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Autore: valecullen_thedevil93    05/08/2010    6 recensioni
questa è la mia prima storia su Raf e Sulfus e parte dal momento in cui termina il processo disciplinare per il sacrilegio, perciò non terrà conto di quello che è successo dopo nel cartone... "lo stage è ormai finito e Raf e Sulfus sono consapevoli che non si rivedranno mai più una volta tornati nelle loro rispettive città. Questo li spingerà a dichiararsi e a stare insieme gli ultimi giorni, anche con l'aiuto dei loro amici che li coprono, e si promettono che, nonostante le distanze, troveranno comunque il modo per vedersi. Ma qualcosa va storto; un'attacco a sorpresa di Reina scatenerà una violenta battaglia nella quale verrà sconfitta, ma prima di scomparire dirà qualcosa che spingerà Raf a prendere una decisione che cambierà per sempre il corso degli eventi. Ma prima di metterla in pratica succederà qualcosa fra lei e Sulfus, qualcosa di assolutamente magico e incredibile che porterà alla nascita di un piccolo, grande miracolo nella storia dei sempiterni." E' sia romantica che malinconica ma vi assicuro che se è una RafxSulfus quella che cercate, allora questa è la storia giusta.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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RAGAZZEEEEEEEEEEEEEEE!!! ECCOMI QUI CON UN NUOVO CAPITOLO TUTTO PER VOI!!! DIRE CHE VI AMO è POCO, CONTINUATE A RECENSIRE CHE SIETE LA MIA FORZA PER CONTINUARE A SCRIVERE, SOPRATTUTTO PERCHè CON I COMPITI DELLE VACANZE IN PIU' DA FARE PER RECUPERARE I DEBITI DI LATINO E MATEMATICA A VOLTE LA VOGLIA DI SCRIVERE E' PROPRIO POCA... MA NON DISPERATE NON VI ABBANDONO... FOSSI MATTA!!! XD ORA QUESTO è L'ULTIMO DEI CHAPPY GIA' PRONTI CHE AVEVO PERCIO' ORA STO CONTINUANDO A SCRIVERE E GLI AGGIORNAMENTI RALLENTERANNO UN PO'... QUESTO SARA' ALTRO CHE CAPITOLO STRAPPALACRIME (ALMENO A ME NEL FORUM HANNO DETTO CHE LO E' XD) PERCIò PREPARATE UNA BUONA DOSE DI FAZZOLETTI... NE AVRETE BISOGNO T^T NEL PROSSIMO CHAPPY CI SARANNO DELLE RIVELAZIONI MOLTO IMPORTANTI PER I NOSTRI PROTAGONISTI (CHE RIGUARDANO LA NOTTE DI FUOCO DEI DUE PICCIONCINI XD) E L'ENTRATA IN SCENA DI UN NUOVO PERSONAGGIO CHE SO GIA' CHE ODIERETE CON TUTTO IL VOSTRO CUORE... MA NON VI DICO PERCHE' XD

LE RECENSIONI SONO COME AL SOLITO IN FONDO AL CAPITOLO... SPERO CHE IL CHAPPY VI PIACCIA KISS A TUTTE!!! ^^

PS: CAPITOLO A RATING ROSSISSIMO!!! PERCIO' GLI ANIMI CASTI EVITINO LA PARTE SCRITTA IN CORSIVO XD E' LA PARTE IN CUI RAF RACCONTA NEL DETTAGLIO LA SUA NOTTE CON SULFUS... PERCIO' OCCHIO PERCHE' VI POTREBBE VENIRE UN'ANEURISMA XD

5° CAPITOLO: “LA FUGA E LA LONTANANZA”

POV SULFUS

Non seppi perché ma quella notte i miei sogni furono molto agitati. Beh più che di sogni si trattava di incubi. Avevo addosso come la sensazione che fosse successo qualcosa di grave. Ma alla fine non ci badai e concentrai tutti i miei pensieri sulla meravigliosa notte appena trascorsa. Nonostante stessi dormendo, riuscivo a rievocare nella mia mente la notte appena passata, le emozioni appena vissute. Non avevo mai provato delle sensazioni del genere e, solo rievocarle, mi sembrava di annegare nel fuoco che producevano: ricordai la felicità che avevo provato nel sentire la sua pelle contro la mia, l’eccitazione che si era scatenata in me al contatto delle sue labbra, al piacere che mi aveva devastato quando finalmente mi ero ritrovato dentro di lei; oddio al solo pensarci mi sembrava di svenire, non avevo mai provato un piacere così totalizzante in tutta la mia esistenza. Era stata una cosa assolutamente fantastica.

Eppure quella strana sensazione non mi abbandonava; sentivo che c’era qualcosa che non andava, un misto di inquietudine e dolore che mi faceva intuire che qualcosa di terribile era successo, qualcosa che avrebbe devastato e distrutto tutti noi.

Eppure, nonostante questa orribile sensazione fosse predominante, non era l’unica perché latente, nascosta, quasi invisibile sotto l’amarezza e l’appagamento, vi era anche la sensazione che quella notte fosse accaduto anche un miracolo, qualcosa che avrebbe portato incommensurabile felicità a tutti noi.  E che, specialmente a me, avrebbe cambiato la vita.

Ma quell’angoscia che mi attanagliava il cuore sembrava non voler abbandonarmi. Mi dissi che ero uno stupido e che sarebbe bastato risvegliarmi con Raf fra le braccia per far svanire tutta quell’assurda preoccupazione; avevo le cose che più desideravo al mondo, Raf e il mio diploma di guardian devil. Cosa sarebbe potuto andare storto?

Perciò cominciai a svegliarmi, ansioso di sentire il suo corpo nudo rilassato fra le mie braccia, trepidante di vedere di nuovo il suo sorriso, i suoi occhi, i suoi capelli, il suo corpo… di rivedere lei. Un sorriso si disegnò sulle mie labbra prima che la mia mente, ottenebrata dal sonno, registrasse che qualcosa non andava davvero. Troppo felice per quanto era accaduto la scorsa notte, non mi ero reso conto di un particolare fondamentale: fra le mie braccia non c’era nulla, non sentivo niente steso sul mio petto, non avvertivo la sua pelle calda contro la mia. E un pensiero mi balenò improvviso e terrificante in testa: dov’era Raf? Dov’era il mio amore?

Aprii gli occhi di scatto e mi alzai a sedere velocissimamente facendo volare per aria le lenzuola, cercandola con lo sguardo. Non la trovai. Il sole oltretutto inondava la stanza con i primi raggi del mattino e sapevo che le ombre non sarebbero bastate a nasconderla, se avesse deciso di farmi uno scherzo. No, ero proprio da solo. Non c’era nemmeno Gas, aveva passato la notte fuori a dormire.

Scattai in piedi mentre l’angoscia e la paura mi avvolgevano da capo a piedi. La sentivo scorrere prepotente in me, corrodendomi dall’interno e aumentando il mio dolore. Un’unica domanda mi rimbombava nella testa: perché, perché te ne sei andata, perché non sei rimasta nella stanza e mi hai lasciato da solo?

Rapidissimo, senza preoccuparmi di indossare altro oltre ai boxer che la sera prima erano finiti sul pavimento, mi diressi a passo di carica fuori dalla stanza, cominciai a correre rapido verso il sognatorio, ignorando gli sguardi scocciati che alcuni devil mattinieri mi lanciavano al mio passaggio. Sapevo che le ragazze avevano fatto un pigiama-party in camera di Dolce e Miki su al sognatorio ed era lì che ero diretto, sperando con tutto me stesso che Raf fosse lì e mi spiegasse perché mi avesse lasciato da solo senza darmi spiegazioni. Entrai di corsa al sognatorio ignorando gli sguardi increduli e scioccati degli angel, e mi diressi rapido fino al corridoio dove c’erano le camere di Uriè e Raf e di Miki e Dolce. Entrai prima in quella di Uriè e Raf, magari sperando che fosse lì. Non c’era. Cominciai ad andare nel panico: dove sei Raf? No, non ti preoccupare, appena entrerai in quella e scoprirai che era stata lì tutto il tempo, riderai sopra a queste stupide paure, mi dissi per farmi forza. Ma qualcosa mi diceva che ritrovarla non sarebbe stato così facile.

 Ignorai bellamente quella sensazione e mi diressi in camera di Miki e Dolce. Entrai sbattendo la porta senza neanche bussare. Erano già sveglie, anche se si vedeva che si erano appena alzate,  e stavano scegliendo i vestiti da indossare quel giorno e quali mettere in valigia per il viaggio. Tutte tranne Kabalè che stava uscendo in quel momento dal bagno della stanza avvolta solo da un misero asciugamano bianco.

Saltarono tutte per la mia entrata e mi guardarono stupite. Kabalè invece urlò «ah Sulfus esci!», e mi tirò addosso un soprammobile in ottone che si trovava sulla cassettiera li a fianco, che schivai prontamente abbassandomi. Ma porca miseria! Era mai possibile che queste cose succedessero solo a me? Kabalè richiuse la porta del bagno.

«Sulfus ma sei impazzito a entrare così?», mi sgridò Uriè, «avremmo potuto essere nude! E poi perché…», fece una pausa arrossendo di botto, resasi conto del mio vestiario alquanto essenziale, «oh mamma! E perché hai addosso solo un paio di boxer?!», mi urlò quasi scandalizzata.

La ignorai, non mi importava di quello che pensava, Raf era più importante di tutto. «Raf è qui? Vi prego ditemi che lo è», le chiesi disperato, stavo per avere una crisi di nervi.

Tutte mi guardarono confuse, «no, non è qui», mi disse Dolce facendomi sprofondare nella più totale disperazione, «aveva detto che era stanca e che sarebbe rimasta a dormire in camera sua stanotte».

Un lamento strozzato mi uscì dalle labbra. La preoccupazione stava crescendo di minuto in minuto e ci si stava mettendo anche il mio settimo senso che ronzava peggio di uno sciame di api impazzito, «no Dolce in camera sua non c’è, era…», ma mi bloccai all’improvviso. Non sapevo come avrebbero reagito al fatto che io e Raf avevamo fatto l’amore e poi, era una cosa solo nostra, mia e di Raf,  e, per il momento, non volevo condividerla con altri.

Kabalè uscì vestita dal bagno, «era cosa Sulfus?», mi chiese interrogativa. Poi il suo sguardo si soffermò sul mio abbigliamento e, all’improvviso, una luce maliziosa le si accese negli occhi. «ahhhhhhhhhhh», cominciò con lo sguardo di una che la sapeva lunga. Cazzo, aveva capito! «Raf non è in camera sua, Sulfus la cerca mezzo nudo in tutta la scuola e Raf ieri sera ci ha detto che era stanca e voleva stare da sola. Due più due fa quattro. Scommetto che lei e il nostro Sulfus hanno passato una bella notte di fuoco, vero?», mi chiese ridacchiando sotto i baffi.

Io arrossii come un peperone, mentre le ragazze mi guardavano con gli occhi fuori dalle orbite. «cioè tu e Raf avete fatto l’amore?», mi chiese incredula Miki, talmente sbigottita da aver dimenticato il significato della parola tatto.

«beh, insomma, ecco, noi…», borbottai in maniera indefinita qualcosa. Patetico, un devil imbarazzato!

«eddai ammettilo», mi chiese ridacchiando Kabalè venendomi vicino e dandomi una gomitata per gioco.

Esasperato alla fine sbottai, «si va bene!», urlai mentre un sorriso si faceva strada sul mio volto al ricordo della notte appena passata, «io e Raf abbiamo fatto l’amore ed è stata la notte più bella della mia vita!».

Mi preparai alla loro sfuriata, ma reagirono in modo totalmente diverso da come mi aspettavo. Esplosero in urla di giubilio talmente forti da spaccare i timpani e cominciarono a saltellare come pazze per tutta la stanza. Se c’era qualcuno ancora addormentato, ora sicuramente non lo era più.

Le angel si abbracciarono, mentre Cabiria e Kabalè si diedero il cinque saltando. Poi si precipitarono da me e mi saltarono praticamente addosso, stritolandomi.

«evviva!», era l’unico urlo che proveniva dalle loro labbra. Le devil mi diedero una pacca sulle spalle talmente forte che mi lasciò senza fiato. «e bravo il nostro Sulfus, era ora che vi faceste avanti!», e poi scoppiarono tutte e cinque a ridere.

«siamo grandi, il nostro piano ha funzionato», esultò a sorpresa Uriè.

«il vostro piano?», chiesi confuso. Di che parlavano?

Tutte e cinque risero rumorosamente alla vista della mia faccia stranita, «beh sapevamo che da soli non avreste mai avuto il coraggio di compiere un passo del genere, perciò abbiamo cercato un modo efficace per spingervi», spiegò Cabiria mentre tutte ridacchiavano.

E mi venne un flash che mi portò a capire, «l’intimo! Altro che caso voi eravate d’accordo», sbottai incredulo.

Gongolarono, visibilmente soddisfatte di se stesse, «ovvio no!», dissero all’unisono e scoppiarono a ridere. Poi diventarono improvvisamente serie, «sapevamo che volevate farlo, ma da soli non avreste mai avuto il coraggio di parlarne, e se non l’aveste fatto, sapevamo che l’avreste rimpianto per tutto il tempo in cui sareste stati lontani», asserì Miki.

Era vero. Volevo fare l’amore con Raf con tutto me stesso, ma non avrei mai avuto il coraggio di parlarne apertamente con lei. E questo pensiero mi riportò alla gravità della situazione.

«si ma ora non è questo il problema», dissi loro concitatamente, «quando mi sono svegliato non era con me. Così ho controllato in camera sua ma non è nemmeno lì, e voi mi avete detto che non l’avete vista per tutta la notte. Quindi dov’è?», chiesi terrorizzato.

