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Autore: Flaminia_Kennedy    05/08/2010    6 recensioni
Akuroku ad ambientazione AU.
Il giovane Roxas soffre di un tumore al cervello che lo obbliga ad una vita di dolori e sacrifici, mentre il ragazzo si appassiona sempre di più al mondo dell'Esoterismo e degli spiriti.
Un misterioso ragazzo dai capelli color fuoco lo visita nei suoi sogni, mentre qualcosa poco a poco impregnerà la casa del biondino di rabbia e violenza fino a che...
Sono accetti suggerimenti per la trama e ovviamente commenti costruttivi ^^ Enjoy!
Genere: Romantico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Roxas
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Amare la morte'
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Aspettai la notte per agire, in modo che i miei genitori -sotto esortazione di Demyx- tornassero a casa.

Era stato doloroso vederli andare via con quel volto depresso, sapevano che forse il giorno dopo io non sarei più stato vivo, ma il mio migliore amico avrebbe convinto persino un eschimese a comprare un frigorifero.

I dottori non facevano altro che entrare e uscire dalla mia stanza, chiedendomi come andava e controllando i miei valori «riposa bene» mi disse un’infermiera dal viso dolce, che mi ricordava la fidanzata di mio fratello, prima di chiudersi la porta alle spalle.

Appena qualche minuto dopo sentii una forte esplosione far tremare il pavimento e tutte le luci si spensero, mentre quelle di emergenza si accesero di un tenue color verdastro. Io per quanto veloce potessi mi alzai dal letto e strappandomi di dosso gli aghi delle flebo mi rivestii con i miei vestiti e mi diressi verso la porta, che si aprì rivelandomi Axel «tutto a posto, tu sarai il loro ultimo pensiero» disse, ridacchiando.

Mentre mi accompagnò fuori della mia stanza mi raccontò di aver fatto esplodere delle bombole d’ossigeno nel magazzino dell’ospedale, appiccando un grande incendio dall’altra parte dell’edificio «pazzo piromane» ridacchiai mentre mi appoggiavo al muro accanto a me.

La testa mi girava come una trottola e per poco non mi cacciai in avanti per vomitare «Roxy…» mi chiamò Axel preoccupato e sentii un suo caldo braccio avvolgermi la vita per aiutarmi a stare in piedi «ce la posso fare» sussurrai più volte, chiudendo gli occhi per evitare di veder vibrare le piastrelle del pavimento e continuai a camminare.

Inspirai forte, sentendo l’odore del fumo che si stava spandendo per l’ospedale «spero…che non ci rimetta nessuno…» bofonchiai, la lingua sembrava essere un molle peso morto nella mia bocca, non riuscivo molto a parlare, ma il rosso mi capì ugualmente «evacueranno tutti in tempo, tranquillo» sussurrò lui nel mio orecchio mentre io mi gettavo pesantemente contro la maniglia antipanico della porta che avevo intenzione di aprire.

Oltre quella c’erano delle lunghe rampe di scale che avrebbero portato all’obitorio e alle fondamenta del palazzo, dove probabilmente c’erano anche le camere crematorie.

Demyx aveva trovato per primo le piante dell’ospedale e mi aveva confermato che sotto erano ancora attivi dei forni crematori che una ditta usava per cremare i defunti che lo richiedevano «Roxas…posso anche rimanere dove sono…tu…»«Io cosa?? Morirei comunque! Voglio trovare il tuo corpo e darti un po’ di pace! Ti troverò Axel!» esclamai sul suo volto sempre più preoccupato e appoggiandomi al corrimano iniziai a scendere lentamente ma deciso, con Axel al mio fianco, pronto per ogni evenienza.

Dei flashback mi rimbalzavano nel cervello, ricordavo quelle scale anche se non le avevo mai percorse prima di quel momento, ricordavo il cartello sulla porta dell’obitorio che vietava l’accesso ai non addetti e soprattutto -non seppi perché- ebbi la sensazione di star meglio in quel freddo luogo, che mi fece tremare le ossa.

I grossi scaffali di ferro e acciaio tremavano, gli spiriti dei morti all’interno urlavano perché qualcuno li facesse uscire «il ferro…tiene alla larga le presenze?» chiesi a me stesso, osservano come le mani che uscivano dai grossi cassetti si ritraevano come scottate appena sfioravano la maniglia di ferro.

