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Autore: lames76    05/08/2010    1 recensioni
Altro racconto sul settimo cavaliere, più maturo e completo del precedente e leggibile singolarmente (leggibile anche senza aver letto il precedente). Menion si ritrova in una situazione critica e per una volta non sarà da solo a combattere il male ma sarà affiancato da valorosi compagni.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Settimo Cavaliere'
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Menion sbadigliò sonoramente.
Quella era, sinceramente, la missione più noiosa da quando era diventato cavaliere di Faerie.
Cinque anni prima, Menion si era laureato in archeologia ed aveva deciso di prendersi una vacanza nei pressi di Stonehenge; lì la sua vita era cambiata per sempre.
Era stato inseguito da un essere del male che voleva ucciderlo perché, aveva scoperto che lui era destinato a diventare un Cavaliere di Faerie, ovvero una persona che viveva al di fuori del tempo per proteggere il giusto corso della storia. Ma non solo della propria Terra, ma anche di tutte quelle che popolavano le infinite realtà del multiverso. Ci aveva impiegato parecchio tempo per capire pienamente cosa significava, ma oramai era un cavaliere esperto.
La cosa importante era che poteva visitare Faerie ogni volta che avesse voluto e questo lo ripagava di tutti i problemi, le ferite ed i dolori delle sue missioni.
La terra fatata era qualcosa di... indescrivibile!
In quei cinque anni aveva potuto esplorare solo un’infinitesima parte del territorio, composto da alte montagne, dolci colline, fiumi e laghi. I monti in questione per lo più formavano una cintura tra il centro dei reami e quello che la sua Voce aveva chiamato "il confine dei sogni",
Lui era sempre stato un amante del mare, ma non ne sentiva la sua mancanza, quando era a Faerie. In effetti, quando guardava le immense pianure erbose, le immaginava come un mare verde mosso dal vento. Un mare solcato da splendidi e puri unicorni e sovrastato da un cielo che variava dall’azzurro più puro al turchese, macchiettato da due lune, una color pesca e l’altra color azzurrino.
Nel cielo aveva visto volare ogni genere di fantastica creatura: dai pegasi ai grifoni, dai giganteschi roc alle piccole fatine.
Si era ripromesso, prima o poi, di fare una lunga vacanza esplorativa in quella terra anche perché era incuriosito dal fatto che Tintinnio gli aveva detto che quella terra aveva mutato dimensioni nel corso del tempo. Per sua fortuna Faerie era al di fuori del tempo, quindi poteva passarvi quanto tempo volesse perché, finché si fosse trovato là, non invecchiava.
Forse proprio per questo motivo evitava di fermarvisi più del necessario, anche perché era l’unico, tra i Sette Cavalieri di Faerie ad avere ancora una vita nella sua Terra. Tutti gli altri erano "morti", nel senso che lo erano per tutti i loro conoscenti, amici e parenti e quindi vivevano in pianta stabile a Faerie. Lui invece era stato salvato da Giovanna d’Arco proprio al termine della sua prima missione per conto del reame fatato, quando la giovane aveva ucciso il mostro che era stato mandato ad eliminarlo.
Ma evitava anche di fermarsi troppo in quella terra fatata perché sapeva di correre il rischio di perdersi nelle bellezze del mondo. Era qualcosa di indescrivibile con parole umane, la sua bellezza e la sua purezza erano qualcosa che ti entrava dentro e che ti confortavano in ogni momento della tua vita. Certo, come in ogni altro posto abitato da razze senzienti, anche a Faerie, a volte, scoppiavano delle dispute, ma tutto si risolveva in semplici discussioni. Forse il fatto che vi abitassero decine di razze intelligenti aiutava la cooperazione e la coabitazione o forse era il fatto che, quello era un reame da sogno, dove niente poteva andare davvero male.
Ora però Menion era in missione, nell’Illinois del milleottocentoequalcosa e doveva badare ad un contadino.
