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Autore: berlinene    06/08/2010    2 recensioni
Uno spin off-what if delle vicende del "Diario"... o, come dice il titolo, un'altra possibilità: per i protagonisti, in un momento in cui ormai nessuno di loro ci sperava più, e per voi. E per me. Enjoy. [Munemasa Katagiri; Personaggio originale femminile]
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Il Diario di Irene Price genera storie'
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Il momento giusto

La mattina seguente, trovò ad attenderlo Ichirou. “Mia sorella è dovuta andare a Londra a sistemare delle scartoffie per l’università” spiegò. “Mi ha chiesto di farti compagnia per oggi, con lei ci incontreremo per cena stasera, in centro”.
“Non vorrei…”
“Nessun disturbo” lo rassicurò il vecchio amico, dandogli un’energica pacca sulle spalle. “Anzi, sono proprio contento di stare un po’ insieme a te come ai vecchi tempi!”
Munemasa sorrise: in fondo, faceva piacere anche a lui.

E in effetti la giornata risultò assai piacevole: Ichirou, che aveva il dono della ciarla tipico della sorella e non di Genzo, fu una compagnia squisita e lo portò a fare un rapido quanto classico “sightseeing tour” delle bellezze della capitale inglese. Certo, Munemasa se la sarebbe goduta assai di più quella gita, se non fosse stato tormentato dall’urgenza di invitare Yasu a Parigi: il volo era di lì a meno di quarantott’ore!
La graticola continuò per tutta la cena, che si rivelò essere l’ennesimo party organizzato dai signori Wakabayashi. Yasu era lì, ma sempre circondata da un sacco di altre persone. Più volte nel corso della serata, la ragazza gli rivolse sorrisi e sguardi supplici, ma, purtroppo, non riuscirono a sfuggire alla folla che, Munemasa lo sapeva, entrambi sopportavano a stento.
Dopo alcune ore, finalmente, Ichirou li chiamò entrambi per andare a casa.
In auto i due Wakabayashi parlarono fra loro ininterrottamente, commentando ogni singolo partecipante alla festa. Katagiri rise fra sé, chiedendosi se davvero quei due avessero gli stessi geni di Genzo, ma tentando, al contempo, di soffocare ancora il terribile dubbio che lei lo stesse evitando, dubbio che lo aveva tormentato per l’intera giornata.

