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Autore: Kioto    02/08/2010    17 recensioni
Odiava quel ragazzo con tutto il cuore. Lo odiava perché si vestiva esattamente come lui, ascoltava la stessa musica che ascoltava lui e perché gli rispondeva a tono. Lo odiava perché era tremendamente fragile da colpire, cascava sempre al suolo. Lo odiava soprattutto perché non era un ragazzo e perché lo faceva sentire in colpa di tutto quello che gli aveva fatto in quei mesi.
Avvisi: OOC, AU, lemon, language, no-slash
A/N: I personaggi della storia non mi appartengono e non interpretano i loro reali ruoli. Tutto ciò che è scritto è puramente inventato ed è mio. Perciò non copiate e avvisatemi qualora prendeste la storia per postarla in altri posti.
Point of view: estraneo alla storia
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Alex aveva 18 anni e viveva ad Amburgo da qualche mese. Aveva dovuto trasferirsi per via dell’ultimo volere della madre, che le aveva chiesto esplicitamente di andare via da Berlino.
Alex era tedesca. Era una ragazza. Ed era sola.
Il padre aveva abbandonato lei e la madre quando lei era ancora una bambina. E poi Frankie, la madre, si era ammalata ed era morta nel giro di qualche mese, obbligando la figlia a trasferirsi lontano da quella città che non gli aveva portato nulla di buono.
Alex era taciturna. Non aveva amici, né a Berlino tantomeno là ad Amburgo.
Restava sempre sulle sue, aveva imparato a tornare a casa e a fare i compiti. Si era innamorata, quello sì.
Ma nessuno l’aveva mai notata davvero.
Forse perché spesso la si scambiava per una persona che non era.
Alex vestiva in modo singolare. Era provvista di felpe oversize e di jeans alquanto larghi per la sua corporatura mingherlina.
Aveva i capelli lunghi, ma li odiava. Erano così uguali a quelli della madre che le portavano dietro troppi ricordi. E facevano tutti male.
Per esempio quando lei accarezzava i capelli alla madre. O quando, una volta arrivata a casa dopo una lite furibonda con qualche bullo di scuola, la madre era solita sfilarle la cuffietta o un qualche berretto per vederle la fluente chioma castana ricaderle sulle spalle.
Ad Alex faceva decisamente male ricordare tutto questo. Sua madre era stata l’unica persona che avesse mai amato. L’unica di cui si fosse mai fidata e l’unica che non l’aveva mai abbandonata.
Era una sfigata, continuava a ripeterselo sul treno che la portava a scuola.
La scuola che odiava con tutto il cuore. Era quella il suo maggior problema.
Odiava le materie, odiava stare tra quelle pareti, odiava dover frequentare per forza.
Odiava doverci andare ogni Lunedì mattina dopo che tornava distrutta dal lavoro del weekend e odiava ancora di più la gente che c’era.
Una persecuzione continua, erano i compagni che la ragazza continuava a trovarsi. Tutti la scambiavano per un ragazzo. E mai nessuno si accorgeva della ragazza che in realtà si nascondeva sotto quegli abiti.
Anche quel giorno portava i capelli sotto una cuffietta in lana, vista la temperatura tremendamente fredda di Ottobre.
Il treno si fermò e poco dopo riprese il suo tragitto. Alex si alzò aumentando il volume sul suo I-pod e si avvicinò alle portine, mettendosi in spalla lo zaino dentro la quale cera qualche libro e due quaderni.
Il treno si fermò, le portine si aprirono a lei scese.
Il freddo tedesco di Amburgo la costrinse a stringere ulteriormente la sciarpa al collo e si coprì le mani con le maniche della felpa nera che indossava.

