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Autore: Abby_da_Edoras    04/08/2010    1 recensioni
Autrice: Lady Arien. Trama: la mia storia segue le vicende del film "King Arthur" di Antoine Fuqua, ma nella mia versione i cavalieri non muoiono nella missione contro i Sassoni e restano uniti a creare un nuovo Paese, la Britannia. Ho introdotto anche un amore omosessuale (senza scene hard) fra Tristano e Galahad, che sono i miei personaggi preferiti. Spero che la ff vi piaccia.
Genere: Drammatico, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Ginevra, Lancillotto e le guerriere Woad non si erano nemmeno accorti del pericolo corso e continuarono gli scontri; quando il cavaliere vide che i nemici erano stati sconfitti e che, da quel momento in poi, la giovane e le sue compagne avrebbero potuto

Ginevra, Lancillotto e le guerriere Woad non si erano nemmeno accorti del pericolo corso e continuarono gli scontri; quando il cavaliere vide che i nemici erano stati sconfitti e che, da quel momento in poi, la giovane e le sue compagne avrebbero potuto cavarsela da sole, decise di recarsi in un altro punto del campo di battaglia per dare man forte ad Artù. Immaginava, infatti, che la maggior parte dei soldati avversari si sarebbe schierata contro di lui, sapendo che, se fossero riusciti ad eliminare il comandante sarmata, anche i suoi guerrieri ed i Britanni avrebbero perso coraggio. Era proprio così, infatti: Artù era impegnato in un furioso combattimento contro un folto gruppo di nemici e, sebbene la sua temibile spada ne uccidesse un buon numero, altri erano riusciti a ferirlo e adesso il valoroso cavaliere appariva stanco e provato. Lancillotto fu subito accanto a lui con un sorriso e, spalla a spalla, i due affrontarono quella sfida con maggior ardimento.

“Proprio come quando eravamo ragazzini, non è vero, Artù?” commentò.

Artù si limitò ad annuire e proseguì lo scontro, ma provava una grandissima gioia nel cuore avendo di nuovo l’amico con sé e potendo combattere con lui. L’ostilità e gli screzi che li avevano divisi durante l’ultima missione erano ora veramente svaniti e la loro grande amicizia aveva trionfato ancora.      

 

Nel frattempo anche gli altri cavalieri stavano affrontando valorosamente e con successo i Sassoni: Bors e Gawain erano stati feriti, ma questo non aveva loro impedito di combattere; anzi, la ferita ricevuta li aveva fatti infuriare e resi ancor più micidiali. Dagonet, dopo aver salvato la vita a Lancillotto, era tornato in mezzo ai nemici mulinando l’enorme spada e falciandone a decine. Galahad aveva eliminato moltissimi avversari passando in mezzo a loro a cavallo e scoccando una freccia dopo l’altra; poi, quando era rimasto appiedato, aveva proseguito con gli scontri corpo a corpo, riuscendo comunque ad abbattere due o tre Sassoni ad ogni assalto.

Tristano, intanto, mieteva vittime l’una dopo l’altra con la sua spada, la cui lama era talmente affilata che molti dei soldati neppure avvertivano il colpo che li uccideva; la facilità con la quale si sbarazzava anche di quattro o cinque avversari alla volta era tale che il cavaliere sembrava non provare nemmeno fatica. E forse era proprio così. A un certo punto, nella mischia, il sarmata scorse un avversario che giudicò veramente degno di lui: Cerdic, il comandante supremo dei Sassoni. Anche l’uomo lo aveva notato mentre eliminava i suoi uomini con tanta freddezza e questo lo aveva talmente impressionato che aveva deciso di ucciderlo personalmente: un guerriero tanto abile e coraggioso non meritava niente di meno. Così Tristano iniziò a farsi largo a fendenti in mezzo ad un manipolo di Sassoni, abbattendoli tutti, per raggiungere Cerdic che, dal canto suo, lo stava aspettando con un ghigno truce stampato in volto e con lo scudo e l’ascia da guerra impugnati saldamente. Anche lui si mosse rapidamente verso l’avversario, senza mai staccargli gli occhi di dosso, e ben presto i due si trovarono faccia a faccia.

Galahad, che, nonostante la confusione, cercava di non perdere di vista il compagno, vide ciò che stava accadendo e, in preda all’angoscia, cercò di liberarsi dei nemici che lo circondavano per correre a dargli man forte. Ma i Sassoni lo incalzavano da ogni parte e il ragazzo, con la morte nel cuore, fu costretto a rimanere dov’era e a proseguire il combattimento, sperando con tutte le sue forze che Tristano, questa volta, non avesse scelto un avversario troppo forte per lui.

Cerdic e il cavaliere sarmata iniziarono la lotta, ma per diverso tempo il confronto si mantenne in parità: gli affondi di spada dell’uno venivano parati dall’ascia dell’altro, i due si avvicinavano e poi tornavano ad allontanarsi per riprendere fiato prima del successivo attacco. Tristano con un micidiale affondo tranciò un quadrante dello scudo di Cerdic, sbalzando l’uomo all’indietro, ma questi si riprese subito e si avventò furiosamente contro il cavaliere che lo attendeva, ben saldo sulle gambe divaricate. Il Sassone calò in avanti l’ascia con tutte le sue forze e il colpo sfiorò appena Tristano; l’arma andò a conficcarsi nel terreno. Cerdic, allora, non perse tempo e sguainò una spada formidabile, con la quale iniziò a sferrare terribili fendenti contro lo scudo dell’avversario fino a schiantarlo. Vistosi in vantaggio, il comandante sassone colpì al volto Tristano con il piatto della lama e lo gettò a terra; alzò la spada e la calò giù con una violenza spaventosa, sperando di finirlo. Tristano, però, pur essendo ormai esausto e sfinito, riuscì a rotolare via e a sottrarsi al colpo che gli sarebbe stato fatale.