Quando arrivarono alla villa Yasu si defilò subito in camera sua. Lo sguardo invisibile di Katagiri la seguì su per le scale, e lui imprecò mentalmente contro Ichirou che, col solito sorriso a quarantaquattro denti, gli bloccava la visuale, mentre gli proponeva il bicchiere della staffa.
Munemasa trangugiò il drink trattenendosi con lui il minimo indispensabile per non risultare scortese, poi, farfugliando una scusa, si avviò a sua volta per le scale.
Il bicchierino di whisky, non era cascato a sproposito: insieme al respiro profondo che emise di fronte alla porta della stanza di lei, servì a dargli coraggio.
“Solo un momento”. Al suo bussare, rispose una voce lontana, seguita da un lieve scalpiccio. Quindi la porta si aprì.
“Qualcosa non… uh! Sei tu? Credevo fosse mio fratello… Tutto bene?” chiese Yasu.
Munemasa esitò e rimase un attimo a guardarla: aveva i capelli un po’ umidi e indossava solo una t-shirt oversize del Toho, da cui spuntavano le gambe dritte, tornite e muscolose. Mentre con lo sguardo accarezzava quelle gambe nude, pensieri dispettosi su chi fosse il proprietario originario della maglia evidentemente troppo grande per lei, lo punzecchiarono fastidiosamente.
“Tutto bene?” chiese di nuovo Yasu, di fronte al suo impasse.
“Ti devo parlare” dichiarò infine. La spaventi, così, idiota, disse una voce dentro di lui.
“Certo… accomodati” mormorò lei facendogli spazio, a metà fra il curioso e il preoccupato. La ragazza si sedette sul letto già disfatto, le lunghe gambe penzoloni, le mani appoggiate ai lati del busto e un’espressione interrogativa nello sguardo.
Munemasa si guardò un attimo in giro: la stanza era come se l’era immaginata, fresca, piena di colore e fotografie. Da cornici di varie forme e misure si affacciavano i volti di un po’ tutti i giocatori della nazionale, in varie fasi della loro vita. Scorse Genzo e gli altri della Shutetsu ai tempi delle elementari, la prima formazione della selezione della Nankatsu e una serie di foto del Toho, fra cui quella del diploma, in cui una Yasu dall’aria orgogliosa posava col tocco in testa fra Kojiro Hyuga, Ken Wakashimazu e Kazuki Sorimachi.
Ma nessuna foto di Ken da solo e neppure di lui con Yasu, registrò, mentre qualcosa, in lui, si acquietava.
Si sedette sulla sedia vicino alla scrivania, trattenendo a stento l’impulso di accendersi una sigaretta.
“Scusa l’intrusione” esordì ostentando disinvoltura. “Ma sono due giorni che voglio dirti una cosa”.
Yasu annuì, l’espressione sempre più incuriosita.
“Ecco, il prossimo incontro di cui ti ho parlato… si terrà a Parigi”.
“Oh” esclamò Yasu con una punta di delusione. “Quindi vuol dire che presto te ne andrai?”
“Sì… no, ecco il punto è…” inspirò brevemente e poi finalmente sputò il rospo: “Vorrei che venissi con me”.
“Ah…” mormorò Yasu, un’aria indecifrabile sul volto - imbarazzo, sorpresa, paura? -Munemasa non riusciva a capirlo.
“Ti sto solo chiedendo di farmi da segretaria e interprete… di lavorare di nuovo per la federazione” incalzò lui, a mezza voce. “Se ti va…” concluse, quasi in un sospiro.
“Ok”.
“Come hai detto?”
“Ho detto che va bene, vengo volentieri. Quando si parte?” aveva di nuovo quella sua aria serena e sbruffoncella.
“Be… bene” balbettò Katagiri spiazzato e felice per la rapidità con cui la sua proposta era stata accettata, mentre la sensazione negativa, che lo aveva accompagnato tutto il giorno, spariva, lasciando solo un senso di pace.
“Già che sei qui” aggiunse lei a mezza voce, come leggendogli nel pensiero. “Scusa per oggi, ma è stata una giornata incasinata e poi quell’orribile party… avessi saputo che era una cosa del genere, avrei evitato di andarci e di portarti…”
“Nessun problema” scandì lui, come a chiudere l’argomento, senza far trasparire troppo il suo sollievo. “Abbiamo l’aereo dopodomani mattina da Londra” la informò con un sorriso, cambiando discorso.
“Bene” gongolò sorniona. “allora domani shopping sfrenato pre-partenza”.
“Perfetto. Buonanotte” si congedò il giovane, avviandosi verso la porta.
“Buonanotte”.
Munemasa uscì dalla stanza, il sorriso ancora dipinto sulle labbra, si appoggiò un attimo alla porta e socchiuse gli occhi prima di riavviarsi, a cuore leggero, verso la propria stanza.
Yasu tuttavia non udì il lieve tonfo sul legno dell’uscio perché nello stesso istante si gettò all’indietro sul letto, con stampata sulla faccia e nel cuore la stessa gioia di Munemasa.