I loro sorrisi sparirono lentamente, mentre metabolizzavano le mie parole e si rendevano conto della gravità della situazione.

«no-non era con te?», mi disse Dolce terrorizzata, « m-ma allora dove potrebbe essere? Non è da Raf questo, lasciarti da solo nel bel mezzo della notte. Non lo farebbe mai!», sbottò cercando di trovare un appiglio che giustificasse una tale stranezza.

«torniamo in camera mia, magari avremo qualche indizio», propose Uriè, che come al solito aveva la soluzione pronta.

Annuimmo e , senza aspettare oltre, uscimmo e dopo aver attraversato il corridoio, entrammo in camera di Uriè e Raf. Tutti ancora in pigiama, tranne Kabalè che nel bagno si era vestita, cominciammo a guardarci intorno per cercare di capire cosa era successo.

Vidi Uriè guardare pensierosa il letto di Raf. «che c’è Uriè?», le chiesi ansioso.

«guardate il letto», ci disse indicandolo, mentre le altre si avvicinavano per vedere, «è completamente intatto, le lenzuola non sono nemmeno sgualcite». Le osservai e mi resi conto che era vero. «se non sono state toccate vuol dire che non ha dormito qui».

Sbuffai, «grazie lo so, è stata con me stanotte». Era un’affermazione che mi aveva fatto salire l’irritazione alle stelle, dovevamo scoprire qualcosa che già non sapessimo.

«se prestassi più attenzione capiresti cosa vuol dire. Se le lenzuola non sono sgualcite e Raf non ha dormito qui, e allo stesso tempo al tuo risveglio non l’hai trovata, allora dove ha dormito Raf stanotte?», mi chiese lei come se fosse ovvio.

Mi paralizzai. Come avevo fatto a non pensarci? Il panico stava per prendere il sopravvento su di me.

«oddio guardate!», urlò Miki aprendo l’armadio di Raf. Ci avvicinammo subito e gelammo, «è completamente vuoto! Dov’è tutta la sua roba?» chiese, nella sua voce si distingueva chiaramente il panico.

«anche il diario di Raf è sparito», urlò Dolce che stava rovistando sotto cuscini e coperte, «l’ha sempre lasciato qui e non l’avrebbe mai spostato». Questa affermazione mi gelò ancora di più. Raf non si separava mai dal suo diario e se l’aveva spostato voleva dire una cosa sola, un ipotesi che non volevo nemmeno prendere in considerazione.

Mentre continuavamo a cercare, Cabiria si chinò sotto al letto per vedere qualcosa, «il suo trolley è sparito, non c’è più», disse agitata.

Ci guardammo angosciati, mentre tutti gli indizi che avevamo trovato, ci portavano inesorabilmente verso una soluzione che il mio cuore e la mia mente si rifiutavano di accettare. La respingevano con tutte le loro forze.

«guardate perfino il suo portatile è sparito. Anche i cassetti di scrivania e cassettiera sono vuoti. Non è rimasto nulla», ci disse con voce di tomba Kabalè, rovistando mesta fra i cassetti.

Ormai mi sembrava di non respirare più, il peso che mi opprimeva il cuore si faceva più pesante ogni secondo che passava, trasformando lentamente il mio cuore in un macigno, che mi trascinava lentamente ma inesorabilmente lungo una china lunga e buia dalla quale non c’era ritorno.

Era praticamente lampante quello che fosse successo ma mi rifiutavo di credere che fosse veramente così. Non poteva essere così, non dopo tutto quello che avevamo passato insieme e tutti i pericoli che avevamo affrontato. E, intanto, milioni di domande si susseguivano rapide nella mia mente, domande che difficilmente avrebbero trovato risposta: perché Raf? Perché te ne sei andata? Perché non sei rimasta con me, perché hai mentito a me e a tutti quelli che ti volevano bene? Perché?!

«no», sussurrai, completamente impietrito sul posto dalla verità che mi si parava davanti, «non può averlo fatto. Non può essersene andata. Non può!!!», dissi urlando. Senza rendermene conto, avevo alzato la voce fino ad urlare per la disperazione. Mi rifiutavo con tutto me stesso di credere a una cosa del genere.

Le ragazze avevano tutte le lacrime agli occhi, specialmente le angel, che conoscevano Raf da una vita. All’improvviso il professor Arkhan entrò in camera, probabilmente richiamato dal mio urlo, «per tutti gli angeli, cos’era quell’urlo? E perché tu sei qui, in mutande per di più?», mi chiese ovviamente scandalizzato. Se fosse successo in condizioni normali avrei riso alla sua faccia, ma in quel momento mi sembrava di trovarmi in una dimensione parallela nella quale tutti i suoni sembravano essere ovattati e distanti. Riuscivo solo a pensare che Raf era sparita ed io non avevo la minima idea ne di dove fosse ne di come stesse.

«chi non c’è più Sulfus?», mi chiese il nonnetto e io mi tappai la bocca. Non mi ero reso conto di aver espresso le mie sensazioni ad alta voce, intontito com’ero, perciò mi affrettai a smettere.

«Raf signore», rispose Cabiria con un espressione talmente disperata che faceva paura, «siamo venute a cercarla ma non è rimasto più niente di suo, trolley compreso. La nostra ipotesi è che se ne sia andata», disse con voce rotta e sguardo basso mentre a quelle parole Dolce e Miki cominciavano a singhiozzare. Arkhan impallidì.

«NO!!! LEI NON SE NE E’ ANDATA, NON PUO’!!! non può…», dissi cadendo in ginocchio a terra e prendendomi il viso fra le mani, come se fossi una marionetta a cui hanno tagliato improvvisamente i fili. Sentii lo sguardo confuso di Arkhan su di me.

«urlare e disperarsi non serve a niente ragazze», disse Uriè cercando di mantenere la voce ferma e di prendere in mano la situazione, anche se dai suoi occhi era evidente che le costava una grande fatica, «la cosa più importante ora è trovarla. Perciò dividiamoci e cerchiamola».

Sentii una mano sulla mia spalla e mi voltai verso Kabalè che mi sorrideva determinata, e io capii che non avrei lasciato che finisse così; avrei lottato con tutte le mie forze per trovarla e riportarla tra le mie braccia, l’unico posto in cui sapevo che lei avrebbe dovuto stare. Perciò mi alzai, illuminato da nuova determinazione e fissai le ragazze che mi sorridevano fra le lacrime (le angel) e i singhiozzi (le devil), anche loro decise come lo ero io.

Uriè si voltò verso di me, «e tu vai a vestirti altrimenti ci verrà un infarto». Guardandola però capii cosa in realtà voleva dirmi; non potevamo dire che io e Raf avevamo passato la notte insieme, sarebbe scoppiato il finimondo, ma con questa scusa sarei potuto tornare in camera, il luogo dove era iniziato tutto e trovare qualche indizio su cosa fosse successo. Perciò annuii e corsi fuori rifacendo a ritroso tutto il percorso fino alla mia camera nell’incubatorio, ignorando gli sguardi che mi lanciavano.

Entrai in camera e vi trovai Gas che stava preparando la valigia per tornare a Zolfanello city. Era tornato. Si voltò verso di me con un sorrisone a trentadue denti stampato in faccia, «ehi Sulfus dov’eri finito, tra poco dobbiamo tornare indietro».

Ma quando vide la mia faccia il suo sorriso si spense, «ehi Sulfus come mai hai quella faccia sconvolta?», mi chiese evidentemente preoccupato.

«tu stanotte sei stato fuori, hai per caso visto Raf?», gli chiesi velocemente. Era la mia ultima spiaggia, speravo che almeno lui che era stato via tutta la notte potesse dirmi qualcosa.

Si grattò la testa in un modo che in altre circostante mi avrebbe fatto morire dal ridere. Sembrava un personaggio dei fumetti quando faceva quelle smorfie. Dopo un attimo di riflessione mi rispose, «veramente no, comunque», mi disse cambiando discorso, come faceva sempre da perfetto cretino tutte le volte che si tentava di fare un discorso serio con lui, «come mai c’è una lettera sul tuo comodino? Ho letto il mittente, è indirizzata a te e non l’ho letta», mi disse, facendomi ghiacciare sul posto.

Poteva essere che Raf avesse voluto parlarmi un’ultima volta prima di partire? Mi vestii, non potevo continuare a girare in boxer, mi precipitai al comodino e vidi che Gas aveva ragione. Sul mio comodino c’era una lettera indirizzata a me e sapevo con assoluta certezza a chi apparteneva la scrittura: a Raf!

La presi in mano e la aprii con mani tremanti. E quello che lessi bastò a farmi sprofondare nella disperazione più nera:

 

Caro Sulfus,

amore mio perdonami se me ne vado così, ma proprio non vedevo altra soluzione. Sapevo che se ti avessi detto cosa avevo intenzione di fare non me lo avresti mai permesso e avresti cercato di impedirmi di partire, e io non ce l’avrei mai fatta a salutarti. Devo andarmene Sulfus, non posso fare altrimenti. Non posso spiegarti cosa mi ha spinto a prendere questa terribile decisione, posso solo dirti che è per il bene di tutti che lo faccio e che un giorno mi ringrazierai.

Non riesco nemmeno a spiegarti il dolore che provo lasciando te e tutti gli altri, ma se penso a cosa potrebbe succedere se restassi, capisco che è la cosa giusta.

Questa è stata la notte più bella della mia vita, grazie per aver esaudito l’unico desiderio che mi rimaneva. E lo so che non ne ho diritto ma ti prego, promettimi che ricomincerai da capo, che ti lascerai tutto alle spalle e che continuerai a vivere la tua vita. Lo so, ti chiedo tanto, ma noi non ci rivedremo mai più e non riuscirei a vivere con la consapevolezza che anche tu non ci riesci. Perciò, per favore, prova a dimenticarmi.

Grazie per aver portato luce nella mia esistenza, per avermi fatto sentire amata e speciale e per aver riempito le mie giornate con il tuo amore. Sappi che comunque nessuno prenderà mai il tuo posto nel mio cuore, apparterrà per sempre a te, perciò prenditene cura perché te lo affido.

Saluta le ragazze da parte mia, io non ho potuto. Me ne vado con la morte nel cuore Sulfus, ma con la consapevolezza che è la cosa giusta. E per favore, non cercatemi.

Ti amerò per sempre,

Raf.

 

Strinsi convulsamente le mani intorno alla carta, quasi lacerandola talmente la stringevo forte. Le dita mi tremavano incontrollabili e, benchè fosse una cosa stupida e insensata, soprattutto per un devil, avevo voglia di mettermi a piangere come non avevo mai fatto in vita mia, per vedere se almeno così avrei potuto eliminare quel dolore insopportabile che si stava facendo strada nel mio corpo in quel momento. Perché, perché se n’era andata? Perché mi, ci aveva fatto questo? E cosa voleva dire che sarebbe stato meglio per noi se lei ci fosse stata lontana? Non aveva senso, ecco cosa significava. Perché lontano da lei, tutto quello che conoscevo perdeva significato.

Crollai a terra in ginocchio stringendo a me quell’insignificante pezzo di carta che in poche e semplici righe mi aveva completamente rovinato la vita. Lo portai al volto e inspirai forte; sulla carta era ancora impresso il suo profumo di fiori, che si era fissato mentre lei scriveva quelle atroci parole.

Le lacrime cominciarono a uscire senza che potessi fare niente per fermarle, e i singhiozzi di dolore mi squassarono il petto. Mi sembrava di morire; ogni singhiozzo che mi usciva dalle labbra mi provocava una fitta di dolore lancinante al petto, proprio lì, all’altezza del cuore, che lei, la mia Raf, il mio unico amore e la mia unica esistenza mi aveva rubato. Mi sentivo svuotato di ogni energia, la mia forza e la mia voglia di vivere erano sparite insieme a lei, perché era lei l’unica ragione che mi spingeva a continuare la mia esistenza altrimenti priva di significato. No, non potevo vivere senza di lei, come avrei fatto a sopravvivere?

I miei singhiozzi si fecero più forti e mi importava poco del fatto che per un devil fosse una cosa orribile piangere perché non riuscivo a sopportare tutto quel dolore. Le lacrime scendevano copiose, abbondanti e bollenti lungo le mie guance e non ne volevano sapere di arrestarsi.

Sentii una mano posarsi sulla mia spalla e riconobbi la presa di Gas, «ehi Sulfus, amico che ti succede? Perché stai piangendo?», mi chiese scandalizzato; di certo ero l’ultimo devil al mondo che si aspettasse si mettesse a piangere.

Senza starlo a sentire mi alzai e, con sguardo basso, mi sforzai di muovere il mio corpo, che in quel momento sembrava fatto di piombo, verso l’atrio della scuola, dove gli altri si stavano riunendo per decidere la divisione delle zone della città dove avremmo cercato Raf. Non poteva essersene andata da molto e aver fatto molta strada. Ma ormai non importava.

Arrivai all’atrio e vidi che erano tutti lì, compresi Arkhan e la Temptel, che stavano discutendo sul da farsi. Non appena mi videro, tacquero.

«oddio Sulfus! Ma cosa ti è successo? Sembri un morto che cammina», mi chiese Kabalè preoccupata, sgranando gli occhi ancora di più di quanto non lo fossero normalmente, nel studiare i segni lucidi che le lacrime avevano lasciato sul mio viso.

Senza dire niente le allungai la lettera, il dolore che provavo era troppo per riuscire a parlare, e Kabalè la prese, in silenzio come me.

La aprì e la lesse in silenzio. Più leggeva, più i suoi occhi si incupivano. Quando arrivò alla fine, anche i suoi occhi si riempirono di lacrime, anche se lei riuscì a impedire all’ultimo momento che scendessero dai suoi occhi; aveva un grande autocontrollo a differenza mia ma era anche vero che il dolore che provava lei per la perdita di Raf era solo una puntura di rigetto in confronto a quello che provavo io.