Galahad non era il solo ad essersi accorto dello scontro fra Tristano e Cerdic: anche Artù, che era più vicino, aveva visto il suo cavaliere lottare in quello che sembrava un confronto impari. Aveva guardato, impotente, l’enorme Sassone che sembrava divertirsi con lui come un gatto col topo. Cerdic aveva ormai Tristano in suo potere, ma non pareva intenzionato a ucciderlo subito; quando il cavaliere era riuscito a rimettersi i piedi, stremato, col respiro affannoso e con il sangue che gli usciva dal labbro spaccato, infatti, aveva lasciato che riprendesse la sua spada e poi lo aveva assalito di nuovo. Invece di tentare un affondo che gli avrebbe spaccato il cuore, il Sassone lo aveva colpito di taglio, provocandogli un’altra bruciante ferita sul torace. Tristano, che non era abituato ad essere colpito poiché con l’agilità che lo distingueva sfuggiva sempre ad ogni attacco ed era il primo ad affondare l’arma, si era distratto per un attimo, quasi sorpreso dal fatto di perdere sangue. Cerdic ne aveva approfittato per urtarlo con una spallata e buttarlo nuovamente a terra e il guerriero sarmata, come la prima volta, aveva tentato di rotolare via.

“Non posso assistere all’agonia di Tristano senza fare nulla!” gridò allora Artù, in preda ad una collera furiosa. “Lancillotto, coprimi, io tenterò di raggiungerlo.”

Mentre il cavaliere si occupava dei soldati, Artù cominciò a correre in direzione di Cerdic, possente e implacabile come una macchina da guerra. Il comandante dei Sassoni aveva afferrato Tristano per i capelli e lo aveva sollevato da terra con un violento strattone; il cavaliere, esausto ma non domo, aveva sfilato un pugnale dall’armatura ed era riuscito a piantarlo nel petto del nemico. Cerdic, allora, aveva perso la voglia di giocare con lui e aveva deciso di finirlo: sempre tenendolo stretto per i capelli, lo ferì prima al braccio e alla mano con la quale stringeva ancora il pugnale e poi alzò la spada per affondargliela in gola. Ma non ci riuscì mai perché un urto violento dietro la spalla sinistra gli fece perdere la presa e quasi anche l’equilibrio. Il Sassone riuscì a non farsi cadere la spada di mano e si preparò ad affrontare la nuova minaccia, mentre Tristano, libero dalla stretta crudele ai capelli, riuscì ad allontanarsi, strisciando lentamente con le ultime forze che gli erano rimaste.

Quando Cerdic si voltò, si ritrovò di fronte Artù, con la spada lorda di sangue sassone e gli occhi infiammati d’ira; solo allora il comandante nemico si accorse che l’urto alla spalla era stato in realtà un affondo della spada del cavaliere sarmata. Il sangue gli scorreva copioso lungo il braccio sinistro che cominciava a perdere le forze. Questo, però, non lo fermò e i due contendenti si assalirono furiosamente, poi indietreggiarono per riposizionarsi. Cerdic, incredulo, si rese conto di sanguinare anche da una ferita alla fronte: non aveva né visto né sentito il fendente che lo aveva colpito, tanto era stato rapido.     

I due avversari continuarono per un po’ a girarsi intorno, studiandosi, poi si gettarono nuovamente l’uno contro l’altro. In un primo momento Cerdic sembrò avere la meglio, perché Artù era finito in ginocchio a terra e pareva sfinito, ma, quando il Sassone sollevò la spada per finirlo, il sarmata, rapido come un lampo, gli affondò la lama nel petto, trapassandolo da parte a parte. Sorpreso, il capo nemico sentì le gambe cedergli e scivolò sulla polvere. Artù si rialzò lentamente senza mai togliergli gli occhi di dosso e si pose in piedi davanti a lui; avrebbe voluto torturarlo con calma come lui aveva fatto con Tristano, ma poi si rese conto che non doveva mettersi sul suo stesso piano: lui era un cavaliere e non un selvaggio sanguinario. La spada saettò veloce nell’aria e decapitò Cerdic; per un istante il suo corpo restò immobile, poi rovinò a terra, seguendo la testa rotolata in mezzo al sangue, alla pece e alla polvere del campo di battaglia.

Stremato, anche Artù si accasciò sulla propria spada. Attorno a lui i pochi Sassoni superstiti si battevano sempre più stancamente e alcuni di loro, dopo aver visto morire il proprio condottiero, decisero di darsi alla fuga oltre il Vallo. Il tentativo, però, fu vano: furono accerchiati dagli Woad, i mercenari ed i civili che li massacrarono tutti senza pietà.

Poco dopo sul campo scese un silenzio di morte e Artù e i suoi seppero che la battaglia era terminata e i Sassoni erano stati sconfitti definitivamente.

Il comandante dei Sarmati si alzò stancamente in piedi e si guardò attorno: tutto era finito, restava solo un groviglio di corpi insanguinati, mentre il sole pomeridiano aveva a poco a poco spazzato via fumo e polvere. Artù vide i compagni avvicinarglisi: Bors si appoggiava a Dagonet, Galahad sorreggeva Gawain e Lancillotto portava sulle spalle Tristano, che aveva perso i sensi. Ginevra li seguiva, esausta e coperta di sangue. L’uomo si sentì sollevato nel vedere che tutte le persone che gli erano care ce l’avevano fatta, ma non riusciva a provare gioia per la battaglia vinta, anzi, tutte quelle morti e quelle atrocità lo avevano disgustato: era solo contento che fosse tutto finito.

   
 
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