dal sangue vermiglio delle sue compagne misto con quello putrido di orchi e nefande bestie. Non vi erano urla se non d’incitamento alla lotta, potevano trapassarle frecce, lance o spade ma dalla loro bocca mai un gemito di dolore doveva uscire. La morte in battaglia o per  parto erano le uniche veramente onorevoli per una Gwaith.

“Legolas mi ha detto che anche voi siete stata una guerriera …” disse interpellandola all’improvviso Èowyn, il suo sguardo assente e vitreo si sollevò dal piatto in cui si era perso per posarsi sul pallido viso della donna.

“Sì.” Quell’unica sillaba quasi la ingoiò vergognandosene. Il suo chiudersi di fronte ad un tale argomento con un guscio fatto dalle spalle incurvate non fece desistere Èowyn, che prese ad incalzare con insistenza avida di racconti di fama e gloria.

“Non è raro che fanciulle elfiche combattano in guerra: ho sentito dire che la Dama dei Galadhrim partecipò alla purificazione di Dol Guldur scendendo sul campo di battaglia e brandendo la spada.” Intervenne Faramir, interessato anche lui al passato di Tirinîr.

“Non è stata una mia scelta, Heruamin.” Rispose asciutta.

“Cosa intendete se mi è concesso sapere? Vi hanno obbligata a scendere in battaglia?” chiese allora Èowyn con più enfasi di quanta ne avesse voluta mettere in quella domanda. La fanciulla si voltò verso la sua interlocutrice. Mentre i suoi occhi brillavano quelli di Tirinîr mostravano il dolore e la sofferenza di chi non avrebbe voluto parlare. Ben nota era la determinazione della Bianca Dama dell’Ithilien, ma nello strazio di quello sguardo spento si ritrasse demordendo dalla sua ingorda smania di leggendarie ed epiche storie. “Mi dispiace non volevo essere indiscreta!” disse con rammarico.

“No, mia signora. Capisco la vostra curiosità, una donna costretta a combattere non per scelta propria non è cosa solita. Sono solo stanca del viaggio e parlare di ciò che la mia gente mi ha indotta a macchiarmi mi richiede ulteriore energia che in questo mo …”

“Non appartenete al Reame Boscoso quindi?” chiese di nuovo Faramir.

“Da parte di padre sì.” Ogni parola era sempre più bassa, difficile dire che fossero i ricordi a farle vorticare la testa o se i benefici effetti del riposo fossero di nuovo terminati, ma ebbe il bisogno di sorregger la fronte con una mano. “Scusatemi, potrà sembrarvi scortese, ma credo che non abbia del tutto recuperato le forze. Posso chiedervi congedo?” Legolas, vedendo le sue difficoltà, si alzò dalla sua seduta e le andò incontro per aiutarla ad alzarsi e a raggiungere le sue stanze una volta ottenuto il consenso da parte dei loro ospiti.

 

La mattina giunse inesorabile susseguendo alla notte. L’aria fresca e dolce dell’aurora penetrò attraverso la finestra solleticando il viso della fanciulla immersa nei giardini di Lòrien. Tirinîr senti le sue ossa ed i muscoli indolenziti, come se avesse intrapreso una lunga corsa. Vero, non aveva riposato molto dopo che avevano varcato la soglia delle proprie stanze, il bisogno che avevano l’uno dell’altra l’aveva spinta a superare persino la spossatezza. La luce del giorno baluginava sul braccio molle di Legolas che le cingeva la vita. Fu proprio il suo rigirarsi nel letto che la destò definitivamente, quando l’elfo si distese supino esponendo il torace nudo che splendeva al tocco indiscreto del sole. Un piccolo ciuffo dorato rischiava d’infastidire quella pacifica espressione di pura beatitudine, posandosi sul bel volto dell’elfo attraversandolo da una parte all’altra. Con cura lo scostò, ben attenta a non disturbare il sonno sereno del suo sposo. Le dita però non scesero dal viso e con delicatezza percorse i suoi lineamenti, ricordando meticolosamente ogni curva al tatto. Indugiò sulle labbra, percependo il respiro profondo che caratterizzava il ritmo del suo petto e il leggero schiudersi quando il profumo di lei invase i suoi sensi. Un lieve lamento indistinto provenì da esse, un gemito di piacere per le carezze ricevute.