I giorni seguenti trascorsero rapidi e paradossalmente normali: per quanto fosse tutto nuovo, infatti, tanto a Yasu quanto a Munemasa fare shopping, viaggiare e lavorare insieme era parsa la cosa più naturale di questo mondo, come se non avessero mai fatto altro nella vita.
Mentre aspettava, seduto nella hall del loro hotel a Parigi, che Yasu scendesse per cena, Katagiri ripercorreva e riassaporava quegli ultimi giorni. Ripensò al tour delle boutique londinesi in cerca di vestiti con cui Yasu diceva di “sembrare una persona seria”. A lui sembrava soprattutto bella e solare. La sua capacità di muoversi con consumata disinvoltura fra aerei e alberghi, così come nella formalità del meeting di lavoro, lo aveva riempito di stupore e ammirazione. A volte gli era difficile associare quella giovane donna cosmopolita, con la ragazzina pestifera dei suoi ricordi, eppure, quando la rivedeva gettarsi nella sabbia ad afferrare i suoi tiri, la amava ancora di più.
Ecco. Lo aveva detto, anzi, pensato.
Amore. Una parola enorme e difficile, che non pronunciava, che non pensava neppure, da tempo. Eppure non sapeva che altro nome dare a quella stretta dolce e dolorosa che gli serrava la gola, mentre vedeva le gambe di lei spuntare da un fresco vestitino azzurro, ai piedi un paio di semplici sandali neri, con un tacco non altissimo ma sufficiente a disegnare a ogni passo i muscoli sul polpaccio.
Yasu sorrise scusandosi per il ritardo, e con quella impalpabile e paradossale naturalezza che aveva contraddistinto quei giorni, si appoggiò leggera al suo braccio e si lasciò condurre verso il ristorante. Avevano deciso di concedersi una cena speciale per festeggiare la fine del meeting e la splendida alchimia che si era creata lavorando insieme.
Eppure c’era ancora un muro fra loro: mentre lei, un po’ per volta , gli aveva raccontato tutta la sua storia, aprendogli il proprio cuore in modo quasi commuovente, lui non aveva detto niente di sé, neanche le aveva mai mostrato il suo vero volto.
Quella sera, si promise, appoggiando alle labbra un bicchiere dell’ottimo champagne scelto per pasteggiare, qualcosa sarebbe cambiato. Svuotò il calice e se lo riempì di nuovo. Un po’ di coraggio liquido non fa mai male.
Guardò Yasu mangiare di gusto le splendide ostriche che avevano ordinate, spruzzando ognuna con un goccio di vodka. Sorrise: insieme erano capaci di godere di quei piccoli piaceri che per diritto di nascita potevano concedersi, ma che, in compagnia di altri, spesso evitavano per non passare da ragazzini viziati.
“Yasu” esordì serio. “Perché non mi fai mai domande?”
La ragazza sorrise sghembo, come al solito. “Se c’è una cosa che ho imparato convivendo con mio fratello prima e con Ken e Kojiro poi, è a rispettare i silenzi”.
“Tu coi silenzi hai poco a che spartire” la canzonò.
“Esatto. Non solo li rispetto ma li riempio anche”.
Katagiri rise di gusto.
“Eppoi” soggiunse lei, “Quando arriverà il momento comincerai a raccontare, proprio come hai iniziato a ridere così”.
La risata si spense in una specie di sospiro di resa. Poi il giovane si fece serio.
“Credo che il momento sia arrivato”.
Per quasi un’ora il mondo girò al contrario: Yasu fissò Munemasa in silenzio, a bocca aperta, ma senza toccare cibo, mentre l’altro raccontava per filo e per segno cose che Yasu aveva solo immaginato o sentito accennare.
Le raccontò del suo esordio da giovanissimo in nazionale, della storia con Hinata, dei progetti di matrimonio e dell’incidente che aveva cambiato tutto: dal suo volto alla sua vita. E quello che non si era spezzato, l’amore che Hinata continuava a dire di provare, l’aveva reciso lui con le proprie mani. Dopo dei mesi molto bui, su suggerimento del vecchio compagno di squadra Mikami, che intanto aveva lasciato il calcio per fare l’allenatore, sublimò la sua passione per il calcio reinventandosi talent scout. L’amore invece era rimasto come sospeso, distratto da storielle finite prima di iniziare, tanto per passare il tempo.
Di fronte a quel racconto tanto terribile, Yasu si sentì crollare addosso il peso dei suoi pochi anni: si sentì talmente giovane e inesperta, che ebbe quasi paura. In quei giorni, naturalmente, aveva fantasticato un po’ su Katagiri, affascinata dai suoi modi gentili e raffinati e dal suo essere “uomo”, pur mettendola a suo agio, ma, adesso, la distanza fra loro le sembrò incolmabile.
E ancora una volta lui capì quello che provava, senza che lei lo spiegasse. Sentì il vuoto che si apriva fra loro e le prese la mano, come a volerle impedire di scappare.
La mano del giovane era ancora più fredda della sua e… piccola, si trovò curiosamente a pensare Yasu, abituata com’era alle pale di Genzo e Ken. Lui le carezzò appena il dorso della mano poi intrecciò le proprie dita alle sue.
Yasu si godette quel contatto, ma poi qualcosa la spinse ad alzarsi e lasciare rapida la sala, uscendo fuori. Aveva bisogno di aria.
Sentì un tocco timido sulla spalla scoperta. “Non aver, paura, ti prego” sussurrò Munemasa. “Come hai detto tu, era giunto il momento. Poche persone sanno le cose che ti ho raccontato stasera, se te le ho confidate è perché so che mi puoi capire, anche se sei giovane, quello che hai passato…”
“Munemasa… la mia è una cotta da ragazzini finita male…”
“È questo quello che ti dicono tutti?”
“È quello che è”.
“Non per te. Puoi nasconderlo a tutti ma non a me. C’è una ferita profonda sulla tua anima, sul tuo cuore. E le ferite profonde lasciano cicatrici…”
Il corpo di Yasu tremava, scosso dai singhiozzi, lui la abbracciò e le carezzò la schiena per calmarla. I loro volti erano vicinissimi, sentivano ognuno il profumo acidulo dello champagne provenire dalla bocca dell’altro.
D’istinto, Yasu sollevò lenta una mano verso gli occhiali di Katagiri, lui si irrigidì, quindi scartò all’indietro, colpendole la mano.
Yasu si ritrasse, turbata, mormorò delle scuse e scappò in camera.



Note di chiusura:

Ho rivisto e modificato più volte questo cap... copre un periodo di tempo piuttosto lungo, ma molti giorni sono solo "riassunti"... non è facile, si rischia di apparire frettolosi e, come spesso mi capita, ho l'impressione di non sfruttare adeguatamente le opportunità che la storia mi offre...

Vabbè, lasciamo perdere. Mi faccio più pare di Mune...

Grazie rel e grazie a tutte le lettrici\i lettori:)

   
 
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