Tuttavia non potè impedire che un singhiozzo le sfuggisse, e le altre ci guardarono perplesse.

«ragazzi, ma si può sapere che vi prende? Prima Sulfus e ora Kabalè; andiamo non può essere niente di atroce», disse Gas sghignazzando come un deficiente, cosa che in effetti era.

La sua affermazione fu come un accendino gettato dentro una tanica di benzina: non era successo niente?! Certo, cosa aveva da preoccuparsi lui? «NIENTE?! NON E’ SUCCESSO NIENTE?! MA DICO SEI STUPIDO O COSA?! RAF SE N’E’ ANDATA PER SEMPRE E TU DICI CHE NON E’ SUCCESSO NIENTE?! CERTO, INFONDO DI COSA TI PREOCCUPI TU,, DOPOTUTTO NON SEI TU CHE HAI PERSO L’AMORE DELLA TUA VITA NEL PEGGIOR MODO POSSIBILE!!!», gli urlai in faccia tutta la rabbia, il rancore e il dolore che provavo in quel momento. Gas mi guardò sconvolto. Sbattei forte la mano contro un albero li di fianco e il mio potere ormai fuori controllo, lo fece esplodere con un grosso boato in tante minuscole schegge di legno.

«Sulfus ti prego calmati», mi supplicò Kabalè, spaventata, come tutti gli altri, da quello sfogo di pura rabbia. Io, svuotato di ogni energia, abbassai le mani lungo i fianchi.

Non potevo credere che Raf mi avesse lasciato per sempre, che non avrei potuto più godere della sua risata, dei suoi occhi di cristallo pieni d’amore fissi nei miei, del suo profumo di fiori che mi annebbiava completamente i sensi, della sua pelle sotto le mia mani, delle sue labbra premute sulle mie, del mio corpo sopra al suo… non potevo accettare di non poter più provare tutte quelle sensazioni che per me erano come aria. Senza di lei, la mia vita non aveva senso.

«come se n’è andata? Cosa vuoi dire Sulfus?», mi chiese terrorizzata dalle mie parole Uriè. Mi fissava con gli occhi pieni di lacrime che non si sforzava di reprimere; uno dei vantaggi di essere angel era che potevi piangere quando ti pareva senza che nessuno ti additasse come debole o fallito; in quel momento era una cosa che invidiavo a quelle meringhe alate.

Senza aggiungere altro prese la lettera dalle mani di Kabalè, anche lei incredula per quello che avevo detto, o meglio urlato, e, con mani tremanti, lesse la lettera ad alta voce, affinchè tutti sentissero.

Vidi tutti inorridire di più a ogni lettera che scorreva dalla pagina e, alla fine, quando Uriè sconvolta richiuse il foglio, le angel scoppiarono in un pianto disperato e si abbracciarono, mentre Cabiria e Kabalè si girarono per non far vedere che nonostante tutto, anche loro avevano le guance rigate di lacrime. Gas invece sembrava una statua; era immobile e sembrava non aver realizzato appieno quello che era appena successo. I professori ci guardavano con gli occhi fuori dalle orbite per la disperazione.

Poi sentimmo sibili e svolazzi e ci voltammo appena in tempo per vedere le nostre mascotte atterrare ognuno fra le mani del suo proprietario. Vidi gli altri accigliarsi e in effetti era strano che non fossero nascosti nei loro oggetti, ma non me ne preoccupai; ormai niente mi sembrava importante.

Mi ricredetti solo quando le mascotte ci proiettarono nella mente ciò che non avremmo mai voluto vedere. Era lei; era Raf. Stava facendo la sua valigia con le lacrime agli occhi e, in quella visione, stava mettendo il suo computer portatile dentro al trolley. Poi lo richiuse, si voltò verso le mascotte e le abbracciò, sussurrando loro di dirci quanto ci volesse bene e quanto le costasse lasciarci. Le ragazze singhiozzavano sempre più forte. La visione per gli altri si interruppe, ma non per me; io vidi anche Raf chinarsi su basilisco e sussurrare un “ti amo” pieno di dolore e passione, quella stessa passione che ci aveva portato a unirci in camera mia quella stessa notte appena passata.

Quel “ti amo” mi fece più male di qualunque cosa scritta o detta da Raf finora. Come poteva avermi lasciato, se diceva di amarmi? Come poteva essersene andata se diceva di provare tutto questo amore per me?

Completamente distrutto appoggiai la schiena al muro della scuola e mi lasciai scivolare a terra completamente privo di forze. Era finita per sempre e, per quanto mi sforzassi, non riuscivo ad accettarlo.

«Sulfus perdonami se te lo chiedo», cominciò Arkhan con voce timorosa, come se avesse avuto paura di ferirmi; come se fosse stato possibile in quel momento, «non vorrei infierire ma dobbiamo sapere. Tu e Raf vi amate vero? Il vostro sentimento non era dovuto al ragno di Reina», mi disse e mi resi conto della gaffe fatta in precedenza; quando avevo sbraitato contro Gas, avevo accidentalmente rivelato cosa legava me e Raf.

Mi diedi dello stupido ma poi mi dissi che non aveva più importanza, considerato il fatto che ormai la mia angel del cuore se ne era andata, perciò sussurrai un doloroso «sì», ancora seduto a terra e abbandonato completamente al muro, come un guscio vuoto che non ha di che vivere; perché era proprio così che mi sentivo in quel momento.

«la ami davvero?», mi chiese la Temptel, fissandomi con occhi critico.

«sì», sussurrai di nuovo, più deciso però stavolta perché quello era un dato di fatto che non poteva essere cambiato.

I prof si guardarono e annuirono. Infine sorrisero verso di me, «sai lo sospettavamo», ci disse Arkhan, lasciandoci sbigottiti, «anche se siete sempre stati attenti a non farvi scoprire, abbiamo capito che qualcosa in voi due era cambiato. La luce nei vostri occhi era diversa, la luce che solo l’amore può portare. E abbiamo intuito che fra voi due non fosse finita come voi tutti volevate farci credere. E abbiamo deciso di lasciarvi fare; per una volta volevamo provare a fidarci di voi e non ci avete deluso».

Arkhan ci lasciò sbigottiti. Dovevo rivalutare il vecchietto e la nonnetta.

«ma non ha importanza ormai», asserii convinto, «lei se n’è andata e non tornerà più», dissi sconfitto e impotente. Solo pensarlo mi faceva male.

Improvvisamente sentii un sonoro schiocco e un bruciore sulla guancia. Alzai lo sguardo sbigottito e vidi che la Temptel, furiosa, mi aveva mollato uno schiaffo in pieno volto. «cazzo Sulfus ma che ti prende? Dov’è finito il devil che combatte per quello che vuole? Se la ami tanto come dici, allora alzati in piedi, valla a cercare e riportala qui», mi urlò furiosa.

Le sue parole mi lasciarono esterrefatto ma capii che aveva ragione. Illuminato da nuova determinazione, mi alzai e me ne convinsi; l’avrei riportata a casa.

«ragazze andiamo a cercarla», dissi alle altre e scattai. Rapidi ci alzammo in volo e, determinati come non mai ci disperdemmo nella città per ritrovare colei che era più importante di tutti.

 

POV RAF

Camminavo a testa bassa, sforzandomi di guardare dove andassi e fingendo di avere un’idea su cosa fare ora. Avevo pensato a tutto per organizzare la mia fuga dalla scuola, ma a quello che ci sarebbe stato dopo non avevo minimamente pensato. Insomma, dovevo allontanarmi da loro, questo era vero, ma non avevo la minima idea di come farlo. Non potevo certo andare raminga per il mondo, senza un mezzo di trasporto e con pochi soldi che prima o poi sarebbero finiti. Era una pazzia; dovevo trovare qualcosa, farmi venire un’idea.

Solo una parte del mio cervello era persa nelle sue elucubrazioni mentali; l’altra parte invece, si sforzava con tutte le sue forze di non pensare e di trattenere le lacrime perché, se avessi osato sciogliere la presa ferrea con cui mi trattenevo, non sarei più riuscita a frenarmi. Ma ero ancora vicina a loro, troppo vicina, e non potevo permettermi di abbassare la guardia finchè non fossi stata sicura che fossi stata abbastanza lontana perché non mi ritrovassero e mi riportassero indietro. Sapevo che era una possibilità reale e, benché sperassi con tutto il mio cuore che succedesse, sapevo anche che non sarebbe mai potuto accadere, altrimenti avrei messo in pericolo tutte le persone a cui tenevo di più, Sulfus in primis, e non potevo permetterlo.

Tuttavia l’amarezza, la tristezza e l’immenso dolore che provavo non accennavano a svanire, nonostante la consapevolezza di star facendo la cosa giusta le rendesse più sopportabili. Ogni tanto però, una lacrima scendeva, che spazzavo via rapida con la mano.

Mi stavo muovendo come un automa, senza neanche sapere dove stessi andando, finchè non trovai ciò che, inconsciamente, mi serviva; davanti a me, come un salvagente lanciato nel mare in tempesta che era la mia mente, si stagliava maestoso il cartellone pubblicitario del porto, che annunciava le migliori crociere prenotabili in tutta la regione, e i traghetti verso molte mete turistiche. Feci per andarmene, infondo avevo bisogno di restare lontana dalla gente, ma poi ci ripensai e capii che un luogo affollato era quello che faceva per me; tutti si sarebbero aspettati che, scappando, avrei prediletto i luoghi isolati per poter essere rintracciata meno facilmente. Per questo era più sensato pensare di andare in un posto molto trafficato, in cui mi sarei potuta anche confondere meglio. Nessuno penserebbe che avrei potuto prendere una decisione del genere, completamente contro la logica, per cui era ovvio che la mia seconda scelta sarebbe diventata la prima.

Ripresi a camminare in direzione del porto, fra le persone sempre più numerose che camminavano nelle strade. Avevo deciso di rimanere trasformata in terrena finchè non avessi trovato un modo per camuffare il mio potere angelico. Infatti, in forma sempiterna, le Alte sfere non ci avrebbero messo niente a rintracciare me  e il mio potere, in quanto la loro identità di sovrane del mondo angelico dava loro la capacità di trovare chiunque, dovunque e in qualunque momento. Perciò, a meno che non volessi farmi beccare subito, mi conveniva evitare di trasformarmi in sempiterna. Non potevo negare però, che una parte di me voleva che mi trasformassi, così avrei avuto la scusa per ritornare dagli altri, da tutti coloro che avevo lasciato. Avrei voluto con tutta me stessa ascoltare quella parte di me, per una volta, cedere alla tentazione e fare ciò che era meglio per me stessa e non per gli altri. Lo volevo, ma non potevo farlo: non potevo dimenticare le parole della neutra e non potevo permettere che a causa mia facessero del male ai miei amici, a Sulfus in particolare.

Sulfus… il ricordo della notte appena passata mi colpì con la forza di cento coltellate, ma vi erano anche calore e dolcezza, al ricordo delle sensazioni che lui mi aveva regalato: le sue mani che lasciavano scie roventi sulla mia pelle, la sua bocca avida che esplorava la mia e ogni centimetro del mio corpo, il suo petto premuto contro il mio, i suoi capelli fra le mie dita, il suo corpo dentro al mio e il piacere che mi stravolgeva da capo a piedi mentre si muoveva sinuoso e potente su di me, possedendomi..

Senza neanche accorgermene mi ero fermata e le lacrime che avevo tanto cercato di reprimere, ora uscivano copiose dai miei occhi; il dolore mi squarciava da capo a piedi, come se mille lame mi avessero trapassato il corpo e il cuore in un colpo solo. Era impossibile sopravvivere senza di lui, lo sapevo con certezza. E il peggio era che sapevo che avevo fatto tutto da sola, che ero stata io a prendere la decisione più terribile della mia vita, e perciò ero io stessa la fautrice del mio atroce dolore.

La mia mente, libera dai catenacci in cui la tenevo rinchiusa per evitare il dolore dei ricordi, fu libera di rievocare alla memoria cosa era successo questa notte, la notte più magica della mia vita.

Finimmo stesi sul suo letto, lui sopra di me, che mi baciava con passione, mentre le sue mani esploravano ogni centimetro del mio corpo coperto solo dalla camicetta e dall’intimo. Fece scivolare una mano lungo la mia gamba nuda, stringendo avido la pelle della mia coscia; gemetti per le scariche di piacere provocate da questo suo gesto, e lo strinsi di più a me, prima affondando le mani fra i suoi capelli e poi percorrendo con le dita e i palmi il suo torace muscoloso e perfetto. Sulfus rabbrividì sotto le mie carezze e io sospirai nel sentire la consistenza morbida e setosa e, allo stesso tempo, tonica e terribilmente eccitante dei suoi muscoli, che si contraevano di riflesso non appena li sfioravo.

Le sue mani, sempre più avide, strinsero i miei fianchi portandomi ad aderire al suo corpo e ad aprire le labbra sotto la pressione delle sue; la sua lingua si intrufolò nella mia bocca e giocò insieme alla mia, si rincorsero, si attorcigliarono, si cercarono, in una danza passionale che sembrava non finire mai. Io strinsi forte le braccia attorno al suo collo. Lo volevo, lo volevo con un’intensità tale che mi sembrava di impazzire.

Sentivo che ormai era stanco di sentire le nostre pelli separate l’una dall’altra per colpa della mia camicetta. Perciò, esasperato, cominciò rapidamente a sfilarmela, sfiorando la pelle del mio ventre e dei miei fianchi con le mani, scatenandomi dei brividi tali che temetti per un momento di essere sul punto di perdere la testa.