L’edificio era gelido. Il riscaldamento doveva essersi rotto di nuovo e tutti si stavano ghiacciando.
Ma se c’era qualcosa che li faceva immobilizzare ulteriormente era il passaggio di quel teppista. Lui.
Quel Tom Kaulitz. Era un esemplare davvero unico. Non girava mai solo, ovvio. Ma dominava su tutti, professori compresi.
Nessuno aveva mai capito come faceva a divertirsi in quel modo, ma tutti gli andavano dietro, tutti lo adoravano, tutti lo guardavano e tutti lo temevano. Tutto in contemporanea.
Lui osservava in silenzio, non agiva mai d’impulso, non era nel suo carattere. Era taciturno, parlava solo se interpellato. E, soprattutto, solo se voleva.
Tom Kaulitz era il sogno proibito di centinaia di piccole studentesse in quella scuola. Certo, era un bel ragazzo. Come biasimarle?
Era ben piazzato, alto un metro e novantatre, aveva lunghi cornrows neri che gli ricadevano sulle spalle, vestiva sempre largo, comodo, indossava sempre scarpe di marca, orologi lussuosi, occhiali da sole anche se non servivano, arrivava sempre in macchina, sulla sua Audi A1 nera e, la cosa che mandava in tilt tutte, erano quelle labbra carnose decorate da un piercing sulla sinistra del labbro inferiore che brillava ogni volta che un minuscolo raggio di sole colpiva il viso di quel bullo.
Tom Kaulitz era un bullo che si divertiva a picchiare chiunque gli capitasse a tiro. Non aveva mai una vittima fissa, se la prendeva solo ed esclusivamente con i maschi. Ovviamente.
Con i secchioni, con chi gli stava sul cazzo e con chi riteneva meritasse una lezione.
Sì, insomma. Tom Kaulitz era davvero un figlio di puttana.
Era cresciuto viziato, qualsiasi cosa volesse la otteneva.
Voleva una ragazza? Era sua. Senza troppi preamboli.
Voleva quella macchina? Era sua. Il giorno dopo stesso.
Voleva soldi? Erano suoi Bastava prelevarli dal conto in banca di mamma e papà.
Voleva la fama e il rispetto? Erano entrambi suoi. Bastava fare ingresso a scuola.
Tom Kaulitz era il classico diciannovenne che voleva sempre più. Pretendeva.
Ogni passo gli conferiva un briciolo di sicurezza in più, ma non che ne avesse bisogno visto che il suo ego era abbastanza grande da procurargliene a sufficienza.
Gli sguardi erano tutti puntati su di lui. E gli piaceva. Eccome se gli piaceva!
« Ciao Tom. » disse qualcuno che lui ignorò.
Si avvicinò tranquillamente al suo armadietto e lo aprì, buttandoci dentro qualche libro e prendendone altri.
Quando si voltò, lo vide.
Restò a fissarlo qualche istante, lo sguardo che bruciava.
Quel ragazzino gli dava sui nervi ogni giorno di più. Era qualche mese che si tratteneva dal pestarlo a sangue.
Odiava il suo portamento, come camminava. Teneva sempre lo sguardo basso e tentava di nascondersi sotto quella cuffietta solitamente nera. Ma non ci riusciva. Lui lo vedeva sempre, cercava di incrociare il suo sguardo, di fargli capire che dovevano starsi alla larga altrimenti sarebbe finita tremendamente male.
Ma non ci riusciva, perché quel ragazzetto non gli prestava attenzione come il resto della scuola.
Ma quel giorno, lo aveva davvero fatto incazzare. E quando Tom si incazzava, non andava bene. Per nessuno.
Perché tutto questo incazzo?
Perché quello smidollato indossava la stessa felpa di Tom. E nessuno, nessuno, poteva permettersi di fare una cosa del genere.
Si mise bene la borsa in spalla e si avvicinò al malcapitato, sotto gli sguardi interessati di qualche ragazza che se lo spogliava con gli occhi.
E poi, gli si parò davanti.

