Non
andò
da un medico. Non andò nemmeno in infermeria quella mattina.
Non gliene fregava
niente di farsi vedere, era meglio se fosse morta.
Poi però
si ricordò di una cosa per cui valeva la pena combattere, la
pena di andare
avanti ancora un po’, finché tutto quello schifo
sarebbe finito. Perché sarebbe
finito, per forza.
Così
quella sera si armò di coraggio e, nonostante non fosse
nelle condizioni
migliori fece lo stesso il suo ingresso in sala.
Alex
ballava. Lo faceva da quando era piccola, da quando sua madre
l’aveva portata
con sé nella sua scuola di ballo. E le ricordava
tremendamente lei.
Ogni passo
le faceva credere di essere sempre più vicina alla figura
che le mancava da morire.
Sì, perché
Alex sarebbe voluta morire quando aveva saputo che la madre sarebbe
morta nel
giro di qualche giorno.
Ballava
per sfogarsi, per lasciarsi alle spalle il mondo che odiava, per
provare ad
indossare un paio d’ali e volare via, lontano. Almeno per
quell’ora.
E così
sembrava accadere ogni volta che la musica partiva.
Era solita
legarsi i capelli in una coda di cavallo per non essere disturbata e
indossava
quasi sempre una tuta nera.
Non
tagliava i capelli perché alla madre piacevano
così.
Ma li
nascondeva. Li nascondeva sempre.
La verità
era che Alex aveva una fottuta paura del mondo che la circondava. Da
quando suo
padre era andato via le cose erano sempre peggiorate. I debiti, la
perdita
della casa, il trasferimento in un appartamento angusto nella periferia
più
periferica di Berlino, la chiusura della scuola della madre, con sua
immensa
tristezza e infine la malattia con conseguente morte della sua vita,
che
l’aveva costretta a trasferirsi ad Amburgo.
La danza
era tutto quello che le era rimasto, era l’unico ricordo che
avesse ancora un
valore, visto che tutto il resto era andato perduto a causa di quello
stronzo
di suo padre.
Scaricò
tutto il nervosismo di quei pensieri sulle mosse della coreografia, ma
la sua
pancia le ricordò che non era nelle situazioni migliori per
strafare.
Quando
tornò a casa era a pezzi e nel frigo aveva solo una misera
pizza surgelata.
Si infilò
in doccia e notò dei lividi sui fianchi.
Quello
stronzo di Kaulitz!
Tom
Kaulitz le aveva appena sferrato una manata che l’aveva fatta
entrare in coma
per qualche secondo buono.
Quel
ragazzo ce l’aveva a morte con lei e la cosa non sarebbe
finita. Alex lo
sapeva. Sapeva come si comportavano i bulli, sapeva che quella
situazione non
le piaceva ma che lui ci trovava gusto a vederla in quelle condizioni.
Pardon,
a vederlo.
« Lascialo
stare. »
Il frocio
alle sue spalle mollò la presa e cadde con la faccia
attaccata al pavimento.
Perché
diamine non urlava?! Perché non gli diceva che era un
imbecille e che era una
RAGAZZA?!
Perché le sue
corde vocali erano occupate a fare qualcosa di più
impegnativo, tipo bruciare
dannatamente. Ecco perché.
Perché
quel coglione di Tom Kaulitz accompagnato dal suo fratellino gay aveva
deciso
che doveva sputare sangue e pure qualche dente, molto probabilmente.
« Ti sei
fatto male?! » mormorò imitando una voce da
poppante.
Alex sollevò
lo sguardo e lo trafisse mentalmente prima che girasse di nuovo i
tacchi e si
allontanasse, sparendo nello stesso modo con la quale era comparso poco
prima.
Quale
forza d’animo la teneva ancora in vita? Quale assurdo e
stupido motivo non la
lasciava morire in un angolo mentre quel Kaulitz si divertiva con le
sue carni?
Solo perché si vestiva come lui.
Una volta
arrivata a casa si poggiò un enorme pezzo di ghiaccio sul
labbro dolente,
mentre ragionava sul da farsi.
Era un
mese che quel pirla le stava dietro. Non vedeva che non aveva voglia di
giocare? Non vedeva che la annoiava,
che
non voleva essere pestata a sangue ogni volta che la incrociava nel
corridoio?