All’improvviso si fermò e, con un grande sforzo, vidi che era così, si alzò leggermente dal mio corpo, puntellandosi suoi gomiti, mettendo fine al contatto fra noi. Fu come se mi venisse strappata una parte di me; staccarmi da lui in quel momento, fu un dolore sia mentale che fisico. No!!! Urlò la mia mente; perché ti sei fermato? Continua ti prego, non smettere, imploravo fra me e me, il mio respiro veloce e irregolare; il mio desiderio era talmente potente che non sapevo cosa mi aveva impedito fino ad allora di saltargli addosso nel vero senso della parola.

Ormai in quella stanza non eravamo più una angel e un devil, ma solo un ragazzo e una ragazza che volevano amarsi quell’unica notte prima di venire separati per sempre; per questo motivo, la mia ragione era andata già da tempo a farsi una vacanza alle Bahamas per lasciare spazio all’istinto, un essere che non conosceva regole e che per me, in quel momento, trasudava lussuria da tutti i pori. Mi sarei fatta fare di tutto da lui quella notte, volevo che mi amasse fino a sfinirmi.

«Raf», mi bisbigliò con voce roca, che mi eccitò ancora di più, «sei sicura che questo è quello che vuoi? Dopo non si torna indietro e non voglio che tu non faccia niente di cui non sei certa».

Ma era pazzo? Pensava davvero che non lo volessi tanto quanto lui voleva me? E io, ovviamente ero andata fino in camera sua coperta solo dalla biancheria intima per fare quattro chiacchiere. No io volevo fare l’amore con lui sopra ogni altra cosa, e non mi sarei fatta certo sfuggire l’occasione.

Perciò annuii, «si Sulfus sono sicura. Non ho mai voluto qualcosa quanto ora voglio fare l’amore con te».

Lui trasalì e i suoi occhi passarono dal caldo e rassicurante color ambra a un cupo e eccitante color onice, probabilmente dovuto al desiderio e all’eccitazione. Annuì, negli occhi pura passione,  e mi sfilò rapidamente la camicetta, incollando di nuovo le sue labbra alle mie, e attirandomi nuovamente a se. Io sospirai di piacere quando sentii la sua pelle posarsi finalmente sulla mia. Il mio sospiro fu catturato dalle sue labbra, che avide esploravano le mie.

Era un bacio diverso da quelli che ci eravamo dati finora: era più passionale, più profondo, più avido, più smanioso… perché la sicurezza che ci davano i  nostri desideri e le nostre pulsioni ci avevano finalmente liberato di tutti i freni avuti fino ad allora.

Mi fissò negli occhi, con una luce dolce e al contempo maliziosa in essi, «io l’avevo detto che questo completo ti stava molto bene. Sei terribilmente sexy», mi disse percorrendo avido con gli occhi la mia figura, coperta solo dal completino-ino-ino che avevo comprato per l’occasione. Poi si avvicinò di nuovo alle mie labbra ma si fermò a pochi millimetri da esse. Il suo respiro, saturo del suo profumo, mi arrivò forte e potente sulle mie labbra aperte, che potevano quasi sentirne il sapore, annebbiandomi i sensi e acuendo, per quanto fosse possibile, il mio desiderio. «non oso pensare a cosa c’è sotto al completo ma credo che lo scoprirò presto», disse leccandosi avido le labbra.

Era possibile morire di autocombustione? Perché, se così fosse stato, a me restava ben poco da vivere. Voleva provocarmi? Bene, gli avrei reso pan per focaccia. «hmm», mugugnai senza dire niente e, quasi fosse un gesto casuale, cominciai ad accarezzargli il petto, con movimenti lenti e sensuali. Lui trasalì e i suoi occhi si ingrandirono ancora di più. Decisi che era ora di mostrargli che anch’io, nel gioco della seduzione, potevo condurre la partita. Perciò con le mani scesi più giù, fino ad arrivare ad accarezzargli il ventre e i suoi addominali, che sembravano scolpiti nella roccia. Sentirne la consistenza sotto le mani spedì la mia eccitazione a livelli mai visti. Il suo respiro era accelerato e aveva chiuso gli occhi per bearsi completamente delle mie audaci carezze. Ma non ero ancora soddisfatta; volevo vederlo completamente in mio potere. Perciò abbassai le carezze ulteriormente, percorrendo il suo basso ventre ma fermandomi ogni volta che entravo in contatto con l’elastico dei suoi boxer.

Adesso i suoi occhi erano spalancati e mi guardavano con la più eccitante delle espressioni che gli avessi mai visto, «Raf», sussurrò quasi senza fiato, «fossi in te non mi provocherei», mi disse cercando di suonare minaccioso, anche se in realtà suonò tutto tranne che quello. Io sorrisi, molto più che maliziosa, e non mi fermai. Stavo raggiungendo il mio scopo.

Al che lui sgranò prima gli occhi, sorpreso, e poi sorrise, perfidamente seducente, «l’hai voluto tu», mi sussurrò all’orecchio. Velocissimo mi prese i polsi con le mani e me li portò sopra la testa, bloccandomi anche con il peso del suo corpo. Sentivo la pelle bruciare a contatto con la sua, era come un fuoco che ardeva da dentro; ma non mi bruciava, anzi, mi riscaldava e mi faceva sentire come mai prima. Perché niente in quel momento, era più importante di noi due insieme.

Ghignando, si avvicinò col viso al mio ma all’ultimo momento, deviò verso il mio collo. Cominciò a baciarlo in modo lento, sensuale, assaporando la mia pelle. Mi scatenò brividi di piacere che si propagarono lungo il mio corpo, facendomi ansimare; chiusi gli occhi e gettai la testa all’indietro, dandogli libero accesso per continuare la sua dolce e, al contempo, terribilmente eccitante tortura. Di riflesso, come fosse stato automatico, allargai le gambe, permettendogli di sistemarsi meglio sul mio corpo. Le nostre intimità vennero a contatto e mi sfuggì un gridolino eccitato. Sulfus era… era… completamente eccitato! Sentivo la sua erezione premere sul mio ventre.

La sua tortura intanto continuava sul mio collo, ormai completamente arrossato dai suoi baci e dai morsi leggeri. Dopo aver esplorato ogni singolo centimetro di pelle delle mai gola, cominciò lentamente, a scendere verso la base del mio collo per poi proseguire lungo la mia spalla. Ormai le mie mani erano libere; le sue erano andate a stringermi a lui e ad accarezzare la mia schiena, soffermandosi spesso sul gancetto del reggiseno, perciò afferrai con decisione la sua nuca, affondando le dita fra i suoi capelli, e la premetti più forte contro la mia pelle.

Ormai ansimavo senza ritegno e sentii Sulfus ghignare soddisfatto sulla mia pelle. con le labbra abbassò la spallina destra del mio reggiseno e poi, segnando il percorso fra l’una e l’altra spalla con baci ben poco casti, abbassò anche la sinistra, facendomela scivolare lungo il braccio. Le sue mani, sempre sulla mia schiena, armeggiarono un po’ e, finalmente, il mio reggiseno di pizzo volò per la stanza e atterrò sul pavimento.. Sulfus fissò la mia figura, illuminata dalla luce lattea della luna che entrava debolmente dalla finestra, come incantato e all’improvviso mi prese la paura: e se non gli fossi piaciuta? Se non fossi stata abbastanza per lui? Dopotutto lui era perfetto mentre io…

Ma lui smentì subito ogni mia preoccupazione o timore. Si abbassò sulle mie labbra, dandomi un bacio dolcissimo e pieno d’amore, mentre le sue mani si perdevano lungo le curve del mio corpo, facendomi scappare ansiti eccitati che Sulfus catturò con la sua bocca.

Poi si staccò e mi fissò ardente negli occhi. «sei stupenda», mi sussurrò con uno sguardo che esprimeva tutto il desiderio e l’amore che lo avvolgevano in quel momento. Ritornò a tormentarmi il collo mentre una sua mano andava a chiudersi su un mio seno, massaggiandolo con movimenti lenti e circolari che mi fecero impazzire. Le mie mani vagavano libere sulla sua schiena, stringendo i muscoli tonici e guizzanti fra le dita; mi sembrava di massaggiare una statua di marmo caldo terribilmente eccitante.

Sulfus ricominciò a scendere con la sua bocca; superò la base del collo, scese sulla clavicola e, con baci e movimenti volutamente molto lenti, cominciò a passare le labbra sulla curva del mio seno. Il fuoco cominciò a divampare più feroce di prima, facendomi ansimare peggio di quanto non stessi già facendo. La sua esplorazione continuò implacabile e culminò sul mio capezzolo, ormai inturgidito a causa dell’eccitazione. Lo prese fra le sue labbra e lo succhiò, lo leccò, lo torturò, e io mi feci quasi scappare dei sonori gemiti.

Lui si fermò all’improvviso ma non alzò il viso, rimanendo chinato sul mio petto . «non trattenerti», mi sussurrò roco, con una voce sensuale che mi fece impazzire, «voglio sentirti», e ricominciò a baciarmi il capezzolo in maniera molto più ardente di prima, affondando il viso fra i miei seni; i miei ansiti e gemiti non si fecero attendere e ben presto la stanza ne fu satura. Dopo qualche minuto di quella tortura, decise di dare un po’ di attenzioni all’altro seno, già completamente esasperato dai suoi massaggi. Mi inarcai verso di lui, completamente in suo potere, offrendogli me stessa.

Sentivo che ormai Sulfus era al limite, percepivo la sua eccitazione appoggiata al mio ventre crescere sempre di più di minuto in minuto. Perciò decisi che ora di prendere un po’ in mano le redini del gioco.

Mentre continuava, avido, a baciarmi i seni, abbassai le mani facendole scivolare dalla sua schiena al suo petto, e cominciai lentamente e rifare lo stesso percorso che avevo fatto prima. Lui quasi non se ne accorse fino a che, raggiunta la linea dei boxer, non mi fermai e continuai il mio percorso. Accarezzando la stoffa leggera dei boxer, la mia mano entrò in contatto con la sua poderosa erezione. Non avevo mai fatto una cosa del genere e visto che era molto imbarazzante, per un attimo il mio lato pudico da angel si fece sentire. Esitai un momento, ma subito la mia parte irrazionale riprese il controllo di me stessa.

Attraverso la stoffa strinsi la presa sul suo membro e lui si lasciò scappare un gemito sorpreso ed eccitato, denso di piacere; alzò la testa dal mio petto e mi fissò con occhi di fuoco. Cominciai ad accarezzarlo lentamente e fu Sulfus, questa volta, ad ansimare con forza. «Raf…», ebbe a malapena la forza di dire, prima che decidessi di intrufolare la mia mano dentro i boxer per venire a contatto direttamente con lui. Questa volta lo sentii crescere direttamente sotto le mie mani e lui emise dei sonori gemiti che invece di imbarazzarmi, mi eccitarono ancora di più. La sensazione di potere derivante dal fatto che ero consapevole di avere del controllo su di lui, mi rese audace; perciò con l’altra mano, mentre massaggiavo il suo membro con sempre più energia, tolsi i suoi boxer, e lui rimase nudo davanti a me, anzi sopra di me. Non avevo mai visto niente di più bello in tutta la mia vita. Persa nel mio momento di contemplazione avevo interrotto la mia opera, e Sulfus ne approfittò subito. Mi afferrò le mani per immobilizzarmele, «se continui così, rischio di avere ben presto sulla testa una condanna per averti fatto violenza», mi sussurrò quasi senza fiato e a voce bassa e praticamente inesistente.

«chi ti dice che io non abbia voglia di sentirmi tua?», gli chiesi io, completamente assuefatta dalla sua presenza e completamente eccitata al solo pensiero di ciò che stava per succedere.

«uhm», mi disse lui, baciandomi il lobo, «una angel non dovrebbe mai pensare certe cose», proferì, tanto ormai sarcasmo e malizia correvano fra di noi a ruota libera.

«ma io questa sera non sono una angel, come tu non sei un devil», gli spiegai io, «siamo solo Sulfus e Raf». E lo baciai dolcemente.

«solo Sulfus e Raf», ripeté con tenerezza, baciandomi e ritornando ad aderire col suo corpo al mio. Sentii la sua erezione premere direttamente sul mio ventre e mi scappò un gemito. Ormai completamente persa, allacciai le gambe intorno al suo bacino, attirandolo di più a me. La sua mano scattò in risposta, e mi arpionò con forza e passione la coscia sinistra; ansimai con forza, i miei sospiri catturati dalle sue labbra. I nostri corpi aderivano perfettamente l’uno all’altro, come fossero stati creati apposta per questo e io, intimamente, gongolai di soddisfazione; era la prova definitiva che eravamo perfetti per stare insieme, nonostante le diversità.

Per le terza volta, Sulfus cominciò a scendere con le sue labbra lungo il mio collo, proseguendo poi attraverso la cavità fra i miei seni; con mia sorpresa non si fermò e cominciò a delineare il profilo del mio ventre, giocando con la punta della lingua col mio ombelico. Dopo un attimo ricominciò a scendere,  e arrivò fino all’elastico delle mie mutandine, ormai l’unico ostacolo che ci impediva di diventare una cosa sola. Le sensazioni che stavo provando mi stavano facendo impazzire: sentivo un calore tale al basso ventre che avrei voluto dimenarmi come una pazza.

Dopo avermi torturato per un po’, percorrendo con le labbra la linea di pelle vicino all’elastico, fece una cosa che mi eccitò dieci volte di più di tutto quello che aveva fatto quella sera; prese fra i denti l’elastico degli slip e lo tirò, lasciandomi nuda di fronte a lui.

Ritornò con le labbra sulle mie. «sei la creatura più bella e più pura che io abbia mai visto», mi sussurrò lui dolcemente, «almeno, era quello che credevo fino a stasera», ridacchiò malizioso.

Ridacchiai a mia volta e lo attirai nuovamente a me, facendo incollare le nostre labbra e stringendo di più la presa delle mie gambe, che lui strinse con avidità.

