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Autore: lolki    06/08/2010    1 recensioni
Il cuore martella sia nel petto sia nelle tempie, inarrestabile.
Genere: Commedia, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Normal Morning

Poggiò la borsa con assai poca cautela sul ripiano dell’autobus. Dalle labbra rosse a causa del freddo presente fuori uscì un sonoro sbuffo.
Insomma, la mattina non sarebbe potuta cominciare peggio.
Si era buttata in doccia con l’acqua ghiacciata, non aveva fatto colazione, pioveva, non aveva l’ombrello, era fradicia e i brividi le salivano su per la schiena, e aveva perso il bus diretto per scuola.
Veramente peggio di così la giornata non poteva cominciare.
Improvvisamente Ligabue si fermò, come se qualcuno lo avesse colpito. Nessun urlo, solo il rumore del motore del bus.
Chiuse gli occhi, implorando che si fossero staccate le cuffiette. Ma quando dalla tasca destra estrasse l’oggetto della salvezza di ogni adolescente, e notò lo schermo nero… tirò un lungo, lunghissimo sospiro.
Mai dire Mai.
In quel momento comprese il profondo significato di quel proverbio.
Arrotolò piano piano le cuffiette sperando che il suo prediletto si svegliasse e illuminasse.
Speranza vana.
L’autobus rallentò per fermarsi. La porta dietro di lei si aprì facendole tornare i brividi che il tepore del riscaldamento erano riusciti a cacciare.
Si spostò più lontano dall’infernale porta, e con sua grande sorpresa notò una figura avvolta da un cappotto nero e dalla bionda chioma. Prese la borsa e si avvicinò alla persona che quasi sicuramente poteva “risollevarle” il morale, o perlomeno quel viaggio in autobus.
Si chinò veloce e schioccò un bacio sulla guancia all’interessato che sembrò essere preso di sorpresa.
« Ciao Step! »
L’individuo la guardò stralunato, come fosse un alieno. Ma scuotendo leggermente la testa sembrò tornare al mondo reale.
« Ciao. Scusa ero appisolato » « Perso l’autobus? » Disse con una nota di ironia.
« Da che pulpito… se mai prenderai il bus in orario per più di due volte al mese attacco i manifesti! »
« Allora dovrò impegnarmi di più perché tu ormai mi stai raggiungendo »
« Simpatico… »
Un sorriso uscì a entrambi anche se lei cercava di fare la finta offesa.
« Stefano, posso sedermi in braccio tuo? Per favore! »
Il diretto interessato la guardò un po’ seccato, ma lei sfoderò gli occhioni da cucciolo bastonato, e sapeva che se non l’avesse accontentata avrebbe tenuto quello sguardo (che lui non sopportava e lei lo sapeva fin troppo bene) per tutto il viaggio.
« Va bene… »
« Grazie! » sorrise come un bambino quando ottiene una caramella, e gli schioccò un altro bacio sulla guancia.
« Ma te la sei fatta addosso? Hai tutto il culo e le gambe bagnate!! »
Lei arrossì leggermente, abbassò lo sguardo come un bambino quando deve ammettere di essere caduto in bicicletta, da fermo.
« No, ho corso e mi sono dimentica l’ombrello »
Lui scosse leggermente la testa con teatrale rassegnazione.
Passati neanche quaranta secondi, la sua attenzione fu colta da dei sottili spaghi bianchi che risalltavano sul collo scuro del cappotto e scomparivano tra i fili di grano.
« Stefanooo »
Il ragazzo, disperato, guardò il soffitto dell’autobus, cercando una risposta, una qualsiasi risposta.
« Che c’è? »
« Mi presti una cuffietta? Per favore »
Dire che la fulminò è dire poco. Lei di rimando lo guardò preoccupata.
Stefano era sempre un po’ suscettibile la mattina alle sette, ma quella mattina sembrava pronto a esplodere.
« Che hai questa mattina? »
« Niente » Parola secca, piatta, che andava a indicare la chiusura del discorso senza averlo ancora iniziato.
Ma per Josephine le discussioni iniziavano e finivano quando voleva lei,anche a costo di fare una belle litigata ,e poche persone riuscivano a rovinarle il gioco. Finora era arrivata a quota tre.
« A me non sembra … sei molto molto più nervoso del solito … »
« Non ho voglia di parlarne … scusa ma oggi non sono in buona »
Lei guardò quelle iridi chiare, cercando qualcosa. E trovò un bel cartello con scritto : ‘Oggi ucciderò qualcuno’ . Così decise di non insistere oltre e “ripiegare”.
Volse lo sguardo alle punte dei suoi stivale, storcendo un poco il naso trovandoli un po’ smaccati a causa dell’acqua piovana.
Tre …
… Due …
…… Uno …
« Io e la Caterina ci siamo momentaneamente lasciati , almeno è quello che sostiene lei, e in più non ho studiato niente di inglese per oggi e ho compito »
Sorrise, alla fine si ottiene sempre quello che si vuole.
Per fortuna lui non poteva vedere quel sorriso di vittoria perché coperto dagli innumerevoli  capelli biondi di lei.
« Oh, mi dispiace, comunque hai ragione, è un pessimo argomento su cui parlare soprattutto alle sette e venti della mattina »
« Già … »
« Mica puoi deprimerti per una fia, insomma il mare è pieno di pesci! »
« Non è così facile … »
Non parlarono più. Sia per mancanza di voglia sia per stanchezza.
Lui rimise il play e la musica entrò nelle loro menti.
 Lei appoggiò il capo sulla sua spalla, cercando di dormire ancora un po’.