Axel guardò quello spettacolo con apprensione, mi avrebbe voluto fuori dai guai, ma allo stesso tempo vedevo quanto desiderasse che qualcuno lo liberasse da quel limbo «quella porta…deve condurre…ai forni» balbettai, camminando vero l’unica porta che c‘era, oltre a quella principale e a quella da dove eravamo arrivati.

Il lamento dei morti salì di tono quando mi avvicinai a loro «mi dispiace…non…posso far nulla» dissi, posando una mano sull’acciaio a mo’ di scusa.

Stavo per aprire la porta, ma qualcosa mi fermò: una mano, una mano enorme e deformata mi schiacciò la testa contro il metallo dell’uscio mentre una voce roca, morta mi sibilò nelle orecchie «benvenuto nel mio territorio, nanetto» disse Saix, ormai avevo imparato il suo nome, e i miei occhi resi opachi dal dolore del colpo videro il cadavere bruciato che era in realtà, la pelle rattrappita e bruna con alcuni rivoli di siero che uscivano dai muscoli ancora guizzanti e scoperti.

Axel era a poco meno di un metro da me, l’altra mano del mostro pressava sul suo collo «questa volta Lea non riuscirai a salvarlo» aggiunse, guardando con occhi ancora sani e omicidi il volto contratto dal dolore di Axel.

Sembrava che il tocco di Saix fosse tagliente e il rosso stava lentamente ritornando all’aspetto cadaverico che io avevo già visto in passato «fottiti…stronzo!» esclamò Axel e qualche secondo dopo afferrò il suo braccio, mandandolo a fuoco; immediatamente Saix lasciò entrambi e fece qualche passo indietro mentre Axel si buttava su di lui «esci di qui Roxas!» urlò nella mia direzione mentre veniva sbattuto più volte contro l’enorme parete di metallo da dove i morti si lamentavano.

Rimasi imbambolato dov’ero, guardavo Saix far scontrare il corpo così improvvisamente leggero di Axel contro qualsiasi cosa, le sue mani ancora strette al suo collo, e il rosso che si difendeva a suo di calci nello stomaco dell’altro, mandando sprazzi di sangue ovunque.

Sangue che solo io potevo veder uscire dall’enorme squarcio nel fianco di colui che amavo e dalla ferita aperta nel ventre dell’altro, mentre lo stomaco pulsante e mezzo bruciato continuava a contorcersi come un serpente.

Fu l’ennesimo grido di Axel a sbloccarmi «Corri!» aggiunse mentre veniva catapultato sopra il tavolo operatorio in mezzo alla stanza, piegandolo sotto la violenza dello scontro.

Aprii la porta di scatto e mi lanciai in corsa, mentre sentivo le mani dei defunti graffiarmi i vestiti, lungo il soffocante corridoio che mi avrebbe condotto dove Axel era morto «corri corri coniglietto, tanto ti acchiappo» fu l’improvvisa cantilena che sentii nel mio orecchio e pensai con orrore che il mostro aveva vinto, mi avrebbe ucciso prima che potessi compiere al mio dovere.

Svoltai l’angolo che mi si presentò e andai a sbattere direttamente contro il corpo duro come un sasso di uno dei tanti cadaveri che ululavano per potermi afferrare, toccare disperati nell’ignoranza della loro morte.

Davanti a me ce n’era una squadriglia, tutti con le stesse caratteristiche di Saix: i volti fumanti dalle iridi sbiancate come il latte, le mani bruciate che mi afferravano e mi trascinavano lungo il corridoio mentre potevo vedere l’assassino incamminarsi verso di me.

Non potevo fare molto, ero trattenuto da decine di mani che tentavano di sollevarmi come fossi stato un bambolotto e mentre venivo trascinato via le mie mani raschiavano sul pavimento disconnesso, graffiandosi «è inutile che combatti, tra poco farai la stessa fine di quell‘impiccione di Zexion» disse Saix mentre s’inginocchiava per prendermi i capelli nella mano, tirarli per farmi alzare la testa per annusare il mio odore «farai furore sul mio piatto, coniglietto arrosto» disse poi nel mio orecchio, dandomi un forte morso sul collo che mi fece sanguinare.

Sembrava quasi volesse mangiarmi vivo e capii solo alcuni secondi dopo che mi trovavo nella camera dove i forni stavano funzionando tutti al massimo della loro potenza, creando un calore indicibile.