Tom
Kaulitz le faceva dannatamente schifo. Era la persona più
lurida e schifosa che
avesse mai conosciuto e probabilmente se avesse avuto un po’
più di palle visto
che, anche se l’apparenza ingannava, ne era sprovvista,
l’avrebbe già
denunciato per aggressione. E probabilmente pure per tentato omicidio,
visto
come si erano messe le cose nell’ultimo scontro.
«
Siamo gracili, eh. »
Aveva
commentato sferrandole un altro pugno sullo stomaco, il quinto di
quella serie.
Si divertiva, sì.
Era pura
malattia quella che gli passava per quel fottuto cervello bacato.
Alex non
lo venerava, non lo considerava, non lo riteneva un gran figo, non gli
prestava
tutte le attenzioni che lui pensava di meritarsi, non lo degnava
minimamente
d’uno sguardo. Eppure lui se l’era presa proprio
con lei per quella sua
superficialità della minchia.
Se non
fosse stato per il fatto che ogni notte aveva una ragazza diversa a
fargli
compagnia, l’avrebbe definito gay. Così come si
diceva del fratello, Bill. Una
coppia insolita, due gemelli che si capivano solo con uno sguardo, due
figure
che incutevano terrore.
Bill aveva
il suo look trasgressivo, ben lontano dai canoni stilistici del
fratello. Ma
sembrava fatto della stessa pasta cinica.
Fumavano
le stesse sigarette, facevano gli stessi gesti, avevano lo stesso
sguardo e
l’unica differenza che avevano era il trucco pesante sulla
faccia del gemello
gay che quasi ogni mese aveva un piercing o un tatuaggio nuovo.
Alex
provava decisamente schifo per quelle due persone che le stavano
rendendo la
vita ancora più difficile.
Avevano
tutto, cosa cazzo volevano da una come lei?!
Continuò a
chiederselo anche mentre, come ogni Sabato sera, si dirigeva al Davis,
una
discoteca nei sobborghi di Amburgo tutta luci e alcool.
Era il
terzo lavoro nel giro di due mesi e se l’aveva trovato non
poteva rifiutarlo: i
soldi le servivano.
Ballava,
faceva l’intrattenitrice in quel locale da ubriaconi e
sfegatati di sesso.
L’aria non
le piaceva, non vedeva l’ora che il suo contratto scadesse ma
era l’ultima
spiaggia se non voleva finire sul lastrico.
Entrò dal
retro, nei camerini e tolse fuori la sua roba, richiudendosi dentro uno
di essi
mentre le sue colleghe iniziavano a vociferare tra di loro.
Alex non
aveva amici, era chiaro. Ma là dentro sembravano tutte un
po’ disperate, così
qualcuna ogni tanto le rivolgeva qualche parola. Ma no, non aveva una
migliore
amica e non l’aveva mai avuta. L’unica persona di
cui si era mai fidata, era
morta.
La ragazza
al suo fianco sussultò quando lui le passò una
mano sulla coscia, mentre la
musica intratteneva il resto dei presenti e loro si mettevano di
impegno per le
loro zozzerie.
Tom ci
sapeva fare, quasi affogava la ragazza con quanta foga aveva iniziato a
baciarla.
Poi si
allontanò, portandole un braccio sulle spalle e lei ne
approfittò per alzarsi
ulteriormente la minigonna, sperando disperatamente di mandarlo
definitivamente
in tilt.
Ma Tom
sapeva come era fatto l’interno coscia di una ragazza, forse
era peggio di un
ginecologo a riguardo!
Perciò non
si scompose più di tanto, anche se qualcosa
laggiù lo avvertì di una certa
impazienza.
Tom amava
fare sesso, su questo non c’era alcun dubbio. Era una delle
sue poche priorità.
Le altre comportavano il mangiare, bere, dormire, fumare, essere figo e
avere
sempre con sé un preservativo. Nel caso servisse, no?
Ed era
quello che attirava di più. Il fatto che la maggior parte
delle ragazzine
sognasse di essere sverginata o addirittura violentata da Tom Kaulitz,
perché
era un figo, era quasi normale.
Rimorchiava
facilmente, perché era un bel tipo.