Una delle sue mani, mentre l’altra mi cingeva la vita per stringermi a lui, con una carezza audace scese fra le mie gambe, sfiorando la mia intimità. Sensibile com’ero in quel momento, quella semplice carezza mi provocò un piacere tale che fui costretta a staccarmi da Sulfus per riprendere fiato, gemendo con forza il suo nome. Lui non abbandonò la mia pelle e riprese a torturarmi il collo. Poi le sue dita, fattesi più audaci, andarono a stuzzicare il mio centro, provocandomi delle scariche di piacere incredibilmente intense, come non credevo di poter provare. Mi contorsi sotto le sue mani, completamente frastornata da quelle fortissime sensazioni. E quando le labbra di Sulfus sostituirono le dita, persi completamente il lume della ragione, annegando nel piacere che mi provocavano le sue labbra e la sua lingua a contatto con la mia femminilità.

Ansimavo, gemevo e mi inarcavo, completamente succube di lui che mi sfiorava. «Sulfus», riuscii a dire fra i gemiti e gli ansiti, «io… sto per…», ma fui costretta a interrompermi per una scarica di piacere più potente delle altre; questa volta cacciai fuori un urlo soffocato. Riuscii a finire di parlare non senza difficoltà, «ti prego… non… resisto più».

La tensione sessuale che si era creata fra noi, non solo durante la serata ma anche negli ultimi giorni, aveva ormai raggiunto il limite, sia per me che per lui; avevamo bisogno di sentirci uniti. E non per un semplice fatto di desiderio, volevamo sentirci l’uno parte dell’altro, due metà di un intero che, separate, non sarebbero mai potute sopravvivere. Era una questione di esistenza, di volermi sentire sua e di volerlo sentire mio, di appartenerci in modo definitivo e permanente, un legame indissolubile che ci avrebbe unito per l’eternità nonostante la distanza il tempo e il dolore.

Sulfus si sistemò meglio su di me, facendo combaciare i nostri bacini, e mi guardò amorevolmente negli occhi. «farò piano te lo prometto», mi sussurrò premuroso all’orecchio, dandomi un dolce bacio di rassicurazione. Ecco perché l’amavo: si preoccupava sempre prima per me che per se stesso. Gli accarezzai dolcemente il volto, in un gesto di assenso che non rivelava nessuna insicurezza o indecisione.

Guardandomi negli occhi, lo sentii entrare dentro di me, lentamente per non farmi sentire dolore. Tuttavia sentii un forte bruciare, segno che avevo perso la verginità. Mi irrigidii istintivamente e non potei impedire che una lacrima sfuggisse dai miei occhi.

Sulfus si immobilizzò all’istante, «ti sto facendo male», mi disse angosciato. Non era una domanda.

Scossi la testa, cercando di nasconderlo. «no», ansimai, «devo solo abituarmi».

Lui mi baciò la guancia, scacciando via la lacrima con le labbra, e poi mi baciò dolcemente per rassicurarmi. Io, siccome il dolore era passato, azzardai qualche movimento, a cui Sulfus rispose, incoraggiato. Altro che dolore! Cominciai a sentire un dolce languore propagarsi in tutto il mio corpo a partire dal basso ventre, ma volevo ancora di più. Ansimando sempre più velocemente, io e Sulfus aumentammo contemporaneamente le spinte, come se ci fossimo messi d’accordo.

Incollammo le nostre labbra, spinti da un disperato bisogno di appartenerci, i nostri corpi praticamente saldati l’uno all’altro, le mie mani fra i suoi capelli, le sue sui miei fianchi; le mie gambe spinsero di più il suo bacino contro il mio, acutizzando ancora di più il piacere di entrambi.

Le scariche elettriche che si propagavano lungo il mio corpo erano diventate potentissime e ormai non riuscivo più a rimanere attaccata alle labbra di Sulfus senza andare in carenza d’ossigeno. Ci staccammo, facendo combaciare le nostre fronti, ansimando e gemendo i nostri nomi l’uno sulle labbra dell’altro. Il momento di massimo piacere stava ormai arrivando e le spinte si fecero veloci e incalzanti, dettate dalla passione e dal piacere sempre più intensi. Sentivo milioni di brividi propagarsi dal mio basso ventre in tutto il mio corpo, che mi fecero contorcere e inarcare sotto le mani di Sulfus. Mi sembrava di avere mille farfalle nello stomaco che facevano a pugni fra loro, ma senza farmi male; al contrario, mi stavano mandando fuori di testa.

Il piacere diventava sempre più forte e intenso e Sulfus afferrò di scatto i miei glutei, affondando così le nostre spinte e aumentando il nostro appagamento, facendo un altro passo verso l’apice. Le sue labbra andarono di nuovo sui miei seni e i miei gemiti si trasformarono in urli, che molto spesso erano suppliche perché lui non si fermasse.

Decisi di passare in posizione di comando; con un rapido movimento di bacino invertii le nostre posizioni cosicché lui si ritrovò sotto di me. Incollai le mie labbra alle sue, abbassandomi sul suo petto e muovendomi veloce e sicura su di lui. Sulfus strinse la presa sui miei glutei, facendomi inarcare all’indietro; ne approfittò per baciarmi il ventre, scatenandomi dei brividi che si aggiunsero a quelli che stavano già operando.

Le scosse cominciarono a farsi più forti e frequenti e l’apice arrivò. Venimmo insieme, urlando l’uno i nomi dell’altro. Mi accasciai ansante sul suo petto, mentre le sue braccia mi avvolgevano e mi stringevano al suo torace; sentivo sotto il mio orecchio il battito del suo cuore e il suo respiro affannato che per me erano come musica.

Ma non ero soddisfatta, non ne avevo ancora abbastanza di lui; non ero ancora sazia della sua pelle, del suo profumo, del suo piacere. Ricominciai a baciargli il petto, tracciando con la lingua il segno dei suoi pettorali e addominali. Lui quasi ringhiò e, arpionando i miei fianchi e ribaltando le posizioni, entrò in me con passione facendomi urlare di piacere. La nostra danza ricominciò, stavolta molto più lussuriosa di prima, e venimmo di nuovo rapidamente, lui arpionando le mie cosce.

Sulfus si accasciò su di me e mi diede un dolcissimo bacio, accarezzandomi tenero la schiena. Si voltò e mi fece accoccolare sul suo petto; non lo feci uscire da me, mi piaceva la sensazione di averlo mio.

«dio Raf», mi disse lui roco all’orecchio, «che sensazione», sospirò di felicità, stringendomi di più a se. Ricambiai la stretta, affondando il viso nel suo petto e ascoltando il battito del suo cuore.

Eravamo completamente rilassati, i nostri corpi si modellavano fra loro perfettamente e i nostri cuori battevano praticamente all’unisono. Non ci restava niente da dire, era tutto lì, fra noi, in quell’abbraccio dolce e allo stesso tempo possessivo.

All’improvviso mi venne in mente una cosa assurda che mi fece ridacchiare.

«cosa c’è di divertente?», mi chiese interrogativo Sulfus. Io alzai la testa e lo abbracciai all’altezza del collo, stendendomi completamente su di lui.

«stavo solo pensando una cosa», gli dissi ancora divertita, «chissà cosa direbbero gli angeli se scoprissero che un malvagio devil ha rubato la virtù di una povera e ingenua angel». Lo baciai in maniera scherzosa ed entrambi scoppiammo a ridere.

Poi ribaltò le posizioni e mi strinse di più a se, baciandomi dolcemente. «E chissà cosa direbbero i diavoli se scoprissero che un’astuta e calcolatrice angel ha rubato la virtù di un focoso devil», mi disse scherzoso.

Mi pietrificai e lo guardai con gli occhi fuori dalle orbite; che aveva detto?! Che aveva perso la sua virtù con me? Ma allora, questo significava che…

«Raf stai bene?», mi chiese Sulfus preoccupato, visto che non aprivo bocca, «ho detto qualcosa di sbagliato?».

«Sulfus tu sei, cioè eri…», non riuscii a finire, a dire quella parola, tanta era l’emozione del momento; non potevo credere che Sulfus non si fosse mai lasciato andare con una ragazza. Era risaputo che i devil perdevano la verginità durante lo stage, per loro era un rito, come passare all’età adulta.

«vergine», terminò lui per me, guardandomi negli occhi con dolcezza infinita, «lo so quello che pensi Raf, ma ti assicuro che stai pensando male. Non avrei mai potuto tradirti, perché per me che eri nel mio cuore sarebbe stato un vero e proprio tradimento», mi disse gli occhi fieri fissi nei miei, «e per questo ti ho aspettata Raf. Non avrei potuto fare diversamente». E mi baciò con una dolcezza tale che mi sciolsi letteralmente sotto il suo tocco.

Lacrime di felicità mi scivolarono sul viso al pensiero di quanto Sulfus avesse saputo essere dolce e attento verso di me. Mi asciugò le lacrime dalle guance con teneri e casti baci poi si stese al mio fianco e mi attirò a se, facendomi stendere e accoccolare sul suo petto. «ti amo Sulfus». Lo sentii sorridere e baciarmi i capelli. «ti amo Raf». Poi mi sussurrò all’orecchio, «ora dormi amore mio».

Stretti l’una all’altro, stesa sul suo petto roccioso e fresco, ben presto ci rilassammo e stanchi, felici e appagati ci abbandonammo al sonno l’uno fra le braccia dell’altra.

Riemersi da quel fantastico ricordo, il dolore che mi attanagliava il petto e le lacrime che scorrevano copiose lungo il mio viso. Nonostante la dolcezza che quel ricordo mi trasmetteva, sentivo anche il profondo dolore dell’abbandono che mi attanagliava freddo e spietato il cuore. Perché i ricordi, per quanto fossero piacevoli, mi ricordavano non solo i bei momenti ma anche cosa avevo perso, a cosa avevo rinunciato per sempre. E quel momento in particolare, rappresentava sia il massimo della felicità che avevo raggiunto ma anche il massimo dolore che potevo provare se lo rivivevo.

Le lacrime scorrevano copiose e bollenti lungo il mio viso, ma non riuscivano a riscaldare il mio corpo ormai completamente immerso nel gelo della disperazione. Le mani mi tremavano incontrollabili e stavo facendo un grande sforzo per non mettermi a urlare in quel momento dal dolore.

«signorina, signorina si sente bene?», la voce ruvida di un uomo mi riportò alla realtà. Mi voltai e vidi un signore anziano che mi fissava con aria preoccupata mentre studiava le lacrime che mi scendevano dal viso.

«si, non si preoccupi sto bene», dissi con voce rotta e spazzandomi via le lacrime dalle guance con dei rapidi gesti delle mani.

Lui sorrise comprensivo, «problemi di cuore vero?», mi disse indovinando all’istante il motivo che mi scatenava il mio stato d’animo così doloroso.

Sospirai e annuii, «si devo andarmene dalla città per proteggere il mio ragazzo. Potrebbero ucciderlo se restassi», confessai, abbassando la guardia. Almeno con quel signore potevo parlare, tanto lui non essendo coinvolto, non avrebbe corso nessun pericolo ne avrebbe detto qualcosa a nessuno.

Lui trasalì alla mia affermazione, «ha pensato di andare alla polizia? Così avrebbe della protezione», mi disse con faccia preoccupata.

«no, non posso farlo. Non voglio mettere le persone a cui tengo in pericolo più di quanto già non lo siano», ribattei, completamente distrutta dalle mie affermazioni, nonostante fossero veritiere.

«faccia quello che vuole signorina, ma ascolti il mio consiglio; nessuno può risolvere i suoi problemi da solo, si ha sempre bisogno di un aiuto, perché se portati da soli, alla fine i problemi ti schiacciano», e detto questo mi sorrise e si incamminò, senza darmi la possibilità di salutarlo, «buona fortuna signorina, spero che riuscirà a risolvere i suoi problemi».

Gli feci un sorriso riconoscente mentre si allontanava, mentre le sue parole continuavano a rimbombarmi nella testa; che voleva dire che avevo bisogno di aiuto? Che forse dovevo contattare qualcuno di fidato che mi aiutasse a portare a termine il mio compito? No era fuori discussione; ci ero già dentro fino al collo, non potevo permettere che qualcun altro ci rimettesse per causa mia. E poi chi avrei potuto chiamare? Le uniche persone di cui mi fidavo ciecamente erano anche quelle persone che non dovevano assolutamente venire a sapere della mia situazione. Sì forse in altre circostanze avrei seguito il suo consiglio ma non in questo caso.

Un enorme e improvviso boato mi distolse dalle mie riflessioni. Mi voltai sbigottita e mi resi conto con orrore che una colonna di fumo si alzava dalla scuola; mio dio, avevano scoperto che me ne ero andata. All’istante, nel mio cuore, seppi chi aveva scatenato quella terribile esplosione; poteva essere stato solo Sulfus, evidentemente, per colpa della rabbia, aveva perso il controllo dei suoi poteri.

Mi portai una mano alla bocca, mentre altre lacrime scendevano copiose lungo le mie guance. Una fitta di dolore straziante mi squarciò il petto in due e fui costretta a piegarmi leggermente su me stessa per attutire il dolore. Non avevo mai provato qualcosa di così straziante in tutta la mia vita. In quel momento pensavo solo una cosa: “Sulfus perdonami, se puoi…”.

Mi riscossi quando mi resi conto che non potevo indugiare; se avevano scoperto la mia fuga, conoscendoli, non ci avrebbero messo molto per decidere di venire a cercarmi. E se volevo andarmene dovevo fare molto in fretta.

Mi voltai, il trolley in una mano, e cominciai a correre in direzione del porto. Prendere un taxi non sarebbe servito; la via principale della città, che purtroppo era anche quella che portava al porto, era completamente imbottigliata in un ingorgo a causa di un incidente. Di conseguenza avrei fatto molto prima a piedi che non in taxi. Il problema era che io ero a piedi mentre gli altri avevano le ali visto che io per il momento non mi potevo ritrasformare in sempiterna.

