Il momento giusto
La
mattina seguente, trovò ad attenderlo Ichirou.
“Mia sorella è dovuta
andare a Londra a sistemare delle scartoffie per
l’università” spiegò.
“Mi ha chiesto di farti compagnia per oggi, con lei ci
incontreremo per
cena stasera, in centro”.
“Non vorrei…”
“Nessun disturbo” lo
rassicurò il vecchio amico, dandogli un’energica
pacca sulle spalle.
“Anzi, sono proprio contento di stare un po’
insieme a te come ai
vecchi tempi!”
Munemasa sorrise: in fondo, faceva piacere anche a lui.
E
in effetti la giornata risultò assai piacevole: Ichirou, che
aveva il
dono della ciarla tipico della sorella e non di Genzo, fu una compagnia
squisita e lo portò a fare un rapido quanto classico
“sightseeing tour”
delle bellezze della capitale inglese. Certo, Munemasa se la sarebbe
goduta assai di più quella gita, se non fosse stato
tormentato
dall’urgenza di invitare Yasu a Parigi: il volo era di
lì a meno di
quarantott’ore!
La graticola continuò per tutta la cena, che si
rivelò essere l’ennesimo party organizzato dai
signori Wakabayashi.
Yasu era lì, ma sempre circondata da un sacco di altre
persone. Più
volte nel corso della serata, la ragazza gli rivolse sorrisi e sguardi
supplici, ma, purtroppo, non riuscirono a sfuggire alla folla che,
Munemasa lo sapeva, entrambi sopportavano a stento.
Dopo alcune ore, finalmente, Ichirou li chiamò entrambi per
andare a casa.
In
auto i due Wakabayashi parlarono fra loro ininterrottamente,
commentando ogni singolo partecipante alla festa. Katagiri rise fra
sé,
chiedendosi se davvero quei due avessero gli stessi geni di Genzo, ma
tentando, al contempo, di soffocare ancora il terribile dubbio che lei
lo stesse evitando, dubbio che lo aveva tormentato per
l’intera
giornata.
Quando arrivarono alla villa Yasu si defilò subito
in camera sua. Lo sguardo invisibile di Katagiri la seguì su
per le
scale, e lui imprecò mentalmente contro Ichirou che, col
solito sorriso
a quarantaquattro denti, gli bloccava la visuale, mentre gli proponeva
il bicchiere della staffa.
Munemasa trangugiò il drink trattenendosi
con lui il minimo indispensabile per non risultare scortese, poi,
farfugliando una scusa, si avviò a sua volta per le scale.
Il
bicchierino di whisky, non era cascato a sproposito: insieme al respiro
profondo che emise di fronte alla porta della stanza di lei,
servì a
dargli coraggio.
“Solo un momento”. Al suo bussare, rispose una voce
lontana, seguita da un lieve scalpiccio. Quindi la porta si
aprì.
“Qualcosa non… uh! Sei tu? Credevo fosse mio
fratello… Tutto bene?” chiese Yasu.
Munemasa
esitò e rimase un attimo a guardarla: aveva i capelli un
po’ umidi e
indossava solo una t-shirt oversize del Toho, da cui spuntavano le
gambe dritte, tornite e muscolose. Mentre con lo sguardo accarezzava
quelle gambe nude, pensieri dispettosi su chi fosse il proprietario
originario della maglia evidentemente troppo grande per lei, lo
punzecchiarono fastidiosamente.
“Tutto bene?” chiese di nuovo Yasu, di fronte al
suo impasse.
“Ti devo parlare” dichiarò infine. La
spaventi, così, idiota, disse una voce dentro di
lui.
“Certo…
accomodati” mormorò lei facendogli spazio, a
metà fra il curioso e il
preoccupato. La ragazza si sedette sul letto già disfatto,
le lunghe
gambe penzoloni, le mani appoggiate ai lati del busto e
un’espressione
interrogativa nello sguardo.
Munemasa si guardò un attimo in giro:
la stanza era come se l’era immaginata, fresca, piena di
colore e
fotografie. Da cornici di varie forme e misure si affacciavano i volti
di un po’ tutti i giocatori della nazionale, in varie fasi
della loro
vita. Scorse Genzo e gli altri della Shutetsu ai tempi delle
elementari, la prima formazione della selezione della Nankatsu e una
serie di foto del Toho, fra cui quella del diploma, in cui una Yasu
dall’aria orgogliosa posava col tocco in testa fra Kojiro
Hyuga, Ken
Wakashimazu e Kazuki Sorimachi.
Ma nessuna foto di Ken da solo e neppure di lui con Yasu,
registrò, mentre qualcosa, in lui, si acquietava.
Si sedette sulla sedia vicino alla scrivania, trattenendo a stento
l’impulso di accendersi una sigaretta.
“Scusa l’intrusione” esordì
ostentando disinvoltura. “Ma sono due giorni che voglio dirti
una cosa”.