“Dimmi che non sto sognando, che sei tu qui accanto a me …” chiese non aprendo le palpebre per non interrompere  led gradevoli sensazioni che gli venivano infuse da quei tocchi leggeri. Tirinîr sorrise e, come se potesse vederla, rispose anche lui. Pacatamente scalò il suo corpo per far incontrare le proprie labbra con piccoli baci sfiorati. Non pago l’elfo prese la nuca della ragazza ed approfondì il contatto. Sua moglie era con lui e la notte appena passata non era un sogno. Vera e reale, come la presenza nel suo letto. “Quando si dice il buongiorno si vede dal mattino, immagino s’intenda questo …”

“Immagino anch’io …” mugolò la fanciulla tempestando di piccoli baci languidi il mento e la mascella dell’elfo, che alla provocazione rispose ribaltando le posizioni e carezzando la gota della ragazza con il dorso della mano.  “La nostra dimora in Ithilien, mi suona così strano! Sembrava tutto irreale solo cinque anni orsono, ora siamo qui alla corte di sire Faramir e la sua signora attendendo che tutto sia pronto.” Da un tono trasognato ricco di speranza, passò ad uno più mesto ed ansioso, rivelando il suo stato d’animo altalenante.  “Temo di non essere all’altezza di tale compito forse è questo che mi fa sentire le gambe molli, non è la prima volta che la paura mi gioca scherzi meschini.” Quello che emise fu quasi un pigolio timoroso.

“La mia dolce Tirinîr, devi smettere di sottovalutarti.”  Affermò con sicurezza riprendendo a baciarla con insistenza il viso e le labbra. “Almeno questa volta non stai scappando …”

“Dovete stare attento a ciò che dite, Principe …” disse con il respiro affannato e con la mente annebbiata. “Potresti insinuare qualche idea malsana in me, anzi ora prendo Aratoamin e correrò senza meta per giorni …”

“Non credo che posso permettere alla mia sposa di fuggire con il suo destriero lontano da me!”

“Pensi sia possibile?” con una mossa delle gambe ribaltò nuovamente le posizioni immobilizzando l’elfo, il quale non oppose resistenza. Ma lo sforzo fatto in quella operazione la costrinse ad abbandonarsi di peso lungo il suo fianco.

“Cosa ti succede Tirinîr? Sei improvvisamente impallidita e la tua pelle è fredda …””   il suo sguardo si fece preoccupato, improvvisamente la visione della sua amata debole e stanca, con le gambe che cedevano alla debolezza, ritornò ridondante. Il comportamento apprensivo di Anrond, lo rendeva ancora più angustiato sulle tensioni di Tirinîr.

“Nulla, cerca di non impensierirti melamin …”

 “Anche Anrond è preoccupato …”

“È solo arrabbiato perché non confermo le sue teorie catastrofiche!” rispose piccata per l’argomento decisamente pungente e fastidioso. “Ha una incredibile fissazione perché crede che io mi nasconda per chissà qual motivo, non è vero riconosco di sentirmi indebolita, però cosa devo fare se non riposare?”

“Questa volta l’hai fatto davvero infuriare, penso che se continui a frequentarlo lo troveremo canuto prima del tempo!” un ghigno derisorio si disegnò sulle labbra dell’elfo. “Di solito sei tu a sfinirlo, mi sembra un buon compromesso quello di ripagarti con la stessa moneta!” la ragazza sollevò il capo per guardare in viso l’elfo, gli occhi lucidi e stanchi. Legolas vide quella strana espressione e ne rimase stupito. Sembrava ben oltre lo stremo, in un certo modo addolorata e triste.