Ma i suoi
genitori non avevano mai provveduto seriamente ad inculcargli
un’educazione. Un
po’ di rispetto. Mai.
Erano
sempre stati troppo presi dai loro affari di borsa per occuparsi dei
due
pargoletti che, lentamente, si trasformavano in due belve.
Ma a Bill
e Tom, la loro vita piaceva. Ovviamente Bill restava più
sulle sue, ma se il
fratello gli chiedeva un aiuto di certo non si tirava indietro. Era
egocentrico, presuntuoso ed egoista.
Al
contrario di Tom lui non aveva una ragazza diversa ogni notte, anzi.
Sembrava
più attento alle sue prede,
e di
solito aveva relazioni abbastanza lunghe. Tutte cose che a Tom davano
noia
perché lui voleva sentirsi libero. Free
come citava la maglietta extralarge che indossava in quel momento.
Le luci si
spensero qualche istante, per poi riaccendersi e passare dal viola
all’azzurro
e sul fondo della sala sbucarono 5 ragazze vestite con corpetti e
minigonne
rosse e nere che si strusciavano su 5 pali diversi.
Tom le
guardò una ad una, sfiorandosi con la lingua il piercing
senza accorgersi che
la biondina al suo fianco stava andando in catalessi a furia di
mangiarselo con
gli occhi.
Ma lui non
se la cagava.
Era
impegnato a segnare il tempo con tutto il corpo, preso forse un
po’ troppo dal
quelle 5 ballerine.
Due
avevano i capelli corti, le altre tre più o meno lunghi.
Le guardò
attentamente, una ad una, immaginando di sbatterle violentemente al
muro e di
farsele.
Sì, Tom
era solito farsi questi filmini mentali. Era normale, già.
Era già
arrivato alla terza con un filmatino porno degno del premio Oscar
quando vide
la quinta e ultima strusciarsi terribilmente sul palo.
Aveva lunghi
capelli mossi che le ricadevano sulle spalle, il suo corpo era
completamente
coperto di brillantini e muoveva i fianchi in modo sensuale, facendolo
quasi
impazzire.
Continuò a
torturarsi quello stramaledetto piercing finché
l’esibizione finì e dovette
abbandonare i suoi pensieri erotici per quella sera e ridedicarsi alla
ragazza
che aveva al suo fianco.
Pensandoci
bene, non si ricordava nemmeno il suo nome.
Alex era
più stanca del solito quella sera. Si avvolse nella sua
felpona e si mise la
solita cuffietta in testa, ma lasciando i capelli caderle
giù per la schiena.
Salutò le
sue colleghe e poi uscì, tornando a casa. Faceva freddo,
sembrava che un
temporale volesse abbattersi sulla città e lei non aveva
alcun ombrello.
Ma non
importava, si disse. Dopotutto non mancava poi molto al suo
appartamento.
Fece in
tempo a svoltare l’angolo per poi fermarsi improvvisamente
nel mezzo del
marciapiede e guardare davanti a sé.
Uno strano
senso di panico e nervosismo le afferrò lo stomaco e
iniziò a strapparglielo a
morsi.
Lui. Tom.
Kaulitz.
Era là.
Davanti a lei.
Stava
uscendo dal locale, lo stesso dove lei aveva appena ballato e dietro di
lui
vide una biondina tutta tette e culo fargli da ombra, per poi salire su
una
Audi A1 nera.
Si nascose
di nuovo nell’angolo, sperando di non essere vista.
Perché, poi? Aveva davvero
paura di lui?
La
risposta arrivò fulminea quando lui si voltò a
guardarsi alle spalle, prima di
risalire in macchina.
Sì. Quel
ragazzo la terrorizzata a tal punto da costringerla a nascondersi
dietro un
tubo di scarico.
Il finto
rapper fece spallucce e salì in macchina, per poi mettere in
moto e partire.
Solo
allora Alex si accorse di aver tenuto il respiro per tutta la durata di
quella
patetica scena.
Che
diamine stava facendo?! Probabilmente lui non l’avrebbe
nemmeno riconosciuta.
Svoltò di
nuovo e camminò a passo svelto verso casa sua.
Poi,
iniziò terribilmente a piovere.
E
maledisse di non essersi portata dietro quel cazzo di ombrello.