Continuavo a correre fra le persone che camminavano, ignorando gli sguardi che mi lanciavano; ero stanca, le gambe cominciavano a farmi male, ma non potevo mollare proprio in quel momento che ero a un passo dal mettere la distanza necessaria fra me e i miei amici.

Finalmente riuscii a vedere le indicazioni del porto. Tirai un sospiro di sollievo e sperai che ci fossero navi in partenza. Entrai, col fiatone, nell’agenzia viaggi proprio di fianco ai moli. Il ragazzo che stava al bancone mi guardò stralunato, probabilmente per il fatto che stavo per avere un attacco di cuore e avevo le guance praticamente in fiamme.  

«sì? Desidera qualcosa?», mi chiese con un cipiglio preoccupato sul viso, forse perché temeva che potessi svenire da un momento all’altro.

«ci sono navi in partenza da qui a pochi minuti?», gli chiesi io, sedendomi e cercando di recuperare fiato dopo quella folle corsa.

Lui si chinò sul computer e smanettò un po’, probabilmente  stava cercando nei database delle agenzie che facevano partire le loro navi dal porto.

«c’è n’è una che parte fra venti minuti. È diretta ad Atene, è una nave da crociera dopo farà altre tappe. Desidera un biglietto d’imbarco?», mi chiese lui gentile. Perfetto era la mia occasione, così avrei potuto girare per l’Europa e lasciare delle tracce false di depistaggio.

«no», negai scuotendo la testa, «a dir la verità a me servirebbe un imbarco come staff. Ho bisogno di un lavoro e, sa, mi è sempre piaciuto viaggiare. Così ho pensato, perché non imbarcarmi? Concilierei l’utile al dilettevole», gli dissi io guardandolo maliziosamente, almeno speravo. Accavallai le gambe in modo seducente e lui deglutì rumorosamente. Puntavo a una specie di seduzione; non avendo ancora documenti falsi con me, se me li avesse chiesti non avrei potuto fare niente. Se invece veniva distratto da altro, avrebbe potuto passare sopra alle regole per aiutare una bella ragazza.

«ehm, sì un momento prego», disse lui rosso come un pomodoro e balbettando in maniera sconnessa. Dentro di me esultai; stava funzionando. Certo se avessi avuto il potere di leggere nel pensiero avrei fatto molto prima. Avrei potuto puntare direttamente sui suoi punti deboli per addolcirlo, mentre così dovevo andare alla cieca.

«c’è giusto un posto come cameriera nel ristorante della nave. Posso farle avere immediatamente la carta di lavoro per l’imbarco», mi disse sorridendomi in maniera viscida. Mi provocò un brivido; erano uomini con cui detestavo avere a cha fare, che pensavano solo a portarsi a letto la prima ragazza carina che trovavano.

Tuttavia mi sforzai di sorridergli, «grazie lei è molto gentile», dissi chinandomi in avanti e poggiando il viso su una mano, che era sorretta dal gomito appoggiato al tavolo. Con questa mossa mi guadagnai una sua bella occhiatina al mio seno; mi sarebbe piaciuto molto in quel momento tirargli una manata in faccia.

Subito mi stampò i documenti necessari e me li porse. Io lo ringraziai e uscii, sospirando di sollievo, sia perché non ne potevo più di quel ragazzo sia perché il mio piano aveva funzionato e non mi aveva chiesto i documenti. Era una cosa a cui avevo intenzione di rimediare al più presto, visto che ero più che sicura che ci fosse un incantesimo fra i numerosi file del disco che avevo rubato, che mi permettesse di falsificare gli oggetti.

Uscii e, guardando verso il cielo mi pietrificai; svolazzanti, sopra le macchine che si stavano mettendo in coda per salire sulle altre navi in partenza di lì a qualche ora, c’erano Sulfus e Uriè, che stavano perlustrando le macchine sicuramente alla mia ricerca. Mi erano talmente vicini che li potevo sentire mentre parlavano.

«Sulfus, hai visto qualcosa?», gli urlò la mia migliore amica per sovrastare il frastuono delle macchine.

«no, niente, non ho visto niente maledizione!», urlò Sulfus con una rabbia tale nella voce che mi uccise sentirla. Perché quella rabbia era tutta rivolta a me; sapevo che sarebbe successo ma fra immaginarla e sentirla c’era una distanza di anni luce, perché sentirglielo dire mi aveva fatto milioni di volte più male che immaginarmelo. E sapevo anche che quella rabbia e il dolore per la nostra lontananza avrebbero finito per trasformare il suo amore in odio. E questa era la consapevolezza che faceva più male, nonostante lo avessi pregato io stessa nella lettera di rifarsi una vita.

Mi voltai lentamente, dando loro le spalle e mi calcai in testa il cappuccio della felpa, in modo che non un solo capello o spiraglio del mio viso ne uscisse. Cominciai a camminare a passo spedito verso l’imbarco per il personale, ma senza correre per evitare di attirare la loro attenzione. Speravo solo che non riconoscessero il mio trolley, altrimenti sarebbe stato un bel guaio.

Mi mischiai alle persone che si avviavano agli imbarchi, sperando che così non mi avrebbero notato. Notai il cartello che indicava l’imbarco per il personale alla mia destra, perciò fui costretta a lasciare la folla per recarmi all’imbarco, meno frequentato, per il personale.

All’improvviso sentii dietro di me, mentre stavo per entrare nell’edificio dove si trovava il gate, quello che speravo, al contempo, di sentire e di non udire mai.

«Sulfus, guarda! Quello non è il suo trolley?», urlò Uriè sopra il frastuono delle macchine per farsi capire. La sentii anche io e sudai freddo; era più che chiaro che si stavano riferendo a me.

Perciò, con finta naturalezza, aprii la porta e me la richiusi dietro. Lo spostamento d’aria mi fece volare via il cappuccio dalla testa e i miei lunghi capelli biondi mi ricaddero liberi sulla schiena. Oh cavolo! Imprecai fra me  e me.

La porta non aveva fatto in tempo a finire il movimento che io ero già scattata lungo il corridoio, schizzando fra gli altri addetti che si stavano per imbarcare, superando quanti più ne potevo prima di arrivare al gate. Non sapevo quanto distavano da me e se mi stavano inseguendo e non potevo certo voltarmi a controllare, altrimenti sarebbe stato lampante che la ragazza mascherata ero io.

Per una volta la fortuna fu dalla mia parte; quando arrivai non c’era nessuno in fila, perciò fui libera di consegnare i documenti alla guardia che stava di controllo all’imbarco, che mi fissava confusa poiché io continuavo sempre a guardarmi alle spalle e a scrutarmi intorno.

E all’improvviso li vidi sbucare dall’angolo che svolazzavano cercandomi. Fortunatamente non mi avevano ancora notato, perciò recuperai i documenti, che avevano superato il controllo, e, senza farmi notare da quei due, infilai il corridoio che portava alla nave.

Però feci in tempo a udire una frase di Sulfus, che mi spezzò il cuore, «mi ero quasi illuso di averla trovata. Mi era parso di vedere proprio i suoi capelli biondi…», disse con voce rotta, le lacrime parte di essa. Mi bloccai stupita in mezzo al corridoio; non l’avevo mai sentito piangere, per un devil era considerata un’ignominia. Dovevo averlo ferito in maniera irreparabile se lo avevo spinto a fare una cosa del genere.

Strinsi le mani talmente forte da conficcarmi le unghie nella carne, pur di resistere al disperato bisogno che sentivo di tornare indietro e buttarmi fra le sue braccia forti che sapevano di casa, di amore e protezione. Con passi strascicati mi incamminai lungo la passerella, cercando di combattere col mio corpo che voleva disperatamente voltarsi e tornare nell’unico luogo che sapeva di casa.

Arrivai alla porta che conduceva nella stiva; mi fermai, il cuore in gola e le lacrime agli occhi, conscia che se avessi attraversato quella porta, nulla sarebbe stato più come prima. Esitai, il dolore che mi attanagliava il respiro, e mi voltai indietro, verso la strada che mi indicavano i sentimenti e poi guardai la porta, la strada che mi indicava la mia testa. E alla fine, soppesando tutto, feci la scelta che sapevo essere giusta.

Entrai nella nave, segnando il mio destino. Ormai non si tornava indietro, non che io, a quel punto, avessi voluto farlo. Cercai, senza successo, di reprimere le lacrime che avevano ripreso a scorrere lungo il mio viso.

Una volta entrata, mi trovai di fronte una donna dai capelli scuri e dal viso materno ed estremamente dolce, che mi chiese i documenti. Dopo averli esaminati me li restituì.

«sai generalmente non abbiamo tante donne a bordo, sono principalmente uomini, ma per le poche donne che ci sono, visto che non c’è la sezione donne nei dormitori, le facciamo dormire nelle cabine inutilizzate destinate ai passeggeri. La tua è la duecentosessanta, con vista sull’oceano», mi disse, e mi guardò per la prima volta in faccia. Trasalì alla vista del mio viso deformato dal dolore e solcato dalle lacrime. «oddio, ma che ti è successo? Stai bene?», mi chiese con fare apprensivo.

Tirai su col naso e mi pulii il viso con le mani, «si tranquilla sto bene. Solo… ho dovuto lasciare delle persone a cui tenevo». Ripensai alla voce piena di rabbia di Sulfus e a quella disperata di Uriè e mi sembrò di morire dal dolore. Sapevo che se mai fossi tornata, per loro sarei stata un’estranea, se non peggio; sarei stata qualcuno che li aveva traditi, non importava per quale motivo l’avessi fatto, neanche per salvare loro la vita. Mi avrebbero odiato e l’avevo accettato quando avevo deciso di andarmene; sapevo che sarebbe stata una conseguenza inevitabile.

La  donna mi fissò comprensiva e impietosita ed ebbe abbastanza tatto da decidere di non andare oltre.

«teoricamente dovresti cominciare stasera, vuoi che chieda una proroga per farti un attimo riprendere?», mi chiese premurosa, il viso una maschera di dolcezza che accentuava la sua aria da mamma vissuta e comprensiva.

«no, anzi, un po’ di lavoro mi servirà per tenere la mente occupata e non pensarci», le dissi, cercando di essere il più serena possibile.

«ok tesoro allora alle otto e mezza al ristorante per ritirare la divisa, il turno comincia alle nove», mi disse continuando a guardarmi preoccupata, probabilmente temeva che avrei potuto avere una nuova crisi di pianto da un momento all’altro.

Mi diede le indicazioni per raggiungere la mia cabina e mi avviai. Mi guardai intorno, cercando di memorizzare la strada e mi resi conto che doveva essere una nave di lusso. Poi mi accorsi del marchio riportato sui miei documenti d’imbarco e mi resi conto che questa era un “costa crociera”. Cavolo, non potevo trovarne una migliore.

Seguendo le indicazioni arrivai alla mia cabina, che si trovava sulla poppa della nave. Con la chiave che mi aveva dato quella donna prima di congedarmi aprii e mi trovai davanti una reggia; un grande letto a due piazze si trovava sul lato sinistro della stanza, incastrato nell’angolo fra il muro e la porta finestra che si apriva su un balconcino che dava sulla poppa della nave. C’erano anche un comodino di fianco al letto con una lampada e un cordless, un gigantesco armadio, una tivù a schermo piatto sulla parete opposta posta sopra a un comodino su cui spiccava anche il decoder di Sky e un lettore dvd; di fianco all’entrata, sulla destra, c’era una scrivania di legno lucido e, per chiudere in bellezza, c’era un’altra porta che dava sicuramente sul bagno privato della camera. Me ne avevano data una magica.

Sospirai di contentezza, almeno avrei potuto avere un luogo tranquillo dove stare un po’ da sola. Sistemai il trolley di fianco all’armadio e mi buttai di schiena sul letto, stanca come non lo ero mai stata in tutta la mia vita, anche se la mia era una stanchezza più di tipo psicologico che fisico. Quel giorno avevo dovuto affrontare la prova più difficile della mia vita.

Mi accorsi che ci stavamo muovendo; col pensiero, mentre insieme alla nave mi allontanavo dalla mia anima, ripensai a Sulfus che, la fuori, mi stava certamente cercando. Mi alzai di scatto e andai sul balcone per prendere una boccata d’aria. Non eravamo ancora usciti completamente dal porto. E fu in quel momento che un urlo disumano e pieno di dolore mi arrivò alle orecchie trasportato dal vento.

«RAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAF!!!». Sapevo a chi apparteneva quella voce; Sulfus stava gridando tutto il suo dolore al vento, che lo aveva trasportato fino a me. Mi accasciai sul parapetto del balconcino e piansi lacrime amare; perché in quel momento ero sicura che, nonostante nella lettera glielo avessi ribadito, Sulfus era convinto che io non l’amassi, o peggio, che non l’avessi mai amato, che mi fossi solo presa gioco di lui. Già una volta l’aveva pensato, avrebbe potuto farlo di nuovo.

No, pensai decisa fra me e me. Non finirà così; se io me ne andrò, lo farò con la consapevolezza che lui sa che lo amo. Perciò mi alzai, presi un bel respiro e urlai, «SULFUS!!! TI AMOOOOOOOOOOOOOO!!!». Mi lasciai scivolare senza fiato fino a terra, appoggiata al balcone e mi rannicchiai con le ginocchia tirate al petto, premendo il viso fra le mie ginocchia e ricominciando a piangere.

Pregai nel mio cuore che il vento gli avesse portato il mio messaggio di amore eterno e che lui ci avesse creduto. Lo so, era da egoisti cercare un legame che non avrebbe avuto ragione di esistere, ma senza questa sicurezza non ce l’avrei mai fatta ad andare avanti, sarei morta di dolore molto prima.