Se Stefano non l’avesse scossa e chiamata più volte, probabilmente sarebbe rimasta a fissare quella (largha) schiena per un tempo indefinito, o finchè non sarebbe scomparsa.
Che ci faceva Lui, alias il proprietario della schiena, sul Venezia a quest’ora? Se non errava andava all’università, per di più a Padova!
Poi notò la borsa stracolma, probabilmente andava a lavorare. Ma solitamente quando lo vedeva recarsi a lavoro prendeva il diretto, che passava prima e lo portava più vicino a posto di lavoro.
« Josephine ti dai una mossa?!?Questa è la nostra! Dobbiamo scendere! Che ? Ti sei incantata?? »
Si sentì precipitare da un mondo parallelo, per ritrovarsi in braccio a Stefano che “gentilmente” cercava di riportarla alla realtà.
« Non urlare! Mica devono svegliarsi tutti! L’educazione dov’è finita? » Sbottò irritata.
« Te le dico io dove è finita. Intanto muoviti! »
Con uno scattò si tirò in piedi e si diresse alla porta di uscita, premette con stizza tre volte il pulsante di fermata.
Improvvisamente si sentì osservata.
L’autobus si fermò, e aprì le porte con un movimento non perfettamente fluido.
Alzò lo sguardo incrociando gli occhi scuri di lui.
L’umidità e il freddo della pioggia la investirono in pieno viso, facendola leggermente tremare.
Una mano si appoggia sulla sua schiena.
Gli occhi scuri non smettono di scrutarla. Alla ricerca di qualcosa.
La mano esercita pressione, quasi spingendola con violenza, costringendola a fare un passo in avanti, giù dall’autobus.
« Muoviti!!!! Il 13 è già arrivato »
Si svegliano entrambi da quel contatto.
Josephine guarda la strada dove Stefano e altri ragazzi corrono per salire sull’autobus. Riporta un attimo lo sguardo dentro il bus cercando di nuovo gli occhi di Nicola. Ma non ci sono.
Altri studenti le passano a fianco sempre di corsa.
Guarda di nuovo la strada e l’autobus, nella cui marmaglia riconosce la chioma chiara dell’amico.
Gli occhi cadono sulla scritta gialla “13 diretto scuole”.
Le gambe scattato, neanche fosse un istinto. Attraversa la strada con una lunga diagonale, attenta a non cadere in qualche pozzanghera.
Per miracolo riesce ad entrare in quel vecchio autobus dove non c’era riscaldamento e il respiro si condensava, dove la puzza e l’unto si attacca ai capelli umidi e al cappotto.
Ora poteva dirlo, peggio di così no poteva andare.
Il giorno seguente si sarebbe impegnata di più per prendere l’autobus diretto, era un’ottima idea.