Da quando era arrivato, circa due settimane prima, si era finto un bracciante ed era stato accolto di buon grado dal vecchio campagnolo che necessitava di ogni aiuto possibile per tirare avanti il ranch.
Si era dedicato a lavorare la terra e non aveva neppure intravisto l’ombra di un nemico.
Ed, in effetti, la cosa era davvero strana.
Oramai aveva affrontato almeno una trentina di missioni per conto di Faerie ed i nemici, se non erano apparsi il primo giorno lo avevano sempre fatto, al più tardi, il giorno seguente.
Anche Tintinnio era stranita dalla cosa, ma forse era ancora più stranita per il fatto che fosse andata in missione con lui!
Tutto era iniziato, quando era stato richiamato a Faerie tramite la sua pietra. Aveva creduto fosse una normale missione, come le altre, ma si era ritrovato di fronte nientepopodimenoche il Primo Cavaliere in persona.
Non che fosse troppo strano, lui e Giovanna avevano legato parecchio, ma in quel frangente lei gli si era presentata nella sua veste ufficiale.
Gli aveva raccontato di questa missione, definita fondamentale per il bene comune, e lo aveva accompagnato ella stessa allo specchio.
E lì altra sorpresa, Ellhenro, la regina delle fate e Voce del Primo Cavaliere, aveva fatto lo stesso discorso a Tintinnio dicendole che, per la prima volta in secoli, avrebbe dovuto accompagnare il suo cavaliere direttamente in missione.
Erano partiti felici di poter condividere un’avventura, seppur pieni di domande senza risposta.
Giovanna ed Ellhenro li avevano salutati, ripensandoci, in modo molto, come definirlo se non triste?
Ora, il quattordicesimo giorno di missione, Menion fremeva.
"In effetti questa missione è troppo strana", disse la fatina adagiandosi sul petto del ragazzo, "Niente nemici, niente pericoli, istruzioni di proteggere una persona qualunque...", il cavaliere non disse niente continuando a masticare il gambo di uno stelo d’erba, così l’essere fatato proseguì, "Ieri sera ho provato a contattare Faerie ma non ho ottenuto niente e ripensandoci, il modo in cui ci hanno salutato è stato proprio strano"
"Sembrava che cercassero una scusa per allontanarci", mormorò Menion a terminare la frase.
Il contadino lo chiamò, rimproverandolo bonariamente del fatto che poltriva, così lui si alzò e lo raggiunse, mentre la fatina trovava rifugio nel taschino della sua camicia.
Il vecchio lo informò che avrebbe dovuto portare una sacca di provviste ad un vecchio amico, ma non ce la faceva, così voleva che il ragazzo facesse la consegna al suo posto.
Menion dapprima protestò, non poteva certo lasciare solo l’anziano contadino, ma poi cedette alle sue richieste, tanto sarebbe stato via per meno di mezza giornata.


Il ragazzo sellò un cavallo e si diresse lungo il sentiero seguendo le indicazioni che il vecchio gli aveva dato.
La sua cavalcatura era un giovane baio ancora un po’ bizzoso, ma lui lo portò con tranquillità.
Era stata Giovanna stessa ad insegnargli a cavalcare. Doveva molto a quella ragazza, così giovane eppure così tanto più esperta di lui.
Tintinnio gli volava vicino, ben conscia che, se qualcuno li avesse visti, l’avrebbe scambiata per un grosso insetto o, al peggio, per un uccellino.
Viaggiarono finché non fece sera, fino a giungere in un terrazzo roccioso posto quasi sulla sommità della montagna che sovrastava la tenuta del vecchio contadino.
Qui spiccava, in mezzo al nulla, un teepee indiano.
Menion smontò dal cavallo, mentre Tintinnio si rifugiava all’interno di una tasca del suo pastrano, e si avvicinò reggendo la sacca.
Un nativo americano di un’età indecifrabile parve quasi comparire dal nulla di fronte a lui facendolo trasalire per la sorpresa.