Presi il cuore che mi aveva regalato Sulfus in mano e lo fissai. Mi chiesi cosa sarebbe successo se invece di salire sulla nave, avessi deciso di prendere l’altra strada quella che mi avrebbe riportato da colui che amavo; ma ormai era troppo tardi per ripensarci e i se e i ma non mi avrebbero condotta da nessuna parte. Ora dovevo solo concentrarmi sulla mia missione, non farmi trovare e trovare il modo di debellare la minaccia incombente di Reina.

Mi alzai e mi stesi sul letto, avevo bisogno di fare un sonnellino prima di andare al lavoro. Presi la sveglia e la puntai per le sei, così mi sarei svegliata in tempo per una bella doccia. Mi stesi sul letto, stringendo il cuore fra le mani come un talismano contro il dolore e mi addormentai, pensando di nuovo a Sulfus e a quella strada che poco prima mi ero rifiutata di prendere. Non sapevo ancora quanto avrei fatto meglio a decidere di imboccarla.

 

NARRATORE: l’uomo si accasciò sfinito sulla bacinella colma d’acqua nella quale era riuscito a divinare, anche se per poco, Raf. Rintracciare un angelo o un diavolo in forma terrena era molto difficile; richiedeva un’enorme quantità di energia visto che il loro potere era nascosto per via della trasformazione.

Tuttavia, anche se a spezzoni, era riuscito a vedere quanto bastava per sapere dove si trovava Raf in quel momento, o almeno dove stava andando, in modo che la aspettasse per tenderle una trappola. Sarebbe stata sua, a qualsiasi costo.

Uscì dalla casa diroccata nella quale andava per compiere le sue magie più difficili e i suoi incantesimi più complicati, montò a cavallo e, ben imbacuccato per via della tormenta che impazzava sulla landa ghiacciata, si lanciò al galoppo. In dieci minuti di viaggio arrivò alla sua meta; un imponente castello, che sorgeva nel cuore di quel luogo dimenticato da dio. Quando si avvicinò le guardie, esseri reietti come lui che erano sotto il suo comando, si misero sul chi va la e gli intimarono di farsi riconoscere. Non appena si resero conto di chi avevano davanti, si inchinarono e si affrettarono ad abbassare il ponte levatoio sul profondo fossato che circondava le mura.

Dentro al castello, i servi lo aiutarono a smontare e gli presero il cavallo. Lui si avviò per i corridoi, mentre le guardie si inchinavano al suo passaggio, mormorando un devoto «mio signore». Gli piaceva il modo in cui suonava, così denso di devozione e rispetto ma venato anche di una punta di timore che faceva dei suoi uomini dei fedelissimi soldati. Ghignò soddisfatto, pensando a quanti uomini si erano uniti alla sua causa in così poco tempo.

Entrò nella sua sala del trono, dal quale impartiva gli ordini. Si sedette sul trono.

«ebbene? La missione?», chiese al soldato prostrato davanti a lui, il generale Lutalo, comandante delle sue truppe da combattimento.

«purtroppo il preavviso è stato troppo poco per riuscire a intercettare la angel ma, scrutando nelle menti degli abitanti, abbiamo trovato un indizio».

Fece un cenno con la mano e due soldati entrarono portando a braccia un vecchio, reso irriconoscibile dal volto tumefatto a causa delle percosse subite. Lui si alzò dal trono e gli si avvicinò, una luce minacciosa negli occhi.

«allora vecchio dov’è quella ragazza dai capelli biondi? Dov’è diretta?», gli chiese, fermandosi a un passo da lui.

«io non lo so», disse piagnucolando, «io l’ho incontrata per caso, non sapevo nemmeno chi fosse. Mi ha detto solo che se ne sarebbe andata perché sennò avrebbero ucciso il suo ragazzo. Per favore lasciatemi andare, io non so niente».

L’uomo si infuriò e scatenò i suoi poteri mentali. Il vecchio urlò, mentre una profonda ferita si apriva nel suo addome.

«dov’è!!! Dimmi dov’è!!!», urlò al colmo della rabbia, tirando per i capelli il povero vecchio, capitato in quella situazione solo per un errore.

«non lo so… io non lo so», disse il vecchio piangendo e accasciandosi fra le braccia dei due soldati che lo sorreggevano per i gomiti.

L’uomo si alzò e lo guardò glaciale, sistemandosi una ciocca di capelli blu scuro dietro l’orecchio. «uccidetelo. Non ci serve a niente», disse con voce glaciale come se uccidere fosse cosa da poco.

Le guardie lo presero e lo trascinarono fuori, mentre il vecchio urlava e scalciava e supplicava che gli venisse risparmiata la vita. Le sue urla si persero nei corridoi spettrali del castello.

L’uomo si voltò grave verso il suo fidato luogotenente. «sfortunatamente non sappiamo la posizione esatta della angel ma sono riuscito a scoprire dove sarà fra una settimana: ad Atene. Prendi un manipolo composto dagli uomini migliori e tendile una trappola. Voglio quella angel viva, sono stato chiaro?», disse con voce minacciosa. Il generale annuì, sapeva che la sua vendetta poteva essere terribile.

«lo farò mio signore Syper, porterò a termine il mio compito», e detto questo uscì dalla sala.

Syper si sedette sul trono, sfregandosi le mani con aria soddisfatta, pensando che presto avrebbe avuto fra le mani quell’odiosa angel.

“non preoccuparti, sorella mia, presto sarai vendicata”, e la sua risata, gelida e terribile, si propagò in tutto il castello, riecheggiando come le lugubri campane della morte.

 

POV SULFUS

Volavamo. Volavamo per la città, cercando di ignorare il dolore e di concentrarci solo sul nostro obiettivo: ritrovare Raf e riportarla indietro. Tuttavia mi era impossibile non pensare all’agonia che sentivo dentro in quel momento; mi sembrava impossibile che stesse accadendo per davvero, che avrei perso Raf per sempre se non mi fossi sbrigato a ritrovarla. Perché se l’avessi persa per sempre, non sarei sopravvissuto; sarei diventato solo l’ombra del devil che sono, perso nel dolore e nell’agonia, insopprimibili e incancellabili. Mi avrebbero consumato, corrodendo i miei sentimenti, trasformando il mio animo, mutando il mio cuore e la mia mente.

Se avessi fallito sarei cambiato per sempre, e c’era una cosa che più di tutto mi spaventava; il mio amore per Raf, completamente distrutto e lacerato, avrebbe potuto trasformarsi in odio? Sarebbe potuto cambiare fino a tal punto, tanto che, ad un certo momento, niente sarebbe rimasto di me se non un essere freddo e privo di motivazione che andava avanti solo per inerzia? Potrebbe davvero accadere che mi sembrerà che questo periodo sia stato solo frutto della mia fantasia a causa del dolore troppo intenso e prolungato? Che il legame che sento di avere con Raf scompaia senza lasciare traccia se non un profondo solco nel mio cuore impossibile da colmare, cancellare o guarire?

Non ci volevo neanche pensare. Era un’ipotesi agghiacciante e solo se ci pensavo sentivo dentro un’amarezza dieci volte peggiore della prospettiva di rimanere senza Raf per il resto della mia infinita esistenza. Perché il sentimento che mi univa a lei non doveva assolutamente venire spezzato perchè se avessi permesso a quel legame di svanire ero sicuro che sarei stato perso per sempre.

La voce di Uriè mi ridestò dai miei pensieri funesti, «ora dobbiamo dividerci; Kabalè perlustrerà le zone intorno al centro sportivo e al parco».

Sembrava una scelta sensata; visto che erano entrambe delle fanatiche dello sport, andavano spesso in quella zona della città per allenarsi insieme, e sia lei che Kabalè la conoscevano a menadito.

«Cabiria, Dolce, voi andrete a perlustrare la zona del centro commerciale e del centro», continuò Uriè, che aveva già un piano di azione in mente. Era sempre stata un’abile stratega, «è la zona che conoscete meglio, ci andate praticamente ogni giorno».

Era vero; se c’era una cosa che quelle due adoravano fare era lo shopping, e ogni occasione per loro era buona per fiondarsi al centro commerciale.

Poi si voltò verso Gas e Miki, «voi due invece vi dovrete fare la zona turistica e la periferia», disse loro e annuirono. Quei due conoscevano molto bene la zona perché andavano spesso a fare una visita alle sale giochi della città. Fra loro era una continua sfida, dovevano sempre trovare nuovi argomenti per la competizione.

«infine io e Sulfus andremo a perlustrare la zona del porto e delle spiagge. Sono il luogo che Raf ama, potrebbe essersi diretta lì», mi disse fissandomi negli occhi e capii; mi aveva assegnato il luogo in cui avevamo più possibilità di ritrovarla, così sarei stato io a vederla per primo. La ringraziai con lo sguardo; Uriè contro ogni aspettativa, e malgrado fosse una angel, si stava rivelando un’amica preziosa.

«teniamoci in contatto con i nostri magi-cellulari», si inserì, nel discorso, Miki, «chiunque la ritrovi invii una chiamata agli altri. Oppure…», continuò esitando, mentre una lacrima le scendeva lungo il viso, «mandate un messaggio quando avete finito di perlustrare la zona che ci siamo divisi».

Non continuò ma sapevo che se fossero arrivati messaggi allora voleva dire che Raf in quelle zone non c’era e che, di conseguenza, le possibilità di ritrovarla si sarebbero ridotte sempre di più a ogni nuovo sms.

Ma la mia determinazione non si scalfì; l’avrei riportata indietro a ogni costo, non mi importava quanto tempo ci avrei messo, ne la fatica che avrei dovuto per adempiere al mio compito, avrei portato a termine la promessa che avevo fatto a lei e anche a me stesso.

«andiamo, subito! Più aspettiamo e più le possibilità di ritrovarla diminuiscono».

Annuirono tutti e, dividendoci, ci sparpagliammo per la città, ognuno nella zona a lui assegnata. Io e Uriè ci lanciammo rapidissimi in volo verso la zona del porto, sperando e pregando di ritrovare Raf. Vedemmo che la città era imbottigliata in un ingorgo, questo voleva dire che Raf non avrebbe potuto spostarsi in macchina, e questo era un vantaggio per noi, visto che se avesse voluto muoversi avrebbe dovuto farlo camminando o volando.

Mi bloccai di botto quando mi resi conto di cosa avevo detto, o meglio pensato.

«Uriè!!!», la chiamai, bloccandola all’improvviso, «mi è venuta in mente una cosa molto importante», le dissi tutto agitato.

«che succede Sulfus? Che idea hai avuto?», mi chiese confusa e speranzosa che avessi trovato un’idea per rintracciare Raf più velocemente, senza andare alla cieca.

«chiama Arkhan col tuo cellulare, ti spiegherò poi», le dissi svelto. Se il mio piano voleva funzionare dovevamo agire in fretta. Uriè mi guardò confusa ma si fidò. Sapeva che per me Raf era più importante di tutto e che non avrei mai cercato di raggirarla in questa situazione.

Tirò fuori il suo magi-cellulare, un oggettino giallo e azzurro tutto scintillante, e pigiò uno dei tasti per la chiamata rapida.

«metti il vivavoce», le ordinai durante gli squilli d’attesa. Lei obbedì e pigiò il tasto che attivava l’altoparlante.

«pronto Uriè? Ci sono novità?», rispose Arkhan, agitato come non mai per tutto quello che stavamo passando, lui soprattutto visto che avrebbe dovuto poi fare rapporto alle Alte sfere sull’accaduto, indipendentemente da come fosse finita la faccenda.

«professor Arkhan sono Sulfus, ho bisogno del suo aiuto», gli risposi in fretta.

«Sulfus che succede?», mi chiese con una nota di viva preoccupazione nella voce.

«le Alte sfere possono rintracciare il potere angelico giusto? Esattamente come le Basse sfere col potere diabolico no?», gli chiesi io, aspettando una conferma alle mie supposizioni.

«sì, è esatto», mi confermò Arkhan confuso.

«allora se Raf è in forma angelica…», cominciai ma non riuscii a finire di parlare che Uriè, capito il mio piano, saltò sopra alle mie parole.

«le Alte sfere possono rintracciarla!», urlò tutta contenta, cominciano a svolazzare avanti e indietro, iperattiva.

«ma certo! Ottima idea Sulfus! Aspettate che controllo il rilevatore di potere angelico», ci disse, e lo sentimmo spostarsi verso qualcosa. Poi un rumore di tasti pigiati, qualche rumore strano e infine, un lungo sospiro.

«mi dispiace ragazzi, ma secondo l’ultima rilevazione Raf si è trasformata in terreno appena uscita dalla scuola. Poi se ne sono perse le tracce», ci disse con tono sconsolato.

La mia flebile speranza si sgretolò come neve al sole, morendo rapida come era nata. I miei occhi, che si erano accesi a causa di quella piccola speranza, tornarono vuoti e opachi, come erano sempre stati da quando Raf se ne era andata.

«Sulfus, coraggio non devi abbatterti! Se Raf non è in forma angelica ma terrena allora abbiamo un vantaggio su di lei, quello di essere molto più veloci grazie alle ali. Sono sicura che la ritroveremo, dobbiamo solo crederci», mi riscosse dal mio dolore Uriè, che mi fissava con aria determinata. La guardai negli occhi e capii che lei non avrebbe mai rinunciato a cercare Raf, qualunque cosa sarebbe successa, perché la amava troppo per lasciarla andare in quel modo. Fu quello che lessi nei suoi occhi che mi diede la determinazione necessaria a reagire; lo dovevo a lei, a Raf e anche a me stesso. Era mia e non avrei permesso a niente e nessuno di portarmela via.

«andiamo nella zona del porto! Sbrighiamoci!», le disse, preso dalla mia rinnovata determinazione. Lei annuì, felice che finalmente stessi reagendo.

