Eccomi
con il terzo capitolo di questa breve ff, con rammarico ho visto che in molti
continuano a leggerla ma che praticamente nessuno mi
dice che cosa ne pensa L. Va beh, sono già contenta che gli
dedicato un po’ del vostro tempo.
Grazie a
tutti.
Amalia.
Rispondendo a nefertiry85: Ciao! Grazie perché come sempre hai parole bellissime da
donarmi! Davvero spero di non deluderti mai. Per la puntualizzazione ha
ragione, non ci avevo nemmeno fatto caso XD. Grazie
per avermelo fatto notare!! J. Buona lettura, bacioni
Amalia.
Capitolo 3
Ero uscita da casa Cullen che le tenebre avvolgevano la
foresta tetra.
Ora potevo vedere in lontananza, il
leggero pallore del sole che timido, sorgeva tra le scure nubi di Seattle.
Dopo diverse ore, ero riuscita finalmente a giungere nella
mia città. Non che fosse lontana da Forks, luogo in cui avevo scoperto
d’essere, ma mi ero persa numerose volte prima di trovare la strada giusta.
Alla fine, avevo deciso di affacciarmi sull’autostrada e di
seguire i cartelli stradali.
Avevo rallentato il mio passo, camminavo frettolosamente, ma
senza correre, ricordavo quello che mi aveva detto Carlisle, non dovevo
mostrare in pubblico i miei poteri.
I miei piedi battevano sul suolo senza produrre alcun
rumore, avevo acquisito delle capacità straordinarie. Oltre alla super velocità
e all’immensa forza, ero dotata di una vista acuta e perfetta e di un udito
tanto fine, da poter sentire il rumore di una piuma che cadeva su un pavimento
di cristallo.
Se non fosse stato per l’aumento del bruciore della mia
gola, avrei dimostrato sicuramente più entusiasmo per il mio nuovo essere.
Finalmente, riconobbi l’isolato che precedeva il mia palazzo, sorrisi, smaniosa di riabbracciare le
persone più importanti della mia vita, ma quando voltai l’angolo, tutto cambiò.
Vidi Ariel seduta sul gradino del nostro portone, la sua
copertina preferita, unico pezzo di stoffa che la riscaldava.
Aveva i capelli arruffati e gli occhi lucidi, nella mano
destra reggeva un bicchierino di plastica con il quale, si avvicinava
ai pochi passanti che popolavano la mia via, appena due uomini ed una donna.
Stava facendo l’elemosina.
Sentii il mio cuore incrinarsi a quell’immagine ed una domanda sorse spontanea nella mia testa. Da quanti giorni
mancavo?
Dopo aver incassato i rifiuti di quelle persone, tornò al
portone, sedendosi sul gradino ed iniziando a
singhiozzare.
Senza controllare la mia velocità, mi fiondai su di lei,
stringendola cautamente al mio petto.
Sentii il suo corpo irrigidirsi per la sorpresa ed il calore invitante della sua pelle sulla mia.
Potevo contare ogni pulsazione del suo cuore, sentire il
sangue scorrerle nelle vene e la mia gola bruciare a tal punto, da divenire
insopportabile.
Mi staccai bruscamente da lei, allontanandomi di qualche
metro.
Che cosa mi stava succedendo?
«Rose! Oh Rose!».
Urlò, correndomi incontro.
Arretrai ancora, andando contro alla
forza di gravità che mi spingeva verso di lei.
«Ariel no…». Non ebbi il tempo di finire la frase che
inciampò nella coperta, battendo le ginocchia a terra.
Iniziò a piangere ma non feci caso alle sue lacrime né alla
sua voce che mi chiamava.
L’odore dolciastro del sangue che usciva dai tagli sulle sue
ginocchia mi raggiunse prepotentemente.
Prometteva di calmare la mia sete, di alleviare il mio
dolore ed i fastidiosi crampi che avevo alla bocca
dello stomaco.
Senza accorgermene, mi ero riavvicinata a lei, la quale,
teneva le manie sulle ginocchia sporche.
Appena vide che le ero di fronte, mi lanciò le braccia al collo, macchiandomi una guancia con il suo
sangue.
Non potei evitare quello che accadde dopo. Con assoluta
precisione e naturalezza, affondai i denti nel suo collo.
La vista mi si annebbiò e sentii il suo sangue schizzarmi in
gola. Scendeva lento, caldo, placando la mia sete, la mia fame.
Non ero più in grado di pensare, bramavo così
tanto quel nettare che nemmeno la sua manina che provava a tirarmi i
capelli con forza, servì a nulla.
Succhiai fino all’ultima goccia, prosciugando il suo corpo.
Quando mi staccai, realizzai quello
che avevo appena fatto.
Reggevo tra le braccia il corpicino freddo e morto di mia
sorella Ariel, l’avevo uccisa.
«Noooo!». Un urlo di puro dolore irruppe nella mia gola,
gridai così forte da svegliare l’intero vicinato.
Arretrai, schifata da quello che ero, e da quello che avevo
appena fatto.
Come avevo potuto macchiarmi di un crimine tanto orribile?
Lei era corsa nella mia direzione, fiduciosa nel buttarsi tra le braccia di sua
sorella ed io… Avevo messo fine alla sua tenera e piccola vita.
Un dolore, più forte ancora di quello che avevo provato
durante la trasformazione, mi spezzò in due.
Singhiozzai forte, gli occhi mi pungevano ma da essi, non
uscì nemmeno una lacrima.
Scappai via, spaventata di poter uccidere qualche altro
essere umano, qualche altra persona innocente, qualche altro bambino.
Ma che cosa ero diventata? Non
potevano semplicemente lasciarmi morire? Perché i Cullen mi avevano salvata!?
Mi nascosi in un vicolo cieco, buio e logoro. Meritavo di
stare in mezzo alla feccia, meritavo di bruciare tra le più orribili pene
dell’inferno per quello che avevo fatto.
Diedi un pugno al muro di fronte a me, frantumandolo e
riducendo i mattoni rossi in polvere.
«Perché!?». Gridai, prendendomi la
testa tra le mani.
Io ero tornata da loro per aiutarli, per riprendere le
vecchie abitudini, per andare avanti… Non per… distruggerli.
Mio padre, vittima della sua malattia, si era visto
strappare via entrambe le figlie. Come avrebbe continuato anche lui?
«Oddio Ariel perdonami!». Ero disperata, avrei dato questa
mia dannata e penosa vita pur di riaverla, pur di farla tornare indietro
Mi lasciai scivolare a terra, abbracciai le ginocchia con le
braccia, poggiandoci la testa sopra. Promisi a me stessa, che non avrei
cacciato mai più.
Non sapevo se quelli come me, potevano morire di fame, ma
speravo di sì. Speravo di poter morire tra i dolori più atroci.
Sperai, di poter semplicemente sparire dalla faccia della
terra.