Era alto e possente, abbigliato con un semplice pantalone di pelle e stivali di cuoio leggero. Sul viso e sul petto aveva alcuni segni fatti con pitture di vari colori. Sul capo teneva legata quella che pareva una fascia.
"Ti ha mandato Sam", la sua era un’affermazione non una domanda.
Il ragazzo annuì ancora colpito dall’essere stato colto così di sorpresa.
Gli occhi del pellerossa parvero penetrare all’interno della sua anima, la sua espressione era calma e rilassata, parve annuire leggermente con la testa.
"Accomodatevi dentro", disse infilandosi nella tenda.
Il ragazzo si abbassò ed entrò.
L’uomo si era già seduto a gambe incrociate a terra e gli fece segno di fare altrettanto battendo il palmo di una mano sul terreno.
"Fai pure uscire la tua piccola amica dalla tasca", gli disse guardandolo sempre in modo indecifrabile. Il ragazzo tentennò ma, prima che potesse parlare o inventare una scusa, la fatina uscì dal suo rifugio improvvisato e si andò a posare sulla sua spalla in piena vista.
"Tranquillo Menion", la voce dell’essere fatato era calma, ma lui vi colse anche un po’ di curiosità, "Anche lui è un messaggero di Faerie"
Il ragazzo si chiese se fosse uno dei sette cavalieri. Durante la sua permanenza tra i loro ranghi ne aveva incontrati solo cinque, sé compreso, e sull’identità degli altri due non aveva scoperto nulla. Oramai era diventata una sfida per lui cercare di farsi dire da Giovanna la loro identità, magari inducendola con un trabocchetto. Una sfida che finora aveva clamorosamente perso. Sapeva solo che, all’appello, gli mancavano il terzo ed il sesto cavaliere.
"No cavaliere, non sono uno di voi", disse l’uomo quasi gli avesse letto nella mente, mentre sul suo viso appariva l’ombra di un sorriso che pareva scolpito nella roccia, "Io servo il Grande Spirito in altro modo"
"Questa missione...", iniziò a dire la fatina, ma l’uomo la fermò con un gesto perentorio.
"Il Grande Spirito mi ha parlato due lune orsono, attraverso lo spirito di una volpe", la sua voce era come un cantilenare lento, ma deciso, "Mi ha conferito la missione di trovarvi ed aiutarvi. Un grande pericolo incombeva sulle celesti praterie..."
"Faerie", mormorò in spiegazione Tintinnio.
Il pellerossa continuò a parlare, "...il male, sottoforma di spiriti neri e terribili, stava per compiere l’impensabile. Ciò che era stato predetto, ma mai veramente creduto, stava per avvenire..."
Il corpo della fatina si irrigidì, "No", il suo era un sussurro disperato.
"Che cosa?", chiese Menion un po’ stufo di tutto quel mistero, seppure preoccupato per la reazione della sua piccola amica.
"Fin dall’alba dei tempi, quando le fondamenta del regno di Faerie sono state erette sulla trama dei sogni, è stata formulata una profezia. Il male avrebbe abbattuto i bianchi cancelli ed avrebbe conquistato il regno, marciando sul sangue dei difensori. Quel giorno, tutte le realtà sarebbero collassate in un caos primordiale, sul quale il male avrebbe regnato sovrano", la voce della sua piccola amica tremava, mentre gli forniva quella spiegazione.
Menion sbuffò, possibile che anche un mondo idilliaco come Faerie avesse profezie dell’apocalisse?
"Piccolo spirito", intervenne lo sciamano, "Si è realizzata solo la parte di conquista. Ma dovremo agire in fretta per fermare la rovina che si sta preparando"
"Un momento!", il ragazzo si era spazientito, "Dovremo? Chi sei tu? Come possiamo sapere che ci stai dicendo la verità?"
"Menion, lui dice il vero", intervenne Tintinnio scossa da un fremito, "Lo sento... è questa sensazione che sentivo da un paio di giorni... fino ad ora non l’avevo compresa... forse perché non volevo farlo... ma...", era tremendamente provata.