Yasu annuì, l’espressione sempre più
incuriosita.
“Ecco, il prossimo incontro di cui ti ho parlato…
si terrà a Parigi”.
“Oh” esclamò Yasu con una punta di
delusione. “Quindi vuol dire che presto te ne
andrai?”
“Sì… no, ecco il punto
è…” inspirò brevemente e poi
finalmente sputò il rospo: “Vorrei che venissi con
me”.
“Ah…” mormorò Yasu,
un’aria indecifrabile sul volto - imbarazzo,
sorpresa, paura? -Munemasa non riusciva a capirlo.
“Ti
sto solo chiedendo di farmi da segretaria e interprete… di
lavorare di
nuovo per la federazione” incalzò lui, a mezza
voce. “Se ti va…”
concluse, quasi in un sospiro.
“Ok”.
“Come hai detto?”
“Ho detto che va bene, vengo volentieri. Quando si
parte?” aveva di nuovo quella sua aria serena e sbruffoncella.
“Be…
bene” balbettò Katagiri spiazzato e felice per la
rapidità con cui la
sua proposta era stata accettata, mentre la sensazione negativa, che lo
aveva accompagnato tutto il giorno, spariva, lasciando solo un senso di
pace.
“Già che sei qui” aggiunse lei a mezza
voce, come leggendogli
nel pensiero. “Scusa per oggi, ma è stata una
giornata incasinata e poi
quell’orribile party… avessi saputo che era una
cosa del genere, avrei
evitato di andarci e di portarti…”
“Nessun problema” scandì lui,
come a chiudere l’argomento, senza far trasparire troppo il
suo
sollievo. “Abbiamo l’aereo dopodomani mattina da
Londra” la informò con
un sorriso, cambiando discorso.
“Bene” gongolò sorniona.
“allora domani shopping sfrenato pre-partenza”.
“Perfetto. Buonanotte” si congedò il
giovane, avviandosi verso la porta.
“Buonanotte”.
Munemasa
uscì dalla stanza, il sorriso ancora dipinto sulle labbra,
si appoggiò
un attimo alla porta e socchiuse gli occhi prima di riavviarsi, a cuore
leggero, verso la propria stanza.
Yasu tuttavia non udì il lieve
tonfo sul legno dell’uscio perché nello stesso
istante si gettò
all’indietro sul letto, con stampata sulla faccia e nel cuore
la stessa
gioia di Munemasa.
I giorni seguenti trascorsero rapidi e
paradossalmente normali: per quanto fosse tutto nuovo, infatti, tanto a
Yasu quanto a Munemasa fare shopping, viaggiare e lavorare insieme era
parsa la cosa più naturale di questo mondo, come se non
avessero mai
fatto altro nella vita.
Mentre aspettava, seduto nella hall del loro
hotel a Parigi, che Yasu scendesse per cena, Katagiri ripercorreva e
riassaporava quegli ultimi giorni. Ripensò al tour delle
boutique
londinesi in cerca di vestiti con cui Yasu diceva di
“sembrare una
persona seria”. A lui sembrava soprattutto bella e solare. La
sua
capacità di muoversi con consumata disinvoltura fra aerei e
alberghi,
così come nella formalità del meeting di lavoro,
lo aveva riempito di
stupore e ammirazione. A volte gli era difficile associare quella
giovane donna cosmopolita, con la ragazzina pestifera dei suoi ricordi,
eppure, quando la rivedeva gettarsi nella sabbia ad afferrare i suoi
tiri, la amava ancora di più.
Ecco. Lo aveva detto, anzi, pensato.
Amore.
Una parola enorme e difficile, che non pronunciava, che non pensava
neppure, da tempo. Eppure non sapeva che altro nome dare a quella
stretta dolce e dolorosa che gli serrava la gola, mentre vedeva le
gambe di lei spuntare da un fresco vestitino azzurro, ai piedi un paio
di semplici sandali neri, con un tacco non altissimo ma sufficiente a
disegnare a ogni passo i muscoli sul polpaccio.
Yasu sorrise
scusandosi per il ritardo, e con quella impalpabile e paradossale
naturalezza che aveva contraddistinto quei giorni, si
appoggiò leggera
al suo braccio e si lasciò condurre verso il ristorante.
Avevano deciso
di concedersi una cena speciale per festeggiare la fine del meeting e
la splendida alchimia che si era creata lavorando insieme.
Eppure
c’era ancora un muro fra loro: mentre lei, un po’
per volta , gli aveva
raccontato tutta la sua storia, aprendogli il proprio cuore in modo
quasi commuovente, lui non aveva detto niente di sé, neanche
le aveva
mai mostrato il suo vero volto.
Quella sera, si promise, appoggiando
alle labbra un bicchiere dell’ottimo champagne scelto per
pasteggiare,
qualcosa sarebbe cambiato. Svuotò il calice e se lo
riempì di nuovo. Un
po’ di coraggio liquido non fa mai male.