L’armadietto di Alex era un perfetto casino. C’erano pacchetti di sigarette vuoti sparsi un po’ dovunque, libri e quaderni con qualche appunto volante qua e là. Foto di Jay-Z, Young Jeezy, Samy Deluxe, Eminem e altri artisti erano appese allo sportellino. Fece in tempo a chiuderlo, quando una figura le fece ombra. Si voltò lentamente e vide un grosso ragazzo davanti ai suoi occhi. Sapeva chi era. E sapeva anche che la sua presenza non voleva dire nulla di buono.
Poi notò la felpa che indossava; era identica a quella che indossava lei.
Sollevò un sopracciglio e tornò a fissare il ragazzo. Il Kaulitz.
Lui non disse niente, si limitò a prenderla per la felpa e a spiattellarla contro gli armadietti, facendole cadere i libri.
« Ci vediamo all’uscita. » sillabò quello, avvicinando il suo viso.
Poi mollò la presa e i piedi di Alex poterono toccare perfettamente il pavimento. Lo vide allontanarsi mentre gli altri studenti facevano finta di niente, e si rimise bene la felpa.
Quello era pazzo. Senza alcun dubbio. Che diamine voleva da lei?! Assurdo!
Figurarsi se si sarebbe fatta trovare davanti a lui. Per fare cosa poi? Di certo non parlare.
Si diresse verso la sua classe con uno sbuffo, mentre si sentiva decine di paia d’occhi addosso.
Odiava essere fissata. Somigliava ad un maschio e allora? Era il suo modo di comportarsi, era il suo modo di vestire, era la sua vita e ci faceva quel cazzo che le pareva. Nessuno sembrò mai domandarsi se fosse un maschio o una femmina; mascherava tutto tremendamente bene.
Quando arrivò in classe, nessuno la salutò. Nessuno le chiese come stava. Nessuno sapeva la sua storia, dopotutto. E iniziò a pensare che pure i compagni l’avessero scambiata per un maschio. D’altronde, non c’era mai molto dialogo fra loro. Anzi non ce n’era proprio per niente! Perché sprecarsi a parlare con gente di quel livello?
Berlino le aveva portato via la madre, era vero. Ma Amburgo cosa le stava offrendo? Un emerito cazzo. 

Si sbatté la porta alle spalle senza preoccuparsi di aver fatto trasalire mezza classe e si diresse a passo sicuro verso l’uscita per fumarsi una delle sue trecentocinquanta sigarette giornaliere.
Ma poi la sua attenzione venne attirata da qualcosa di più allettante della nicotina che saliva fino al suo cervello, mandandolo in tilt.

Qualcuno.
Quello che lui definiva il mocciosetto che si vestiva come lui, in realtà non era altro che Alex. Aveva deciso di farsi un giro nei corridoi perché la lezione di matematica aveva preso una piega troppo noiosa e forse contare le mattonelle giallastra nel pavimento era più divertente.
Tom si rimise in una delle enormi tasche dei suoi jeans il pacchetto di sigarette e l’accendino e decise di dare a quel fannullone la lezione che da tempo aveva desiderato affibbiargli.
Alex, dal canto suo, ignorava completamente anche solo la probabilità che qualcuno - alias il figone di cui tutti avevano paura ma che lei riteneva uno sfigato di primo livello - la stesse seguendo.
Svoltò l’angolo e sentì un rumore muto alle sue spalle. Si voltò ma non vide nessuno.
Poi, però, vide un’ombra allungarsi sopra la sua e quando si girò di nuovo, lo vide.
« Chi si vede. » esclamò Tom a denti stretti, privo di espressione.
Alex fece un passo indietro e quello non si mosse.
« Cosa vuoi?! » lo rimbeccò.
« Solo divertirmi. »
Si ritrovò con la spalle attaccate al muro e un pugno le arrivò dritto allo stomaco, facendola piegare in due. Scivolò lungo la parete ruvida e biancastra del corridoio, gemendo silenziosamente.
Il ragazzo la tirò su per le braccia facendo finta di non sentire i suoi mugolii di dolore e le sferrò un secondo colpo, affondandolo con decisione sulla felpa.
« Forse la smetterai di darmi fastidio. » mormorò quasi in un ringhio.
Alex si accasciò a terra stringendosi così tanto la pancia da poter sentire la forma dell’intestino mutarsi.
Come ciliegina sulla torta, Tom si concesse anche uno sputo, ma Alex era troppo concentrata a trattenere le urla di dolore per badarci.
Lo vide solo allontanarsi, tirando di nuovo fuori il suo pacchetto di sigarette e accendendosene una ancor prima di essere fuori.
Quel ragazzo doveva assolutamente essere pazzo. L’aveva aggredita per una felpa! Ma come diavolo si permetteva! Poi si ricordò di una cosa: somigliava ad un maschio.
Non aveva mai indugiato su quello che le ragazze avrebbero potuto pensare su di lei. E non l’aveva mai fatto appunto perché era una lei. Ma in quel momento si chiese che cazzo avesse fatto di male per avere tutto quello. Era la goccia che faceva traboccare il vaso, ma si morsicò un labbro infierendosi ulteriore dolore e sollevò lo sguardo, ricacciando le lacrime che non aveva pianto per ben 18 anni.

   
 
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