“Possiamo evitare di parlare di Anrond? I suoi cambi di luna stanno esaurendo le forze già decisamente fiaccate.” Disse con voce stridula. “Si stava facendo prendere da una crisi isterica solo perché mi sembrava di aver udito gabbiani lungo il fiume, non sapevo che la legge puniva chi è capace di distinguere i versi degli uccelli!” quell’informazione scossa l’elfo che sussultò con un brivido lungo la schiena. Sforzò le sue labbra ad alzarsi in un sorriso, ma si vedeva che era falsamente elargito. “Per favore Legolas, non sprecare tempo a parlare dei miei litigi con lui! Sono qui, siamo qui! Ed abbiamo tanto a cui pensare …”

“Li ha avvertiti anche Anrond, mia Signora?” chiese titubante, quasi temesse a porre quella domanda.

“No, sembra che fosse solo un inganno delle mie orecchie. Potrei sapere perché cotanto  interesse? Cosa mi nascondete? Prima Anrond che mi schiva da quel giorno neanche avessi compiuto la più orribile delle nefandezze, poi tu che trasali alla mia dichiarazione di aver udito i gabbiani lungo il fiume. C’è qualcosa che non mi è dato sapere? Oppure c’è una legge tra gli elfi che non conosco sull’impossibilità di conoscere i versi degli uccelli?” chiese con un cenno sarcastico.

“Non devi preoccuparti, melamin … ” rispose Legolas “Saprai tutto a tempo debito, ora pensa solo a riprenderti dalle fatiche del viaggio, presto dovremmo trasferirci a sud di questa splendida contrada.” Cercò di deviare l’argomento. Era suo desiderio acquisire tempo per poterle spiegare ogni cosa, riflettere sulle parole giuste da usare.

 

Aratoamin sembrava impaziente dentro la sua stalla. Dopo così tanti giorni di cammino ritrovarsi dentro quattro mura rimaneva stretto. Sbuffava spazientito ad ogni stalliere che gli passava vicino. Su di una cosa gli umani erano totalmente diversi dagl’elfi: la loro armonia con la natura era sempre precaria ed una bestia intelligente come Aratoamin lo sentiva.

“Anìrach telig go anim, mellon nîn? | S – Desideri venire assieme a me, amico mio? | ” chiese dolcemente baciando il muso chiazzato di marrone del cavallo, che nitrì come risposta. Era strano però quella mattina, insistendo con il sospingere il muso contro la sua padrona come a cercare più contatto con ella. “Non ti ci mettere anche tu, so cosa stai cercando di dirmi. Non so cosa mi stia accadendo, ma non penso sia nulla di grave. Che sia parte del mio spirito lasciato nei luoghi dove mio padre ha dimorato o che sia semplice stanchezza, non voglio far impensierire Legolas con vaghi sospetti …”

“Sospetti?” una voce familiare chiara e limpida intervenne alle sue spalle. “Scusatemi Tirinîr non avrei dovuto ascoltare, mi trovavo qui per caso e non ne ho potuto fare a meno.”

“Non scusatevi mia Signora, comprendo alla perfezione.” Rispose sommessa. Èowyn s’avvicinò con un sorriso, era a suo agio nella stalla. Ricordava bene come i Variag disprezzassero i Rohirrim, con i loro grandi e potenti cavalli. Invida guidava la lingua forcuta dei Signori del Sud, perché da sempre non li avevano superati troppo occupati a fare guerra tra loro per non eccellere in qualche arte. Erano stati i Variag a far conoscere i cavalli alle Gwaith, piccoli destrieri con spalle e sottili zampe agili diversissimi da quelli delle terre del Mark.

“Che particolare bestia, i suoi occhi esprimono intelligenza, come se capisse ciò che stiamo dicendo. Sa come mettere soggezione nonostante abbia un aspetto fragile, come si chiama?” domandò curiosa. Èowyn era sempre più affascinata da quella fanciulla. Aveva qualcosa nello sguardo, una profonda melanconia, un ricordo che la spingeva a voler sapere cosa l’avesse guidata ad abbandonare le armi. Come poteva dire Legolas che si assomigliavano quando i loro desideri erano così distanti?