Guardò Yasu mangiare di
gusto le splendide ostriche che avevano ordinate, spruzzando ognuna con
un goccio di vodka. Sorrise: insieme erano capaci di godere di quei
piccoli piaceri che per diritto di nascita potevano concedersi, ma che,
in compagnia di altri, spesso evitavano per non passare da ragazzini
viziati.
“Yasu” esordì serio.
“Perché non mi fai mai domande?”
La
ragazza sorrise sghembo, come al solito. “Se
c’è una cosa che ho
imparato convivendo con mio fratello prima e con Ken e Kojiro poi,
è a
rispettare i silenzi”.
“Tu coi silenzi hai poco a che spartire” la
canzonò.
“Esatto. Non solo li rispetto ma li riempio anche”.
Katagiri rise di gusto.
“Eppoi” soggiunse lei, “Quando
arriverà il momento comincerai a raccontare, proprio come
hai iniziato a ridere così”.
La risata si spense in una specie di sospiro di resa. Poi il giovane si
fece serio.
“Credo che il momento sia arrivato”.
Per
quasi un’ora il mondo girò al contrario: Yasu
fissò Munemasa in
silenzio, a bocca aperta, ma senza toccare cibo, mentre
l’altro
raccontava per filo e per segno cose che Yasu aveva solo immaginato o
sentito accennare.
Le raccontò del suo esordio da giovanissimo in
nazionale, della storia con Hinata, dei progetti di matrimonio e
dell’incidente che aveva cambiato tutto: dal suo volto alla
sua vita. E
quello che non si era spezzato, l’amore che Hinata continuava
a dire di
provare, l’aveva reciso lui con le proprie mani. Dopo dei
mesi molto
bui, su suggerimento del vecchio compagno di squadra Mikami, che
intanto aveva lasciato il calcio per fare l’allenatore,
sublimò la sua
passione per il calcio reinventandosi talent scout. L’amore
invece era
rimasto come sospeso, distratto da storielle finite prima di iniziare,
tanto per passare il tempo.
Di fronte a quel racconto tanto
terribile, Yasu si sentì crollare addosso il peso dei suoi
pochi anni:
si sentì talmente giovane e inesperta, che ebbe quasi paura.
In quei
giorni, naturalmente, aveva fantasticato un po’ su Katagiri,
affascinata dai suoi modi gentili e raffinati e dal suo essere
“uomo”,
pur mettendola a suo agio, ma, adesso, la distanza fra loro le
sembrò
incolmabile.
E ancora una volta lui capì quello che provava, senza
che lei lo spiegasse. Sentì il vuoto che si apriva fra loro
e le prese
la mano, come a volerle impedire di scappare.
La mano del giovane
era ancora più fredda della sua e… piccola, si
trovò curiosamente a
pensare Yasu, abituata com’era alle pale di Genzo e Ken. Lui
le
carezzò appena il dorso della mano poi intrecciò
le proprie dita alle
sue.
Yasu si godette quel contatto, ma poi qualcosa la spinse ad
alzarsi e lasciare rapida la sala, uscendo fuori. Aveva bisogno di aria.
Sentì
un tocco timido sulla spalla scoperta. “Non aver, paura, ti
prego”
sussurrò Munemasa. “Come hai detto tu, era giunto
il momento. Poche
persone sanno le cose che ti ho raccontato stasera, se te le ho
confidate è perché so che mi puoi capire, anche
se sei giovane, quello
che hai passato…”
“Munemasa… la mia è una cotta da
ragazzini finita male…”
“È questo quello che ti dicono tutti?”
“È quello che è”.
“Non
per te. Puoi nasconderlo a tutti ma non a me. C’è
una ferita profonda
sulla tua anima, sul tuo cuore. E le ferite profonde lasciano
cicatrici…”
Il corpo di Yasu tremava, scosso dai singhiozzi, lui la
abbracciò e le carezzò la schiena per calmarla. I
loro volti erano
vicinissimi, sentivano ognuno il profumo acidulo dello champagne
provenire dalla bocca dell’altro.
D’istinto, Yasu sollevò lenta una
mano verso gli occhiali di Katagiri, lui si irrigidì, quindi
scartò
all’indietro, colpendole la mano.
Yasu si ritrasse, turbata, mormorò delle scuse e
scappò in camera.
Ho rivisto e modificato più volte questo cap... copre un periodo di tempo piuttosto lungo, ma molti giorni sono solo "riassunti"... non è facile, si rischia di apparire frettolosi e, come spesso mi capita, ho l'impressione di non sfruttare adeguatamente le opportunità che la storia mi offre...
Vabbè, lasciamo perdere. Mi faccio più pare di Mune...
Grazie rel e grazie a tutte le lettrici\i lettori:)