Volammo rapidissimi verso la zona della periferia, scrutando intanto l’ingorgo sotto di noi per vedere se dentro qualche taxi ci fosse stata Raf, imbottigliata nell’ingorgo. Ma sapevo che la mia angel non era una sprovveduta; aveva pianificato tutto per questa fuga, ed era stata oltremodo abile a non farci sospettare niente.

Arrivammo al porto. Le macchine sotto di noi sfilavano lentamente per portarsi dentro ai traghetti e alle navi che poi sarebbero salpate. Ci sparpagliammo sulle macchine cercando di scorgere da qualche parte una matassa di capelli biondi oppure una valigia familiare in mezzo a tutto quel trambusto. Poco distante da noi c’erano gli edifici di imbarco.

All’improvviso mi arrivarono tre messaggi, così come a Uriè. Il mio cuore si strinse in una morsa letale mentre guardavo i mittenti degli sms sul display; Kabalè, Cabiria e Gas. Non l’avevano trovata. Sentii le fitte di dolore squassarmi il petto. Dove sei Raf?

Misi via il cellulare e mi ributtai con rinnovata determinazione nella sua ricerca. Ma stavolta nei miei movimenti si riconosceva anche un po’ di furore; furore perché mi mancava già da morire, furore perché se ne era andata senza nemmeno aver avuto il coraggio di dirmi addio, furore perché l’amavo disperatamente  e furore anche perché, anche se odiarla in quel momento probabilmente avrebbe alleviato le mie pene, non ci riuscivo. Non potevo odiarla; l’unica cosa che volevo fare in quel momento era prenderla fra le mie braccia e baciarla con passione e desiderio, prenderla e farla mia in tutti i modi possibili. Nonostante la situazione, continuavo a volerla come un disperato e probabilmente avrei continuato a volerla per sempre.

«Sulfus, hai visto qualcosa?», mi chiese Uriè, sovrastando il frastuono delle macchine. Dalla voce capiva che stava sperando con tutte le sue forze in un sì.

«no, niente, non ho visto niente maledizione!», urlai preda di una rabbia incontenibile; rabbia verso me stesso, perché non riuscivo ad adempiere a quel compito che era la mia vita.

La voce di Uriè mi riscosse dai miei pensieri, dandomi quella speranza di cui avevo bisogno, «Sulfus, guarda! Quello non è il suo trolley?», mi chiese con voce più che speranzosa.

Mi voltai di scatto a guardare e quello che vidi mi pietrificò. Una ragazza dal volto coperto si stava incamminando verso l’edificio per gli imbarchi delle crociere. Anche se non riuscivo a vederla in viso, una potentissima scarica elettrica si irradiò in tutto il mio corpo, come sempre quando guardavo la mia Raf, anche se non sapevo che fosse lei.

Fissai la sua valigia e ne ebbi la conferma; quello era proprio il trolley di Raf! La ragazza entrò nell’edificio e si chiuse la porta alle spalle e lo spostamento d’aria le fece scivolare il cappuccio della felpa sulla schiena. Una lunghissima cascata di capelli biondi come il sole di mezzogiorno e i campi di grano al tramonto le si riversò sulle spalle. Lei si irrigidì e, non appena la porta si chiuse, scattò rapida come un fulmine verso gli imbarchi.

«NO!», urlai con tutto il fiato che avevo in corpo, «Uriè presto, corriamo», le dissi voltandomi verso di lei. In quel momento notai che stava mettendo via il cellulare; doveva aver chiamato gli altri e averli avvertiti che l’avevamo individuata.

Lei annuì e ci fiondammo all’interno dell’edificio, passando attraverso le pareti. C’era tantissima gente, la massa della folla si muoveva continuamente ed era difficile cercare di individuare qualcosa o qualcuno in mezzo a tutto quel trambusto. Poi un guizzo, vidi una macchia bionda sparire all’interno di un corridoio separato rispetto al resto dell’edificio.

«Uriè di là!», urlai fiondandomi immediatamente, seguito a ruota dalla angel. Quello era l’imbarco per il personale; cosa avrebbe potuto fare Raf lì?

Perlustrammo in volo il corridoio, cercando fra le numerose persone che si imbracavano ma non trovammo niente. Per un momento mi sembrò di vedere qualcosa ma, alla fine, non era niente.

Sentii le lacrime pungermi gli occhi un’altra volta, al pensiero di quanto fossi stato vicino a ritrovarla, «mi ero quasi illuso di averla trovata. Mi era parso di vedere proprio i suoi capelli biondi…», dissi fra me e me, mentre una lacrima scendeva sul mio viso. Me la spazzai via con una mano, «forza Uriè, continuiamo a cercare. Non può essere andata lontano», le dissi determinato. Lei annuì.

Perlustrammo ogni singolo corridoio, ogni singolo imbarco, ogni singola spiaggia, ogni singolo molo, sul quale avrebbe potuto trovarsi Raf. Ma non ci fu niente da fare; l’avevamo persa. Con la morte nel cuore e le lacrime agli occhi, fummo costretti a inviare il messaggio, quell’ultimo messaggio che segnava la fine delle mie possibilità e delle mie speranze di ritrovarla.

Le lacrime cominciarono a scendere prepotenti sulle mie guance, senza che potessi fare niente per fermarle. Mi voltai di scatto, dando le spalle ad Uriè, per evitare che mi vedesse nuovamente in lacrime. Ma d’altronde che cosa pretendevano? Avevo appena perso la possibilità di ritrovare la persona per me più importante al mondo. Come potevo evitare di lasciarmi andare alla disperazione?

Preso da una strana smania mi fiondai sul molo delle navi. Una era appena salpata e stava lasciando il porto in quel momento. Incapace di sopportare tutto quel dolore, presi un bel respiro e,

«RAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAF!!!», urlai al vento, sperando che portasse alla mia angel del cuore il mio messaggio d’amore. Non sapevo perché mi aveva lasciato, provocandomi un così grande dolore, ma ero sicuro che il mio amore per lei non sarebbe mai cambiato ne diminuito, perché lei era, è e resterà per sempre l’unico vero amore della mia esistenza.

Crollai in ginocchio e poggiai i pugni chiusi sul terreno, sostenendomi per evitare di cadere a terra. E proprio mentre le lacrime scendevano copiose sul mio viso, un urlo di dolore e d’amore giunse alle mie orecchie trasportato dal vento, «SULFUS!!! TI AMOOOOOOOOOOOOOO!!!». Scattai in piedi all’istante, guardando intorno a me per capire da dove fosse arrivata la sua voce, la voce della mia Raf.

Non riuscii a vedere niente ma capii il suo messaggio. Lei non aveva smesso di amarmi, lei non se ne era andata perché non mi amava più o perché non voleva più bene alle sue amiche, se se ne era andata doveva esserci un motivo più profondo, un qualcosa che l’aveva spinta ad allontanarsi da noi, anche se non avevo la minima idea di cosa fosse.

Le lacrime presero a scorrere più forti di prima sul mio viso e, come se qualcosa mi avesse tagliato le gambe, crollai nuovamente a terra. Era come se qualcosa mi stesse distruggendo dall’interno; sentivo le fiamme vive del mio dolore scavare una voragine nel mio petto, sempre più lacerato dalla consapevolezza che Raf da me non sarebbe mai tornata. Certo avrei potuto continuare a vivere la mia vita, ma per cosa? Per portare avanti un’esistenza vuota e priva di significato? Non aveva senso.

Sentii una mano posarsi sulla mia spalla. Alzai lo sguardo e incrociai quelli grandi di Kabalè. Gli altri ci avevamo raggiunto al porto dopo la chiamata di Uriè. Mi fissò col dolore che straziava i suoi bei lineamenti, «Sulfus… mi dispiace», mi disse con sguardo triste.

Tutti mi guardavano con commiserazione e pietà, come se fossi stato un invalido. Era una cosa che non avevo mai sopportato. Perciò mi scostai bruscamente e mi alzai rapido in volo, verso l’unico luogo che sapeva di noi. Atterrai sulla nostra spiaggia, osservando le scintillanti onde del mare, che erano state teatro del nostro amore.

Ripensai agli sguardi che avevano avuto gli altri e decisi che mai più avrei dato loro motivo di guardarmi in quel modo, che da adesso in poi avrei impiegato tutto me stesso per far capire loro che io non mi sarei arreso per niente al mondo.

E fu quel pensiero che mi diede la forza di reagire; avevo perso una battaglia, ma non avrei perso la guerra. Avrei impiegato tutte le mie energie per adempiere al compito che mi ero prefissato di portare a termine. Avevo un obiettivo e l’avrei raggiunto a qualsiasi costo.

“preparati Raf”, pensai, la voce piena di determinazione e amore, “sto arrivando”.

ECCO A VOI LE VOSTRE RECENSIONI:

_ELEA_: DIREI CHE CON LA TUA SUPPOSIZIONE CI HAI PIENAMENTE AZZECCATO... SI' E' PROPRIO LUI... LO SO CHE E' STATO UN CAPITOLO TRISTE E ASPETTATENE ANCORA UN BEL PO' PERCHE' NE VEDREMO ANCORA DELLE BELLE PRIMA CHE RITORNI IL SERENO... PER QUANTO RIGUARDA SULFUS CREDO CHE IL CAP TI ABBIA SPIEGATO SUFFICIENTEMENTE LA SITUAZIONE. EHM PER QUANTO RIGUARDA IL RITROVARSI NON POSSO DIRE NIENTE SE NON CHE PRIMA CHE SI RIVEDANO PASSERANNO NON MENO DI *DEGLUTISCE PREPARANDOSI A SCAPPARE*... NOVE ANNI!!! *SCAPPA ALLA VELOCITà DELLA LUCE*... NON MI UCCIDERE PLEASE!!! MA MI SERVE PER LA STORIA... CAPIRAI POI PERCHE' XD CIAO AL PROSSIMO CHAPPY KISS ^^

GIRL95DEVIL: GRAZIE PER I FANTASTICI COMPLIMENTI!!! SONO CONTENTA CHE LA MIA IDEA TI PIACCIA E VISTO CHE TI E' PIACIUTA LA SCENA DEL SUPERMERCATO NON OSO PENSARE A COSA FARAI QUANDO LEGGERAI "QUESTO" DI CAPITOLO XD E POI HO VOLUTO FAR VEDERE CHE L'AMORE HA CAMBIATO SULFUS IN MODO RADICALE, CHE L'HA RESO PIU' ROMANTICO E MENO STRONZO... ANCHE SONO SEMPRE PIACIUTI I RAGAZZI ROMANTICI E CREDO CHE SE RAF SAPESSE I MIEI DI PENSIERI SU SULFUS MI AMMAZZEREBBE XD PER LA TUA IPOTESI SULL'UOMO MISTERIOSO L'IPOTESI GIUSTA è LA PRIMA!!! ORA I CHAPPY SARANNO PIU' INCENTRATI SU RAF CHE SU SULFUS PERCHE' SARA' LEI A FARE UNA SCOPERTA IMPORTANTISSIMA PER LA SUA VITA... INDOVINA QUALE? XD AL PROSSIMO CHAPPY KISS ^^

KIKKA97/CLOE97: ODDIO MI DISPIACE CHE TU ABBIA DEI PROBLEMI SPERO CHE RIUSCIRAI A RISOLVERLI AL PIU' PRESTO!!! IHIH GRAZIE ANCHE LA TUA STORIA SUL FORUM E' STUPENDOSA E POI DEVI AGGIORNAREEEEEEEEEEE CHE NON STO PIU' NELLA PELLE!!! IHIH TANTO ORA LO SANNO ANCHE LORO CHI E' IL MALEDETTISSIMO TIPO XD  HO AGGIORNATO ANCHE SUL FORUM, VAI A VEDERE SE VUOI... CIAO KISS ^^

GINA1: NO NON E' REINA REINCARNATA IN UN UOMO, DOVRESTI CAPIRE DA QUESTO CAPITOLO... E SULFUS NON REAGIRA' BENISSIMO, COME POTRAI VEDERE DAL CAPITOLO!!! CIAO AL PROSSIMO CHAPPY ^^

ORA DEVO CHIEDERVI UNA COSA MOLTO IMPORTANTE: DOVETE SAPERE CHE IO SONO ABITUATA AD AGGIORNARE A POV NEL FORUM, NON A CAPITOLI COME FACCIO QUI PERCIò VI DEVO CHIEDERE COME PREFERITE CHE CONTINUI... SE POSTO A POV FARO' PIU' IN FRETTA MA SARANNO PIU' CORTI RISPETTO AGLI ATTUALI CAPITOLI, SE INVECE VADO A CAPITOLI SARANNO PIU' LUNGHI MA I TEMPI DI POST SARANNO PIU' LUNGHI A LORO VOLTA... POTREBBERO PASSARE ANCHE DUE MESI TRA UN POST E L'ALTRO SE VADO A CAPITOLI... PERCIò FATEMI SAPERE COME DEVO PROCEDERE DA ADESSO IN POI... IO INTANTO CONTINUERO' COMUNQUE A SCRIVERE

ORA UN'ALTRA COSA: SE VOLETE VEDERE DELLE FAN FICTION INTERESSANTI, IL FORUM DI ANGEL FRIENDS E' IL SITO CHE FA PER VOI... CI SONO UNA SACCO DI FICCY INTERESSANTI CHE NON SONO PRESENTI QUI E SE AVETE VOGLIA DI NOVITA' PASSATE A DARCI UN'OCCHIATA... ANDATE SU GOOGLE E DIGITATE "ANGEL FRIENDS FAN FICTION" E APRITE IL PRIMO LINK CHE VI APPARE, "FAN FICTION angel.friends.forumcommunity.net"... VI SI APRIRA' DIRETTAMENTE LA PAGINA DELLE FAN FICTION... A VOI LA SCELTA...

ARRIVEDERCI AL PROSSIMO AGGIORNAMENTO UN KISS A TUTTE!!! ^^

   
 
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