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Autore: Ulissae    04/08/2010    1 recensioni
Fanfiction partecipante all'inziativa "2010: a year together"
Arthur all’interno della sua piccola routine quotidiana ci era sempre stato come un pesce in un acquario.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sproloqui: mi scuso in anticipo per la mancanza di accenti nelle note autrice e in questo piccolo spazio di spiegazione. Tastiera inglese. Comunque... non so perche' ma in questi giorni Hetalia sta diventando il mio Fandom prediletto o.o" Magari la permanenza all'estero e la presenza di tutti questi inglesi, unita allo studio dell'Impero britannico...
however, e' una stupidaggine, una piccola storia che mi e' venuta in mente vedendo "A new World", con Collin Farrel.
Per molti inglese, anzi, per la maggior parte, l'America era un nuovo inizio. Era il mondo dove la natura dava spazio alla liberta'. Cosi' ecco la storia.
Non ci son oappunti particolari (: Solo... magari la porcellana Wedgwood, che e' tipicamente inglese :D
Per eventuali errori nel testo, perdonatemi, il word inglese non aiuta D:
La fanfiction partecipa all'iniziativa 2010: a year togheter indetta dal Collection of starlight, con il prompt 155. Giochi fatti a mano


A little tepee in my heart

Arthur all’interno della sua piccola routine quotidiana ci era sempre stato come un pesce in un acquario.
Gli piacevano i riti precisi, quelle piccolezze che gli gonfiavano il cuore e lo inondavano di una sana e piacevole sensazione di beatitudine.
Ma da quando aveva quel nuovo fratellino sembrava che tutto questo fosse estremamente noioso. Si ritrovava a fissare le estese foreste di faggi con un vago senso di noia negli occhi, il mento poggiato sul palmo della mano, le sopracciglia aggrottate, continuando a girare senza sosta il cucchiaino nelle porcellane Wedgwood.
Era come se, da quei luoghi che per anni lo avevano cullato in misteriose avventure, tutta la fantasia e la spensierata immaginazione se ne fose andata. Non erano altro che alberi, dai quali gli unicorni, le fate ed i folletti se ne erano andati.
America. America. America!
Chiudeva gli occhi e si immaginava tra le enormi querce, le sequoie giganti, il verde possente. Niente ciminiere, niente ponti, niente città.
Allora come un folle si imbaracava sulla prima nave disponibile e aspettava pazientemente che quelle lunghe settimane di viaggio finissero.
Una volta nel nuovo continente sorrideva e correva da Arthur, sempre impegnato in una nuova impresa, in una nuova scoperta.
Quel bambino era strabiliante: possedeva la capacità di vivere da solo e di non annoiarsi. Mille e mille giochi erano posati nel giardino della piccola casa rurale: carri, cavalli, soldati, fortini. Arthur li osservava e improvvisamente diventava bambino pure lui.
Scordava le scomode scarpe con il tacco, le calze che pizzicavano, i fazzoletti che lo soffocavano.  Si sedeva accanto ad Alfred e si faceva piccolo, nuovamente ingenuo e curioso.
Passavano ore così, semplicemente divertendosi, urlando e ridendo. Rotolandosi e giocando a nascondino negli sconfinati campi di corn.
«You’ll be here with me forever, Arthur, isn’t it?» chiedeva con voce cristallina America, mentre correva alla tana e urlava, facendo scappare tutti i piccolo animali dei dintorni.
Inghilterra sorrideva più tristemente e sospirava, chinandosi a raccogliere tutti quei giochi fatti dalle mani di Alfred con bravura primitiva.
Erano diversi dalle pregiate case di bambole del continente, dalle piccole giostre di legno che suonavano e giravano.
Sapevano ancora del legno, della natura, di una spensierata e assurda libertà.
«Come on, Alfred, andiamo a dormire» suggeriva, iniziando ad avviarsi verso a casa, già assaporando il dolceamaro gusto del ritorno in patria.
Il bambino protestava veemente, indicando un piccolo tepee piantato in giardino: «There, big brother, there!» diceva.
E Arthur, sospirando sorrideva, accontentandolo.
Solo loro due, nel vasto spazio del continente, di notte, alla luce di un piccolo fuoco, dentro un tepee.
Gli raccontava le storie delle fate, degli orchi, di magici ponti e di magnifiche cascate.
Gli raccontava se stesso, in una catartica situazione di infinita, pura libertà.
   
 
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