“Aratoamin - il mio campione - dalle mie parti era il cavallo più veloce, ma anche il più indomito. Non accetta la sella di buon grado ed ero l’unica in grado di cavalcarlo sbrigliato.”

“Mi ricordi uno dei più grandi dei Mearas, Aratoamin. Anche se l’aspetto di questo animale può trarre in inganno, vedo in lui lo spirito di Ombromanto. Era il Signore di tutti i cavalli, maestoso e con il manto color dell’argento vivo, peccato che non l’abbiate mai visto …” disse accarezzando il cavallo per rispondere alla sua richiesta di attenzioni.

“Non vi è più la possibilità?” chiese interessata.

“Pare che abbia seguito il Bianco Cavaliere ad Ovest, oltre il mare.” Rispose per poi tornare con lo sguardo verso la fanciulla. “Avete detto dalle vostre parti?”

“Sì …” e come la sera precedente era dura pronunciare quella sillaba, strozzava il solo emettere quel sì.

“È evidente dal vostro aspetto che siete di stirpe elfica, ma è la seconda volta che vi sento parlare di un posto sconosciuto da dove provenite e deviate in ogni modo domande più specifiche. Qual è il motivo del dolore che provocate al pensiero delle vostre origini? Perché vi hanno costretto ad essere un soldato contro la vostra volontà?” chiese scossa dalla sua stessa domanda.

“Volete che rinvanghi vecchi dolori, mia signora.” Come se sentisse lo stato d’animo della padrona il cavallo emise un verso contrariato, alzando con uno scatto il muso. Tirinîr lo acquietò con dolcezza sussurrando parole incomprensibili alla Bianca Dama che le stava facendo compagnia, per poi donarle di nuovo l’attenzione che richiedeva. “Avete mai temuto qualcosa che sembrava incombere sul vostro destino?”

“Sì, Tirinîr.” Disse Èowyn. “Tutti indicavano il mio destino come quello di una balia asciutta, morire nel mio dovere di donna con compito la casa, bruciare con essa quando ogni occasione di fama e gloria fosse stata già razziata da chi poteva far crescere la barba.” A quel pensiero gli occhi di Èowyn fiammeggiarono, empi di rabbia e livore covati ancora per quel pensiero di reclusione. “Ho temuto a lungo la gabbia, abituarmi ad essa fino alla vecchiaia. Ho temuto di non poter onorare la casata a cui appartengo, una casata di guerrieri e non di deboli braccia congiunte in preghiera.”

“E se la gabbia invece fosse la guerra, mia signora? E se la prigione in cui si è costretti è dettata da leggi arcaiche, il cui opporsi avrebbe costato la gioia di possedere l’amore di un padre o di un figlio? Quando la gloria ti rincorre risucchiando energie e forze utili a svegliarsi la mattina, senza sapere se l’indomani vi fosse la stessa fortuna. Vedete esistono luoghi in cui ad una donna non era concesso la possibilità di badare al proprio focolare domestico: ho vissuto in un luogo dove la morte in guerra e l’atavismo erano gli unici oneri da rispettare.” Avanzò di un passo trovandosi sotto lo sguardo assorto della donna “Voi temevate la vecchiaia e l’abitudine, io la bramavo. Non ero nata per tenere la spada in mano, non volevo combattere e per questo ho vissuto nell’umiliazione finché non sono fuggita da quel mondo, in cui le madri erano costrette a vedere le figlie morire in una guerra senza fine per proteggere il segreto della loro esistenza. Non si poteva piangere, non si poteva gioire, non si poteva amare. Vivere nell’Ombra di sé stesse, nel terrore di essere sottomesse dagli uomini e poi ritrovarsi sopraffatte dalle demarcazioni imposte dalle nostre ave …”

“Mie Signore!” un messo interruppe quello scambio, ma non fu immediata la loro attenzione troppo prese a fissarsi l’una negl’occhi dell’altra. “Miei signore, notizie da Gondor!” la prima a cedere fu la donna che volse i suoi occhi al ragazzo che le porgeva a capo chino una missiva, la cui ceralacca era impressa con l’Albero Bianco e le Sette Stelle.

