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Autore: Amalia89    04/08/2010    2 recensioni
Una Rosalie diversa, non ricca sfondata, non vanitosa… Una Rosalie che conosce i problemi di una vita senza lusso né sfarzi, una Rosalie, che scoprirà quanto una sola scelta sbagliata, possa rovinarle la vita.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rosalie Hale
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi con il terzo capitolo di questa breve ff, con rammarico ho visto che in molti continuano a leggerla ma che praticamente nessuno mi dice che cosa ne pensa L

Eccomi con il terzo capitolo di questa breve ff, con rammarico ho visto che in molti continuano a leggerla ma che praticamente nessuno mi dice che cosa ne pensa L. Va beh, sono già contenta che gli dedicato un po’ del vostro tempo.

Grazie a tutti.

Amalia.

 

Rispondendo a nefertiry85: Ciao! Grazie perché come sempre hai parole bellissime da donarmi! Davvero spero di non deluderti mai. Per la puntualizzazione ha ragione, non ci avevo nemmeno fatto caso XD. Grazie per avermelo fatto notare!! J. Buona lettura, bacioni Amalia.

 

 

 

Capitolo 3

 

 

 

 

Ero uscita da casa Cullen che le tenebre avvolgevano la foresta tetra.

Ora potevo vedere in lontananza, il leggero pallore del sole che timido, sorgeva tra le scure nubi di Seattle.

Dopo diverse ore, ero riuscita finalmente a giungere nella mia città. Non che fosse lontana da Forks, luogo in cui avevo scoperto d’essere, ma mi ero persa numerose volte prima di trovare la strada giusta.

Alla fine, avevo deciso di affacciarmi sull’autostrada e di seguire i cartelli stradali.

Avevo rallentato il mio passo, camminavo frettolosamente, ma senza correre, ricordavo quello che mi aveva detto Carlisle, non dovevo mostrare in pubblico i miei poteri.

I miei piedi battevano sul suolo senza produrre alcun rumore, avevo acquisito delle capacità straordinarie. Oltre alla super velocità e all’immensa forza, ero dotata di una vista acuta e perfetta e di un udito tanto fine, da poter sentire il rumore di una piuma che cadeva su un pavimento di cristallo.

Se non fosse stato per l’aumento del bruciore della mia gola, avrei dimostrato sicuramente più entusiasmo per il mio nuovo essere.

Finalmente, riconobbi l’isolato che precedeva il mia palazzo, sorrisi, smaniosa di riabbracciare le persone più importanti della mia vita, ma quando voltai l’angolo, tutto cambiò.

Vidi Ariel seduta sul gradino del nostro portone, la sua copertina preferita, unico pezzo di stoffa che la riscaldava.

Aveva i capelli arruffati e gli occhi lucidi, nella mano destra reggeva un bicchierino di plastica con il quale, si avvicinava ai pochi passanti che popolavano la mia via, appena due uomini ed una donna.

Stava facendo l’elemosina.

Sentii il mio cuore incrinarsi a quell’immagine ed una domanda sorse spontanea nella mia testa. Da quanti giorni mancavo?

Dopo aver incassato i rifiuti di quelle persone, tornò al portone, sedendosi sul gradino ed iniziando a singhiozzare.

Senza controllare la mia velocità, mi fiondai su di lei, stringendola cautamente al mio petto.

Sentii il suo corpo irrigidirsi per la sorpresa ed il calore invitante della sua pelle sulla mia.

Potevo contare ogni pulsazione del suo cuore, sentire il sangue scorrerle nelle vene e la mia gola bruciare a tal punto, da divenire insopportabile.

Mi staccai bruscamente da lei, allontanandomi di qualche metro.

Che cosa mi stava succedendo?

«Rose! Oh Rose!». Urlò, correndomi incontro.

Arretrai ancora, andando contro alla forza di gravità che mi spingeva verso di lei.

«Ariel no…». Non ebbi il tempo di finire la frase che inciampò nella coperta, battendo le ginocchia a terra.

Iniziò a piangere ma non feci caso alle sue lacrime né alla sua voce che mi chiamava.

L’odore dolciastro del sangue che usciva dai tagli sulle sue ginocchia mi raggiunse prepotentemente.

Prometteva di calmare la mia sete, di alleviare il mio dolore ed i fastidiosi crampi che avevo alla bocca dello stomaco.

Senza accorgermene, mi ero riavvicinata a lei, la quale, teneva le manie sulle ginocchia sporche.

Appena vide che le ero di fronte, mi lanciò le braccia al collo, macchiandomi una guancia con il suo sangue.

Non potei evitare quello che accadde dopo. Con assoluta precisione e naturalezza, affondai i denti nel suo collo.

La vista mi si annebbiò e sentii il suo sangue schizzarmi in gola. Scendeva lento, caldo, placando la mia sete, la mia fame.

Non ero più in grado di pensare, bramavo così tanto quel nettare che nemmeno la sua manina che provava a tirarmi i capelli con forza, servì a nulla.

Succhiai fino all’ultima goccia, prosciugando il suo corpo.

Quando mi staccai, realizzai quello che avevo appena fatto.

Reggevo tra le braccia il corpicino freddo e morto di mia sorella Ariel, l’avevo uccisa.

«Noooo!». Un urlo di puro dolore irruppe nella mia gola, gridai così forte da svegliare l’intero vicinato.

Arretrai, schifata da quello che ero, e da quello che avevo appena fatto.

Come avevo potuto macchiarmi di un crimine tanto orribile? Lei era corsa nella mia direzione, fiduciosa nel buttarsi tra le braccia di sua sorella ed io… Avevo messo fine alla sua tenera e piccola vita.

Un dolore, più forte ancora di quello che avevo provato durante la trasformazione, mi spezzò in due.

Singhiozzai forte, gli occhi mi pungevano ma da essi, non uscì nemmeno una lacrima.

Scappai via, spaventata di poter uccidere qualche altro essere umano, qualche altra persona innocente, qualche altro bambino.

Ma che cosa ero diventata? Non potevano semplicemente lasciarmi morire? Perché i Cullen mi avevano salvata!?

Mi nascosi in un vicolo cieco, buio e logoro. Meritavo di stare in mezzo alla feccia, meritavo di bruciare tra le più orribili pene dell’inferno per quello che avevo fatto.

Diedi un pugno al muro di fronte a me, frantumandolo e riducendo i mattoni rossi in polvere.

«Perché!?». Gridai, prendendomi la testa tra le mani.

Io ero tornata da loro per aiutarli, per riprendere le vecchie abitudini, per andare avanti… Non per… distruggerli.

Mio padre, vittima della sua malattia, si era visto strappare via entrambe le figlie. Come avrebbe continuato anche lui?

«Oddio Ariel perdonami!». Ero disperata, avrei dato questa mia dannata e penosa vita pur di riaverla, pur di farla tornare indietro

Mi lasciai scivolare a terra, abbracciai le ginocchia con le braccia, poggiandoci la testa sopra. Promisi a me stessa, che non avrei cacciato mai più.

Non sapevo se quelli come me, potevano morire di fame, ma speravo di sì. Speravo di poter morire tra i dolori più atroci.

Sperai, di poter semplicemente sparire dalla faccia della terra.

 

 

 

  
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