I morti che mi sostenevano si bloccarono nel centro della stanza, poco lontano dalla riga di altiforni che rombavano, come le fusa di enormi felini predatori «bye bye» lo sentii ridacchiare rauco mentre uno sportello dei forni si aprì direttamente sull’inferno, le fiamme quasi bianche che non vedevano l’ora di cuocermi.

Non posso fermarmi adesso…lo sento così vicino…Axel dove sei?

In risposta ai miei pensieri una nuova forza mi riempì i muscoli, una forza estranea che però sfruttai subito, come un istinto di conservazione: velocemente scalciai via le mani tremanti e febbricitanti dei morti e mi liberai, guardando la schiera di cadaveri guardarmi senza muovermi.

Saix mi guardava incuriosito, confuso dalla mia forza e mentre ricambiai il suo sguardo fulminandolo, notai uno sfumato brillio che veniva dal basso «così sei tu» sussurrò piano, un ringhio che mi sembrò quello di un cane «sono io» dissero le mie labbra senza che io avessi intenzione di parlare.

Il mio corpo emanava un bagliore bianco che mi avvolgeva come una luce fumosa.

Una rabbia non mia mi gonfiò il petto mentre, urlando di una voce non mia, mi avventavo su di lui per spedirlo dentro il grande forno acceso e rovente.

I morti si scansarono come impauriti senza però mostrare alcuna espressione sui loro volti irriconoscibili e marci «l’inferno è il posto dove andrai Saix, questa volta non hai scampo» sentii ancora quella voce provenire dalla mia gola e un’idea mi balenò in testa.

Zexion?

Una risata provenne dal mio stesso petto e un sorriso addolcito dalla malinconia stirò le mie labbra «Si Roxas, sono io…diciamo che ho dovuto vegliare su te e il tuo amico» disse il ragazzo dentro di me, staccandosi gentilmente e sottraendomi tutta quella forza che mi aveva posseduto.

E allora caddi al suolo, come se fossi stato una marionetta senza fili: la figura bianchissima di Zexion era accovacciata accanto a me, inondandomi di una luce calda e impressionante fu il viso del ragazzo che mi sorrideva.

Gli occhi grigi mi guardavano come se fossi stato suo figlio e mi stupii che non avesse anche aureola e alucce piumate di bianco «Mi dispiace per l’intromissione, ma non potevo fare altrimenti» aggiunse.

Non riuscivo ad ascoltare la storia che mi stava raccontando, il mio cuore pompava forte il sangue nelle mie orecchie e il mio obiettivo era ancora lontano miglia, per quanto ne potevo sapere.

Poi i miei occhi stanchi si posarono casualmente su una griglia poco lontano, che sembrava riparata da poco.

Rotolai pesantemente sulla pancia e con l’aiuto delle mani inconsistenti di Zexion strisciai fino ad essa, infilando le dita nei buchi per sollevarla di scatto.

Tutta la forza che ci misi in quel semplice movimento sciupò le ultime energie che mi rimanevano, mentre nel mio cervello erano ritornate le cicale a sfregare le loro dolorose zampe per segarmi in due «ci vediamo dall’altra parte» borbottò dolce Zexion, mentre mi dava una leggera spinta per farmi cadere dentro il lungo condotto che portava a un fondo completamente pieno di cenere, probabilmente quella che usciva dai forni, troppo leggera per restare sul loro fondo.

Atterrai senza nemmeno accorgermene, tanto era il dolore alla testa, e nonostante il mio corpo stesse poco a poco dimenticando come muoversi a causa del tumore, la mia mente era ancora abbastanza forse per ricordare il mio scopo «Axel…» le mie labbra lo chiamarono debolmente mentre restavo steso nella polvere che mi macchiava i vestiti e la pelle.

Respirare là sotto era una cosa drammatica, il calore e la cenere che continuava a cadere come tanti piccoli fiocchi di neve rendevano i polmoni pesanti da muovere, oppure erano solo i miei muscoli che perdevano il ricordo dei loro consueti movimenti.

Una lacrima mi uscì dagli occhi per andare a disegnare una linea pulita sulla mia guancia sporca, mentre sentivo solo il ronfare del fuoco e delle ventole, senza avvertire l’allegra o la maliziosa voce del rosso di cui inaspettatamente mi ero innamorato.