“Dove sono Sire Faramir e il Principe Legolas?” chiese gentilmente.

“Sono partiti verso il Sud del Principato, per controllare la ricostruzione che sta avvenendo nelle terre degl’elfi.” Rispose mantenendosi sempre proteso in avanti.

“Grazie, puoi andare!” Èowyn aprì il messaggio, srotolando lentamente la pergamena. Lesse con attenzione la missiva, lasciando scorrere i suoi occhi di ghiaccio sulle righe rincorrendo le parole vergate di nero.

“Notizie da Gondor?” chiese trepidante Tirinîr.

“Re Elessar vuole radunare tutti i Principati di Gondor e Rohan, sembra vi sarà bisogno dell’appoggio di tutto il regno degli abitanti di queste terre. È indirizzato anche a voi e al vostro sposo … ”

 

Miei cari commensali, or dunque perché il Re degli Uomini chiama a sé gli abitanti delle Terre Libere di Gondor e Rohan? Cosa servirà il loro appoggio? E Tirinîr cosa cova nel suo corpo indebolito dal viaggio? Questi dubbi vi ho insinuato ed io stesso vi porrò rimedo, ma ora attendete miei diletti. La stanchezza soggiunge anche sulle labbra canterine di questo vostro servo, ormai rinsecchite dal troppo stornellare  questa storia che tanto vi appassiona. Oste passami quindi quel buon vino e donami la stanza che mi promettesti. Voglia essa accogliere il mio riposo e che la musa sorvoli i miei sogni per permettermi l’ispirazione per raccontare ancora di Tirinîr e del suo sposo. Buonanotte, miei amici!

 

Note dell'autrice: Buongiorno!!! Allora questo è l'ultimo prima delle vacanze. Scusate per il ritardo, ma ho un casino in casa tanto che scappo al mare prima di andare in vacanza e partire. Ci rivedremo a Settembre suppongo o gli ultimi giorni in Agosto. Mi scuso se ci sono errori, ho riletto sommariamente ma ho poco tempo. Vi assicuro che rileggerò meglio quando ho un attimo. Diciamo che ho avuto una batosta a livello di pseudo scrittrice quindi ho avuto in concorso un piccolo blocco dovuto a dei giudizi che hanno un attimo destabilizzata. Ora però è passato quindi dopo il riposino estivo tornerò ancora più felice di prima di scrivere. 

Vi lascio con un capitozzolo di passaggio dove del confronto con Eowyn c'è in piccolo accenno. Non preoccupatevi per la durezza che dimostranbo queste due dame di ferro, avrenno modo di parlare più apertamente. Eowyn è uno dei personaggi preferiti, forte che non si arrende quindi avevo bisogno di farla apparire in dose massiccia.

Sinceramente avevo voglia di coccole e da questo sono nate tutte le smancerie annesse e connesse nella scena con Leggy, forse un po' troppo esplicita.

Vi lascio anche un regalino per l'attesa: in questo link(l'immagine è molto grande per questo non l'inserisco) trovate una splendida illustrazione che rende bene l'idea di come immagino l'Ithilien.

http://img-fan.theonering.net/rolozo/images/nasmith/TN-First_Sight_of_Ithilien.jpg

Fatemi sapere che ne pensate!^^

 

Rispostine^^

Thiliol: Bhè mellon nin! Il parallelo è solo all'inizio per come voglio che s'intreccino i personaggi Di Eowyn e Tirinir!!!eh eh, ora metto bene in fila le mie idee e vedrai sono sicura che ti piacerà. Per quanto riguarda i malori della mia bambina bhè si saprà poi quando reincontreremo ... ah lascio tutto in sospeso. E con questo ti lascio con un Buone vacanze che rinnovo!!!Un bacione!!!

Ringrazio tutti i miei lettori siete la mia forza e soprattutto:

BUONE VACANZE 

DALLA VOSTRA MALLY!!!

   
 
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