"Io sono Due Lune", sentenziò con voce forte l’uomo, "Sono stato capo dei Cheyenne settentrionali durante la mia vita. Ho guidato il mio popolo al momento del suo declino. Non ho potuto fare nulla per salvarlo dal male. Ora sono stato chiamato a servire il Grande Spirito in modo da non ripetere i mie errori. Sarò al vostro fianco nel difficile viaggio che vi attende"
Solo in quel momento Menion comprese il reale significato delle parole della sua Voce, "Volete dire che a Faerie..."
"Si", rispose mestamente la fatina, "Probabilmente sono tutti morti...", calde lacrime di dolore le rigarono il volto, "Ora è chiaro che il Primo Cavaliere e la regina hanno deciso di salvarci per permetterci di sopravvivere..."
Il ragazzo spalancò gli occhi per la sorpresa. Ricordò il momento in cui Giovanna l’aveva salutato abbracciandolo e sussurrandogli all’orecchio un: "Sii forte". Lui l’aveva interpretato come uno sprone per la missione, ma ora capiva che il tono con cui l’aveva pronunciato... si riferiva alla situazione in cui si trovava ora.
Anche il modo in cui l’aveva abbracciato era stato diverso dal solito. Era stato un abbraccio caldo ed amorevole, non il solito abbraccio di saluto che gli dava.
Ed ora la ragazza poteva essere morta.
Non avrebbe più potuto scherzare con lei citandogli fatti moderni per poi prenderla in giro.
Non avrebbe più potuto ascoltare la sua voce narrargli le sue avventure.
Non avrebbe più potuto tirare di spada con lei.
"No, non può essere morta!", mormorò con un filo di voce.
"Spera che lo sia", intervenne ancora Due Lune, "Perché se è sopravvissuta starà passando le pene più terribili"

Menion era di umore cupo.
Sedeva sul costone roccioso e guardava verso l’orizzonte.
Tintinnio e Due Lune stavano parlando animatamente all’interno del teepee.
Lui aveva preferito prendersi una pausa per riordinare le idee.
Inizialmente aveva rifiutato di credere che Faerie fosse caduta e che tutti gli altri cavalieri fossero morti.
Ma ora, ora sentiva che era vero.
Dentro di sé si sentiva solo. Più solo che in ogni altra circostanza.
Certo, le missioni da Cavaliere di Faerie avvenivano sempre in modo solitario.
Non era mai successo che gruppi di cavalieri affrontassero missioni assieme.
Ma, nonostante questo, aveva sempre sentito, sin dal momento in cui aveva deciso di abbracciare quella causa, che non era solo.
Invece ora si sentiva tale.
Il sole stava lanciando i suoi ultimi raggi da dietro la pianura.
Era una di quelle scene tipiche dei film western in cui il cavaliere solitario, dopo aver compiuto la sua missione, se ne andava incontro al sole, mentre una canzone malinconia suonava la sua ballata.
Quel pensiero non riuscì a strappargli neanche l’ombra di un sorriso.
Ripensò al tempo passato con Giovanna.
Quanto aveva legato con la Pulzella d’Orleans.
Certo, lei era sempre stata una delle figure che lui più aveva ammirato, sin da bambino.
Era stato un sogno poterla conoscere ed era stata una piacevole sorpresa scoprire che era una persona fantastica: gentile, istruita, dolce e simpatica.
Per qualche strana ragione non si era innamorato di lei, ma l’aveva sempre considerata come la sorella mai avuta.
Ed ora non c’era più.
Menion non riusciva a perdonarsi di non averla salutata meglio.
Se avesse saputo...
Scrollò il capo, se avesse saputo non sarebbe partito ed ora sarebbe anche lui morto.
"Non ti deluderò", mormorò la sua promessa al vento.
Si alzò e tornò all’interno della tenda.



Un bel capitolo lungo, prima di una settimana di vacanza. Al mio ritorno il seguito!
Beatrix Bonnie buone vacanze e grazie di essere di nuovo qui!
   
 
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