Avevo fallito, mi ero spinto in quel luogo dimenticato per fallire miseramente «…mi dispiace…» piansi, lanciando deboli singhiozzi nell’aria bollente, come tante piccole gocce di pioggia su della lava rovente, che sparivano in sprazzi di fumo.

Fu proprio quando mi rannicchiai su un lato per potermi raggomitolare nel mio dolore, vidi una macchia di sangue vicino a me, più grande di quella che avrei potuto lasciare io nella caduta.

I miei occhi si sgranarono, seguendo l’enorme e rosso fiume in secca che partiva da sotto la montagna di cenere alla mia destra: doveva esser rimasto lì per molto tempo e i fiocchi grigi avevano trovato un buon posto dove accumularsi.

Disperato, dolorante ma con un piccolo raggio di speranza nel cuore mi alzai sulle ginocchia, incespicando nel mettermi in piedi e raggiungere quel cumulo in cui affondai le mani per spostare la cenere inumidita e indurita dal sangue.

Sembrava aver creato un guscio attorno ad Axel, che m’impediva di tirarlo fuori «sei qui…lo so…» continuavo a borbottare, il sudore del mio corpo quasi fuori controllo iniziò a imperlarmi la fronte per scivolare fino alla mandibola e poi per il collo, seguite dalle lacrime che versai nel vedere il volto di Axel, come lo ricordavo nella sua versione cadaverica, con gli occhi appena socchiusi e la testa reclinata su un lato contro il muro contro cui poggiava, le spalle completamente rilassate mentre una mano era ancora dove lui l’aveva abbandonata sul pavimento, mentre l’altra era qualche centimetro lontano dall’enorme ferita sul fianco.

Con mani tremanti, a cavalcioni sulle sue gambe lunghe ancora sotterrate dalla cenere, afferrai quel volto dalla pelle tiepida e lo strinsi a me, un abbraccio che venne ricambiato dopo un minuto scarso, la mano che credevo immobile si alzò per avvolgermi il fianco mentre le sue labbra secche e spaccate lasciarono un bacio al centro del mio petto «grazie» lo sentii sussurrare.

Era ritornato, mentre la mia anima lottava per non lasciare il mio corpo, la sua era ritornata in quel guscio vuoto solo per me.

Le lacrime allora si moltiplicarono nel guardare il suo sorriso stirarsi in quella maschera ingiallita che era il suo volto, mentre i due segni neri sotto gli occhi sembravano diventati parte integrante del suo corpo, come se ci fosse nato «Axel» sussurrai, abbracciandolo più forte che potevo prima che gli ultimi muscoli del mio corpo si rilassassero.

Non feci in tempo a raggiungere il cellulare nella mia tasca, chiamare il numero di Demyx perché mi potesse trovare.

Non feci nemmeno in tempo ad accomodarmi da qualche parte: semplicemente, mentre mi accasciavo contro di lui e poi su un lato, pensai che almeno sarebbe stato felice e in un luogo migliore.

Non mi accorsi che le sue mani, enormi ad un primo impatto, mi avevano afferrato prima che la mia testa battesse contro il pavimento e non mi accorsi che mi aveva tenuto stretto finché non era più potuto stare dentro il proprio corpo.

Con l’ultimo respiro che sapevo di poter ancora fiatare, sorrisi.


Ti amo



Note dell'autrice

Eccoci qui al penultimo capitolo! Lo so, è durato troppo poco T^T E' dispiaciuto tanto anche a me finire questa FF, ma alla fine ogni cosa che si comincia deve avere una fine, indipendentemente da quanto ci si possa mettere.
Rimanete sintonizzati! L'ultima puntata è vicina!

Sarephen: Tranquilla, Zex sarà stato sfigato ma qui si è degnamente vendicato xD Spero di aver fatto trasparire il fatto che lui sia più un angioletto che uno spirito vero e proprio, non ero molto concentrata a metà del capitolo, stavo già pensando alla fine xD Grazie sempre per i complimenti ^^

Shiro chan: Axel potrebbe far sangue anche se fosse il Gobbo di Notre Dame...uhm potrei farlo xD

Yuma_29: Dispiace anche a me Roxy che soffre, ma se non soffrisse non verrebbe nemmeno consolato da Axel xD

_California Girl_: Nuuuu non piangere sennò fai piangere anche me T^T Ho aggiornato, sperando che questo non ti causi un'altra ondata di pianto, vedrai che il prossimo capitolo andrà meglio, lo prometto!
   
 
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