« Ciao Stefano. Per favore tienimi un posto per il ritorno »
Altro bacio sulla guancia e si diresse verso un’altra direzione.
« Ma se non ci sei mai al ritorno! Sbaglio o ti fai sempre accompagnare? »
« Si ma oggi piove, già rischiano di fare un incidente con l’asfalto asciutto. Andare con loro con la pioggia è suicidarsi! »
« Approfittatrice! Allora a dopo! Ciao bella »
Continuò in direzione della sua ala finchè non distinse due figure.
Per una era una consuetudine stare fuori dal portone con la Marlboro tra le labbra, Gian.
L’altra figura, piccola figura la riconobbe in poco tempo, anche se non era solita osservarla. Insomma era una cosa logica pensare che dove ci fosse Gian ci fosse anche la sua ragazza, Valentina. Pure lei con la sigaretta tra le colorate labbra.
Si era sempre chiesta cosa sarebbe successo se lei fosse andata là spedita a baciarlo davanti a le, e a circa metà studenti di tutte le scuole. Il pensiero fu cacciato da una (dannata) goccia d’acqua caduta sulla sua testa.
Riprese a camminare, quando era a tre metri dal portone incrociò lo sguardo di Gian che la fulminava, e non riusciva a capire il perché, sembrava volerli comunicare qualcosa.
« Ciao Gian »
« Ciao Josephine » rispose Gian, veloce. Come se non l’avesse voluta incontrare
Sperò di poter continuare dritta per la sua strada.
Altra speranza vana,e la scuola doveva ancora iniziare. Di fatto la ragazza dai capelli castani si voltò verso di lei, guardandola senza alcuna espressione.
Poi qualcosa balenò in quei occhi color cioccolato.
« Oh Josephine! » La chiamò.
« Si Valentina? Dimmi »Non aveva nessuna intenzione di fermarsi un momento di più in quell’umidità. E quella? La chiamo con un “oh”. E le soffiava il fumo a trenta centimetri dalla faccia.
« Non stropicciarmelo troppo »
« Scusa? » Cosa cavolo diceva quella?
Poi notò Gian che cercava di attirare la sua attenzione.
« Si insomma, non ridurmelo in queste condizioni le prossime volte, come hai fatto ieri. Devo ancora capire come hai fatto. Perché Gian non ha spiegato bene. »
Gian, dietro Valentina, agitava il cellulare.
Cellulare! Immediatamente portò la mano in tasca del cappotto in cerca del famigerato oggetto.
Ma per cosa doveva guardare il cellulare?
« Scusa Vale, ma non capisco a cosa ti stia riferendo »
Lei la guardò un po’ male.
Sfoderò un sorriso cercando di rassicurarla.
« Insomma di preciso, lo tartasso talmente tanto che mi dimentico se faccio qualcosa che lascia il segno »
Non tolse il sorriso, era l’ultima cosa che voleva fare.
Valentina si girò e attirò a sé Gian, nello stesso momento Josephine tirò fuori il telefonino e aprì il messaggio ricevuto circa quarantacinque minuti prima : “piz“
Cosa diamine significava “piz”?
Valentina fece alzare il mento a Gian, dove dietro l’orecchio c’era un piccolo livido rossastro violaceo.
E quello?! Come cavolo glielo aveva fatto? Davvero non ricordava.
« Perché per me è un succhiotto, invece Gian mi ha dett .. »
« Si gli ho fatto un pizzicotto! » la interruppe veloce.
« Volevo tirargli l’orecchio ma ho tirato il collo » Il sorriso non si mosse, aveva notato che la mandava in confusione, cara piccola Vale.
« Ah allora è andata cosi … »
« Si Vale. Che ti avevo detto? Non serviva fare tutto questo cine. »
Entrò in scena il rumore più odiato e più amato dagli studenti : la campanella!
Anche se la campanella di inizio lezioni era di solito la più odiata, per Gian e Josephine fu come udire le trombe del paradiso.
« Io vado se no faccio tardi. Ciao Vale! » Altro sorriso.
Gian salutò Valentina con un bacio veloce, e si mise a seguire la scia di Josephine.
Arrivarono al primo piano, ancora infestato da studenti.
« Hanno inventato il telefono per leggere i messaggi, non per tenerlo al caldo in tasca » L’accusò severo.
« Potevi inviarmi il messaggio ieri sera invece di avvisarmi alle sette e un quarto che sai che è già tanto se prendo il bus puntuale » Rispose con una punta di acidità.
« Vabbè cambiamo discorso. Non ho voglia di litigare anche con te »
« Si a proposito, mi hai riportato fisica? »
« Si tranquilla »
Cadde il silenzio, causato dai continui sbadigli di entrambi.
Giunsero di fronte alla loro classe.
« Allora sei riuscita a prendere il diretto questa mattina? »
« Che fai? Sfotti?! »




Ciao a tutti, ecco il continuo, mi scuso tantotanto per il ritardo,
 ma volevo avere minimo altri due capitoli prima di aggiornare...
ed ora che ci sono vi prometto che il prossimo aggiornamento sarò fra due settimane!
Grazie tante, baci!


  
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